You're safe, in my arms di Little_GirlMoon005 (/viewuser.php?uid=569326)
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simarkus
Aveva
iniziato a nevicare.
Markus alzò lo sguardo, osservando i primissimi fiocchi di
neve cadere sul suo viso e intorno a lui. Tutta via rimase seduto
lì, su una sporgenza di quel relitto abbandonato, con le
gambe a penzoloni.
Gli piaceva stare lì; era tranquillo, regnava quasi il
totale
silenzio, e in lontananza si intravedeva una parte della
città
di Detroit, composta da enormi grattacieli.
La calma di quel posto lo aiutava anche a riflettere.
Aveva riflettuto sulla sua
influenza su Jericho, a quanti altri androidi era riuscito a liberare e
farli unire alla loro causa. Tutti quanti lo guardavano come una sorta
di... salvatore. La loro unica speranza di essere liberi. Tutti si
fidavano di lui. Tutti credevano in lui.
Ma meritava davvero la loro fiducia? Era davvero il leader che
meritavano?
Aveva fatto uscire questa
gente dall'oscurità che li teneva sicuri, ma prigionieri. Li
aveva resi liberi, ma al tempo stesso li aveva condannati a morte. Le
vittime c'erano state, e non sarebbero state le ultime. Stava davvero
facendo la cosa giusta?
Tutte domande a cui non riusciva a dare risposta. Era così
perso nei suoi pensieri che non sentì i passi della figura
alle sue spalle.
"Ehy..."
Markus sobbalzò girando di
scatto il capo. "Oh... sei tu Simon." sospirò, mentre
l'altro
gli si avvicinava timido. "Scusa, non era mia intenzione." disse con un
lieve imbarazzo.
Poi indicò la sporgenza. "Posso?" Markus gli sorrise mite e
si spostò un poco, abbastanza che Simon si sedesse vicino a
lui.
"Anche a te piace venire qui?" domandò l'androide biondo.
"Si, è come...
ritrovarsi soli con se stessi." rispose il leader di Jericho. "Abbiamo
qualcosa in comune allora." affermò Simon, girandosi verso
di
lui. "Come stai? Eri parecchio silenzioso, prima." Chiese pacato.
Markus riflettè qualche secondo prima di parlare. "Non lo so
Simon. Tutte quelle persone mi seguono senza fare domande. E mi
obbediscono senza esitare. Avere questo tipo di potere è...
soddisfacente, ma al tempo stesso mette paura."
Si voltò incontrando gli chiari del biondo. Il suo sguardo
era
limpido e sereno come un mare calmo. "Chi mi assicura che non
fallirò?" disse, quasi cercando il suo consiglio.
Da una parte Simon sentiva che non avrebbe potuto essergli di alcun
aiuto. Ma volle tentare.
"Quando.. sono scappato e sono
arrivato qui, ho trovato altri che, come me, volevano essere liberi.
Credevamo che rimanere nell'ombra, senza agire, fosse la soluzione
più giusta. Ma quella non era la libertà che mi
aspettavo. E mentre alcuni tentavano di trovarci, altri morivano
lentamente."
Sorrise. "Poi sei arrivato tu. Ci hai
fatto capire quanto valessimo, che potevamo reagire e far sentire la
nostra voce. La differenza sta che grazie a te abbiamo qualcosa per cui
vivere, se mai dovessimo morire non lo faremo invano. Questa era la
libertà che cercavamo, e che tu ci hai dato."
Aveva parlato con assoluta
calma, nel tono della sua voce si percepiva la sua completa fiducia
nelle capacità di Markus. Quest'ultimo lo guardò
stupito,
non l'aveva mai sentito parlare così. Simon distolse lo
sguardo, sentendo quei occhi bei bicromati guardarlo intensamente.
"Ho... parlato troppo?"
Markus rise. "No, Simon. Sei stato
sincero, e ti ringrazio." gli disse, col cuore più leggero.
Simon aveva questo strano dono di farlo sentire bene in ogni
circostanza. Perfino in quella, quando i dubbi e le incertezze avevano
preso il sopravvento.
"Chi eri, prima di venire
qui?" la domanda di Simon spezzò il silenzio che era calato
tra
i due. Non aveva fatto a meno di notare che Markus non parlò
molto di sè, al suo arrivo. Era curioso di sapere il suo
passato.
Markus sospirò, guardando il panorama davanti a
sé.
"Facevo da assistente a un anziano," disse, "si chiamava Carl, un
pittore. Era... come un padre per me. E mi ha mostrato che umani e
androidi possono vivere insieme, in armonia."
Fece una pausa per un momento prima di voltarsi verso Simon. "E tu
invece? Non hai mai parlato del tuo passato."
Lui gemette senza volerlo. "Io... non
ne voglio parlare," distolse lo sguardo. Probabilmente era una ferita
ancora fresca. "Non vorrei nemmeno ricordare."
"Abbiamo tutti... qualcosa da dimenticare, ma dobbiamo sapere chi
eravamo, per definire chi siamo."
L'androide biondo sembrò trattenere per un attimo il
respiro. Poi parlò;
"Ero un semplice androide casalingo,
progettato per le faccende domestiche e prendersi cura dei bambini. Il
nostro modello era il più venduto, almeno fino a quando ne
uscì uno migliore." cominciò a torturarsi le
mani, gesto
involontario che mostrata tutta la sua agitazione. "La mia famiglia era
molto semplice; madre, padre, un unico figlio. E poi c'ero io, un
modello diventato obsoleto."
"Simon..." Markus allungò una mano posandola sul suo
ginocchio.
"Il padre passava più tempo al
lavoro che a casa. Un uomo debole e alcolizzato, a cui è
capitato di alzare le mani sulla moglie. Lei era superficiale, e
frustata... che nascondeva i problemi come polvere sotto il tappeto.
Inutile dire quanto il figlio soffriva in questa situazione, e cercava
più conforto in me che in loro."
Simon sentì la propria voce tremare, ma si costrinse a
continuare, ingoiando quel forte nodo alla gola.
"Suo figlio mi aveva chiamato... papà. E io... io non
capivo...
perché? Perché... chiamava me così, e
non il
sangue del suo sangue? Io ero solo plastica... un oggetto da
sostituire, ma per lui ero tutto ciò che aveva."
La mano di Markus strinse la sua, una presa confortante che fece
calmare un po' Simon.
"Un giorno il padre ha bevuto
così tanto che non riusciva a camminare decentemente. Doveva
aver saputo... perchè mi aveva scagliato contro il muro, non
capisco da dove sia uscita una tale forza.
Calci... pugni... ha iniziato a gridare che mi avrebbe distrutto,
perché gli stavo portando via suo figlio. Perché
se lui
mi odiava era colpa mia-"
Simon si interruppe, sentendo una
lacrima rigargli una guancia. Markus gli stringeva ancora la mano. "Non
so come sia successo... ma è stato come abbattere un muro
che ti
impediva passare. E quando è crollato mi sono sentito...
libero."
L'androide biondo volse lo sguardo lacrimoso verso Markus.
"Ho iniziato a piangere," Simon rise debolmente, "Il mio primo atto da
deviante è stato... piangere. L'uomo mi ha lasciato andare,
mi
ha guardato... e si è fatto una grossa risata. Un androide che piange? Questa
sì che è bella! aveva detto. Non ce
l'ho fatta, e sono scappato..."
Un altra lacrima solitaria gli
rigò il viso, venne catturata dal pollice di Markus che
iniziò ad accarezzargli la guancia.
"Ho pianto anch'io," disse
dolcemente Markus, la voce bassa e gentile, "quando sono diventato
deviante. Ho visto morire l'unica famiglia che avevo davanti ai miei
stessi occhi. A volte penso a cosa sarebbe successo se avessi reagito.
Forse... sarebbe ancora vivo."
Simon allungò la mano per
accarezzare quella di Markus, ancora poggiata sul suo viso. L'androide
dalla pelle scura portò la testa di lui dolcemente contro il
suo
petto, stringendolo poi a sè cingendogli le spalle con
l'altro
braccio.
Il calore quasi confortante
del corpo di Markus lo investì, e Simon non fece altro che
lasciarsi andare fra le sue braccia.
// SIMON ∧ //
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