Limonata
Limonata
Guarda fuori, lì nel mezzo dei grattacieli illuminati nella notte.
La città assume tutto un altro fascino la notte. Le luci
illuminate, l’oscurità avvolge tutto come in un abbraccio
oscuro. Non esclude nulla, nessuno viene tagliato fuori -un insieme
inscindibile-.
Sfrega le mani sulle braccia, nonostante sia caldo
quell’appartamento, durante la notte non c’è quel
piacevole tepore giornaliero. Volta il capo fino ad incrociare quella
esile figura rannicchiata a terra, le gambe strette al petto, nasconde
il viso tra le ginocchia e se ne rimane fermo, immobile per tutto
l’arco della giornata. Da quando il signor Hattori glielo ha
affidato lo ha visto rare volte muoversi o parlare.
Gli sembra che sia un involucro vuoto.
Distrattamente si passa una mano tra i corti capelli biondi lasciandosi
sfuggire un sospiro frustrato. Come sempre è in ritardo con la
consegna, come sempre corre il rischio di essere licenziato.
Si dirige alla scrivania trascinando i piedi di malavoglia.
È preoccupato per Yoite. A volte si chiede come abbia potuto
dargli un nome simile. Certo, doveva trovargliene uno, non può
continuare a chiamarlo moccioso o con qualche altro nome buttato a
caso, ma Yoite. Era il nome che aveva dato al suo gatto tanto tempo
prima, un nome non di certo adatto ad una persona. Però,
più i giorni passano e più si rende conto che forse anche
lui assomiglia ad un gatto.
Lascia perdere la scrivania dirigendosi invece verso la piccola macchina d’acqua calda.
Con pazienza aspetta che la tazza blu di ceramica si riempia. Immerge
delle fette di limone mescolando con lentezza. Non è sicuro di
cosa gli piaccia, ma un tentativo può pure farlo.
Si dirige verso quella figurina rannicchiata.
“Ehi Yoite.” S’inginocchia davanti a lui chiamandolo
di malagrazia. “Tieni, fa freddo stasera.” Malamente gli
passa la tazza bollente per poi sedersi alla sua scrivania.
Prende a battere qualche tasto mentre le parole si formano sullo
schermo davanti a lui. C’è solo quel lieve rumore e quello
delle sporadiche macchine che passano accanto al loro palazzo.
“Yukimi.” Yoite lo chiama sussurrando appena quelle poche
sillabe. Non ha mai alzato la voce, non ha mai detto più di tre
parole in fila, a volte non risponde nemmeno. “Che
cos’è?”
Alza appena il capo Yukimi, lo guarda riflesso nello schermo del computer.
È la prima volta, dopo giorni, che lo sente parlare.
L’unica parola che ha detto è stato ripetere il suo nome
quando glielo ha dato.
“È una limonata.” Non volta il capo, torna a
scrivere al computer riemergendo la testa nella consegna che scade a
breve tempo. “Bevi.”
Di nuovo solo il ritmico battere sui tasti riecheggia per la stanza.
A volte ha l’impressione che il silenzio possa inghiottirli,
sembra quasi che nulla sia mai cambiato, che quell’appartamento
sia spoglio. Ma sono passate quasi tre settimane da quando si è
ritrovato a badare a quel ragazzino cresciuto troppo in fretta ed
è quasi Marzo.
“È buona.”
È un sussurro appena accennato quello che gli arriva alle orecchie.
Sorride rimettendosi a scrivere al computer.
“Cavoli, sono in ritardo.”
L’impresa non è di certo semplice, probabilmente quella
è la sfida più difficile che gli sia mai capitata in
tutta la sua vita. Preoccuparsi per un ragazzino, lui a fare da balia
ad un mocciosetto. Lo osserva ancora una volta nel riflesso dello
schermo. Beve con calma la sua tazza fumante, rannicchiato ancora su se
stesso, il cappello sempre addosso a coprirgli il viso e lo sguardo.
No, non è per niente facile, ma ci riuscirà. Ha tanto tempo davanti a se per capire quel mocciosetto.
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