Tra i numerosissimi vantaggi che la caduta di Voldemort aveva portato,
curiosamente, quello che Severus Piton apprezzava di più era
il ritorno ad una buona dormita.
Per troppi anni aveva dovuto rinunciarci: se in principio era stato il
senso di colpa a tenerlo sveglio quasi ogni notte, negli ultimi anni ad
aggravare la sua insonnia era tornato il terrore e il suo ruolo da
spia.
Così, da quella notte benedetta che aveva sancito una nuova
era di pace, aveva finalmente riprovato il gusto di posare il capo sul
cuscino con un sonoro, appagato sbadiglio e la prospettiva che nulla,
assolutamente nulla avrebbe interrotto il suo sonno nelle successive
otto ore.
Quella era la sua convinzione anche in quella serata estiva. Quando il
grande orologio in mogano batté le undici, decise che poteva
riporre il libro che stava leggendo, e recarsi a letto per scivolare in
un sereno sonno ristoratore.
Era di nuovo al vecchio parco giochi. Incredibile come tutto fosse
rimasto come lo ricordava: il dondolo a forma di cavalluccio, la
giostra così arrugginita che aveva perso quasi tutta la
vernice verde, e le due altalene cigolanti. Soprattutto le due
altalene. Quante volte l’aveva vista spingersi su quel gioco?
Si spingeva su, sempre più su, con i capelli al vento e
quell’espressione estatica, quel brivido che solo un vuoto
allo stomaco sapeva dare.
Ora però il parco era vuoto. Nessuna Lily a dondolarsi
coraggiosa. Niente di niente.
Si sedette malinconico su una delle due altalene, e prese ad ondeggiare
lentamente. La magia di quel posto era davvero unica; i ricordi si
accavallavano nella sua mente, immagini di lei ovunque su quel prato, e
la sua voce melodiosa che lo chiamava…
Severus storse il naso: Lily non lo aveva mai chiamato per cognome. E
improvvisamente quella voce cristallina divenne più aspra,
più bassa, più… maschile.
Si svegliò con un grugnito furioso. Che fine aveva fatto il
suo sonno sereno?
Maledetta Spinner’s End. Sperava cambiasse col tempo, ma
aveva dovuto rivedere le sue speranze, o meglio, le sue illusioni. A
quanto pareva, il vecchio gioco Tutti addosso allo strambo del
quartiere era ancora drammaticamente in voga. E lui, naturalmente, era
ancora lo strambo.
Ma questa volta ci avrebbe dato un taglio, si disse scendendo
stizzosamente le scale. Avrebbero passato il peggior quarto
d’ora delle loro patetiche vite, e avrebbero anche dovuto
essergli grati. Presi da piccoli, sarebbero forse diventati degli
adulti meno inutili. Presi da piccoli … Mio Dio, stava
parlando come Greyback.
“Potter” boccheggiò incredulo, dopo aver
spalancato furioso la porta e sguainato la bacchetta.
“Già. Quanto tempo ci vuole perché ti
svegli? Ho urlato per ore” fece l’altro.
Severus Piton guardò allibito il suo interlocutore. Che
diavolo ci faceva Potter lì, da lui, a quell’ora?
Si soffermò a guardarlo: non lo aveva più visto
da quella famosa notte. Da allora lo aveva evitato come la peste. Si
era defilato silenziosamente dal castello per rintanarsi in quel buco
di casa polveroso, e aveva scoraggiato qualunque tentativo di
avvicinamento, tanto quello di Kingsley Shacklebolt che voleva
encomiarlo con l’Ordine di Merlino, quanto quello di Hermione
Granger che per qualche sconosciuta ragione aveva elevato sé
stessa al ruolo di mediatrice tra lui e il dannato Potter, che ora
stava sulla soglia di casa sua con una strana espressione.
“Non so cosa faccia tu alle…” e
guardò rapido l’orologio alla parete
“… tre e mezza di notte, Merlino, ma normalmente
la gente dorme”.
“Già” ripetè atono Potter. Si
stropicciava le mani e si guardava nervosamente in giro, evitando
accuratamente il suo sguardo. Oh, ormai aveva capito perché
era lì. Certo, come non aspettarselo: visto che la Granger
aveva miseramente fallito, aveva deciso di perorare la sua causa di
persona. E aveva anche seguito il copione di eroe melodrammatico alla
lettera: sguardo contrito, aria da martire, sentimenti puri e nobili e,
soprattutto, un orario impossibile. E la cosa peggiore era che non
poteva neanche sbattergli la porta in faccia. Dannata Granger e la sua
lungimirante previsione. Cosa poteva saperne lui, steso in una pozza
infinita di sangue, mentre gli stava dando i suoi più intimi
segreti, convinto che non l’avrebbe mai più visto,
che la So-tutto-io avrebbe tirato fuori dittamo in quantità
industriali e una Pozione Rimpolpasangue? Diamine. Si era svegliato in
un letto del San Mungo maledicendo tutto e tutti. Non l’aveva
più voluto vedere; sperava che l’aver partecipato
alla sua tutela fosse un ringraziamento sufficiente e che fossero pari.
Ora però ce l’aveva davanti, e non poteva mandarlo
via.
“Che cosa vuoi, Potter? Se sei venuto qua per parlare, e
sappiamo entrambi di cosa, sono sicuro che ci possa essere un orario
più consono di questo. E ad ogni modo, non ce
n’era bisogno. Buonanotte” concluse, sospirando,
mentre accostava la porta.
“Aspetti!” uggiolò Harry, tirando
finalmente fuori un po’ di voce “Io… io
ho bisogno di aiuto”.
“Di nuovo??” sbottò Piton
“Credo di aver contribuito massicciamente a tirarti fuori da
ogni sorta di guaio. Ora puoi ben pensarci da solo. E’ quello
che si dice entrare nell’età adulta”
fece, incrociando le braccia.
“Pensi che se potessi evitarlo sarei qui?”
sibilò, improvvisamente cattivo.
Severus sospirò di nuovo. Non ne sarebbe uscito presto.
“Bene, sentiamo”.
Lo vide prendere un profondo respiro prima di parlare, e questo lo
inquietò.
“Ginny è all’ospedale. E’ in
travaglio”.
“Oh” fece Piton. Non solo era stato svegliato a un
orario indecente, ma Potter si era anche riprodotto. Mio Dio.
“E io vorrei che venissi con me”.
“Per quale assurdo motivo?”.
“Senti…” balbettò
“E’ il primo bambino, non so come ci si comporti.
So solo che è il classico momento in cui un quasi
papà vorrebbe avere accanto il proprio, e io non ce
l’ho”.
Piton continuò a fissarlo perplesso.
“Continuo a non capire che cosa c’entri
io”.
Harry scrollò le spalle, quasi rassegnato.
“Il signor Weasley è fantastico, ma non
è mio padre. Gli unici che si avvicinano alla sua figura
sono morti, quindi rimani tu”.
“Io?” strillò stridulo l’uomo
“Tu hai bevuto”.
“Affatto” concluse Harry, risoluto “Non
sono mai stato così serio. Quindi vestiti e
scendi”.
“Potter…” tentò di ragionare
“In che modo pensi di convincermi ad assecondarti?”.
Il ragazzo inspirò forte.
“Non lo so” rispose candidamente “Dimmelo
tu”.
“Questa sarà l’ultima volta in cui ci
vedremo. Dopo di che, mi lascerai tornare alla mia vita”.
Un cenno di assenso a malavoglia.
“Dammi un minuto” disse Piton.
Essendo un Potter, per quanto in miniatura, non poteva certo rendergli
le cose facili e venire al mondo alla svelta. No, ci vollero quattro
ore e non potè fare a meno di ringhiare quando
un’infermiera, credendo erroneamente che fosse il nonno o un
parente stretto, si complimentò con lui, asserendo serafica
che era stato un parto veloce.
Erano state le quattro ore tra le più difficili della sua
sventurata vita. Avrebbe tanto voluto posizionarsi su una sedia,
sperando che il suo aiuto potesse limitarsi alla sola presenza, ma
ovviamente non era stato così. Non solo aveva dovuto
assistere ai deliri di Potter, che in quella sala d’aspetto
aveva ormai fatto il solco camminando avanti e indietro, e dei fratelli
Weasley, che a quanto pareva si sentivano in dovere di prodigare tutti
consigli e aiuto, ma no, aveva anche dovuto sopportare le occhiate di
saputa comprensione delle donne della famiglia, signora Weasley senior
e Granger in primis, che sembravano dire Bravo, alla fine hai capito
che vi dovete volere bene.
Fu a quel punto che si chiese cosa dovesse fare esattamente per
comunicare al mondo che non ci sarebbe stato un lieto fine tra loro,
perché lui non lo avrebbe permesso. Magari avvelenarlo.
Si sentì un colpo di nocche sul vetro della nursery. Come da
copione, tutti si accalcarono per vedere il commosso neo
papà tenere in braccio un pupo rosso e stropicciato. Quattro
ore di delirio e non era neanche un bambino carino. Che spreco.
“Severus, avvicinati caro!” trillò la
signora Weasley, tirandolo per un braccio.
Grugnì frustrato quando lesse il nome sulla targhetta sopra
alla culla di plastica: James Sirius. Povero poppante, aveva tutta la
sua comprensione.
Potter uscì dalla nursery finalmente cacciato dalle
infermiere, e scavalcò a fatica l’orda di parenti
in testa per raggiungerlo.
“Allora” disse Piton inespressivo
“Congratulazioni”.
“Grazie” rispose l’altro, radioso.
“Dunque, direi che il problema ormai è risolto,
quindi se non ti dispiace avrei molte ore di sonno da
recuperare” fece, recuperando il suo mantello.
“Aspetta” lo interruppe Harry “So che
vuoi andare via, ma io e Ginny vorremmo chiederti di fare da padrino a
James”.
Severus lo guardò torvo.
“No, Potter. Penso di aver fatto già abbastanza. E
avevamo un accordo”.
L’espressione sul viso di Harry si irrigidì.
“Naturalmente” fece, freddo “Ti auguro
una buona notte, allora”.
Il clan Potter lo odiava. Era venuto al mondo solo per dargli il
tormento, ormai ne era certo. E la cosa più sconcertante,
era che lui lo lasciava fare. Idiota.
Altrimenti, non si sarebbe spiegato perché fosse in quella
dannata sala d’aspetto, un’altra volta.
“Potter” aveva biascicato dopo aver ciabattato
un’altra notte fino alla porta “Sei davanti a casa
mia, ancora. A notte fonda, ancora. E mi sembrava che l’anno
scorso ci fossimo lasciati con un certo impegno”.
Harry Potter aveva la stessa aria da elfo domestico maltrattato di
dodici mesi prima, solo più colpevole, continuando a
spostare il peso da un piede all’altro.
“Lo so, lo so. Ma Ginny è di nuovo in
ospedale”.
L’uomo strabuzzò gli occhi.
“Di nuovo?? Potter, sai che esiste una varietà di
passatempi? Alcuni persino molto divertenti”.
“Se ti lasci andare a simili prevedibili battute, ne devo
dedurre che il tuo sarcasmo non è più quello di
una volta” lo freddò Harry “Non sono
venuto per questo, comunque. So di averti fatto una promessa, ma con
James mi sei stato così
d’aiuto…”.
“Non riesco a capire come”.
“… e così volevo chiederti se potevi
venire di nuovo con me”.
Severus Piton si stropicciò il viso, sperando che
l’atto lo aiutasse a svegliarsi da quell’incubo.
Niente, era ancora lì. Peccato.
“Potter, non riesco sinceramente a capire il
perché tu mi voglia lì”.
Harry Potter si dondolò ancora più freneticamente.
“Non lo capisco neppure io” ammise, sconvolto
“Allora, vieni?”.
In un anno, il primogenito di casa Potter non era molto migliorato,
né in bellezza né in simpatia. In braccio alla
nonna, perché il padre era troppo occupato a ripercorrere lo
stesso solco, non voleva dormire, come sarebbe stato ovvio a
quell’ora di notte, ma aveva reputato
un’attività più interessante additarlo,
balbettare sillabe, sbavargli addosso e per ultimo colpirlo con un
pesante biberon colmo di latte. Materno. Bleah.
“Mi spiace per Jamie” fece Harry, porgendogli un
fazzoletto “E’ un giocherellone, ma è un
bravo bambino”.
“Ah, ne vorrei cinque così”
grugnì, pulendosi “Potter, l’infermiera
ti sta chiamando”.
“Oh cielo!” saltò su, allontanandosi.
La lieta novella cominciò a serpeggiare tra i convenuti: un
altro maschietto, e la signora Weasley decise che ancora una volta
sarebbe stato suo compito avvicinarlo al nuovo arrivato, trascinandolo
con un braccio solo, mentre l’altro teneva ancora in braccio
l’erede della famiglia.
“Non è stupendo?” mugolò
estasiata.
Piton alzò gli occhi al cielo. Quando li ripose
sul neonato, però, scoprì che aveva meno da
ridire che col fratello. Almeno non era rosso e imbronciato. Sembrava
quasi carino.
“Allora” fece Potter mettendogli un fastidiosissimo
braccio sulle spalle “E’ bello, eh?”.
“Incantevole” sbuffò.
“Oh, andiamo” rise gioviale “Abbandonare
un po’ quel broncio non ti ucciderà! E poi
c’è una sorpresa per te”.
“Ma davvero?” scattò preoccupato. Non
poteva essere nulla di buono.
Come volevasi dimostrare: seguì la traiettoria del dito di
Potter, e si ritrovò a fissare angosciato la targhetta del
nome. Che Potter avesse una nascosta ma corposa vena sadica lo aveva
intuito, ma che la Weasley fosse così stupida da seguire il
marito, non l’avrebbe mai detto.
“Tu odi quel povero bambino!” esclamò
Severus.
“No di certo” sorrise il padre “Diciamo
che potrebbe essere intesa come… una spintarella”.
Piton lo fissò truce.
“Non sarò il suo padrino, a prescindere dal suo
nome!”.
Gli angoli del sorriso sfavillante di Harry virarono tempestivamente
verso il basso.
“Oh” fece, deluso “Va bene”.
Harry Potter amava dire di sé che sapeva imparare dai suoi
errori. Era una virtù quasi doverosa per chi aveva dovuto
affrontare tante difficoltà. Per rovesciare un nemico
serviva anche questo, studiare le sue mosse e non ripetere stupidi
errori. Prenderlo in contropiede. Facile.
Fu così che in una fredda tarda mattinata invernale, due
anni dopo la sua ultima visita, si recò baldanzoso verso
l’ultima sparuta casa di Spinner’s End. Questa
volta l’aveva in pugno, si disse mentre bussava alla porta.
La Natura finalmente aveva deciso di essergli alleata.
Severus Piton andò ad aprire maledicendo il mondo e
quell’acuto campanello. Aveva un feroce mal di testa, e
ritrovarsi Potter sullo zerbino, abbigliato col peggior sorriso
gongolante, non lo aiutava di certo.
“Due anni, siete migliorati. Avete scoperto il Monopoli o la
contraccezione?”.
Il sorriso del ragazzo non accennò a diminuire;
s’intensificò, semmai.
“Volevo solo comunicarti che abbiamo avuto un altro
bambino”.
“Meraviglioso” disse Severus
“Appenderò palloncini colorati in tutto il
quartiere per festeggiare se non altro di non essere stato svegliato a
ore indegne”.
Harry represse una smorfia. “Pensavo potessi venire con me
per vederlo. Tranquillo, non ti sarà chiesto altre volte,
questa è proprio l’ultima. Ginny non ne
può più”.
“Mi domando come mai” sbuffò
l’altro “Ad ogni modo, Potter, ti risparmio ogni
fatica: no, non sarò il suo padrino. Addio”.
“Non c’è certo bisogno di stare
così sulla difensiva. Ti chiedo solo di vederlo. Se poi non
vorrai avere niente a che fare né con lui né con
noi, bene, potrai tornare alla tua vita da misantropo e nessuno ti
verrà più a disturbare”.
Piton lo stette a guardare, sospettoso.
“Dov’è la magagna?”.
“Proprio nessuna” rispose quello, angelico
“Anzi, ti dirò di più.
L’altro giorno mia zia Petunia mi ha recapitato un baule
pieno di cose di mia madre, tra cui moltissime foto. Ce ne sono un paio
da bambina con te, pensa un po’. Diciamo che, se mi dirai che
assolutamente non vorrai fare parte della mia famiglia, ti
lascerò libero e ti invierò quelle foto come,
ecco, ricompensa per l’aiuto datomi con i ragazzi. Altrimenti
… “
“Altrimenti?”.
“Altrimenti, se sarò io a vincere la partita e tu
vorrai di tua spontanea volontà fare da padrino alla mia
ultima creatura, sarai tu a restituirmi la mezza foto di mia madre che
hai rubato in casa di Sirius”.
Severus Piton sbuffò forte, divertito. “Non credo
ci sia alcuna possibilità per questo, Potter”.
“Allora, non hai nulla di cui aver paura, no?”
disse, sbattendo innocente gli occhioni.
Arrivati in ospedale, Harry indicò semplicemente la nursery
a Piton, senza seguirlo, per poi accomodarsi in sala
d’aspetto e lasciarsi cadere su una sedia accanto al suo
migliore amico e cognato.
“Tutto a posto?” chiese complice Ron.
“Direi proprio di sì” ghignò
l’altro.
“Non gli hai detto che è una femmina?”.
“No”.
“Né che l’avete chiamata
Lily?”.
“No”.
“E che assomiglia un po’ a tua madre?”.
“No di certo”.
Severus rimase ipnotizzato davanti al vetro della nursery per dieci
minuti buoni. Non sapeva giudicare la somiglianza dei bambini con
questo o quell’altro parente, non quand’erano
così piccoli. Ma quel rosso non era lo stesso dei capelli di
Ginevra. No davvero.
Improvvisamente, dal nulla nella sua mente si materializzò
di nuovo quella scena di altalene, e la desolazione del parco, ora che
Lily non poteva più dondolarcisi.
La piccola nella sua culla si stiracchiò leggermente,
puntando i pugnetti paffuti verso l’alto, per poi
riaddormentarsi placida, con l’ombra di un sorriso sul viso.
Qualcosa di simile comparve anche su quello del suo spettatore, che
decise che forse era ora di portarci qualcun’ altro su quelle
altalene.
Peccato, quella foto gli piaceva.
Si sedette pesantemente accanto a Potter. Non voleva guardarlo in
faccia, ma sapeva che stava ghignando.
Tirò fuori da una tasca interna quella foto e gliela porse,
stizzito.
“Bastardo”.
“Allocco” rise di cuore Harry, dandogli una
spallata.
|