La
stanza era opprimente. Illuminando con la torcia le scaffalature colme
di tomi polverosi e i tavoli coperti di strani oggetti che non sapeva
identificare, sentiva l'ansia crescere man mano che si avventurava
nella cantina, molto più grande di quanto avesse pensato
inizialmente. Il rumore della pioggia che batteva sulla strada
risuonava chiaramente in quel sotterraneo dal soffitto coperto di
muffa. Più volte dovette trattenere l'impulso di tossire per
l'enorme quantità di polvere nell'aria, cercando di non
emettere il minimo rumore; in quella situazione, la polvere gli era sia
nemica che alleata, perché lo spesso strato sul pavimento
attutiva i suoi passi.
Con la mano sinistra copriva naso e bocca con il bavero del cappotto
scuro, mentre con la destra puntava il revolver oltre gli svariati
angoli di quell'intricato labirinto di scaffali di legno. La torcia da
tasca che aveva recuperato qualche giorno prima gli era molto utile per
tenere le mani libere.
Continuò a procedere a casaccio, di tanto in tanto
ritrovandosi al punto di partenza, dove la scala a pioli scendeva dalla
botola sul soffitto. Gli stretti passaggi sembravano tutti uguali.
Capì di aver trovato il corridoio giusto quando
notò la scia di sangue a terra che, mentre proseguiva, si
andava sempre più addensando. Tenne l'arma puntata di fronte
a sé e avanzò con passo cauto. Di tanto in tanto,
la torcia gli mostrava profondi segni di artigli sul legno degli
scaffali o del pavimento, insieme a schizzi di sangue nero mischiato al
normale cremisi umano. Non se ne curò e proseguì.
Era sicuro che tutto fosse già finito da un pezzo,
nonostante il lieve tremore alla mano sembrasse indicare il contrario.
Giunse, infine, a una porta chiusa, di legno massiccio e rinforzata in
ferro, e, lì accanto, in mezzo a una catasta di libri
rovinati e pezzi di legno, vide una Creatura in decomposizione nel
mezzo di una pozza di sangue, nero e secco. Si avvicinò
piano, cercando di capire cosa fosse: gli sembrava una sorta di
chimera, ma il corpo era fin troppo rovinato e un'identificazione certa
era praticamente impossibile. Tuttavia, dallo squarcio sul fianco era
facilmente intuibile come fosse morta.
Distolse lo sguardo dalla carcassa e si diresse verso la porta,
aprendola con cautela. Le strisce di sangue avanzavano per un altro
paio di metri, fino al cadavere di un uomo: seduto su una sedia, aveva
delle profonde ferite da taglio sulla spalla e sul braccio sinistro,
che rimaneva attaccato al corpo per miracolo. Nella mano destra teneva
un'ascia di ferro dall'aria molto pesante. Probabilmente, i due si
erano uccisi a vicenda e l'uomo era spirato qualche minuto dopo, giusto
il tempo di entrare nel suo ufficio e mettersi comodo. La testa, con
gli occhi chiusi, pendeva sul petto.
Osservò l'ascia per un istante. Da quanto aveva capito, quel
tizio era stato un alchimista, eppure, per usare un'arma del genere,
doveva essere stato ben diverso da quegli altri pseudo-scienziati, in
genere intenti a trafficare con provette e computer, lasciando gli
scontri fisici ai loro costrutti. Provò a esaminare il
braccio, ma era troppo malridotto per riuscire a capire quanto il
Marchio fosse esteso. Si limitò, quindi, a posare la
rivoltella nella tasca interna del cappotto e a togliere il guanto
dalla mano sinistra, poggiandola, poi, sul petto del cadavere.
Immediatamente, quello divenne cenere e un'aura oscura si
addensò intorno al braccio dell'uomo. Si rimboccò
la manica e osservò l'intricato tatuaggio comparire per
qualche secondo, mentre percepiva che nuovi disegni si aggiungevano
all'estremità, scavalcando il gomito. Sorrise. Poteva
dichiararsi pienamente soddisfatto.
*
Farsi
strada verso la porta d'ingresso fu più difficile del
previsto a causa delle numerose svolte del sotterraneo, e uscire sotto
la pioggia perenne non era mai stato così piacevole. Rimase
immobile per qualche secondo, mentre l'acqua lavava via polvere,
ragnatele e residui di muffa, pensando a come la situazione stesse,
pian piano, migliorando: si trovava in città da poco meno di
un mese ed era arrivato molto più avanti di gran parte dei
veterani. Se avesse proseguito con quel ritmo, entro un anno sarebbe
riuscito a diventare completo e a uscire da lì.
Con quei pensieri confortanti, camminò, solitario, sotto la
pioggia, posando lo sguardo sui pochi lampioni che emanavano la loro
luce fioca e sulla città in sé, formata da un
miscuglio di vari stili architettonici in un elegante caos di
costruzioni. Fece vagare lo sguardo sul profilo appuntito delle case
dalle porte sbarrate con lastre di ferro e dai muri chiazzati di rosso,
osservando, in lontananza, le torri della Cattedrale, visibili da ogni
parte della città, come a voler ricordare l'obiettivo finale
di chiunque fosse rinchiuso in quel luogo.
Continuò a camminare, proseguendo per quella strada in
discesa, facendo compagnia all'acqua, a tratti rosata, che scorreva
accanto al marciapiede e nel mezzo della strada di ciottoli in rivoli
scomposti. Dopo qualche minuto, si bloccò. Sebbene non ne
potesse essere sicuro, dato il suono incessante della pioggia, gli
sembrava di aver sentito qualcosa muoversi a poca distanza, dietro di
lui. Si girò di scatto, estraendo la pistola e puntando. Non
riuscì neanche a premere il grilletto: in un solo istante,
l'arma venne tagliata a metà, rendendola inutilizzabile. Un
altro battito di ciglia e una lama del colore della notte gli fu
puntata al collo.
Osservò a occhi sgranati l'assalitore, incapace di reagire.
Indossava un candido soprabito bianco e i tratti del volto, coperto dal
cappuccio, erano difficili da scorgere, ma gli sembrò di
notare un ciuffo di capelli castani e un paio di occhi grigi.
«Ti prego, non farmi del male» implorò,
spaventato, alzando le mani. «Non ho nulla!».
«Taci» sibilò l'uomo in bianco,
spingendo ancora di più la lama verso il suo collo.
«Attiri le Creature».
«Va bene! Va bene! Sto zitto! Ma ti prego, non
uccidermi!» disse, gli occhi che si facevano lucidi e
l'espressione che veniva deformata dalla paura.
L'altro digrignò i denti. «Disgustoso... Proprio
come ogni Sciacallo degno di questo nome».
Deglutì, impaurito. Poi assottigliò lo sguardo,
esaminando il capotto bianco dai bottoni d'argento e la strana spada
che gli veniva puntata contro, dalla lama scura e l'elsa apparentemente
d'acciaio che terminava in un bizzarro insieme di cavi e ingranaggi. Il
disprezzo che mostrava verso il suo gruppo, infine, non lasciava spazio
a molti dubbi.
«Non siamo peggiori di voi dell'Ordine! Andate in giro con le
vostre super-armi, vi credete migliori di noi e pensate di essere
quelli "buoni", ma non mi sembra vi facciate tanti problemi per
uccidere, come tutti!» esclamò, ora
improvvisamente aggressivo.
«"Tutti"?» chiese quello, minaccioso, avvicinandosi
leggermente. «Voi, feccia, approfittate degli sforzi e dei
sacrifici degli altri Viaggiatori per il vostro tornaconto. Non avete
il diritto di far parte di tutti».
«Perlomeno non assassiniamo nessuno!».
«Perché siete troppo codardi o troppo deboli per
farlo!» ringhiò il membro dell'Ordine.
«Non avete il fegato di affrontare le Creature per conto
vostro e quindi prendete Essenze senza muovere un dito, mentre gli
altri vi muoiono davanti... anzi, magari siete proprio voi a dargli il
colpo di grazia quando vi danno le spalle. Siete la peggior specie
di...».
Non riuscì a finire la frase perché, in un
movimento fulmineo, l'altro riuscì ad afferrare un sacchetto
dalla tasca del cappotto e lanciarlo a terra, sprigionando una cortina
fumogena. L'aveva arraffato dall'ufficio dell'alchimista proprio per
quelle evenienze, un composto chimico che reagiva a contatto con la
particolare acqua che cadeva in quella città.
Corse dalla parte opposta, cercando di scappare dall'assalitore
dell'Ordine, ma non riuscì a percorrere neanche una decina
di metri che quello gli ricomparve di fronte. Si fermò di
colpo, ma non fu abbastanza rapido: l'uomo fece scattare un meccanismo
della spada e sotto la lama nera e sottile comparve una lunga canna di
metallo, mentre l'impugnatura si inclinava leggermente e un grilletto
scattava fuori dall'elsa, andando a completare un complesso archibugio.
«Sparisci da questa terra maledetta e dona la tua Essenza
all'Ordine» recitò l'uomo. E fece fuoco.
*
Nello stesso momento
in cui il cadavere dello Sciacallo diventava cenere e il tatuaggio di
Garrett si espandeva fino a toccare il collo, la campana della
Cattedrale risuonò nella muta città per dodici
volte. Abbassò il cappuccio del soprabito per osservare
l'edificio in lontananza, con la pioggia che gli batteva sul volto.
Ululati e ringhi, sibili e grida cominciarono a echeggiare per le vie
della Città Vuota, mentre le Creature iniziavano la loro
caccia per il nuovo arrivato.
Era sicuro che
anche l'Ordine si sarebbe mobilitato: se avessero voluto uscire da
lì salvi, avrebbero avuto bisogno di più persone
possibili per la raccolta di Essenze... peccato che molti Viaggiatori,
per paura o per sfiducia, si rifiutassero di unirsi al loro gruppo. In
genere venivano eliminati dopo qualche settimana, una volta divenuti
Sciacalli o Macellai. L'Ordine Bianco non poteva permettersi di
lasciare in vita persone del genere, che approfittavano degli altri,
rubando ignobilmente le loro Essenze e compromettendo il loro piano
finale, non capendo che era stato ideato per la salvezza di tutti i
Viaggiatori.
Garrett fece
tornare Vendicatrice in forma di spada, prima di farla sparire nel
nulla con un rapido movimento del polso. Osservando la sua Arma
tramutarsi in particelle di etere magico, tornando a far parte della
Città Vuota, si chiese chi potesse essere il nuovo arrivato.
Era da un po' che non se ne vedevano e sperava che questo, finalmente,
decidesse di unirsi a loro; ne avevano davvero bisogno.
Cominciò
a correre a una velocità che sarebbe stata impensabile nel
suo mondo di origine, cercando di raggiungere il prima possibile quello
che veniva chiamato Distretto Zero mentre, in lontananza, sentiva i
versi delle Creature avvicinarsi al suo stesso obiettivo.
Sperò di arrivare prima di loro.
Piccola spiegazione
finale: questa storia avrebbe dovuto essere, nel 2015-16, il primo
capitolo di un romanzo originale dal titolo di "L'Ordine Bianco" che,
però, non ho mai scritto per mancanza di idee. Ho deciso
comunque di mantenere questo "prologo", unica parte che ritenevo
soddisfacente, come una mini-storia a sé stante che spero
abbiate apprezzato.
|