la dama morirà sotto i raggi della luna
-
Ni
“E’
così importante la morale? Vi sottomettere a una
regola che altri hanno deciso per voi e reprimete i vostri sentimenti.
In fondo
siete soltanto dei vigliacchi.”
Respirava
lenta ed
amareggiata. L’aria era calda e soffocante. Sudava freddo,
aspettando la sua
fine. Era stata condannata a morte. Per cosa poi? Amare una persona
fino al
punto di dare la vita per lui, è una colpa così
grave?
Il
corpo era
atrofizzato, scomodo ed intorpidito nella stessa posizione da tempo. Da
quanto
oramai? Le sembrava un’eternità. Un’
eternità lontana da lui.
Lui,
lo stesso che
l’ha condannata a morte.
Ci
pensava spesso a
lui e se anche provava ad evitarne il pensiero, era lui a farsi vivo
nei suoi
sogni. Era una persecuzione, un’ eterna e dannata
maledizione, ma era quanto di
più meraviglioso le fosse rimasto.
Sentiva
il bisogno di
bere. La gola le ardeva insistentemente, aumentando il dolore che il
cuore le
procurava ad ogni battito, ma doveva resistere.
Lo
doveva, lo voleva
vedere un’ultima volta.
Voleva
che fosse lui,
l’ultimo vincolo a quel mondo così crudele e
legato al protocollo di una
società marcia, che non sapeva più a cosa
aggrapparsi per far valere la
giustizia.
E
quella loro la
chiamavano anche giustizia?
Omicidi,
furti,
brogli…erano tutte barzeccole. Amare era un vero crimine.
Divenire folli per un
sentimento tanto crudele, era un crimine. Dannare l’anima in
nome di quel
sentimento, era un crimine.
Oramai
lei non ci si
arrabbiava più. Aveva accettato tutto con garbo e la
fierezza che la
contraddistingueva dalle altre donne.
Provò
a muovere i
polsi dolenti, stretti nelle manette. Le braccia pallide ed asciutte
erano
alzate e tirate dietro la sua schiena da delle grandi e forti catene.
Ogni suo
movimento le faceva sussultare e il rumore metallico si sovrapponeva al
silenzio dell’angusta e tetra cella dove era stata
incarcerata. Non vedeva
nulla. Era tutto troppo buio perché i suoi occhi stanchi
potessero mettere a
fuoco l’ambiente. Vedeva sfocato.
Tutto
quello che
percepiva, erano i sterilizzati raggi della luna, provenienti da
qualche crepa.
Erano
luminosi,
intensi, ma soprattutto dolci. Era per quello che potevano essere solo
raggi
lunari.
I
vestiti erano logori
e sudici, inusuale per una dama precisa e ben curata come lei.
Lei,
la preferita del
re. Quella che indossava sempre i vestiti più lussuosi ed
appariscenti. Lei,
quella sempre ben truccata e pettinata. Ironico, vista la sua attuale
situazione. I capelli impicciati e raccolti nei suoi classici codini
alti e
solitamente di un biondo lucente, erano paragonabili a steppa adesso.
E
lei, era vanitosa.
Anche troppo.
Quella
situazione era
un insulto alla sua persona, al suo ego.
Ma
che poteva fare?
Aspettare,
in
silenzio, riflettendo.
Si
sentiva soffocare,
ma non avrebbe ceduto.
Oltre
ad essere
vanitosa, era tremendamente orgogliosa. Lei avrebbe vinto e se ne
sarebbe
andata con il rispetto che una donna come lei si meritava.
L’aria
marcia le
attraversava le narici, investendola come la fredda Tramontana
d’inverno.
Che
pietosa
situazione.
La
testa china, perché
non aveva più la forza di guardare la morte in faccia.
Sospirò.
Non
le rimaneva più
niente. Era sola, abbandonata e derisa.
Aveva
tradito la
famiglia, aveva macchiato l’onore della sua stirpe con un
peccato gravissimo.
Peccato…già.
Come
quando accoglieva
ogni notte, nel suo caldo letto il suo amato boia.
I
capelli rossi come
il fuoco, come il sangue, come la passione che gli scorreva
adrenalinica nella
vene ad ogni contatto con quel corpo marmoreo. Lo stringeva, lo
avvinghiava, lo
possedeva, marcandolo stretto, amandolo fino alla fine.
A
volte lui le copriva
gli occhi con le mani. Un gesto apparentemente amorevole.
Lo
faceva spesso. Era
il loro segreto e perverso gioco.
Si
morse il labbro,
desiderando tornare indietro a rivivere quegli istanti di dolcezza
infinita.
Soffriva ad ogni goccia di memoria. I ricordi viaggiavano veloci e si
materializzavano nella sua mente senza il suo consenso, mentre una
lacrima
disubbidiente, sfuggiva dalla sua freddezza inumana.
Gli
occhi serrati, per
spegnere la sofferenza che le bruciava lo spirito.
Presto,
sarebbe tutto
finito.
Fece
un respiro
profondo, cercando di prendere coraggio.
I
ricordi batterono
ciò che il cuore aveva sigillato.
La
loro ultima notte.
La notte che calò veloce, come veloce era calato il suo
sipario.
Lui
le stava baciando
avidamente il collo, solleticandone la pelle con piccole ciocche dei
capelli
arruffati.
Si
distaccò dalla sua
carne come sofferente, posandole le mani calde sui suoi occhi e
spegnendo
tutto.
“ Cosa
vedi?”
Le
sussurrò
ammaliatore nell’orecchio.
“ Te!”
Rispose
repentina. Ed
era vero, lei lo vedeva. Vedeva i suoi occhi come specchi guardarla e
desiderarla, facendola sentire la donna più felice del
mondo. Erano occhi
distaccati, seducenti ed ingannatori. Quasi ipnotici. E lei, nel buio
della sua
mente, li fissava rapiti. Quelli la studiavano, la riflettevano.
Proprio
come specchi.
Degli specchi seduttori e dalle mille forme. Degli specchi lucidi ed
irrequieti. Misteriosi, tetri, dei cui sguardi non puoi fare a meno.
Erano come
una droga per lei. La sua qualità preferita.
Sorrise
all’idea,
leccandosi le labbra secche.
Per
lei, quegli occhi
erano come un passaggio in un’altra dimensione. Un portale
che le cambiava la
vita e le mostrava il mondo in mille colori, sapori, desideri.
Ogni
volta che li
rimirava, era in una realtà diversa e lontana. Dove lei ne
era regina e regnava
incontrastata.
Si
sentiva
onnipotente.
“ Temari…”
Continuò
lui.
“ Come vorresti
morire?”
Lei
restò in silenzio
un secondo. Pensava a tutto. Ad una guerra, ad una carestia, alla
peste…e poi,
rivide quegli occhi che le mostrarono scenari differenti.
Felicità, amore,
ricchezza, gioia…
Tutti
possibili
finali.
Tutti
quelli che aveva
sempre sognato.
E
poi, capì, che per
averli però, avrebbe dovuto dare se stessa. Vide il riflesso
della fine, ma non
ci prestò troppo caso.
“ Sinceramente…”
Disse
lenta scostando
le mani del ragazzo.
“ …non
ho mai pensato a come morire, ma credo che
sacrificarsi per la persona che si ama, sia un buon modo per andarsene.”
“ Temari.”
Una
voce calda si
propagò nella stanza. Pronunciava il suo nome, ferita e
quasi rotta dal pianto,
ma comunque ferma.
Temari
alzò il capo,
riportata alla realtà. Per quanto difficile fosse vedere, lo
forzo che fece
l’appagò completamente, perché stava
realizzando il suo desiderio. Fissava la
figura comparsa, mentre la sua pelle cerulea veniva bagnata. Era bello
come
sempre. Fiero e sicuro come lo voleva ricordare.
Gli
sorrise, bene,
compiaciuta di sé, come piaceva a lui, senza ricevere
risposta.
Ma
a lei bastava
vederlo per sentirsi in paradiso.
Cercò
di guardarlo
meglio, di mettere a fuoco il suo viso perfetto.
Li
vide, iridescenti
di luce propria. Stavolta però, non ci vide nulla. I suoi
specchi che le
mostravano gioioso futuri, stavolta riflettevano solo lei. La banale
realtà.
Non vi era più futuro per lei. Era giunta la fine. Era
arrivata la morte.
Ma
non aveva paura.
Ripensò
a quando una
vecchia cortigiana, le disse che gli occhi erano lo specchio
dell’anima.
All’epoca
era una
fragile bambina. Ma ora che era cresciuta, capì di non
essere cambiata. Di
essere stata sedotta, usata ed abbandonata, non dalla persona che
amava, ma dai
suoi occhi, come quelli di un demone. Come aveva potuto credere che
quello che
riflettevano fosse il suo futuro?
Forse,
un fondo di
verità c’era. Forse il destino che
l’attendeva era davvero come l’aveva vista
allo specchio.
“ Temari!”
La
richiamò il
ragazzo. Aveva il braccio sollevato ed impugnava una spada che
deviò un raggio
di luce sulla sua vittima. La stava per uccidere, sotto i raggi della
luna.
Temari
chiuse gli
occhi con la stessa intensità di come si lancia una pietra
ad uno specchio
nella speranza di infrangerlo. Voleva rompere l’incantesimo
in cui era stata
imprigionata. Voleva che tutto finisse, che lo specchio le ridasse la
vita, la
speranza, l’amore. Ma era inutile.
Scappare
dalla realtà
non le serviva a nulla ormai.
La
spada si abbassò.
Un taglio netto, nel silenzio profondo della notte.
Temari
morì.
“ Adesso la
vedi…la morte?”
Sussurrò
lui al nulla.
Guardava la sua vittima senza vita. Sangue scarlatto gocciava sul
pavimento.
Abbassò lo sguardo vedendo la sua figura dentro il liquido
denso che si
allargava sul pavimento. Però, quello che vide riflesso, era
solo un demone, dagli
occhi rilucenti al cui interno era imprigionato lui.
Un
mostro orrido che
aveva venduto sua sorella, per preservarsi il trono.
Schiacciò
il riflesso
come per distruggerlo e girandosi, si lasciò alle spalle la
carcassa della sua
amante.
La
carcassa di sua
sorella, sapendo che presto i suoi occhi, torneranno a riflettere solo lei.
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