-
Sophìa -
Quando
ricompaiono, il sole è basso all’orizzonte e ormai in
procinto di lasciare il posto a una sera che si prospetta tiepida e
profumata di erbe aromatiche. Pitch, molto lontano dal pensiero di
poter apprezzare il cambio di scena e l’amenità del
luogo, sibila e socchiude gli occhi, schermandosi con una mano mentre
va alla ricerca di un posto riparato nel quale potersi rifugiare fino
all’imbrunire.
«Scusa»
soffia Arawn, osservando con rammarico il disagio dello spirito. «Ho
pensato solo ad allontanarci dai guai. Temo di aver del tutto
dimenticato di tenere traccia dei movimenti del sole» prova a
spiegare a sua discolpa.
Pitch,
quasi accecato dal riverbero, annaspa trascinandosi a fatica dietro
alcuni arbusti di quello che, almeno a giudicare dall’odore,
ritiene essere lauro, e una volta guadagnata la penombra trae uno
stentato sospiro di sollievo, poi soffia uno sbuffo annoiato mentre
il leopardo, che nel frattempo doveva essersi avvicinato a lui, gli
solletica il collo con le lunghe vibrisse per controllarne le
condizioni.
«Siamo
ancora interi. Di certo questo si può considerare un fatto
positivo» si limita a commentare asciutto e poco incline a
portare avanti una conversazione.
«Sì,
è così» conferma Arawn a bassa voce, nel
tentativo di non aggravare le sofferenze dello spirito.
Sposta
lo sguardo sul leopardo e con esso ne segue i movimenti mentre questi
si acciambella al fianco dell’Uomo Nero. Scuote la testa, ma
accenna comunque un piccolo sorriso divertito.
«Posso
arrischiare ad allontanarmi qualche momento? Vorrei dare un’occhiata
ai paraggi per cercare di capire in che luogo ci troviamo. Noto che
comunque disponi di un’ottima sentinella» scherza.
Un
cupo borbottio risponde alla sua proposta e, ancora una volta, Arawn
è indeciso se esso provenga dal felino oppure dallo spirito
oscuro.
«Preferirei,
in tutta franchezza, se evitassi di insultare oltre la mia
intelligenza, signore dell’Annwn» replica Pitch con una
strana calma che mal si concilia con le parole appena pronunciate.
«Sono perfettamente in grado di comprendere quando la mia
compagnia non è apprezzata, pertanto so bene quanto la mia
presenza non sia di tuo gradimento».
«Non
ho detto questo» si difende Arawn, un lieve allarme percepibile
nella sua voce appena traballante.
«Non
lo hai detto, è vero» ammette Pitch. «È
possibile che tu non ne sia al corrente, ne convengo; per questo
motivo vorrei informarti che posso avvertire le tue paure, le tue
insicurezze e perfino il tuo disprezzo. Sono peculiarità che
fanno parte integrante del mio bagaglio di spirito oscuro» fa
notare con tono piatto e incolore.
«Questo
non è…»
Stringe
le labbra in una smorfia contrita, incapace di portare a termine la
frase. Era in procinto di protestare che le affermazioni dello
spirito non rispondevano al vero, ma ciò sarebbe equivalso a
mentire. Sospira, si preme i palmi sugli occhi e fa scorrere le dita
fra i capelli, che ora sono come fili d’argento brillanti agli
ultimi raggi di sole.
«Mi
dispiace. Sono stato ingiusto» si rammarica. «Non mi hai
mai fatto alcun torto e non avevo il diritto di giudicarti in modo
negativo sull’unica base di… sciocchi preconcetti».
«Posso
ben immaginare che avresti gradito, accanto, qualcuno di più
idoneo» pondera, le palpebre abbassate a dar sollievo agli
occhi affaticati.
«Sì…
No! Ah, dèi, ti detesto» sbotta Arawn, seccato oltre
ogni dire per la propria incapacità di venire a patti con
quella faccenda incresciosa.
Bizzarramente,
le labbra di Pitch si piegano in un lieve sorriso indulgente. «Lieto
di saperlo».
Arawn
rimane un lungo istante a bocca aperta, allucinato e incredulo. «Stai
scherzando? Ho appena finito di insultarti (di nuovo). Come può,
questo, renderti lieto?».
«Non
apprezzo le menzogne, quand’anche celate da omissioni. Non hai
idea di quanto sia arduo sostenere la dualità di coloro che
pretendono di esserti amici, mostrando al contrario chiaramente, con
i propri sentimenti negativi, quanto falsi riescano a essere»
spiega pragmatico.
Arawn
lo fissa sgomento e ingoia uno scomodo bolo di saliva. «Tu hai…
Hai sempre saputo?» soffia a disagio più che mai.
«Evidentemente»
conferma Pitch senza scomporsi affatto.
«Ma…
hai comunque deciso di aiutarmi» contesta incredulo.
«Lo
sai, ammiro la tua innata capacità di sottolineare l’ovvio»
replica per tutta risposta con acuto sarcasmo.
Arawn
sbuffa, facendo vibrare le narici. «Non sei esattamente un
campione di simpatia» recrimina seccato.
Pitch
fa spallucce, poco toccato da quel commento. «Non ho mai
sostenuto né preteso di esserlo, in verità, e nessuno
mai se lo è aspettato da me».
«Perché?»
insiste Arawn, deciso ad avere una risposta che possa definirsi tale.
«Diamine,
è ovvio: sono l’Uomo Nero; mi nutro di paura, non di
risate» borbotta piccato e un filo offeso.
Con
una solenne occhiata esasperata, Arawn si avvicina, mettendo in
guardia con i suoi movimenti indesiderati il leopardo che, per tutta
risposta, affila lo sguardo e lo tiene attentamente sotto tiro,
sfoderando gli artigli.
«No,
non questo. Voglio sapere per quale motivo hai deciso di venire in
mio soccorso e tirarmi fuori da quel posto».
«Mi
servivi» si limita a rispondere Pitch, quasi con candore.
«Non
è una risposta!» sbotta Arawn alterato.
Pitch
arrischia a sollevare le palpebre, sperando che la luce sia ora
abbastanza fioca da non creargli fastidi e, quando nota che così
è, indirizza uno sguardo indagatore all’altro.
«Lo
è, invece. Mi rendo conto che non sia il genere di risposta
che ti aspettavi, ma non ne otterrai di migliori, non da me».
«Sei
una brutta persona» sibila, fissandolo truce.
«Ne
convengo».
Arawn
assottiglia le labbra, contrariato. Vorrebbe insultarlo, di nuovo, ma
sa che questo non lo aiuterebbe in alcun modo né lo renderebbe
migliore dell’altro; pertanto desiste dai suoi propositi
bellicosi e trae un lento respiro per calmarsi. In fondo non può
nemmeno fargliene una colpa: si tratta pur sempre della sua natura,
che concorre a indirizzare le sue azioni.
«Stai
di nuovo avendo brutti pensieri» lo avverte di buon grado
Pitch.
Arawn
sobbalza impreparato e lo scruta guardingo e sospettoso. «Sai
anche di che genere?» indaga nervoso.
«No,
non lo so. Ciò di cui sono a conoscenza è che si tratta
di pensieri di natura maligna e che, per buona misura, sono
indirizzati al sottoscritto. Il resto è affar tuo».
Si
sente confuso, e un poco sfiduciato. «È difficile»
mormora fra sé.
«Che
cosa?» si informa lo spirito con un pizzico di curiosità.
«Trovare
il modo per convivere senza…»
«Ricoprirmi
di insulti?» offre volenteroso.
«Farti
del male» corregge in un soffio.
«Ah,
capisco. Temo non sia una possibilità praticabile. E comunque
sono ampiamente avvezzo a certi trattamenti, tanto che è ben
difficile, oramai, colpirmi a morte».
Arawn
rimane muto di fronte alle parole e all’atteggiamento dello
spirito, e segretamente si sente grato di non doversi trovare al suo
posto, perché in tutta onestà non crede che saprebbe
sopportarlo per più di qualche misero giorno senza perdere il
senno.
*
Il
cielo, poco prima rosato, vira rapidamente al viola e all’indaco.
Pitch inspira l’aria tiepida e profumata e si scosta dal ruvido
appoggio del suo precario riparo, rimettendosi in piedi e scrutandosi
attorno con curiosità.
«Oso
supporre tu ci abbia condotti sulle coste del Mediterraneo»
mormora rivolto a un ancora sconvolto Arawn.
«Cosa
te le fa presupporre?».
«La
vegetazione predominante, innanzitutto. In secondo luogo la
conformazione del terreno. Per ultimo il clima temperato»
spiega con pazienza. Avanza di qualche passo, mentre i suoi occhi
sensibili scorgono i contorni delle alture sulle quali si trovano in
quel momento e, dietro una di queste, scorge lo scintillio degli
ultimi dardi solari riflettersi su di una vasta superficie lucida.
«Ah, non siamo poi così distanti dalla costa, dopo
tutto. Osserva» esclama, indicando al compagno l’orizzonte
lontano.
«Quello
è il mare?» sussurra Arawn, suo malgrado intrigato dalla
prospettiva. «Sembra allettante, visto da qui».
«Suppongo
di sì. Mi auguro solo che quelle non siano le coste
dell’Iberia» elucubra Pitch.
«Come
mai?» si incuriosisce Arawn.
Pitch
lo fissa di traverso e scuote il capo, desolato. «Dovresti
provare a tenerti maggiormente aggiornato sui movimenti del mondo dei
mortali. Per lo meno seguire la direzione presa dalle guerre degli
umani, non fosse altro che per non incapparvi giusto nel mezzo nel
momento meno opportuno».
«Oh»
si limita a commentare Arawn, interdetto e vagamente impensierito.
Poi, d’un tratto, nota che lo spirito ha assunto un’espressione
un poco più triste e decide quindi di arrischiarsi a indagare.
«Cosa accade ora? Qualche problema?».
Pitch,
ripescato dai suoi pensieri, si riscuote e torna con l’attenzione
al momento presente. «No, o quanto meno lo spero. Semplicemente
riflettevo su un fatto cui avevo smesso di prestare attenzione fino a
poco fa».
«Ovvero?»
insiste, incoraggiato dal non essere ancora stato ammonito da qualche
sguardo assassino.
«Non
so se sia anche il tuo caso, ma da parte mia avevo una meta nel
momento in cui malauguratamente mi sono imbattuto nei cacciatori di
Nemain, e si dà il caso che quella meta fosse…».
La sua voce sfuma mentre solleva lo sguardo sul cielo ormai scuro, in
una direzione ben precisa dal lato opposto rispetto al mare. Sospira.
«Lontana. Decisamente lontana da qui» soffia, suo
malgrado deluso e sconfortato dalla presa di coscienza.
Arawn
abbassa lo sguardo e sospira a sua volta. «No, io… non
ne avevo idea. Se… lo desideri, posso provare a riportarti sul
sentiero giusto» tituba preoccupato.
Pitch
sbuffa una piccola risata affatto divertita. «No, non puoi».
«Cosa?
Io… Sì, certo che posso, se…».
«Continui
a farlo: mi parli come se fossi uno sciocco sprovveduto. Pensi non
sappia che hai usato i tuoi poteri per portarci lontani da quel luogo
solo in virtù del fatto che l’unica alternativa non
poteva che essere la sconfitta? Ho avvertito il tuo dolore nel farlo,
e attraverso il tuo quello di questo mondo. Non puoi rifarlo, non per
scopi futili come quelli che ti proponevi poco fa, in ogni caso».
Le
labbra di Arawn sono strettamente serrate, e non sa se ciò che
sta trattenendo sia la rabbia oppure il dolore. Ciò che invece
sa è che inghiottirà la propria lingua un boccone per
volta prima di permettersi il lusso di pronunciare un altro, inutile
insulto contro quel dannato spirito oscuro. E poi, all’improvviso,
il sentimento che lo ha atterrito fino a un momento prima evapora nel
nulla, lasciandolo svuotato di tutto tranne che di vergogna quando un
pensiero sfiora la sua mente confusa: tutti i suoi sforzi sono
inutili, perché lui ne ha di certo già compreso le
intenzioni inespresse. Gli è sufficiente un fugace sguardo
alla sbilenca smorfia sulle labbra dello spirito per averne conferma
e sentirsi un perfetto idiota.
«Non
potresti, non so… spegnere quella parte della mente che ti
permette di ricevere questo genere di informazioni?» tenta,
sentendosi sempre più sciocco.
Pitch
sfarfalla le ciglia, perplesso. «Potrei prestarti una delle mie
spade. Se mi stacchi la testa sono certo che risolverai il tuo
problema».
Le
gote di Arawn si accendono di porpora. «Dèi, quanto ti
odio» borbotta.
In
quella Pitch si ritrova a sorridere, e non è un riso di
scherno, né una smorfia sarcastica; accompagna una sensazione
in parte piacevole. Scuote il capo, confuso suo malgrado, e torna con
lo sguardo su Arawn.
«Ebbene,
non desideravi forse dare un’occhiata nei dintorni? Se non ti
crea problemi potrei accompagnarti, così che si possa farci
un’idea più chiara e precisa sul luogo in cui siamo
capitati» avanza propositivo.
Arawn
sbuffa ma annuisce. «D’accordo. Ti seguo, fai strada»
accetta.
*
L’odore
salmastro dell’acqua marina si fa sempre più marcato e
presto giungono anche a udirne il sommesso sciabordio. Oramai il
cielo è scuro, di un blu profondo che presto diverrà
nero insondabile, come scura è anche l’acqua che più
che scorgere odono davanti a loro. Non c’è dubbio,
pertanto, che abbiano infine raggiunto la costa. Si tratta per lo più
di rocce spigolose e frastagliate; la vegetazione è del tutto
scomparsa e non rimangono che alghe essiccate e acqua spumeggiante.
«Non
ha l’aspetto di un luogo pericoloso» azzarda Arawn, fermo
alle spalle dello spirito e intento nell’improbabile tentativo
di scorgere qualche dettaglio in più di ciò che si
trova di fronte ai suoi occhi.
«In
effetti no. A prima vista sembra essere disabitato. Ma è quasi
notte, dopo tutto; non è da escludere che gli umani si siano
semplicemente ritirati nelle loro abitazioni più accoste
all’entroterra» soppesa Pitch, lasciando vagare gli occhi
sulla volta celeste punteggiata di stelle sempre più vivide e
brillanti.
Uno
sciaguattare d’acqua e un piccolo ringhio borbottato informano
i due che il leopardo è evidentemente impegnato in
un’infruttuosa caccia tra i flutti. Lo spirito oscuro avanza di
qualche passo leggero fino a raggiungere il punto in cui il felino
ancora mugola deluso e con il pelo infradiciato. Con un leggero
sbuffo divertito si accosta al leopardo e sfiora il retro delle sue
morbide orecchie con i polpastrelli.
«Scostati
un momento, vuoi?» sussurra gentile.
Mentre
Arawn socchiude gli occhi cercando di distinguere i movimenti di
Pitch, quest’ultimo estrae una lama dal suo fodero, la mantiene
un lungo momento sospesa nell’aria e infine la fa saettare poco
oltre la superficie dell’acqua. Un istante dopo, quando la
punta acuminata torna fuori, un guizzo d’argento la segue.
Arawn sgrana gli occhi mentre il guizzo precipita con un lieve tonfo
sugli scogli, dibattendosi e contorcendosi; poi il leopardo gli si
avventa contro e affonda le fauci nel corpo freddo e scivoloso del
pesce.
Pitch
rinfodera la spada e si siede sul bordo di una roccia che ancora
mantiene un poco del calore accumulato durante la lunga giornata di
sole da poco conclusa. Inspira piano la brezza profumata e osserva
con tranquillità il leopardo terminare con minuziosa
accuratezza il proprio pasto tanto a lungo desiderato.
«Hai
riflettuto su come chiamarla?» si fa strada nei suoi pensieri
la voce pacata di Arawn.
Scuote
la testa. «Non ancora. Hai forse qualche buona idea?» si
informa.
Sta
giocando, questo lo sa bene. È uno spirito oscuro, per di più
con alle spalle una cospicua quantità di nemici. Non crede
affatto di potersi permettere il lusso di farsi accompagnare nel suo
peregrinare da una creatura vivente, seppur in grado di difendersi in
maniera più che accettabile.
«Mi
domandavo… che ne pensi di Sophìa?» propone
Arawn.
Si
volta lentamente alle proprie spalle, scrutando nel buio il riflesso
delle lontane stelle negli occhi perlescenti della divinità.
«È un nome piuttosto importante per un gatto»
pondera indeciso.
Avverte
il sorriso sulle labbra di Arawn senza il reale bisogno di scorgerlo
con gli occhi. «Forse. Ma non puoi negare che non si tratti di
un gatto qualsiasi» considera.
«Questo
è vero» ammette Pitch. «Molto bene: vada per
Sophìa» decide, avvertendo un ignoto pizzicore al petto.
Quando il leopardo termina il pasto, si rimette in piedi e le fa
segno di avvicinarsi, poi le si inginocchia accanto, accarezzando il
morbido pelo lungo il collo. «Cosa ne dici? Ti garba, Sophìa?»
mormora in tono dolce, guadagnandosi un gorgoglio di fusa
dall’interessata.
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