UN CORTO RABILLA
***
Dodici febbraio.
Una mano afferrò il Boccino. Dopo un secondo di attonito
silenzio i Tassorosso esplosero in grida di giubilio, increduli e pazzi di gioia, coprendo le urla
rabbiose dei Serpeverde rivolte verso il
loro cercatore, Rabastan Lestrange.
Quest’ ultimo ora stava mettendo tutto il suo impegno per
evitare i Bolidi e le maledizioni che i suoi compagni di Casa gli lanciavano
contro. Con una mezza capriola evitò un lampo giallo diretto verso il suo
petto, sterzò per evitare un bolide che gli avrebbe rotto la mano e volò a
zig-zag per evitare gli incantesimi.
Chiunque ora lo stava guardando volare si chiedeva perché
diavolo non aveva vinto Serpeverde, con un Cercatore così abile sulla scopa.
Anche Rabastan sapeva perfettamente che se avrebbe
allungato appena un po’ di più la mano avrebbe acchiappato il Boccino senza
sforzo, facendo vincere la sua squadra. Ma non lo aveva fatto.
A un soffio dal Boccino aveva incrociato lo sguardo della
Cercatrice Tassorosso e aveva fermato il braccio,
colpito ancora una volta dalla bellezza di quegli occhi grandi. Una frazione di
secondo dopo Tassorosso aveva vinto. “Merda” ringhiò
lui scansando l’ennesima fattura. Ma vedere gli occhi di Sibilla riempirsi di
gioia era stato stupendo. Bastò quell’attimo di sconcentrazione:
un Bolide lo disarcionò dalla scopa.
Diciannove febbraio.
Dopo aver rotto la gamba al loro Cercatore i Serpeverde
avevano sbollito la rabbia, e la punizione di massa che avevano ricevuto li
aveva aiutati a decidere di lasciare in pace il compagno.
Ora Rabastan, dimenticatosi del
piatto pieno di cibarie che gli stava di fronte, aveva lo sguardo rivolto verso
una bellissima ragazza Tassorosso dalla capigliatura
ribelle. Una risata gli fece voltare il capo. Rodolphus
Lestrange lo apostrofò: “sei fuso, fratellino mio!
Non ti sei neanche accorto che ti ho rubato il pollo!”
Rabastan non si arrabbiò come
sperava, e allora Rod disse ancora: “Merlino, ma se ti piace tanto invitala ad Hogsmeade, no?”
“Sì, ma se poi rifiuta?”
“Andiamo, Rabastan Berion Lestrange, come può rifiutarti quando le hai praticamente
regalato il Boccino?” Commentò, un po’ meno allegro nel ricordare la partita
persa.
Rodolphus sorrise al ricordo di
quegli occhi felici che realizzavano di aver vinto, poi sospirando decise che
l’indomani l’avrebbe invitata.
Venti febbraio.
Lei sorrise, un sorriso che al giovane Serpeverde parve
bellissimo.
Pensieri di lui: Come può una ragazza farmi questo effetto?
Come mai io, Rabastan della nobile casata dei Lestrange, sento che il cuore mi batte all’impazzata? Sento
di poter volare anche senza scopa, di voler urlare al mondo la mia felicità.
Lei ha accettato!
Pensieri di lei: Uau, lui è il
figlio dei Lestrange, una famiglia ricchissima! Già
mi ci vedo, ricoperta di Galeoni e servita dagli elfi domustici,
la signora Lestrange…
Ventidue febbraio.
Rodolphus passeggiava con lei in
riva al lago. Si fermò e le prese dolcemente le mani, invitandola ad arrestare
il suo passo.
Lei era bellissima, con un vestito azzurro che la faceva
sembrare una principessa. Lo guardò, in attesa.
“Sei bellissima”
mormorò lui. “Lascia che ti dia qualcosa.”
Lei gongolò in cuor suo: ecco, ora avrebbe ricevuto qualcosa
di prezioso.
Rabastan si chinò e raccolse un
piccolo fiore giallo, poi alzatosi glielo porse, esclamendo
con impeto: “Prendi, Sibilla! Prendi questo fiore come pegno del mio amore,
perché non c’è al mondo altra cosa più bella di questo sentimento che ci
unisce!”
Sibilla Cooman rimase un attimo
zitta, poi ridendo prese il fiore e disse: “Ma come, Rab!
Da un Nobile come te mi sarei aspettata anelli d’oro, scarpette di cristallo e
collane d’argento! Tu puoi darmi ricchezza, potere e Galeoni, cosa me ne faccio
di questo fiore senza valore alcuno?
Ventitre febbraio.
“Sono stato un idiota.”
Era questo che pensava Rabastan,
mentre prendeva a calci una pietra. I suoi genitori lo sapevano e lo avevano istruito affinchè
non cedesse alle insidie del mondo, ma lui non aveva dato loro ascolto ed aveva
ceduto al richiamo del cuore. E ora ne pagava le conseguenze, comprendendo
quanto aveva sbagliato a non ascoltare il padre. Era stato un illuso, si era
convinto che Sibilla provasse qualcosa per lui, ma ora lei se n’era andata,
facendogli capire chiaramente che quello a cui aspirava non era il suo amore ma
il suo nome altisonante e l’agiatezza in cui grazie a lui avrebbe potuto vivere.
“Sono stato un’ idiota” si ripetè
per la seconda volta. All’ improvviso una rabbia vendicativa lo prese, sentiva
il furore scorrergli nelle vene. Lì, in quell’istante, Rabastan
Lestrange divenne cattivo. Lì, in quel momento, il
suo cuore divenne duro e freddo.
Lì, nacque in lui un cuore da Mangiamorte.
Puntò la bacchetta verso la schiena della ragazza che se ne
andava. E torturò Sibilla finchè essa non perse parte
della sua sanità mentale.