Occasione mancata
(parole:
518)
Janette, come
ogni mattina, dopo aver appeso il soprabito, prese la posta dalla sua
scrivania ed entrò nell'ufficio
del suo capo con un sorriso radioso e un “Buongiorno, Mr
Donaldson” sulle labbra. Tacchettò fino alla
grande
scrivania in cristallo senza neanche guardare e intanto riordinava la
corrispondenza per importanza e urgenza, proprio come piaceva a lui.
Quando si fermò di fronte alla scrivania, ci mise un po' a
fare
mente locale e a ricordarsi che da quel giorno in avanti sarebbe
rimasto vuoto.
Appoggiò
con
delicatezza la pila di corrispondenza appena oltre la targhetta con il
nome dell'uomo stampato in caratteri dorati e in rilievo e fece un
sospiro.
Sapere di non
poterlo più vedere in ufficio era per lei una realtà insopportabile.
L'azzurro
dei suoi occhi, il suo viso, ancora come quello di un ragazzino che il tempo
non aveva sfiorato; i suoi capelli, una massa morbida color cioccolato
al latte, che non avevano un filo bianco, che gli solleticavano il
collo...
Pensare a quando
gli stava vicino, durante la pausa caffé, lui appollaiato
sulla scala
anti incendio che si fumava una meritata sigaretta e lei a trattenere i
colpi di tosse perché non sopportava il fumo e quell'odore
acre
di tabacco, le faceva male al cuore.
Era
così bello guardarlo condurre un meeting con i capi reparto,
attraverso le pareti di vetro
della sala riunioni, voluta così da suo padre
affinché
gli altri impiegati non fossero in qualche modo esclusi, le faceva
scivolare una lacrima sul fard perfettamente steso.
Erano tutte
cose che ora non poteva più fare.
Fece il giro
della
scrivania e si sedette sulla poltrona di pelle, dallo schienale
ergonomico e dall'imbottitura così soffice che sembrava di
essere abbracciati da un amante.
Chiuse gli
occhi: poteva
ancora avvertire il profumo della sua acqua di colonia preferita, che a
lei invece faceva pizzicare il naso e starnutire in continuazione,
mentre lui rideva come un bambino, senza malizia.
Certo, oramai
si sentiva poco, eppure un lieve pizzicore le fece muovere il naso in
una smorfia. Forse, era solo suggestione.
Appoggiò
le mani sul
bordo della scrivania per alzarsi e, con le dita, sfiorò una
piccola scheggiatura nel cristallo, ricordo di quando Mr Donaldson vi
sbatte sopra la mano e il massiccio orologio da polso
intaccò
quella superficie perfetta. Era stata l'unica volta che lei lo aveva
visto arrabbiato. Erano passati anni da quell'episodio e ora, a
guardare bene, poteva intravedere una sottile crepa correre verso
l'interno del piano.
Quante volte
si era offerta
di chiamare il vetraio per sistemare il danno, ma lui ci rideva su e le
diceva di lasciar stare, spostando il sottomano un poco più
a
sinistra per coprire il segno. E poi, quando pensava di non essere
visto, con la lucina dello smartphone si divertiva a giocare con i
riflessi, creando sulla parete piccoli arcobaleni.
Tutto di
quell'ufficio le
faceva pensare al suo capo. Tutto di quell'ufficio le faceva
rimpiangere di non avergli mai detto che lo amava.
Ora era troppo
tardi.
Ora, lui era
in viaggio di nozze e, una volta tornato, avrebbe preso possesso
dell'ufficio dell'A.D., su, all'ultimo piano.
Le parole assegnate:
PENSARE - UFFICIO - REALTA' - INSOPPORTABILE - AZZURRO - SCALA - TEMPO
- VUOTO - VETRO - CREPA
|