Uno,
due, tre, respiro.
Uno, due, tre, respiro.
Sara continuava
a ripeterselo nella mente. Un mantra, una
benedizione, uno scaccia-pensieri.
Sara amava
nuotare e adorava la piscina. L’odore del cloro,
ad altri così fastidioso, per lei era calmante, e il rumore
dello spostamento
dell’acqua mentre nuotava l’aiutava a pensare
quando qualcosa non andava per il
verso giusto.
Come quella
mattina. Quella domenica si trovava nella piscina
di via Quinto, deserta a quell’ora, infrangendo la prima
delle regole di suo
padre: mai allenarsi da sola.
Sbuffò
sedendosi sul bordo e osservando la struttura con le
piattaforme e il trampolino. Ce n’erano tre: uno a tre metri
dal pelo
dell’acqua, uno a cinque e poi il suo incubo, quello a sette
metri e mezzo.
Si
ributtò in acqua e fece una vasca a dorso. Per tutta la
lunghezza della piscina osservò le piattaforme. Sarebbe mai
riuscita a buttarsi
da quella più alta? Quando toccò il bordo
più lontano, si fermò e continuò a
guardare verso la struttura. Era solo una questione di
volontà. Tutti pensavano
che ce la potesse fare, tutti, tranne Sara. Si era tuffata da quello da
tre e
da quello da cinque. Quello più alto le metteva angoscia e,
purtroppo, Sara
sapeva perfettamente perché.
Sua madre era
morta sei mesi prima, in un incidente e lei era
l’unica che riusciva a infonderle il coraggio e la giusta
carica per fare
queste cose. C’era lei la prima volta che si era tuffata dal
trampolino da un
metro, da bambina, e per tutte le cose nuove che aveva provato. Il
trampolino
da tre, quello da cinque, il tuffo carpiato... C’era sempre
stata. Ora… Sara si
sentiva menomata: senza l’incoraggiamento della mamma non ci
riusciva.
Strinse il
piccolo ciondolo che portava al collo, l’unico che
non le desse fastidio mentre nuotava, che portava l’iniziale
della mamma e
guardò ancora la piattaforma. Poteva farcela. Doveva, doveva.
Uscì
dall’acqua e un passo dietro l’altro si
avvicinò alla
scala che portava su, verso le piattaforme.
Un gradino, due,
tre. Convinta e coraggiosa, ogni gradino
sembrava tremare sotto il suo peso e quando arrivò in cima
si sentì invincibile.
Si avvicinò alla piattaforma che sporgeva dalla struttura e
con passi più lenti
di quando era salita, si avvicinò al bordo.
Guardare in
basso non l’aiutò per niente, e tutte le sue
paure tornarono a galla. Perse qualche minuto a osservare
l’acqua della piscina
e capì che fu un errore:
la piscina
sembrava lontanissima, e lei ebbe quasi un giramento di testa
all’idea di
trovarsi così in alto, così fece
l’unica cosa che le infondeva coraggio:
strinse il ciondolino, chiuse gli occhi e pensò alla mamma.
Mamma
era in cucina e
stava preparando la torta al cioccolato. Una Sara di cinque anni si
avvicinò di
soppiatto e rubò il cucchiaio dell’impasto per
leccarlo di nascosto, ma sua
mamma se ne accorse e rise, rubandoglielo a sua volta.
“Mamma!!” esclamò Sara
meravigliata quando la donna leccò il cucchiaio. Lisa si
chinò e, porgendole il
cucchiaio, disse sorridendo: ”Sarò sempre con te a
fare qualche pazzia, tesoro”.
Quando
riaprì gli occhi, allargò le braccia e
guardò di nuovo
in basso. Era una pazzia. Sara ne era sicura. L’acqua,
azzurra per via del colore delle
mattonelle, era calmissima, fino a quando…
Un’enorme
creatura verde e rossa, con enormi denti appuntiti,
venne fuori dall’acqua schizzando goccioline ed emettendo
verso striduli. Gli
occhi, enormi e rotondi come palle da tennis, fissavano spalancati la
ragazza e
la bocca sbavava acqua rossa che, a cascate, si mescolava con quella
della
piscina. Il corpo della creatura era tondo e flaccido, di quel colore
verdognolo che ha l’erba d’inverno quando viene
calpestata troppo e degli
enormi tentacoli giravano casualmente intorno a lei, come braccia di
una
giostra meccanica.
Sara non aveva
paura, non della creatura e non ne ebbe
neanche quando uno dei grossi tentacoli si
avvicinò a lei, strisciando lungo il pavimento
che sporgeva oltre i suoi
piedi.
Non si mosse di
un millimetro. Non era intimorita. Ma quando
il tentacolo si avvicinò ancora, il suo cuore
iniziò a battere più forte. Forse
aveva già capito cosa sarebbe successo.
Il grosso
tentacolo divenne agile e prensile e le sfilò il
ciondolo dal collo. Sara sentì la catenina scivolarle sul
costume e la vide
serpeggiare lungo la struttura. Si avvicinò al bordo e
osservò il tentacolo
sparire sotto il livello dell’acqua. Il cuore sempre
più furioso, alzò lo
sguardo verso gli occhi della creatura: la stavano guardando. Sara
poté notare il
divertimento nel suo sguardo prima
che
questa sparisse sotto il pelo dell’acqua. La prendeva in giro.
Sara non ci
pensò neanche su: doveva riprendersi il ciondolino
della mamma. Allargò le braccia e si diede la spinta
piegando le ginocchia.
Quando saltò sentì l’aria sfiorarle il
viso, il petto e le gambe, quando ruotò
in avanti per prendere la posizione,
sentì i muscoli del corpo seguirla nei
movimenti e quando allungò le
braccia per tuffarsi nell’acqua sentì chiaramente
sulle spalle la presenza
della mamma che, nella sua stessa posizione, la guidava nel movimento.
Quando infranse
il livello dell’acqua e scivolò giù,
muovendo
braccia e gambe per spingersi più giù, fino a
toccare il pavimento, liscio e
freddo, si sentì a casa. Perlustrò con la mano il
fondo della piscina fino a
incontrare il piccolo oggetto e, ormai senza fiato, lo strinse nel
pugno e si
diede la spinta con i piedi per risalire.
Uscì
sul pelo dell’acqua ed emise un grosso respiro a pieni
polmoni, con ancora il braccio con il ciondolo e la catenina puntati
verso il
soffitto. Nuotò qualche secondo per riprendere fiato e poi
guardò verso l’alto.
Lassù,
che sporgeva dalla piattaforma, vide la mamma che
applaudiva al tuffo della figlia e poi, alzò una mano e la
salutò, prima di
sparire.
Ancora con la
mano in alto, Sara mosse il braccio per
salutare anche lei e mormorò, prima di nuotare verso il
bordo: “Grazie mamma.
Il prossimo sarà quello da dieci metri. Ti
aspetto”.
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