Alla
conquista di Itaca
“Le
apparenze ingannano chi vuol farsi ingannare.” ( Roberto
Gervaso )
La
mattina volgeva al termine quando, dalle foglie secche di una siepe,
sbucarono cinque musetti dagli occhi vispi.
— Vi
dico che è qui, — bisbigliò quello
più a sinistra.
— Dove?
Dove? — si intromise sgomitando quello di mezzo.
— Ne
sei sicuro? — chiese timidamente la più piccola.
— Certo!
— si intestardì il primo, scivolando sinuoso oltre
il bordo
rinsecchito. — Per di qua.
Portò
i compari dentro un vecchio capanno dal soffitto decorato da
ragnatele scure e gonfie di nidi di ragni. A ridosso di una parete,
dei teli celavano delle sagome dalla forma squadrata.
— Guardate
qua! — esclamò eccitato Baldo, un furetto dal pelo
chiazzato,
mentre, appoggiato sulle zampe posteriori, mostrava agli altri una
scatola che brillava colpita da un raggio di sole. — Se
volete, ce
ne sono altre, — aggiunse sfregando l’oggetto sulla
pelliccia.
— Non
abbiamo tempo per queste cose! — si arrabbiò
Aldobrando, il suo
pelo marrone divenne ispido come la sua voce. — Siamo qua per
catturare Ulisse, — li richiamò
all’ordine gonfiando il petto.
Egle,
dalla morbida pelliccia bianca, assentì, nascondendo dietro
le
palpebre un lampo di terrore.
— Fate
piano, ci siamo quasi, — sussurrò Aldobrando
infilandosi tra due
ceste di vecchi giornali.
Penelope,
un furetto vispo e curioso, si fermò davanti allo sportello
semi
aperto di una vecchia stufa in ghisa, annusando l’aria.
— Etch!
— starnutì, il muso sporco di fuliggine.
Di
riflesso chiuse gli occhi e, indietreggiando, andò a
sbattere contro
una pala che si schiantò al suolo producendo un gran
clangore. Una
nuvola maculata brulicò fino a lei schiamazzando
preoccupata.
— Ti
sei fatta male? Trovato niente di interessante? Sei ammattita?! Ora
lui lo saprà! — squittirono contemporaneamente i
furetti.
Nel
frattempo, mentre i vispi animaletti erano intenti a girare su se
stessi in un vortice colorato, da uno stipetto appeso alla parete
sgusciò un’ombra che si allungò fino a
toccare il pavimento. Non
vista, strisciò dietro la legna e circumnavigò il
tavolo ingombro
di cartacce. Impantanatasi nel tappeto infeltrito,
sdrucciolò illesa
contro un vecchio borsone usurato. Piantò le zampe a terra,
risucchiò l’aria in gola e tuonò
irritata:
— Fuori
dalla mia tana! — sorridendo ferina osservò i
furetti paralizzarsi
dal terrore, retrocedere un poco e aggrovigliarsi in un’unica
palla
di pelo.
— Ulisse…
— pigolò Aldobrando. Poi, ricordatosi chi era, si
erse sulle zampe
posteriori sfidando l’animale più grande.
— Non abbiamo paura di
te! — esclamò altisonante.
Sperando
di non dare troppo nell’occhio, con la zampa anteriore diede
dei
colpetti dietro la nuca a Baldo che, memore del piano precedentemente
stabilito, si raggomitolò su se stesso e rotolò
in una zona buia.
Con l’altra prese ad accarezzare il manto bianco di Egle,
attirando
su di lei lo sguardo duro dell’animale.
Ulisse
denudò i denti che baluginarono sinistri nella luce
polverosa del
capanno. — Ho detto fuori dalla mia tana! —
ripeté minaccioso
piegando il capo in avanti.
Intanto
Penelope, scivolando furtiva dietro una poltrona rattoppata in
più
punti, raggiunse Baldo.
Rachele,
furetto poco saggio ma docile, fiutò l’aria
puntando gli occhietti
tondi verso la finestra. Riconoscendo l’odore pungente che le
solleticava il naso, si arrampicò fino alla finestra.
Schiacciò il
musetto contro il lurido vetro e picchiettò le unghie con
insistenza, frustando la coda eccitata.
— Non
saremo noi ad andarcene! — gli tenne testa Aldobrando che, a
sua
volta, mostrò i propri denti. — Abbiamo un conto
in sospeso e te
la faremo pagare cara, — sentenziò. Ulisse rise
sguaiato,
trattenendo lo stomaco con le zampe anteriori, gli occhietti
socchiusi puntati sul pelo bianco di Egle.
— Davvero?
— lo sbeffeggiò l’animale più
grande. — E cosa avrei fatto di
così grave da meritare il vostro castigo? — chiese
ilare. Intanto,
gli altri due furetti, recuperata una corda abbandonata in un angolo,
quatti quatti, si avvicinarono alla sua folta coda.
— Solo
nell’ultima settimana sono spariti nove miei amici,
— Aldobrando
quasi singhiozzò al ricordo. — La Matriarca dice
che è stato
l’Orco Cattivo, cioè tu! —
l’accusò.
— Io?
— domandò perplesso Ulisse. — E cosa
dovrei fare con i tuoi
amici? Giocare a nascondi-la-cena ? — riprese a ridere
sarcastico.
Aldobrando, la schiena ritta per sembrare più alto, tenne
gli occhi
fissi su di lui mentre il cuore gli batteva all’impazzata.
Sapeva
perfettamente cosa stava accadendo alle spalle dell’altro
animale e
fremeva d’aspettativa, sperando solo che il suo pelo non lo
tradisse.
— Ma
che?! — bofonchiò Ulisse quando, attirato da un
forte schianto, si
girò e scoprì di avere la coda legata. Aldobrando
ruggì felice: —
Ora, ci dirai dove tieni nascosti i nostri amici!
— Guarda.
Guarda. Chi abbiamo qui?
— ghignò una voce roca,
mentre la sua ombra sovrastava i furetti. — Gastone,
chiudi la
porta! Non voglio farmeli sfuggire!
—
urlò, agguantando per il collo Penelope, che
squittì sorpresa.
Baldo, gettatosi in soccorso dell’amica, si
arrampicò sulla gamba
del nuovo venuto. Finì anche lui stretto in una morsa. Con
due
falcate, l’ombra raggiunse i teli e scoperchiò una
gabbia
arrugginita.
— Scappa!
— sbraitò Ulisse, mentre si divincolava dalla
corda. — Prendi la
tua amica e infilati là, — indicò una
breccia nel muro.
Il
furetto, sconcertato, si riscosse solo quando Egle gli
sussurrò
spaventata: — Andiamo.
Prima
di sparire dentro il buco, Aldobrando si girò.
Raggiunto
l’umano, Ulisse lo morse al polpaccio e, senza prendere
fiato, si
voltò mostrando la coda ritta, pronto a scoccargli in faccia
la sua
arma segreta. Immediatamente, una nuvoletta densa e maleodorante
appestò l’aria facendo lacrimare l’umano
che, impossibilitato a
respirare, lasciò cadere i due furetti e fuggì.
La puzzola gli
caracollò dietro.
Illesi
e frastornati, i cinque furetti tornarono a casa mortificati. Si
sentivano in colpa. Avevano dato per scontato che l’Orco
Cattivo
fosse Ulisse. Invece, a rapire i loro amici era stato
l’umano:
colui dalla cui mano tesa avevano accettato il cibo.
Da
allora, non incontrarono più Ulisse ma, nei loro cuori,
sperarono di
essere stati perdonati.
Note
dell’Autrice : questa storia partecipa al
contest ‘C’era
una volta un... gatto’ indetta da Nuel2 sul forum.
Spesso
l’eccessiva fiducia verso alcuni, piuttosto che altri,
è figlia
del pregiudizio. Ci riteniamo astuti nella scelta delle persone cui
circondarci. Invece tutto nasce da un banale malinteso, una palese
incomprensione che vizia le nostre opzioni.
Non
credo possa valere come morale, ma è una riflessione
scaturita dal
mio vissuto.
I
riferimenti all’opera di Omero sono puramente casuali.
L’immagine
del banner non è mia.
Per
il significato dei nomi dei personaggi mi sono avvalsa
dell’aiuto
di questo sito
http://www.oggi.it/oggi/oroscopo/significato-dei-nomi/significato-nomi-a.shtml#a-b-c-d.
Le
nozioni generali su questi adorabili animaletti – mio
fratello ha
tentato di allevarne uno in appartamento – le ho prese qui
https://it.wikipedia.org/wiki/Mustela_putorius_furo;
per la puzzola qui https://it.wikipedia.org/wiki/Mustela_putorius.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.