chi nasce solo
Chi
Nasce Solo...
Una notte come quella sembrò riportare la pace
tra gli uomini, ci si doveva rendere conto di quanto fosse immenso
l'ignoto e quanto fosse scarso l'occhio umano.
C'era una grandezza tale nei paesaggi del
quotidiano, il campo di grano ridotto a sterpaglie secche accanto
alla capanna, l'insolito ma regolare crepitio degli steli d'erba a
cui era stata tolta prematuramente la vita a causa delle mancate
piogge autunnali.
Di fronte alla fatiscente abitazione un cumulo
di neve ghiacciata perdeva goccia dopo goccia la sua consistenza,
lasciando come unico ricordo una pozza circolare d'acqua limpida.
Nell'oscurità della notte i rami sovraccarichi
di neve gelata si abbassavano silenziosi con pacata lentezza, come se
al mattino non volessero farsi trovare meno maestosi del solito.
Da qualche settimana dopo una scarsa stagione
autunnale l'inverno era arrivato senza avvisi, costringendo i
volatili a emigrare e i mammiferi ad andare in letargo.
Il cielo aveva ceduto scaricando quantità
cospicue di neve che con l'andare delle settimane avrebbe modificato
il suo stato, per passare dal solido al liquido raffreddando in
profondità la terra asciutta e stepposa dei terreni accanto alla
capanna.
I fiocchi continuavano a cadere, anche in quel
momento, di fronte alla vita che nasceva il tempo non si piegava,
proseguiva secondo le sue regole, imperterrito.
Non è possibile dimenticare quell'istante,
quello in cui si arriva fra il pianto e il dolore.
Chi da alla luce non può rimuovere tutto
quello che la nuova vita lascia, i ricordi, i dubbi, una serie di
emozioni raffazzonate troppo intense da riuscire a distinguerle con
chiarezza.
Che si respiri per la prima volta in
un'asettica camera o in una fetida baracca quello sarà comunque il
primo respiro del mondo, un mondo che cambierà ma mai del tutto, ci
si trascinerà sempre una stralcio mal ridotto di quel respiro.
Così fu anche per Edith, nata da un grembo
sconosciuto e costretta ad interrompere bruscamente quell' assaggio
di puro conforto materno.
-
La sconosciuta arrivò a destinazione senza
imboccare mai un sentiero errato, con i capelli intrisi di fiocchi
sciolti che come pesanti corde sfilacciate rimbalzavano ad ogni
passo.
Rischiò più volte di cadere sulla fanghiglia
melmosa a causa della veste troppo lunga e bagnata nella parte
finale. Dalla fretta non aveva nemmeno pensato di procurarsi un
cappotto o un soprabito per contrastare la nevicata che con il
passare delle ore aumentava la propria intensità scaricando selvaggi
fiocchi, sempre più consistenti e corposi. La baracca distava
diversi chilometri dall'abbazia e già nell'alta stagione risultava
piuttosto arduo riuscire a raggiungerla in due ore.
La donna arrivò davanti al massiccio portone
di legno attorno alle cinque e mezzo del mattino, quattro ore dopo
aver dato alla luce Edith.
Prese fra le mani quel bozzolo di lenzuola di
lino e con un ultimo moto di puro affetto baciò la pallida fronte
della neonata dormiente, per poi sistemare il corpo avvolto nella
cesta.
Con mani umide e tremanti afferrò la busta
nascosta sotto al corpo della piccola e la incastrò fra le pieghe
soffici del telo che custodivano la giovane creatura, così che fosse
ben visibile.
“X
Aidan”, così era stata marchiata, la x era stata sbavata
dall'umidità ma il nome era ancora perfettamente leggibile, chiaro e
pulito.
La lasciò davanti all'ingresso di quella
antica abbazia che si ergeva sfiorando il cielo e con passo
strascicato riprese la via del ritorno.
Non si preoccupò per la temporanea tempesta, a
momenti il portone si sarebbe spalancato e l'abate a cui era
assegnato il compito di dare inizio ad una nuova giornata e aprire le
porte avrebbe visto quella piccola forma di vita che ora silenziosa
sonnecchiava nel bozzolo in cui era stata disposta dopo la nascita.
-
Così fu, Aidan tirò come ogni mattina gli
elaborati maniglioni aspettando la consueta boccata di aria gelata e
umida che ogni volta lo lasciava senza fiato. Di fronte a lui giovani
alberi si ergevano smaniosi di crescere, il bianco candore aveva
ricoperto le ordinate scale che dalla viuzza rudimentale portavano
all'ingresso dell'edificio. In un temporaneo frangente di smarrimento
Aidan si chiese se un domani anche lui avrebbe potuto assistere alla
crescita di quegli, ora deboli, arbusti.
Il presente era incerto tanto quanto il futuro
ai suoi occhi, le certezze si infrangono pensò, e spariscono come se
non fossero mai esistite.
Ogni tanto gli capitava a quell'ora di rimanere
sul primo scalino dando le spalle all'abbazia, rivolgendo lo sguardo
assonnato al territorio che delimitava l'edificio religioso, rimaneva
immobile come un predatore che attende il momento giusto per divorare
la sua preda con la tunica che a causa delle raffiche del vento
incorporava aria allargandosi e assomigliando sempre di più ad un
grosso telo steso ad asciugare al sole.
Anche durante il giorno lo faceva, si
allontanava dagli altri abati e semplicemente scrutava quello che era
distante, la sua terra natia ad esempio, la Svezia.
Di mattina quando il colore predominante era il
blu si ricordava dei laghi accanto a dove abitava, la risata bassa di
suo padre, le lunghe camminate fatte di ginocchia sbucciate e antiche
melodie rassicuranti sussurrate dal genitore per asciugargli le
lacrime.
Blu, come il soprabito di sua madre l'ultima
volta che la vide, aveva quattro anni e dopo essersi svegliato di
soprassalto a causa dello sbattere rumoroso di una porta aveva
guardato alla finestra stropicciandosi gli occhi, aveva intravisto
nel biancore della tempesta di neve che era in corso, una macchia
blu, un blu scuro come quello che scende di sera per preparare il
cielo ad ospitare le stelle.
Tutto quello che accadde dopo la sparizione di
quella macchia blu fu devastante, per lui e per quello che una volta
era il suo sorridente padre. Scrisse, implorò, cercò la sua giovane
sposa ma lei era ormai in altre terre, troppo lontana per riuscire ad
udire la crepa che con il tempo si era formata dentro suo padre, una
crepa troppo profonda da riuscire a chiudere, fu tutto inutile
infatti. Suo padre morì qualche anno dopo all'interno di quel lago
che aveva ospitato i suoi ricordi d'infanzia e che ora gli tornava
alla mente sotto una luce del tutto diversa, durante il periodo
invernale, quello in cui persino la pioggia che scendeva era
ghiacciata in Svezia, l'uomo si buttò infrangendo con un rumore
stridulo lo spesso strato di ghiaccio, lasciandosi affogare.
Quelli che seguirono furono anni confusi, come
ricoperti da un sottile strato di fumo, compagnie discutibili e
conoscenze che lo portarono proprio lì, in Germania, come abate.
In quell'imponente edificio che per mano di
uomini devoti era sorto in una zona ora piuttosto pericolosa della
Germania, una zona contesa, un luogo che in origine rappresentava la
purezza dello spirito, l'isolamento come unica via per capire se
stessi, un credo costruito sulla morte di centinaia di uomini.
Durante questa ultima riflessione gli parve di
udire una specie di vagito rimbombare nel silenzio dell'alba.
Spostando lo sguardo verso il basso fece la
grande scoperta, una giovane creatura, che ora con il setoso nasino
arrossato aveva iniziato a tremare.
Aidan dopo un momento iniziale di sbigottimento
si chinò per prendere tra le braccia l'infante, nel farlo dal bianco
telo che lo avvolgeva cadde quella che a primo sguardo gli sembrò
una lettera.
Prese il bozzolo con un braccio e con l'altro
chinandosi afferrò la busta bianca, quando lesse il nome del
destinatario per poco non inciampò in avanti.
Con frenesia afferrò la cesta e con la lettera
ancora in mano e l'infante premuto contro il petto si incamminò
verso il suo alloggio, nel percorso fece attenzione a non svegliare i
compagni che comunque da lì a poco avrebbero abbandonato il
giaciglio.
Raggiunse la sua stanza e con estrema
delicatezza appoggiò la cesta sopra il letto singolo incastrato nel
mogano scuro, si sedette alla rudimentale scrivania e afferrò con
entrambe le mani la lettera.
Non avrebbe rivelato il contenuto di quella
fino al momento opportuno, solo due persone avevano il diritto di
venire a conoscenza di quella misteriosa risoluzione contenuta in
quelle pagine, assieme alle sbavature e agli errori.
Due persone, lui e quell'indifesa creatura che
ora si stava svegliando.
6
anni dopo
Il rumore sordo di un calcinaccio che si
schiantava contro il pavimento diede inizio a quel glaciale giorno
d'inverno.
Per quella elaborata abbazia che nel corso
degli anni aveva dato rifugio, garantendo un tetto solido sulla testa
e un pasto caldo, a centinaia di viaggiatori sperduti, gli anni
passavano rubando stabilità a quella vecchia struttura, una
meraviglia del passato che si trascinava in un moto lento nel tempo
cercando di celare i segni della sua debolezza.
L'alta cupola nelle giornate primaverili
sembrava sfiorare i bordi delle nuvole, le accarezzava con quiete
vedendole passare, ogni nuvola aveva il suo corso come il tempo e
quel sacro nido domandava pietà al tempo, lo pregava di farlo
resistere per dare ancora alloggio ad anime sperdute in cerca di
conforto.
All'interno quel rumoroso pezzo di soffitto
giaceva a terra davanti all'altare.
Il legno malconcio delle panche bucherellate
dalle tarme emetteva qualche scricchiolio che rimbombava nello spazio
vuoto dell'edificio principale del''abbazia, la chiesa.
Alle spalle dell'altare bianco gesso si
innalzavano lunghe tre vetrate composte da piccoli vetri disposti a
mosaico che raffiguravano in quella centrale Gesù figlio di Dio, in
quella a sinistra San Benedetto fondatore dell'ordine benedettino da
cui nacque l'ordine Cistercense e infine in quella a destra la
Madonna irradiata a quell'ora del mattino di una luce eterea e
impalpabile.
Sotto alle estese vetrate una croce massiccia
di marmo bianco sostava immobile dall'ultimo giorno della
costruzione.
Ai lati dell'edificio principale due ali di
differenti lunghezze si stagliavano ricoprendo i dormitori e la
biblioteca, queste braccia si univano in una gentile stretta
ospitando il refettorio.
All'interno di questa stretta lineare si
presentava sotto il cielo invernale il chiostro, un luogo
rassicurante all'aperto che gli abati utilizzavano per respirare aria
nuova e leggere, sopratutto nelle giornate estive, in cui sostare per
ore all'interno di quella cupa biblioteca era un compito assai arduo
anche per l'abate più devoto.
Al di fuori di questo scomposto rettangolo si
ergeva la foresteria, un edificio resistente come una stalla ma
dall'aspetto di una modesta casa dell'epoca, lì sostavano i
forestieri, coloro che venivano temporaneamente accolti fra le
braccia dell'ospitalità.
L'abbazia non aveva protezioni, era un luogo di
pace in cui gli abati che si dedicavano alla ricerca della fede
isolandosi dal resto del mondo non immaginavano di poter essere
attaccati.
A Greifswald era in corso una battaglia
silenziosa e forse l'abbazia era troppo emarginata dal resto del
paese per potersene accorgere.
L'onda del pericolo che stava crescendo in
quegli anni non poteva arrivare lassù, all'interno di quegli oscuri
corridoi e vacui spazi.
L'abate Alexander fece un sospiro malinconico e
con non poca difficoltà raccolse il calcinaccio, il suo primo
approccio era quello fatalista e non poté fare a meno di pensare che
prima o poi tutto avrebbe fatto il suo corso, sarebbe crollato tutto,
in mille pezzi, non c'era nulla da fare.
Aidan si era già occupato del portone
principale ed ora mattiniero come sempre, sostava accanto alle
scalinate con in mano un vecchio taccuino di pelle marrone scuro e
una matita piuttosto corta, notò Alexander.
“Buongiorno
fratello Aidan.” Disse l'uomo avvicinandosi sempre di più al
giovane dal portone della chiesa.
Aidan dal canto suo, assorto com'era nei suoi
pensieri dallo stupore nel sentire improvvisamente quella voce fece
cadere la matita logora.
“Ah,
fratello Alexander buongiorno.”
L'uomo si toccò la barba bianca e ispida,
buttò il calcinaccio all'interno di un rudimentale secchio di pietra
scheggiato e chiese:
“Cosa
ti turba Aidan?”
“Nulla,
apprezzo la solitudine e non potrei immaginare un momento migliore
della giornata per sostare qui con il mio fedele taccuino a pensare.”
Aidan non appena vide Alexander avvicinarsi con
l'intenzione di posizionarsi al suo fianco chiuse il taccuino senza
dare troppo nell'occhio.
Alexander era un un uomo piuttosto alto, da
quando Aidan l'aveva incontrato portava una folta barba bianca che
con l'andare dei mesi si allungava di qualche centimetro.
Aveva un carattere che a primo approccio
avrebbe potuto confondere e renderlo cinico agli occhi di un
ipotetico interlocutore, in realtà era solo indifferente.
La sua vita era stata un'avventura lo ripeteva
sempre e dopo aver superato la mezza età si era ritirato , voleva
astenersi dai problemi quotidiani, dedicare il tempo che gli rimaneva
alla fede e a se stesso.
“Alexander
sai oggi è il compleanno di Christopher. Pensavo potremmo allestire
un piccolo banchetto nel refettorio e celebrare assieme questo
momento.”
“E'
una buona idea, quel bambino merita di festeggiare nel modo giusto il
suo sesto anno di vita, vado a svegliare gli altri fratelli.”
“Io
vado a controllare se abbiamo l'occorrente per il tutto.”
Sì è una buona idea, pensò il giovane
incamminandosi infreddolito all'interno della chiesa, Edith lo
merita, dopo tutto quello a cui la sottopongo.
Non passava giorno in cui Aidan non si sentisse
colpevole per quello che stava facendo, si ripeteva che era l'unico
modo, ma costringere una bambina a vivere in un luogo così poco
adatto alle giovani menti selvagge e sotto una falsa identità per
giunta gli pesava come un sacco di pietre sul collo.
Edith non sarebbe potuta rimanere lì se non
con una finta identità, potevano ancora accettare un bambino ma una
bambina no, all'interno di un ordine monastico maschile era
impensabile.
Lui doveva proteggerla, non poteva perderla,
era l'unico vero legame che gli rimaneva.
Edith aveva gli occhi chiari come il cielo
limpido del mattino e i capelli castani che lui puntualmente le
tagliava di una lunghezza piuttosto corta per non far insospettire
gli abati.
La bambina
desiderava tenerli lunghi, provava a convincerlo ogni volta, lo
pregava di lasciarli crescere “voglio che mi
arrivino ai piedi!” esclamava.
Sorrise a quel pensiero, un sorriso amaro pieno
di dolore e incertezza.
Avrebbe voluto andarsene, prendere Edith e
scappare verso la Svezia, avrebbe potuto tornare a casa, assaporare
di nuovo il profumo della sua terra ma non glielo avrebbero lasciato
fare.
Si diresse verso il refettorio dopo aver
infilato il taccuino di pelle nella soffice tasca della tunica, a
metà del corridoio pensò di raggiungere il refettorio per
controllare che Edith fosse ancora nel mondo dei sogni e per
avvertire gli altri forestieri dell'evento.
Qualche ora dopo tutti sedevano ai tavoli di
legno pesante del refettorio, un ambiente poco illuminato e piuttosto
tetro nelle ore notturne, ora brillava di una luce naturale, le
portate disposte in ordine sul tavolo bislungo utilizzato per il
banchetto attendevano di essere assaporate, le risa degli uomini
rallegravano l'aria infausta della stanza.
Edith avrebbe ricordato quel giorno per anni,
Aidan che le sorrideva e le faceva gli auguri, Alexander che la
prendeva in braccio con la delicatezza e la familiarità di un nonno
commosso dalla crescita del suo nipotino.
Leon un forestiero come lei agli occhi degli
abati, che da anni soggiornava nella foresteria assieme a ella, un
giovane sempre allegro e pimpante con una camminata veloce e uno
sguardo vivace.
Veniva dalla Francia, nessuno era a conoscenza
del suo passato, gli abati avevano accettato di ospitarlo sotto il
tetto sacro come facevano con ogni straniero, con un sorriso bonario
e senza fare troppe domande.
Agli occhi di Edith Alexander era come un nonno
saggio e anziano che con il passare degli anni aveva optato per una
vita lenta, poco movimentata, uno stile di vita in cui nulla andava
troppo veloce per poterlo afferrare.
Leon invece assomigliava ad un fratello
maggiore, i capelli castani come i suoi che nei pomeriggi primaverili
sobbalzavano sospinti da raffiche briose di vento, gli occhi scuri
illuminati da una luce naturale in ogni momento della giornata, quel
suo modo di fare sempre giocoso e selvatico.
Aidan invece era un padre per lei, un solido
piedistallo che le donava sicurezza e stabilità.
Si appoggiava a lui, sempre, era la prima
persona di cui sentiva il bisogno non appena si svegliava al mattino,
avvertiva una stretta scomoda allo stomaco che la costringeva a
correre da lui ogni volta.
La sorprendeva in ogni più piccolo gesto, lo
sguardo dolce che le rivolgeva prima di chiudere la porta della sua
ristretta camera nella foresteria, la pazienza con cui le aveva
insegnato tutto, ad ogni domanda corrispondeva sempre una soave
risposta che lei accettava fidandosi con spontanea sincerità, una
fiducia che solo i bambini sanno donare.
Si domandava come un ragazzo così pensieroso e
solitario potesse rivelarsi così capace nei rapporti con gli altri,
sopratutto con lei.
Non lo sopportava quando la costringeva a fare
silenzio, le tagliava i capelli corti o le negava la lettura di
quella lettera che tanto gelosamente custodiva in un vecchio comodino
al fianco del suo letto singolo nel dormitorio.
Voleva
conoscere il contenuto di quello scritto ma lui le ripeteva sempre
con tono morbido “quando
crescerai, potrai leggerla” così
lei raccoglieva le braccia incrociandole sul petto, voltava il viso
dall'altra parte e tirava la bocca in una specie di espressione
ferita.
Lui
successivamente per
farsi perdonare le portava una porzione in più di torta, la maggior
parte delle volte la sua stessa fetta, e rimaneva con lei fino a
tarda notte raccontandole le fiabe a cui era più affezionato.
Alcune volte avvertiva una sensazione strana,
come se lei e Aidan fossero legati e per motivi ignoti fossero
intrappolati lì assieme.
Non era ancora arrivata a domandargli per quale
motivo il ragazzo a cui era così vincolata avesse scelto quella
vita, non sembrava mai essere presente del tutto alla messa o ai
momenti di preghiera, lo vedeva distratto, si guardava attorno e
cercava sempre con lo sguardo qualcosa di poco definito come se
volesse perlustrare ogni millimetro di ogni ambiente dell'abbazia.
Edith avrebbe voluto prenderlo per mano e
trascinarlo via, le piaceva stare lì con Alexander, Leon, gli altri
abati che in maniera più o meno simile avevano imparato a volerle
bene pur non conoscendo la sua vera identità, ma dal portone della
chiesa il mondo sembrava così grande.
C'era così tanto da vedere, quando di mattina
le capitava di svegliarsi all'alba raggiungeva Aidan sulle scalinate
di pietra e assieme a lui mirava il profilo della città sotto la
luce debole delle prime ore mattutine.
Lui a volte le raccontava della Svezia e lei
con gli occhi lucidi immaginava di attraversare immense praterie, di
salutare anziani paesani, di ammirare il cielo svedese che dai
racconti di Aidan era di una chiarezza cristallina quasi fiabesca.
Quel giorno d'inverno dopo aver celebrato il
suo sesto anno di vita Edith si era incamminata con Aidan fuori dal
territorio dell'abbazia, rimanendo pur sempre nelle vicinanze.
Lui dopo averla coperta con un soprabito
piuttosto pesante e massiccio, le aveva preso la mano e con un
occhiata amorevole le aveva chiesto:
“Ti
va se andiamo a fare una passeggiata?”
“Certo!”
Aveva risposto la bambina.
Camminavano con lentezza seguendo linee
immaginarie fisse, Edith camminando si guardava i piedi rinchiusi
all'interno del paio di scarponcini neri che indossava solitamente
d'inverno, affondavano con il tipico rumore di una crepa negli steli
d'erba ghiacciati.
Quell'inverno non aveva ancora nevicato e ogni
mattina la piccola si svegliava sperando d'incontrare manciate di
fiocchi freschi quel giorno, ma fino ad allora il tempo non aveva
voluto saperne.
Aidan le teneva ancora la manina, gliela
stringeva con sicurezza ma senza stringere troppo.
Stavano ripercorrendo circolarmente il
perimetro dell'abbazia per la quarta volta quando Edith decise di
porre quella fatidica domanda, l'aveva conservata per troppo tempo,
voleva venire a capo di questo dilemma che la attanagliava.
“Aidan,
ma perché non te ne vai da qui?”
Il ragazzo si voltò verso di lei e si fermò
di colpo in mezzo all'erba.
“Che
cosa vuoi dire?”
“Mi
sembra sempre che tu non voglia stare qui, mi parli sempre della
Svezia, di come sarebbe bello poter tornare a casa, di quanto ti
manca il cibo svedese, il clima, insomma non ti vedo bene qui.
Poi mi sembri sempre così distratto, come se
stessi pensando ogni minuto ad altro rispetto a quello che stai
facendo.”
Edith si aspettava una lunga risata, dal modo
in cui gli aveva posto la domanda e da come lo stava guardando
sembrava che si stesse facendo gioco di lui.
In realtà non sapeva come porgli questo
quesito quindi aveva optato per un tono e un'espressione piuttosto
giocosa, nulla di troppo drastico.
Aidan la guardò negli occhi per un tempo
indefinito, aveva le labbra leggermente incrinate come se il suo
sorriso si fosse congelato ancor prima di comparire sul volto.
Lei nel frattempo sbatteva ripetutamente le
palpebre domandandosi sempre più imbarazzata se era il caso in quel
momento di fare quella domanda inopportuna, poi lui si ridestò e
piegò le labbra in un palese sorriso.
“Vuoi
la verità Edith?”
Le aveva mentito fin troppo, la costringeva a
vivere rinchiusa lì con lui e una trentina di abati solo perché era
convinto di proteggerla celandole la verità, almeno su questo poteva
essere sincero.
La bambina annuì.
“Io
vorrei andarmene da qui ma non posso farlo e non posso dirti perché,
devi fidarti di me.”
“Ma
perché non puoi?” Edith gli aveva tirato la mano come per pregarlo
di dirle tutto.
“Non
posso, quando crescerai te lo dirò.”
“Quando
crescerò, non fai altro che dirlo, io voglio conoscere la verità
ora!”
La bambina aveva alzato la voce calpestando con
gli scarponcini l'erba ripetutamente per ribadire la sua posizione.
“E
tu?” Sussurrò il ragazzo.
Edith si fermò e lo fissò con gli occhi
spalancati e un'espressione confusa sul volto.
“Io
cosa?”
“Tu,
vuoi rimanere qui?”
Da ogni particolare capiva che la domanda che
lui le aveva posto era della massima serietà, ad Aidan importava per
davvero di ciò che lei desiderava, lo vedeva dagli occhi di lui che
ora erano tornati seri, dal suono della voce del giovane che non
aveva più tracce di leggerezza.
“Non
lo so. Voglio bene ad Alexander, Leon, anche a tutti gli altri e mi
sento al sicuro qui ma vorrei esplorare il mondo, vorrei viaggiare,
andare in Svezia, in Spagna, in Inghilterra, ovunque.”
Il giovane si chinò per posizionarsi alla
stessa altezza della bambina che ora con incertezza lo guardava
abbassarsi domandandosi per quale motivo le avesse posto quella
domanda.
“Allora
ti faccio una promessa. Ti prometto che prima o poi ce ne andremo da
qui, assieme.”
“Davvero?”
“Te
lo prometto.”
Il ragazzo allungò le braccia e per qualche
minuto rimasero abbracciati, Aidan con le ginocchia sull'erba
gocciolante e Edith stretta a lui con le braccia corte che gli
circondavano il collo.
Edith avrebbe ricordato quel giorno per molti
anni, perché passarono giorni, settimane e poi anni.
Alcuni di quei giorni si trascinavano lenti
come lumache sguscianti mentre altri allietati dall'allegria degli
amici volavano come piume al vento.
-
Non fu semplice crescere sotto un nome che non
le apparteneva e genere che non era il suo. Malgrado ciò Edith si
fece trasportare dal tempo, ripercorse i corridoi dell'abbazia
innumerevoli volte fino a conoscere con esattezza ogni più piccolo
difetto, un puntino sul muro, una leggera crepa sul soffitto, una
vecchia insenatura con dipinti semplici che perdeva pezzi di colore e
assomigliava sempre di più ad un puzzle. Vide gli alberi crescere,
notò la piega di ogni singolo albero, l'ingrossamento di ogni
tronco. Incontrò ogni straniero che nel corso degli anni si era
presentato alla porta per chiedere aiuto, salutò gli abati che
lasciarono la vita terrena ispirando un ultima volta.
Annusò l'aria del pericolo che raggiunse ad un
certo punto anche l'abbazia, quella parte di territorio non era più
stabile e si sentiva nell'aria, c'era una specie di pulviscolo che
aleggiava in tutta l'abbazia, un sentore pregno di tensione.
Attraversò il chiostro, il suo luogo preferito
dopo la biblioteca, innumerevoli volte, sotto agli archi canticchiava
motivetti sussurrati e quando nessuno era nei paraggi ruotava
armoniosa facendo increspare i pantaloni maschili da forestiero che
era costretta a indossare.
Nelle serate estive trasportava quantità
esagerate di opere letterarie dei più svariati generi nella sua
camera e li posizionava sulla scrivania accanto ad una piccola pila
di taccuini scribacchiati, passava le notti a leggere e quando in
biblioteca non c'era nessuno riportava i titoli che aveva preso, li
infilava nella spaziosa camicia bianca e li rimetteva con assoluto
silenzio a posto.
Ogni tanto Leon la raggiungeva e parlavano per
ore, aveva per esempio scoperto che quel giovane francese era
scappato dal suo paese per diversi problemi con la legge, era
innamorato di una giovane borghese dagli occhi verdi come le foglie
che germogliano a primavera e le labbra setose come i petali di una
rosa.
Si chiamava Elizabeth ed era la promessa sposa
di un importante proprietario terriero che manovrava gran parte delle
colture della sua regione, Leon ed Elizabeth erano stati amanti ma
quando il marito si accorse del tradimento subìto giurò di
catturare il giovane con le proprie mani e ucciderlo con tutta la
ferocia di cui era capace, così Leon fu costretto a scappare.
Aveva persino elaborato un dipinto di
Elizabeth, che aveva realizzato con cura e devozione, e ogni sera
prima di coricarsi pregava Dio di fronte a quel ritratto per potersi
ricongiungere con la sua amata un giorno non troppo lontano.
In quegli anni Edith aveva conosciuto quasi
ogni abate sempre mantenendo l'identià di Christopher, ed era a
conoscenza di parecchi dettagli sulla loro vita personale.
Si intratteneva a parlare con loro e ogni volta
che qualcuno le domandava da dove venisse lei rispondeva abbassando
il capo e sussurrando “non lo so”.
Più i giorni passavano e più si sentiva a
disagio in quegli umidi corridoi, gli scricchiolii notturni tipici
delle vecchie strutture la obbligavano a svegliarsi, erano colpi
secchi alcune volte come se la foresteria e il resto della struttura
stesse cedendo pian piano.
Nutriva ancora il desiderio di andarsene ma a
differenza degli anni precedenti ora era a conoscenza di cosa
spingeva questa sua scelta, voleva sapere chi era.
Da dove veniva, chi era sua madre, se era
ancora viva, perché l'aveva lasciata in quel mattino d'inverno
davanti a quell'antiquato portone.
Voleva scoprirlo e questo desiderio che ardeva
era diventato l'argomento più discusso fra lei e Aidan, lui che le
diceva di aspettare ancora qualche anno e lei che lo pregava di
lasciare tutto e fuggire.
Pensava di tornare un domani all'abbazia,
ricongiungersi con gli amici di un tempo ma aveva bisogno di risposte
e quelle che cercava non erano lì.
Non sapeva che non sarebbe potuta tornare mai
più fra quegli odori stantii del legno vecchio e l'oscurità lugubre
delle stanze silenziose.
10
anni dopo
Non c'era nessuno nei paraggi, l'eco dei
ritmici passetti di Edith rimbombava in quell'ala dei dormitori.
Nel mezzo di quell'assolato pomeriggio estivo
ogni abate era distante, chi leggeva seduto sulle panchine color
mandorla del chiostro, chi coltivava il proprio pezzetto di
orticello, chi era intento a preparare le pietanze per la cena e chi
era a fare l'inventario delle provviste nell'area del magazzino.
Aidan aiutava altri due abati con le provviste
e per la prima volta si era dimenticato la porta della sua cara
stanzetta aperta.
Portava sempre con sé la chiave come se ci
fosse qualcosa di misterioso dentro quella camera, qualcosa da non
rivelare a nessuno.
La sera prima lui e Edith avevano avuto il loro
primo litigio, lui non era più l'amico dolce e fedele che lei
ricordava e lei non era più così ingenua e paziente, erano cambiati
entrambi in quegli anni.
Lei insisteva con il volersene andare e lui
particolarmente adirato aveva concluso la discussione sbattendole in
faccia la porta della camera di Edith nella foresteria, dopodiché la
ragazza aveva tentato un inseguimento precipitandosi di corsa verso
la porta, spalancandola, ma Aidan si era già allontanato e con passo
fulmineo stava raggiungendo i dormitori.
Con il tempo Edith aveva iniziato a nutrire dei
sospetti nei confronti del ragazzo, si comportava in modo troppo
sfuggevole, le nascondeva i suoi taccuini, non le lasciava vedere
nulla che fosse custodito nella sua camera.
Così quel giorno approfittando della sua
assenza, Edith decise di venire a capo di quell'enigma, entrò nella
camera da letto di Aidan e si mise a cercare la lettera.
Sapeva che la custodiva sotto un plico di
vecchi libri nell'ampio scoparto del vecchio comodino in legno di
ciliegio.
Aprì lo sportello e ad uno ad uno spostò i
libri cercando di non fare troppo rumore, sapeva di essere sola ma
non voleva rischiare.
Dopo aver impilato l'ultimo libro nella torre
che stava formando sul pavimento scorse la carta rovinata della
lettera, deve averla letta miriadi di volte pensò Edith.
Afferrò con entrambe le mani la lettera e
continuando a guardarla si sedette sul letto rifatto di Aidan.
Le tremavano le mani e sentiva una forte
pressione sul petto, fin da piccola aveva nutrito una certa curiosità
nei confronti di quella lettera, il ragazzo gliela aveva tenuta
nascosta così a lungo che ora non poteva credere di averla tra le
mani.
Fece dei piccoli respiri continui, si mise
comoda sul letto e ignorando il forte senso di colpa per quel gesto
subdolo aprì quel tanto agognato foglio:
“Caro
Aidan,
avrei
desiderato iniziare questa lettera pregandoti di perdonarmi per il
ricordo che hai di me, per quello che ho fatto e per l'enorme
responsabilità che ora ti sto riversando sulle spalle.
Ma
sono cosciente del fatto che non c'è perdono per me e che non potrai
mai comprendere del tutto i miei gesti.
Io
non posso prendermi cura di questa bambina, sono gravemente malata e
il tempo a mia disposizione scarseggia, la povertà nella quale mi
ritrovo a sguazzare da anni non mi permette di crescere una bambina.
Avrei
voluto chiederti aiuto tempo fa ma dopo quello che è stato non ho
avuto il coraggio di presentarmi davanti a te.
Ti
chiedo aiuto ora però, ti supplico di prenderti cura di questa
indifesa creatura come io non ho fatto con te e come non potrò fare
con lei.
Inoltre
ti supplico di perdonarmi o di tentare di farlo, perdonami per
essermene andata così barbaramente e aver abbandonato te e tuo padre
per un altro uomo che non è stato in grado di darmi nemmeno una
manciata dell'amore che mi ha donato il tuo defunto padre.
Avrei
voluto tornare ma dopo la sua morte sapevo che tu non mi avresti mai
perdonata e sono stata una codarda ma ho preferito fuggire qui in
Germania.
Una
domenica andando a messa ti ho visto, ti ho riconosciuto subito
tesoro e non so come esprimere il grande sollievo che ho provato nel
vederti vivo e nel sapere a chi avrei affidato questa giovane
creatura.
Io
non sono mai stata brava con le parole, nemmeno con i gesti ma
credimi quando ti garantisco che nessuna mia azione è mai stata
volta a farti del male, non volevo lasciarti solo ma mi sono
innamorata di quest'uomo, era un amore talmente forte che mi ha
trasportata altrove e mi sono dimenticata di tutto l'amore che già
avevo.
Come
ti dicevo non c'è scusa per ciò che ho fatto, ti chiedo però di
non addossare le mie colpe a questa bambina che merita un'educazione
ed un affetto che sono certa tu saprai donarle.
Addio
Aidan figlio mio,
Con
profondo affetto e speranza,
Tua
madre.”
In lacrime Edith ripiegò quel foglio
ingiallito di carta e lo buttò con noncuranza sul pavimento per poi
lasciarsi cadere del tutto sul letto.
Si coprì il volto con le mani e pianse
sommessamente cercando di non fare troppo rumore che potesse attrarre
l'attenzione.
Le aveva mentito, per tutti quegli anni lui le
aveva celato la verità, le suo origini, il loro legame, tutte quelle
risposte alle domande fatte un numero esorbitante di volte, nel
silenzio della biblioteca o sotto ai raggi di sole splendente che
trapassavano i rami degli arbusti temprati dal tempo.
La ragazza ancora con il volto nascosto avvertì
un forte capogiro e fu felice di essersi sdraiata sul letto perché
altrimenti senza alcun dubbio sarebbe crollata sul pavimento, inerme.
Il contenuto di quella lettera era troppo
forte, troppi segreti venivano svelati contemporaneamente ed Edith
non sapeva se provare rabbia verso il riscoperto fratellastro o
disperazione per la defunta madre.
Perse la concezione del tempo e per poco quasi
non si addormentò, poi come risvegliatasi da forze misteriose si
raddrizzò sul letto, appoggiò i piedi sul pavimento di pietra e si
alzò abbandonando il giaciglio.
Con gli occhi rossi e intrisi di un pianto ora
silenzioso, raccolse la lettera e la risistemò al suo posto sul
fondo dell'antro per poi schiacciarla sotto alla pila di libri.
Diede un ultima occhiata alla stanza di Aidan,
non tanto per controllare di non aver spostato nulla, quanto per
necessità sua.
Non le importava di aver lasciato eventuali
segni della sua permanenza in quella zona perché prima o poi avrebbe
dovuto affrontare Aidan, voleva conoscere i motivi della sua scelta,
perché aveva deciso di non dirle la verità in tutti quegli anni.
Decise di parlargli quella sera stessa, dopo la
cena nel refettorio l'avrebbe condotto fuori con la scusa di una
tranquilla passeggiata serale.
Così fece, dopo una cena a base di zuppa di
verdure, insalata di ceci e dolce di marzapane, preparato dalle mani
pazienti e affusolate dei due abati addetti alla cucina, Nikolas e
Gerd si avvicinò a Aidan e sorridendogli con aria innocente gli
chiese se voleva fare una chiacchierata con lei al di fuori delle
mura.
Il ragazzo titubò per un attimo, dopo la loro
precedente lite gli sembrava strano un invito simile, Edith era una
giovane orgogliosa e rancorosa, infatti ogni volta toccava a lui
farsi avanti per una possibile riconciliazione anche per il più
piccolo torto e considerato che quella della sera prima era la loro
prima lite a maggior ragione non capiva cosa stava accadendo.
Decise comunque di accettare, non poteva
sopportare di avere qualcosa in sospeso con lei.
Nella temporanea frescura serale che
raffreddava i terreni resi calorosi dall'afa giornaliera, i due
camminavano a pari passo senza premura godendo della sfacciata
brezza.
Come anni prima nessuno dei due per un arco
piuttosto lungo di tempo proferì parola, i loro occhi erano
impegnati ad ammirare il boschetto che si stava formando tutt'attorno
con le larghe foglie verde smeraldo che danzavano briose e i tronchi
che solidi e robusti come uomini temprati dalle fatiche si ergevano
imponenti.
“Perdonami
per ieri sera, per il modo in cui mi sono comportato.”
Ad un certo punto la voce scura e bassa
dell'uomo interruppe il flebile racconto del vento.
Edith voltò il capo e per una frazione di
tempo incredibilmente breve provò tenerezza per lui, per tutto
quello che aveva passato in giovane età, poi il morso feroce della
rabbia si impossessò di lei e la tenerezza si trasformò in
avversione.
La ragazza dai capelli castani decise che era
inutile rimandare l'inevitabile, forse il fatalismo di Alexander
l'aveva contagiata più di quanto pensava, così si fermò.
Riusciva ad avvertire le mani, che ciondolavano
accanto al busto, tremare sempre più in un crescendo che da lì a
poco sarebbe scoppiato senza lasciare più nulla.
Non riusciva a sostenere lo sguardo di Aidan
così decise di focalizzarsi su un punto indefinito del suolo
ricoperto da giovani steli d'erba.
“No.
- si fermò sentendo gli occhi pizzicare il ventre esploderle di
tensione – Non posso perdonarti, non posso farlo. Dopo tutto quello
che mi ha nascosto per tutti questi anni non posso.”
Dopo aver terminato la frase una lacrima iniziò
a solcarle il viso ed Edith la sentì scivolare di poco sulla pelle a
causa del venticello che in quel momento aveva intensificato le sue
raffiche.
Aidan sbarrò, senza rendersene conto, gli
occhi fissandola con stupore e paura.
Capì che lei aveva letto quella maledetta
lettera.
Sapeva che quel momento sarebbe giunto prima o
poi ma sperava in uno svolgimento differente, lo aveva colto alla
sprovvista e lui non sapeva nemmeno cosa dire.
“Io...”
“Perché
non mi hai detto la verità?” La ragazza piangeva lacrime di
delusione che cadevano ad un ritmo regolare attraversandole la
guancia per poi bloccare il loro percorso al limite del viso.
Da lì cadevano a terra nutrendo la terra
bollente.
“Perché
Aidan?”
Lui sempre più agitato e in difficoltà la
guardava senza sapere cosa fare, seguiva il percorso delle lacrime
realizzando a poco a poco che ognuna di loro simboleggiava
metaforicamente ogni volta in cui lui le aveva mentito.
Avrebbe dovuto dire qualcosa ma era come
ipnotizzato da quelle gocce pregne di odio forse giustificato, pensò.
“Io
non potevo dirtelo.”
Le parole gli uscirono come una ninna nanna
sussurrata, il senso di colpa lo attanagliava come un serpente che
stringe la povera vittima fino a ucciderla.
“Non
ti perdonerò mai per questo.”
La ragazza pronunciò quelle ultime parole come
un addio e con gli occhi gonfi e le labbra rosso ciliegia scappò via
verso la foresteria.
Non poteva sopportare ancora la sua presenza,
le faceva troppo male.
Aidan la guardò scappare via devastato da un
turbine di rassegnazione e repulsione verso se stesso, Edith ha
ragione pensò, non si può perdonare un fratello per un torto
simile.
Prese una decisione quella stessa sera, si
diresse verso la propria stanza e con il viso devastato e il cuore
trafitto decise di farla finita.
Era intrappolato lì in quell'abbazia,
costretto ad una vita che non voleva più condurre, era rimasto in
vita tutti quegli anni per lei, non voleva lasciarla sola al mondo,
ma ora quella forza rappresentata dalla ragazza che lo spingeva ogni
giorno a sopportare, era venuta meno.
Recuperò una vecchia corda che conservava
all'interno del tetro baule di legno ai piedi del letto, l'avrebbe
utilizzata anche anni prima se non fosse stato per quel sorriso dolce
e quegli occhi puri.
La legò alla stecca ferrosa di rinforzo sul
soffitto, utilizzò un piccolo supporto di legno tarlato per
raggiungere quel cappio sfilacciato e si lasciò cadere.
-
Quello che venne dopo nessuno può raccontarlo
con precisione.
Nel taccuino del giovane non venne riportato
più nulla, quindi si ipotizza che il tragico crollo sia avvenuto
nell'anno 1632 attorno al mese di agosto.
Le spie svedesi non ricevendo più contatti con
il loro infiltrato dopo la sua morte decisero che era giunto il
momento di attaccare, senza pietà alcuna neppure per gli abati che
trascorrevano dopo la morte del ragazzo la loro vita all'interno
dell'abbazia, rinchiusi nella preghiera .
Una settimana dopo la morte di Aidan infatti le
truppe scandinave con estrema ferocia raggiunsero la cittadina di
Greifswield che fu dilaniata da saccheggi, uccisioni di massa e
torture spietate.
L'abbazia fu abbattuta con l'utilizzo di
cannoni da guerra che come enormi balenottere solcavano il cielo
rilasciando palle di un nero pece sopra alle vecchie mura, facendo
tremare la terra e crollare la fede.
Quelle fedeli strutture che per anni avevano
protetto gli uomini crollarono rovinosamente inchiodandoli a terra in
una morte veloce e troppo precipitosa, le vetrate segno di un
intoccabile credo si frantumarono in stridenti urla prolungate che
cessarono solo quando ogni più piccolo vetro colorato raggiunse il
pavimento ricoperto di polveri.
La cupola che toccava il cielo sprofondò
causando un frastuono agghiacciante, le pietre con cui era stata
innalzata quella struttura cadevano come frutti maturi dai rami degli
alberi, il pavimento in pietra si frantumò in alcuni pezzi formando
crepe asimmetriche e profonde.
Dagli scaffali della biblioteca antichi tomi di
carta spiegazzata raggiunsero il suolo ricadendo su se stessi, alcuni
lasciando le mensole altri soffocati dalla struttura di legno che per
anni li aveva ospitati.
Gli archi morbidi del chiostro vibrarono
rimanendo però incrollabili cercando di conservare un minimo di
resistenza che a causa dei continui colpi venne meno costringendoli
ad accartocciarsi poi su stessi per poi sprofondare a terra
trascinando con loro l'intera struttura che a pezzi irregolari era
rimasta in piedi.
La foresteria venne schiacciata al suolo per
ultima, bastò un colpo per farla appiattire del tutto, i muri
diventarono un agglomerato di fumo che salì in aria, il mobilio
contenuto all'interno sotto il peso del tetto e della funesta palla
del cannone si spaccò con una facilità fuori dal comune.
Per poco si udirono le urla delle anime
intrappolate in quell'instabile rifugio, ognuna di loro venne zittita
da un tonfo tombale che si trascinò dietro la vita di tutti loro, il
profumo della religiosità di quel luogo e l'imponenza del tutto
ridotta a miseria.
Decine di corpi furono rinvenuti e i tedeschi
si occuparono di dare loro una degna sepoltura.
Ogni bara fu trasportata con rispetto e
riverenza all'interno di quelle umide rovine che ora scoperchiate si
ritrovavano a combattere con i fattori atmosferici.
Ci volle tempo per tutte, si decise perfino di
seppellire momentaneamente i corpi per poi riportarli alla luce mesi
dopo nell'aria funerea dell'inverno dove vennero attuati i riti
adeguati poi sistemare ognuno sotto il proprio strato di terra
nevosa.
Furono chiamati alcuni vescovi e alcuni preti
dalla cittadina vicina, riuscita a sfuggire alla ferocia delle truppe
svedesi stroncate da quelle tedesche, per celebrare la messa e
accompagnare ogni defunto nell'aldilà dopo mesi di attesa.
Edith sarebbe dovuta partire il giorno dopo il
crollo, senza più Aidan e nessun pilastro a cui potersi aggrappare
decise di inseguire l'unica prospettiva che le rimaneva, andarsene.
Stava recuperando gli oggetti a lei più cari
combinandoli nelle casse per il viaggio assieme a quelli di suo
fratello.
Ci sarebbe voluto tempo, questo fu il suo
ultimo pensiero innocente verso il futuro prima di udire un
gracchiare di voci seguito da un colpo ruggente che rimbombò
nell'aria pesante di quella mattina estiva.
Senza sapere cosa fare si nascose nella propria
stanza non prima di controllare in quella Leon, lui era all'interno
dell'abbazia per recuperare qualche opera dalla biblioteca, non
vedendolo decise di controllare all'esterno e proprio in quel momento
la foresteria crollò su se stessa portandosi via Edith.
Quando scavarono sotto le macerie trovarono un
corpo con vestiti maschili e la seppellirono così, con addosso i
pantaloni scuri che le aveva donato Aidan dal suo modesto guardaroba
in una sera d'autunno dove l'aria sapeva ancora di speranza e
temerarietà.
Durante i funerali la sua bara venne
trasportata da due preti con il volto cereo che a capo chino si
occuparono di trasportarla fin davanti all'altare, sotto alle vetrate
spoglie e al crocifisso di marmo bianco scheggiato.
La bara giaceva nel mezzo della sala devastata
dalle violenze di una guerra brutale e irrequieta, al di fuori la
neve continuava a cadere sulle croci degli abati seppelliti nei primi
mesi degli scavi, sul terreno invernale trasudante polvere assorbita
nei mesi precedenti, sulle scalinate riflessive che donavano scorci
lontani.
Edith se ne andò così come era arrivata,
perché chi nasce solo muore solo.
Fine
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