Gazze
È morta, la
mia città.
La
pioggia
cade, e accarezza tutto quel pezzetto di mondo che i miei occhi
riescono a
scorgere.
Poggio
la
fronte calda al finestrino, lo sguardo perso di chi non vede.
Il
pullman è
vuoto, lo è da tempo ormai. Da mesi, o forse da anni.
Il
volante
si muove da solo mentre il mezzo avanza, rallentando
all’approssimarsi di ogni
fermata o alle richieste di passeggeri invisibili.
Da
quanto tempo
non li vedo? Ho l’impressione che sia trascorsa una vita
intera...
Rivolgo
la
mia attenzione alla strada, dove le auto sembrano avere vita propria,
così come
biciclette e carrozzine.
Non
voglio
scendere, non voglio fermarmi qui. Non di nuovo...
È
morta, la
mia città. E io voglio solo andare via.
La
pioggia
lava via tutti i colori, la terra bagnata soffoca ogni profumo.
Una
macchia
bianca e nera attraversa il cielo plumbeo, celere. Una gazza. Fugge
anche lei.
Brava,
scappa. Vola via. E poi? Cosa conti di fare? Arrivata in
un’altra città,
smetterai di nasconderti? Smetterai di spiare le vite degli altri, di
volerle
rubare solo per il gusto perverso di giocarci e poi buttarle?
È
morta, la
mia città. E tutti i suoi abitanti sono fantasmi, spettri
che si costruiscono
l’illusione di un’esistenza.
Lascio
il
mio posto senza alzare lo sguardo. Sarebbe inutile.
Avverto
una
pressione sulla mia spalla, come se avessi urtato qualcuno.
“Scusa”
Ma
scusa a
chi, poi?
Non
giunge
risposta. Da tempo le voci sono svanite. Il silenzio mi avvolge
completamente,
togliendomi il respiro.
Schiaccio
con forza il bottone, chiamando la mia fermata. In pochi istanti il
pullman
rallenta e le porte si aprono lentamente, senza produrre rumore.
All’aperto
avverto solo lo
scrosciare monotono della
pioggia.
Mi
chiedo se
sia in grado di sciogliere anche i miei colori. Tiro su il cappuccio,
giusto
per non rischiare.
È
morta , la
mia città. E tutto si è fatto immobile.
La
auto sono
ferme in mezzo alla strada, le porte dei negozi restano aperte a
metà.
La
pioggia
stessa resta sospesa in aria.
Luci,
luci
tra la pioggia. Mi blocco, una mano sollevata come a cercare di
afferrarle, il
respiro trattenuto dai denti, che non lo lasciano uscire.
È
morta, la
mia città. O forse ad essere morta sono io.
Non
lo so
più, non lo capisco da troppo tempo.
Inseguo
le
luci, che appaiono e scompaiono come lampi. Corro, cercando di
afferrare
questi angeli
isterici ed iridescenti, e
ogni sforzo è vano.
Più
tento di
avvicinarmi e più
veloci diventano, più
si allontanano da me.
Sola,
tra i
capricci del cielo. O forse del mio cervello stanco.
“Ma
andate
un po’ a farvi fottere”
Sbotto,
ma
senza rinunciare alla mia corsa insensata.
Urto
le
gocce di pioggia, che si spaccano in mille frammenti, bagnandomi il
viso e i
vestiti già zuppi.
Riesco
ad
avvertire sussurri lontani, eppure in grado di sovrastare il rumore
delle mie
scarpe che picchiano con forza il terreno.
Mormorio
inumano di angeli isterici.
I
bagliori
diminuiscono lentamente, in una sinfonia di strane risate che mi fanno
rabbrividire.
Rimango
col
viso rivolto verso il cielo, per quella che mi sembra
un’eternità, avvolta dal
silenzio e da una pioggia che non vuole realmente cadere.
Scuoto
con
forza la testa, cercando di svegliarmi.
Illusa, è da mesi che ci provi.
Sempre
più
amara, dannata voce, continui a riempirmi la testa delle tue inutili
ciance.
Chi
sei?
Sono te.
Già...
e io
chi sono?
Nessuno.
È
morta, la
mia città. Ma la gente per la strada cammina come al solito,
col suo gran
vociare.
Le
auto e i
pullman hanno conducenti, sulle biciclette siedono bambini e signore
attempate.
Guardo
di
sfuggita il mio riflesso su una vetrina. Non c’è.
E se c’è, non lo vedo.
Raggiungo
la
fermata del pullman e aspetto in silenzio, le mani in tasca, gli occhi
fissi
davanti a me.
L’attesa
dura solo un paio di minuti. Salgo, prendo posto inosservata e poggio
la testa
al finestrino.
È
freddo.
Fuori continua a scrosciare la pioggia, mangiandosi i colori.
Il
viaggio
riprende, come se nulla fosse accaduto.
Già... in fondo, non succede mai
nulla...
Allora
zitta, chiudi la bocca e vola via.
Da
brava
gazza, me ne andrò da un’altra parte... Magari
dove non piove.
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