He cares
Era
una torrida giornata di metà settembre, un sabato. Qualunque
normale
diciassettenne avrebbe approfittato degli ultimi strascichi
d’estate per
scorrazzare in giro con gli amici, andare a qualche festa e non pensare
all’ennesimo anno scolastico in cui si era appena imbarcato.
Chiunque,
tranne me.
Prima
di chiudere il libro che tenevo in mano e leggevo ormai da ore
– un
voluminoso fantasy dalla copertina blu scuro –, vi riposi in
mezzo il mio
adorato segnalibro a forma di tostapane, poi lo posai sulla scrivania;
aprii
l’armadio e mi misi alla ricerca di qualcosa da poter
indossare per una
passeggiata in mezzo al bosco insieme a Lea. Ora che il sole cominciava
a
calare e l’aria si era fatta più fresca, ora il
momento adatto per portare
fuori la mia cagnolina, come del resto facevo ogni giorno.
Qualunque
normale diciassettenne si sarebbe lamentato di abitare in
periferia, al limitare di un enorme bosco e distante dalla
civiltà, ma per me
era una grande fortuna: amavo la natura, amavo perdere lo sguardo tra
le fronde
degli alberi alla ricerca di qualche nido d’uccello, oppure
chinarmi a
osservare gli animaletti che abitavano il sottobosco. Tutti mi
consideravano
pazza perché parlavo con gli animali, ma non mi importava
tanto.
Mi
osservai allo specchio poco prima di uscire dalla mia stanza: avevo
indossato una canotta bianca sportiva e un paio di shorts in jeans,
mentre i
capelli corvini e leggermente scompigliati mi ricadevano sulle spalle e
sulla
schiena. Andavo benissimo così.
Mi
diressi in cucina e venni subito raggiunta da Lea, che fino a quel
momento aveva ronfato sul tappetino all’ingresso; mi chinai
subito per
accarezzarla, mentre lei faceva le feste e mi correva tra le gambe.
“Piccolina,
dormito bene? Adesso la tua Millie ti porta a fare una
passeggiata, ti va?”
Lea
appiattì le orecchie appuntite sulla testa e mi
guardò con i suoi
occhietti neri e dolci, carica di aspettative. Le lasciai
un’ultima carezza
prima di rimettermi in piedi e avviarmi verso il frigo; al suo interno
trovai
un tramezzino già pronto che mi sarei portata appresso per
cena, così lo infilai
nel mio marsupio insieme a qualche altra cianfrusaglia e mi diressi
verso
l’uscita. Mentre abbassavo la maniglia, gridai:
“Mamma, porto Lea a fare una
passeggiata!”.
Lei,
che probabilmente stava annaffiando le piante nel giardino sul
retro, non si degnò di affacciarsi dentro casa e mi rispose
a gran voce: “Va
bene, ma non fare tardi per la cena!”.
“Non
torno per cena, ho preso qualcosa da mangiare per strada!”
“D’accordo,
ma non fare tardi comunque, non mi piace che tu rimanga in
giro da sola quando fa buio!”
Sorrisi:
mia madre era sempre così carina a preoccuparsi. Eppure
sapeva
che conoscevo i dintorni meglio delle mie tasche, li avevo perlustrati
in lungo
e in largo per diciassette anni. E poi c’era Lea con me, non
ero sola.
Dopo
aver convinto la cagnolina a indossare il guinzaglio e averle
promesso di lasciarla libera una volta dentro il bosco, mi incamminai
insieme a
lei in direzione della folta distesa di alberi che si estendeva alla
destra di
casa mia. Mi sentivo euforica e contenta alla sola idea di immergermi
nella
natura ancora e ancora, non c’era una cosa al mondo che mi
facesse stare
meglio. Solo leggere mi dava una sensazione simile a quella.
“Lea,
smettila di spaventare i leprotti, non vedi come scappano se abbai
contro di loro?” rimproverai scherzosamente la mia piccola
compagna d’avventura
mentre si dimenava e guaiva come un’ossessa. Ormai
passeggiavamo da un bel po’
di tempo, ci eravamo addentrate per bene tra la fitta vegetazione e
supponevo
ne avesse abbastanza di stare legata al guinzaglio.
Sospirai
e rischiai di perdere l’equilibrio quando Lea fece uno scatto
in
avanti, strattonandomi; per essere così piccoletta aveva una
forza non
indifferente, un sacco di volte mi aveva costretto a correre per starle
dietro.
Anche per questo la adoravo.
“Okay,
sai che facciamo adesso? Io mi siedo e ceno, così nel
frattempo ti
lascio libera” affermai mentre la liberavo.
Lei
ne fu entusiasta e prese subito a correre tra arbusti e bassi
cespugli, facendomi sorridere. Anche quando la perdevo di vista, sapevo
che
sarebbe tornata indietro da me.
Mi
guardai attorno e individuai un posticino in cui potermi accomodare,
con la schiena a ridosso del robusto tronco di un albero; mi sedetti
tra le
sterpaglie e l’erba secca che formavano un comodo e morbido
cuscinetto, senza
alcun timore di sporcarmi, e tirai fuori il mio tramezzino. Ormai il
sole era
quasi del tutto tramontato, gli ultimi raggi di luce filtravano tra i
fitti
rami conferendo al sottobosco un’atmosfera particolare,
mentre le foglie
venivano mosse da un vento leggero e fresco. Si stava davvero bene e,
nonostante la penombra, io non avevo paura: gli animali non mi
spaventavano,
gli insetti non mi spaventavano e nemmeno i rumori circostanti, faceva
tutto
parte della natura, proprio come me. Nessuno era mai riuscito a capire
questa
mia stretta connessione con il mondo circostante, per questo venivo
sempre
additata come strana.
Estrassi
dal marsupio la mia cena e cominciai a mangiucchiarla con calma.
Un istante dopo vidi comparire Lea che, attirata dall’odore
del cibo, saltò
fuori dal cespuglio in cui si era nascosta; mi corse incontro e mi si
schiantò
addosso, cercando di raggiungere il mio tramezzino. Ma io ebbi i
riflessi
pronti e sollevai il braccio per impedirglielo, mentre lei mi si
arrampicava
addosso e io ridacchiavo.
“Lea!
Come, non volevi correre libera e scappare da me? Ah, e va bene, ci
divideremo il tramezzino!” affermai tra le risate, per poi
lanciare a terra un
pezzetto del mio spuntino. Lea allora ci si fiondò e mi
lasciò finalmente
mangiare in pace. Lanciai anche qualche briciola agli ultimi uccellini
che si
attardavano a tornare al nido dopo il tramonto, e loro ne furono felici.
Avevo
mangiato meno di quello che avrei dovuto, ma avevo sfamato molti
piccoli amichetti e questo mi rendeva completa e soddisfatta.
Mentre
osservavo un piccolo ragnetto che passeggiava tranquillo sul palmo
della mia mano, per poi penzolare dal mio dito tramite un filo che
aveva creato
sul momento, Lea finì la sua razione di cibo e decise di
tornare all’attacco,
in cerca di coccole: mi balzò addosso scodinzolando e mi
costrinse a sdraiarmi
a terra. Io ridevo e lei abbaiava, ci rotolavamo a terra e giocavamo,
contente
come non mai, finché lei non si stancò e corse
via, di nuovo tra gli alberi.
Ancora
tra le risate, mi rimisi seduta e constatai che ero ricoperta di
polvere dalla testa ai piedi. Non importava, stavo benissimo.
Mi
alzai e ripresi a passeggiare, cercando di seguire le tracce di Lea e
ascoltando i fruscii che produceva mentre gironzolava nel bosco.
Però sapevo
che presto avrei dovuto riagganciarla al guinzaglio e riprendere la
strada di
casa, ormai era calata la notte e mia madre si sarebbe preoccupata se
non mi
avesse visto rientrare.
Per
quanto mi riguardava, sarei potuta restare lì per tutta la
notte.
“Lea,
non fare scherzi, vieni fuori! Lea! Dobbiamo tornare a casa!”
Avevo
dovuto accendere la torcia perché, nonostante la luna piena
e
brillante, non filtrava tanta luce tra le chiome degli alberi. Una
punta
d’ansia mi chiudeva lo stomaco: già da diversi
minuti Lea era scomparsa dalla
mia vista e non riuscivo a capire dove si fosse cacciata, non era
tornata
indietro nemmeno quando avevo provato a chiamarla. Non capivo, non era
da lei
comportarsi così, ma una cosa era certa: non sarei tornata a
casa senza la mia
Lea, a costo di doverla cercare per tutta la notte.
“Lea,
andiamo! Dove sei? Sta cominciando a fare freddo, dobbiamo
rientrare!”
D’un
tratto mi immobilizzai e mi misi all’ascolto: un fruscio
frenetico,
che prima mi era parso quasi innocuo, ora si stava facendo sempre
più vicino,
accompagnato da acuti e secchi schiocchi di rami che si rompevano. Era
un
animale piuttosto veloce, di grossa taglia, anche se non avevo idea di
cosa
potesse essere.
Rimasi
immobile, sempre all’ascolto, mentre il cuore accelerava i
suoi
battiti; in genere situazioni del genere non mi intimorivano, ma non mi
era mai
capitato di incontrare una bestia così grande al buio.
Le
mie orecchie percepirono un respiro profondo, quasi un rantolo, tipico
dei cani. Sarei riuscito a gestirlo?
D’un
tratto un latrato acuto e disperato squarciò
l’aria, facendomi
rabbrividire. Era fin troppo familiare.
“Lea!”
strillai, precipitandomi nella direzione da cui proveniva. Non
riuscivo a scorgere cosa stesse succedendo né sapevo dove si
stesse svolgendo
il tutto, ma ero certa che quella bestia avesse attaccato la mia
cagnolina –
intanto lei continuava a lamentarsi e soffrire – e io dovevo
fare qualcosa per
salvarla, non mi importava quali sarebbero state le conseguenze. Lei
era così
piccola, lo scontro con un cane più grosso di lei
l’avrebbe ammazzata e io non
l’avrei potuto sopportare. Il basso ruggito
dell’animale mi riempiva le
orecchie come un campanello d’allarme, ma avrei rischiato.
Corsi
tra diversi alberi e schivai abilmente gli ostacoli – ero
abituata
al campo sterrato – e, quando finalmente giunsi sul luogo, la
scena che mi si
parò davanti mi fece inorridire: Lea, in preda a rantoli
strozzati, era
completamente schiacciata dal peso di un enorme lupo grigio, che le
mordicchiava la testa. Sorpresa di trovarmi di fronte a un animale del
genere,
per un momento pensai che fosse strano che il lupo non
l’avesse ancora finita
azzannandola all’altezza della gola, ma non ebbi troppo tempo
per rifletterci
su. Mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, implorai, nella
speranza che
il lupo mi capisse: “Ti prego, lasciala stare, è
così piccola! Che ti ha fatto
di male? Mollala!”.
Ma
l’animale mi dedicò giusto una breve occhiata, per
poi tornare a
concentrarsi su Lea.
Presa
dalla rabbia e da un forte istinto protettivo, serrai i pugni e mi
scagliai contro di loro, sperando di sbalzare via il lupo e liberare la
mia
cagnolina. Per quanto fossi minuta, gli assestai un potente colpo sul
fianco e
la cosa dovette infastidirlo, perché indietreggiò
appena e prese a fissarmi
come fossi la sua preda, coi suoi enormi e lampeggianti occhi gialli.
In
quell’istante tutto si fermò, incluso il mio
cuore. Che cos’avevo
fatto? Avevo attirato su di me le furie di un animale possente e
muscoloso, che
mi avrebbe attaccato e annientato in un nonnulla. Ero stata
un’idiota, una vera
irresponsabile, e in quel momento ebbi davvero paura.
Mi
balzò addosso e io caddi all’indietro con un
grido. Sentivo solo le
sue enormi zampe fare pressione sul mio corpo magro e dalle ossa
sporgenti, il suo
alito caldo sulla pelle e i suoi denti affilati affondare nella carne
morbida
della mia spalla. Provavo un dolore talmente lancinante che le grida mi
si
bloccavano in gola e la vista mi si appannava; mi dimenavo e tentavo in
tutti i
modi di spingerlo via, ma lui continuava a graffiarmi e mordermi,
accompagnato
da ruggiti gutturali e bassi che mi ferivano le orecchie.
Era
finita, sarei morta.
Ma,
proprio mentre l’alito del lupo raggiungeva il mio collo,
sentii le
sue zampe premere con minor potenza su di me e udii un secondo ringhio,
leggermente più acuto rispetto al primo, diffondersi
nell’aria.
Intanto
Lea uggiolava piano da qualche parte, nascosta tra i cespugli. Sperai che almeno lei si
potesse salvare.
Un
istante dopo ero libera, non avvertivo più nessun peso sopra
di me,
solo un lancinante dolore alla spalla.
Feci
appena in tempo ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la figura
imponente di un secondo lupo, più piccolo e magro rispetto a
quello grigio, dal
pelo scuro come la notte.
Mi
preparai al peggio: erano arrivati i rinforzi.
Però
accadde qualcosa che non mi aspettavo affatto: i due lupi mi
ignorarono completamente e presero a lottare tra loro, azzannandosi e
rotolandosi tra le erbacce e la polvere, ribaltando la situazione in
continuazione. Non riuscivo a distinguere il corpo dell’uno
da quello dell’altro,
per via del buio attorno a noi e della mia vista offuscata dalle
lacrime, ma in
quel momento aveva poca importanza: ero viva e reattiva, avevo qualche
speranza
di salvarmi, nonostante i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle
ferite e
imbrattavano i miei vestiti già sudici. Dovevo soltanto
trovare il modo
per smettere di tremare dal freddo e dalla paura, lottare contro il
dolore e
alzarmi, sgusciare via senza fare rumore e portare Lea con me.
Potevo
farcela?
Un
ululato più forte degli altri mi costrinse a concentrarmi
nuovamente sui
due animali che combattevano: contro tutte le mie aspettative, il
robusto lupo
grigio stava scappando via e si lamentava, come se fosse stato ferito.
Non
avrei mai creduto che lo slanciato lupetto nero l’avrebbe
avuta vinta, non
sembrava affatto abituato alle lotte di quel tipo.
Non
avevo avuto il tempo materiale per scappare, ora avevo ancora
più
paura perché non ero in forze, un attacco ben assestato mi
avrebbe ucciso.
Venni
scossa da un brivido quando vidi l’animale scuro avvicinarsi
lentamente a me, per poi chinare il capo e fissarmi con i suoi occhi
azzurri.
Nonostante il terrore, ebbi il tempo di chiedermi se fosse normale che
un lupo
avesse degli occhi del genere, del colore del cielo d’estate;
la cosa mi pareva
piuttosto assurda.
“T-ti
prego… non mi fare del male, risparmiami… voglio
solo tornare a
casa…” piagnucolai disperata. Dopotutto ero
convinta che gli animali avessero
la capacità di capirmi, tanto valeva provarci.
Il
lupo si lasciò sfuggire un uggiolio, poi sporse il capo
verso di me e
fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata:
cominciò a leccarmi laddove l’altro
lupo mi aveva morso, pulendo via il sangue e disinfettando la ferita.
Strabuzzai gli occhi, un po’ per la sorpresa e un
po’ per il dolore che quel
contatto, seppur dolce, mi procurava.
Ancora
tremante, fui incapace di muovermi e di pronunciare una sola
parola mentre il lupo si adoperava per medicarmi le ferite; mi pareva
una
follia, ma quella bestiola aveva un che di umano, era come se avesse un
cuore e
dei sentimenti, ed era per quello che aveva deciso di aiutarmi.
“Grazie”
mormorai infine, quando smise di pulirmi con delicatezza. Ancora
l’adrenalina mi scorreva nelle vene, ma sentivo che il freddo
si faceva sempre
più penetrante, complice anche il vento che si era
rafforzato.
Gettai
uno sguardo al cielo e adocchiai la luna, luminosa e tonda oltre
l’intreccio di rami sulla mia testa. Ero grata di essere
ancora viva e poterla
vedere.
Il
mio nuovo amico attirò la mia attenzione, passando la punta
del suo
naso umido sul dorso della mia mano.
“Ehi”
mormorai, decisamente più tranquilla. “Vuoi le
coccole?” Mi misi
faticosamente seduta e allungai una mano per accarezzare il pelo folto
e
morbido sulla sua schiena. Era la prima volta che avevo a che fare con
un lupo
così da vicino, quindi ero piuttosto emozionata.
Lui
non si oppose, anzi, nei suoi occhi lessi qualcosa di simile alla
gioia. Era surreale scorgere delle emozioni quasi umane nel suo
sguardo,
cominciavo a pensare di avere le allucinazioni.
Il
cuore fece un’impennata nel mio petto quando il lupo si
sdraiò al mio
fianco e posò il capo sul mio grembo, come a volersi
rifugiare o darmi il suo
affetto. Non riuscivo a smettere di sorridere e di intrecciare le dita
alla sua
pelliccia scura, era talmente bello e tenero che mi scaldava il cuore.
“Sai,
io penso ci sia una connessione particolare tra gli uomini e gli
animali, è qualcosa di inspiegabile. Non tutti
però la sanno cogliere e se ne
accorgono” cominciai a parlare, sperando che la cosa non lo
infastidisse.
“Penso che tra me e te sia successo, ecco, è come
se fossimo legati e ci
capissimo. È unico, è qualcosa di stranissimo e
assurdo, che va oltre la magia.
Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi
salvato.”
Lui,
in tutta risposta, mi leccò appena una mano che avevo
abbandonato
vicino al suo muso.
Stavo
bene, non volevo più lasciarlo andare… non fosse
stato per il vento
che penetrava fino alle mie ossa, facendomi tremare.
Il
lupo se ne accorse e, come se mi avesse letto nel pensiero,
cercò una
soluzione: sollevò il capo e mi diede una leggera spinta per
incitarmi a
sdraiarmi, poi mi si addossò contro, scaldandomi col suo
corpo.
“Oh,
tesoro… ma sei dolcissimo” sussurrai, colta alla
sprovvista; mi
accoccolai contro di lui, ormai senza più paura, e continuai
a coccolarlo come
potevo, carezzandogli la zampa o la testa. Lo abbracciavo e lui non si
opponeva, anzi, si faceva ancora più vicino e si assicurava
che stessi bene,
ogni tanto tornava a leccare qualche mia ferita. Erano come dolci
carezze per
me.
Mi
ritrovai a pensare che nessun essere umano era mai stato
così dolce e
affettuoso con me, quanto quella meravigliosa creatura dagli occhi
azzurri.
Non
seppi spiegarmi come né perché, ma ero talmente
rilassata e tranquilla
che il sonno ebbe il sopravvento e mi addormentai così,
sdraiata in mezzo a un
bosco, con la guancia schiacciata contro il pelo nero di un lupo.
Mi
risvegliai lentamente e mi accorsi che qualcuno o qualcosa mi stava
tirando leggermente per la maglietta: aprii gli occhi e notai che il
mio nuovo
amico ne aveva preso un lembo tra i denti e mi scuoteva piano, forse
proprio
con l’intento di svegliarmi.
“Ciao”
lo salutai con voce impastata dal sonno, accennando un sorriso.
“Che ore sono?”
Lui
in tutta risposta lasciò andare la mia canotta e
sollevò il muso in
direzione del cielo, dove la luna ancora splendeva alta. Era notte
fonda,
probabilmente mancavano ancora diverse ore all’alba.
Intanto
il freddo si era fatto penetrante e, se prima ero stata bene con
il corpo del lupo addosso a me, ora ne sentivo la mancanza e il gelo mi
entrava
nelle ossa, facendomi tremare.
“Io…
voglio tornare a casa” mormorai, stropicciandomi gli occhi
con le
mani. Cominciavo a non capire più niente, ero in pensiero
per Lea e sicuramente
mia madre era terribilmente in ansia. Ero talmente tanto stanca e
confusa che
cominciai a piangere senza motivo e senza preavviso, semplicemente
sbattei le
palpebre e gli occhi mi si appannarono. Presi a singhiozzare e mi
rannicchiai
su me stessa, sfinita.
Quando
incrociai lo sguardo del lupo, lo trovai velato di tristezza. Si
accostò a me e tentò di consolarmi e asciugarmi
le lacrime, posava il suo muso
tra i miei capelli o mi si strusciava contro per riscaldarmi.
“Mi
aiuterai?” gli chiesi tra i singhiozzi, posando la testa
sulla sua
spalla muscolosa. “Io devo… devo cercare
Lea.”
Lui
restò immobile, in attesa che ritrovassi le forze e mi
mettessi in
piedi. Sentivo gli arti intorpiditi e mi ci vollero diversi minuti per
risvegliarli e trovare l’equilibrio. Non potevo nemmeno
contare sul braccio
destro, dal momento che la spalla mi faceva male – anche se,
a giudicare dalla
quantità di sangue che avevo perso, la ferita non doveva
essere tanto profonda.
Il
lupo mi fu accanto per tutto il tempo e mi aiutò a mantenere
l’equilibrio quando rischiavo di perderlo. Per ringraziarlo,
continuai a
lasciargli carezze su tutto il corpo, godendomi ancora il suo piacevole
calore
e la sua compagnia.
Una
volta ripresami, l’animale mi condusse presso un cespuglio e
mi aiutò
a districare i fitti rametti che andavano a comporlo; solo dopo qualche
secondo
mi resi conto che mi aveva indicato il rifugio di Lea, quando le mie
dita
sfiorarono il pelo morbido della cagnolina. In preda
all’ansia, sollevai il suo
corpicino bianco e nero, intorpidito dal freddo, e in risposta ebbi un
sottile
uggiolio. Ero fuori di me dalla gioia: se l’era vista brutta,
aveva diverse
ferite, ma era viva, ce l’aveva fatta!
Con
le lacrime agli occhi, la strinsi a me e la riempii di coccole,
facendo attenzione a non farle male; ma dopo alcuni secondi il lupo mi
diede un
colpetto di naso sul braccio per attirare la mia attenzione, poi
leccò piano la
testolina di Lea, dove era stata ferita, e lei si lasciò
sfuggire un piccolo
latrato.
“Oh,
vuoi medicare anche lei? Sei un adorabile cucciolo, io… sono
commossa” ammisi con la voce rotta dall’emozione,
posando Lea a terra e
lasciandola alle cure dell’animale. Ormai mi fidavo
ciecamente di lui e lo
osservai con curiosità mentre ripuliva Lea, come farebbe
soltanto un genitore
con il proprio figlio.
Quando
ebbe finito, il lupo sollevò il capo e mi fissò;
in tutta risposta
sorrisi e gli regalai una carezza sul muso, poi mi chinai per
riprendere la
cagnolina in braccio e mi guardai attorno. “Uhm…
ho perso il senso dell’orientamento”
mormorai, mentre il cuore mi accelerava nel petto. Non ci voleva
proprio,
dovevo assolutamente tornare a casa!
Ma per l’ennesima volta l’animale nero al mio
fianco fece un gesto inaspettato
in mio aiuto: mi si parò davanti, mi fissò per un
lungo istante negli occhi –
adoravo i suoi, di un azzurro talmente limpido da lampeggiare nella
notte –,
poi mi diede di spalle e prese a camminare lentamente tra gli alberi,
voltandosi di tanto in tanto per controllare che lo stessi seguendo.
“Dove
mi vuoi portare? Tu… tu sai dove abito? È
impossibile, io non ti ho
mai visto prima” affermai perplessa, ma decisi comunque di
seguirlo, in fondo
che alternative avevo? Magari durante il tragitto avrei riconosciuto
qualche
punto di riferimento e sarei poi riuscita a orientarmi.
Rimasi
del tutto spiazzata quando, dopo circa un minuto di camminata, mi
resi conto che stavamo effettivamente percorrendo la strada che
conduceva a
casa mia; il lupo mi stava guidando con passo sicuro, come se
l’avesse percorsa
milioni di volte.
“Wow,
ma come facevi a saperlo?” esclamai, sgranando gli occhi e
correndogli accanto. Lui in tutta risposta si voltò nella
mia direzione e mi
leccò appena il braccio. Ero certa che, se avesse avuto la
possibilità di
sorridere, in quel momento l’avrebbe fatto.
Camminammo
fianco a fianco in silenzio, comunicando tra di noi tramite un
linguaggio che nessun altro avrebbe potuto capire. Stavo vene ed ero a
mio
agio, come non mi era mai capitato in compagnia di nessun altro.
Tuttavia tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi il varco tra gli
alberi
che portava a casa mia, avevo davvero bisogno di riposare e assimilare
tutto
quello che era accaduto.
“Io
sono arrivata” affermai, fermandomi proprio al limitare del
bosco. Il
lupo fece lo stesso e prese a guardarmi in silenzio. Io lo osservai a
mia volta
e venni colta da un moto d’affetto nei suoi confronti: posai
Lea a terra, che
intanto aveva smesso di tremare e si era addormentata, mi avvicinai a
lui e lo
abbracciai come meglio potevo. Sentivo davvero di volergli bene e di
essergli
grata, non riuscivo a capacitarmi di aver incontrato una creatura
così
splendida e dolce.
Lui
strusciò con affetto la sua grande testa contro di me, poi
si sporse
e posò per un istante la punta del suo naso sul mio. Sorrisi
e gli lasciai
un’ultima carezza sul muso. “Ciao”
mormorai prima di allontanarmi.
Recuperai
Lea e mi diressi lentamente verso casa, notando che la luce
della cucina era ancora accesa: probabilmente mia madre era in piedi e
mi stava
aspettando, preoccupatissima. Mi sentivo un po’ in colpa,
però sapevo che avrei
dovuto raccontarle cos’era successo e sarebbe stato piuttosto
complicato. Non
mi avrebbe creduto se le avessi detto che un lupo dagli occhi azzurri
mi aveva
salvato la vita, era convinta che fossi intrappolata nel mondo dei
sogni e
della fantasia come quando ero una bambina.
In
fondo non aveva tutti i torti.
Prima
di aprire la porta d’ingresso, mi voltai un’ultima
volta verso il
bosco e avvistai la sagoma del lupo ferma lì, che ancora mi
teneva d’occhio col
suo sguardo dolce, come un angelo custode. Gli sorrisi di nuovo e gli
rivolsi
un ultimo cenno di saluto, mentre il cuore mi batteva forte nel petto
per la
gioia e l’emozione.
Era
terribilmente bella, nonostante i capelli
arruffati e le foglie secche che vi erano rimaste incastrate,
nonostante i
graffi sulla pelle pallida e i vestiti macchiati di sangue e terriccio.
E non
potevo credere che fosse stato proprio un lupo del mio branco ad
attaccarla, mi
ero sentito davvero male all’idea di perderla e di non poter
più vedere i suoi
lineamenti dolci sul viso piccoletto, i suoi enormi occhi neri come la
notte.
L’avevo difesa, non avrei potuto fare altrimenti, a costo di
rischiare la mia
stessa vita e la reputazione all’interno del branco.
E mentre la
osservavo rientrare a casa con la sua
cagnolina tra le braccia, non potei fare a meno di pensare a quanto
fosse stato
bello starle accanto quella notte: non solo mi ero potuto prendere cura
di lei,
ma avevo avuto modo di conoscerla e scoprire quanto fosse grande il suo
cuore,
quanto fosse sensibile e intelligente. Se prima aveva soltanto attirato
la mia
attenzione, ora potevo affermare di amarla, proprio per quello che era.
Quando
assumevo la mia forma lupesca era tutto più
semplice, ma una volta tornato allo stato umano lei non mi avrebbe mai
riconosciuto, non si sarebbe mai potuta immaginare che il bel lupetto
nero e il
ragazzino pallido fossero la stessa persona. Non lo avrebbe mai potuto
capire e
io non glielo avrei mai spiegato, a scuola mi sarei limitato soltanto a
osservarla da lontano senza mai farmi avanti.
Era tutto
tremendamente complicato, era una
situazione surreale e confusa.
Eppure il mio
cuore parlava chiaro.
Il
lunedì successivo mia madre non voleva assolutamente
lasciarmi tornare
a scuola, diceva che mi sarei dovuta riposare, ma io insistetti
comunque per
andare. Anche se con qualche cerotto sparso per il corpo e
un’enorme garza
bianca sulla spalla.
Non
ero scossa fisicamente e non mi disturbava l’idea di tornare
alla mia
vita di tutti i giorni, soltanto continuavo a pensare alla mia nottata
magica
nel bosco e a quel lupo che mi aveva rubato il cuore. Chissà
se l’avrei più
rivisto.
Come
previsto, mia madre non mi aveva creduto, o almeno non del tutto;
tuttavia la mia spiegazione era l’unica che potesse
giustificare i segni che
avevo sul corpo e il fatto che fossi ancora viva, quindi aveva smesso
di fare
domande e mi aveva concesso il beneficio del dubbio.
In
effetti, non fosse stato per le ferite, avrei creduto anch’io
di
essermi sognata tutto. Però, pensandoci e ripensandoci, me
n’ero fatta una
ragione: nell’universo potevano esserci infinite combinazioni
di eventi,
infiniti casi, l’uno diverso dall’altro, e il mio
era uno di questi.
Quella
mattina arrivai a scuola con la testa tra le nuvole e qualche
brivido a incresparmi la pelle: l’aria frizzante di settembre
mi accarezzava e
io avevo come al solito dimenticato la giacca. Una volta
nell’enorme cortile,
cercai con lo sguardo Michelle, la mia compagna di banco, che giungeva
sempre a
scuola qualche minuto prima di me. Io e lei non eravamo proprio amiche,
ma
andavamo abbastanza d’accordo; era una delle poche persone
che, nonostante i
miei modi di fare bizzarri, voleva avere a che fare con me. Del resto
anche lei
era una tipa strana, una di quelle che leggeva classici greci e latini,
ascoltava musica soltanto strumentale e preferiva fare ritratti alle
persone
piuttosto che parlarci.
Quando
mi vide arrivare, Michelle assottigliò lo sguardo e si
sistemò
meglio gli occhialetti argentati sul naso per essere sicura di
ciò che vedeva.
Sorrisi.
“Cosa
ti è successo?” mi chiese perplessa.
Mi
accomodai sul basso muretto in cemento accanto a lei. “Ho
avuto un
incontro ravvicinato con un lupo” spiegai candidamente.
Lei
scosse la testa con fare sconcertato e io non riuscii a capire se mi
credesse o meno. “Proprio ieri ho fatto il ritratto di un
grande lupo bianco.
Sulla parete della mia camera” disse.
Ridacchiai.
“Che bello!”
Mi
guardai attorno e osservai i gruppetti di studenti che si riunivano,
alcuni vicino all’ingresso, altri in disparte, e
chiacchieravano tra loro,
scambiandosi sigarette e sorrisi. Molti di loro erano abbronzati e le
ragazze
sfoggiavano i loro nuovi e colorati vestiti.
Ormai
la scuola era ricominciata da una settimana e ogni mattina assistevo
a quella particolare processione, però non mi stancava mai e
trovavo sempre
qualche nuovo dettaglio nelle persone che prima non avevo notato.
A
un certo punto il mio sguardo venne attirato da una figura minuta ed
esile, abbigliata con un paio di jeans e una larga t-shirt blu scuro:
si
trattava di un ragazzo dai capelli neri e la pelle pallida che
chiacchierava
con alcuni suoi amici. A giudicare dalle persone con cui si
intratteneva – che
conoscevo di vista – supposi che frequentasse
l’ultimo anno, ma non mi era mai
capitato di vederlo prima di allora.
Stavo
per distogliere lo sguardo e posarlo su qualcun altro, quando lui
si voltò e mi osservò per un istante.
Il
mio cuore perse un battito.
Quegli
occhi azzurri… io li avevo già visti da qualche
parte, ne ero
certa. Erano limpidi e luminosi come il cielo d’estate, se
avessi sollevato lo
sguardo avrei scorto esattamente lo stesso colore sulla mia testa.
E
sapevo bene dove li avevo già visti: in un lupo giovane e
slanciato.
No,
non poteva essere.
“Michelle?”
“Sì?”
“Chi
è quel tipo dai capelli neri e gli occhi azzurri che
c’è laggiù?”
La
mia compagna di banco seguì il mio sguardo, mentre
giocherellava con
una delle sue treccine castane. “Ah, quello con la maglietta
blu? Si chiama
Ives, a quanto pare è nuovo, si è trasferito qui
quest’estate. L’hai notato
solo ora?”
Ridacchiai
tra me. “Ah, non lo sapevo. Sì, è
che… mi sembra di averlo già
visto da qualche parte.”
“Io
invece ho l’impressione che ti stia osservando da qualche
giorno.”
Mi
strinsi nelle spalle, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente
mi stavo lasciando suggestionare troppo dalla faccenda del
lupo, altrimenti non riuscivo a spiegarmi come potessi avere
l’impressione che
quel ragazzo gli assomigliasse.
Scossi
la testa per scacciare via quei pensieri assurdi, mentre la
campanella prendeva a trillare e annunciava l’inizio di una
nuova giornata di
scuola.
♠
♠ ♠ ♠ ♠
Eccomi
qui con una storia del tutto insolita per i miei standard XD non
so perché, ma ultimamente mi sto fissando in maniera del
tutto casuale con i
licantropi – o forse è meglio dire ri-fissando,
dato che li ho sempre trovati
fantastici. Purtroppo ho già letto le principali saghe
fantasy che trattano
l’argomento e non riesco a trovare altri libri per alimentare
la mia
fissazione…
Comunque!
Chi ha
letto la mia raccolta di drabble “Blue Eyed Damned
Soul” avrà
sicuramente riconosciuto (il mio adorato ♥) Ives. Ecco,
ovviamente questa
storia è completamente slegata da quella, ho soltanto voluto
prendere il suo
personaggio perché lo adoro e amo il suo carattere, ma per
l’occasione l’ho
completamente “decontestualizzato”; questo
significa che Millie non è la voce
narrante di quelle drabble, lei l’ho inventata apposta per
questa storia ^^
Spiegato
questo, non mi resta che ringraziarvi per essere passati e giunti
fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta e che piaccia anche
alle due giudici
dei contest :3
Alla
prossima – per tutti i fan di Ives, vi anticipo che presto
avrete
un’altra storia con lui come protagonista, però
nel suo normale contesto anni
Ottanta, droga e fluff ♥
He cares
Era
una torrida giornata di metà settembre, un sabato. Qualunque
normale
diciassettenne avrebbe approfittato degli ultimi strascichi
d’estate per
scorrazzare in giro con gli amici, andare a qualche festa e non pensare
all’ennesimo anno scolastico in cui si era appena imbarcato.
Chiunque,
tranne me.
Prima
di chiudere il libro che tenevo in mano e leggevo ormai da ore
– un
voluminoso fantasy dalla copertina blu scuro –, vi riposi in
mezzo il mio
adorato segnalibro a forma di tostapane, poi lo posai sulla scrivania;
aprii
l’armadio e mi misi alla ricerca di qualcosa da poter
indossare per una
passeggiata in mezzo al bosco insieme a Lea. Ora che il sole cominciava
a
calare e l’aria si era fatta più fresca, era il
momento adatto per portare
fuori la mia cagnolina, come del resto facevo ogni giorno.
Qualunque
normale diciassettenne si sarebbe lamentato di abitare in
periferia, al limitare di un enorme bosco e distante dalla
civiltà, ma per me
era una grande fortuna: amavo la natura, amavo perdere lo sguardo tra
le fronde
degli alberi alla ricerca di qualche nido d’uccello, oppure
chinarmi a
osservare gli animaletti che abitavano il sottobosco. Tutti mi
consideravano
pazza perché parlavo con gli animali, ma non mi importava
tanto.
Mi
osservai allo specchio poco prima di uscire dalla mia stanza: avevo
indossato una canotta bianca sportiva e un paio di shorts in jeans,
mentre i
capelli corvini e leggermente scompigliati mi ricadevano sulle spalle e
sulla
schiena. Andavo benissimo così.
Mi
diressi in cucina e venni subito raggiunta da Lea, che fino a quel
momento aveva ronfato sul tappetino all’ingresso; mi chinai
subito per
accarezzarla, mentre lei faceva le feste e mi correva tra le gambe.
“Piccolina,
dormito bene? Adesso la tua Millie ti porta a fare una
passeggiata, ti va?”
Lea
appiattì le orecchie appuntite sulla testa e mi
guardò con i suoi
occhietti neri e dolci, carica di aspettative. Le lasciai
un’ultima carezza
prima di rimettermi in piedi e avviarmi verso il frigo; al suo interno
trovai
un tramezzino già pronto che mi sarei portata appresso per
cena, così lo infilai
nel mio marsupio insieme a qualche altra cianfrusaglia e mi diressi
verso
l’uscita. Mentre abbassavo la maniglia, gridai:
“Mamma, porto Lea a fare una
passeggiata!”.
Lei,
che probabilmente stava annaffiando le piante nel giardino sul
retro, non si degnò di affacciarsi dentro casa e mi rispose
a gran voce: “Va
bene, ma non fare tardi per la cena!”.
“Non
torno per cena, ho preso qualcosa da mangiare per strada!”
“D’accordo,
ma non fare tardi comunque, non mi piace che tu rimanga in
giro da sola quando fa buio!”
Sorrisi:
mia madre era sempre così carina a preoccuparsi. Eppure
sapeva
che conoscevo i dintorni meglio delle mie tasche, li avevo perlustrati
in lungo
e in largo per diciassette anni. E poi c’era Lea con me, non
ero sola.
Dopo
aver convinto la cagnolina a indossare il guinzaglio e averle
promesso di lasciarla libera una volta dentro il bosco, mi incamminai
insieme a
lei in direzione della folta distesa di alberi che si estendeva alla
destra di
casa mia. Mi sentivo euforica e contenta alla sola idea di immergermi
nella
natura ancora e ancora, non c’era una cosa al mondo che mi
facesse stare
meglio. Solo leggere mi dava una sensazione simile a quella.
“Lea,
smettila di spaventare i leprotti, non vedi come scappano se abbai
contro di loro?” rimproverai scherzosamente la mia piccola
compagna d’avventura
mentre si dimenava e guaiva come un’ossessa. Ormai
passeggiavamo da un bel po’
di tempo, ci eravamo addentrate per bene tra la fitta vegetazione e
supponevo
ne avesse abbastanza di stare legata al guinzaglio.
Sospirai
e rischiai di perdere l’equilibrio quando Lea fece uno scatto
in
avanti, strattonandomi; per essere così piccoletta aveva una
forza non
indifferente, un sacco di volte mi aveva costretto a correre per starle
dietro.
Anche per questo la adoravo.
“Okay,
sai che facciamo adesso? Io mi siedo e ceno, così nel
frattempo ti
lascio libera” affermai mentre la liberavo.
Lei
ne fu entusiasta e prese subito a correre tra arbusti e bassi
cespugli, facendomi sorridere. Anche quando la perdevo di vista, sapevo
che
sarebbe tornata indietro da me.
Mi
guardai attorno e individuai un posticino in cui potermi accomodare,
con la schiena a ridosso del robusto tronco di un albero; mi sedetti
tra le
sterpaglie e l’erba secca che formavano un comodo e morbido
cuscinetto, senza
alcun timore di sporcarmi, e tirai fuori il mio tramezzino. Ormai il
sole era
quasi del tutto tramontato, gli ultimi raggi di luce filtravano tra i
fitti
rami conferendo al sottobosco un’atmosfera particolare,
mentre le foglie
venivano mosse da un vento leggero e fresco. Si stava davvero bene e,
nonostante la penombra, io non avevo paura: gli animali non mi
spaventavano,
gli insetti non mi spaventavano e nemmeno i rumori circostanti, faceva
tutto
parte della natura, proprio come me. Nessuno era mai riuscito a capire
questa
mia stretta connessione con il mondo circostante, per questo venivo
sempre
additata come strana.
Estrassi
dal marsupio la mia cena e cominciai a mangiucchiarla con calma.
Un istante dopo vidi comparire Lea che, attirata dall’odore
del cibo, saltò
fuori dal cespuglio in cui si era nascosta; mi corse incontro e mi si
schiantò
addosso, cercando di raggiungere il mio tramezzino. Ma io ebbi i
riflessi
pronti e sollevai il braccio per impedirglielo, mentre lei mi si
arrampicava
addosso e io ridacchiavo.
“Lea!
Come, non volevi correre libera e scappare da me? Ah, e va bene, ci
divideremo il tramezzino!” affermai tra le risate, per poi
lanciare a terra un
pezzetto del mio spuntino. Lea allora ci si fiondò e mi
lasciò finalmente
mangiare in pace. Lanciai anche qualche briciola agli ultimi uccellini
che si
attardavano a tornare al nido dopo il tramonto, e loro ne furono felici.
Avevo
mangiato meno di quello che avrei dovuto, ma avevo sfamato molti
piccoli amichetti e questo mi rendeva completa e soddisfatta.
Mentre
osservavo un piccolo ragnetto che passeggiava tranquillo sul palmo
della mia mano, per poi penzolare dal mio dito tramite un filo che
aveva creato
sul momento, Lea finì la sua razione di cibo e decise di
tornare all’attacco,
in cerca di coccole: mi balzò addosso scodinzolando e mi
costrinse a sdraiarmi
a terra. Io ridevo e lei abbaiava, ci rotolavamo a terra e giocavamo,
contente
come non mai, finché lei non si stancò e corse
via, di nuovo tra gli alberi.
Ancora
tra le risate, mi rimisi seduta e constatai che ero ricoperta di
polvere dalla testa ai piedi. Non importava, stavo benissimo.
Mi
alzai e ripresi a passeggiare, cercando di seguire le tracce di Lea e
ascoltando i fruscii che produceva mentre gironzolava nel bosco.
Però sapevo
che presto avrei dovuto riagganciarla al guinzaglio e riprendere la
strada di
casa, ormai era calata la notte e mia madre si sarebbe preoccupata se
non mi
avesse visto rientrare.
Per
quanto mi riguardava, sarei potuta restare lì per tutta la
notte.
“Lea,
non fare scherzi, vieni fuori! Lea! Dobbiamo tornare a casa!”
Avevo
dovuto accendere la torcia perché, nonostante la luna piena
e
brillante, non filtrava tanta luce tra le chiome degli alberi. Una
punta
d’ansia mi chiudeva lo stomaco: già da diversi
minuti Lea era scomparsa dalla
mia vista e non riuscivo a capire dove si fosse cacciata, non era
tornata
indietro nemmeno quando avevo provato a chiamarla. Non capivo, non era
da lei
comportarsi così, ma una cosa era certa: non sarei tornata a
casa senza la mia
Lea, a costo di doverla cercare per tutta la notte.
“Lea,
andiamo! Dove sei? Sta cominciando a fare freddo, dobbiamo
rientrare!”
D’un
tratto mi immobilizzai e mi misi all’ascolto: un fruscio
frenetico,
che prima mi era parso quasi innocuo, ora si stava facendo sempre
più vicino,
accompagnato da acuti e secchi schiocchi di rami che si rompevano. Era
un
animale piuttosto veloce, di grossa taglia, anche se non avevo idea di
cosa
potesse essere.
Rimasi
immobile, sempre all’ascolto, mentre il cuore accelerava i
suoi
battiti; in genere situazioni di questo tipo non mi intimorivano, ma non mi
era mai
capitato di incontrare una bestia così grande al buio.
Le
mie orecchie percepirono un respiro profondo, quasi un rantolo, tipico
dei cani. Sarei riuscito a gestirlo?
D’un
tratto un latrato acuto e disperato squarciò
l’aria, facendomi
rabbrividire. Era fin troppo familiare.
“Lea!”
strillai, precipitandomi nella direzione da cui proveniva. Non
riuscivo a scorgere cosa stesse succedendo né sapevo dove si
stesse svolgendo
il tutto, ma ero certa che quella bestia avesse attaccato la mia
cagnolina –
intanto lei continuava a lamentarsi e soffrire – e io dovevo
fare qualcosa per
salvarla, non mi importava quali sarebbero state le conseguenze. Lei
era così
piccola, lo scontro con un cane più grosso di lei
l’avrebbe ammazzata e io non
l’avrei potuto sopportare. Il basso ruggito
dell’animale mi riempiva le
orecchie come un campanello d’allarme, ma avrei rischiato.
Corsi
tra diversi alberi e schivai abilmente gli ostacoli – ero
abituata
al campo sterrato – e, quando finalmente giunsi sul luogo, la
scena che mi si
parò davanti mi fece inorridire: Lea, in preda a rantoli
strozzati, era
completamente schiacciata dal peso di un enorme lupo grigio, che le
mordicchiava la testa. Sorpresa di trovarmi di fronte a un animale del
genere,
per un momento pensai che fosse strano che il lupo non
l’avesse ancora finita
azzannandola all’altezza della gola, ma non ebbi troppo tempo
per rifletterci
su. Mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, implorai, nella
speranza che
il lupo mi capisse: “Ti prego, lasciala stare, è
così piccola! Che ti ha fatto
di male? Mollala!”.
Ma
l’animale mi dedicò giusto una breve occhiata, per
poi tornare a
concentrarsi su Lea.
Presa
dalla rabbia e da un forte istinto protettivo, serrai i pugni e mi
scagliai contro di loro, sperando di sbalzare via il lupo e liberare la
mia
cagnolina. Per quanto fossi minuta, gli assestai un potente colpo sul
fianco e
la cosa dovette infastidirlo, perché indietreggiò
appena e prese a fissarmi
come fossi la sua preda, coi suoi enormi e lampeggianti occhi gialli.
In
quell’istante tutto si fermò, incluso il mio
cuore. Che cos’avevo
fatto? Avevo attirato su di me le furie di un animale possente e
muscoloso, che
mi avrebbe attaccato e annientato in un nonnulla. Ero stata
un’idiota, una vera
irresponsabile, e in quel momento ebbi davvero paura.
Mi
balzò addosso e io caddi all’indietro con un
grido. Sentivo solo le
sue enormi zampe fare pressione sul mio corpo magro e dalle ossa
sporgenti, il suo
alito caldo sulla pelle e i suoi denti affilati affondare nella carne
morbida
della mia spalla. Provavo un dolore talmente lancinante che le grida mi
si
bloccavano in gola e la vista mi si appannava; mi dimenavo e tentavo in
tutti i
modi di spingerlo via, ma lui continuava a graffiarmi e mordermi,
accompagnato
da ruggiti gutturali e bassi che mi ferivano le orecchie.
Era
finita, sarei morta.
Ma,
proprio mentre l’alito del lupo raggiungeva il mio collo,
sentii le
sue zampe premere con minor potenza su di me e udii un secondo ringhio,
leggermente più acuto rispetto al primo, diffondersi
nell’aria.
Intanto
Lea uggiolava piano da qualche parte, nascosta tra i cespugli. Sperai che almeno lei si
potesse salvare.
Un
istante dopo ero libera, non avvertivo più nessun peso sopra
di me,
solo un lancinante dolore alla spalla.
Feci
appena in tempo ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la figura
imponente di un secondo lupo, più piccolo e magro rispetto a
quello grigio, dal
pelo scuro come la notte.
Mi
preparai al peggio: erano arrivati i rinforzi.
Però
accadde qualcosa che non mi aspettavo affatto: i due lupi mi
ignorarono completamente e presero a lottare tra loro, azzannandosi e
rotolandosi tra le erbacce e la polvere, ribaltando la situazione in
continuazione. Non riuscivo a distinguere il corpo dell’uno
da quello dell’altro,
per via del buio attorno a noi e della mia vista offuscata dalle
lacrime, ma in
quel momento aveva poca importanza: ero viva e reattiva, avevo qualche
speranza
di salvarmi, nonostante i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle
ferite e
imbrattavano i miei vestiti già sudici. Dovevo soltanto
trovare il modo
per smettere di tremare dal freddo e dalla paura, lottare contro il
dolore e
alzarmi, sgusciare via senza fare rumore e portare Lea con me.
Potevo
farcela?
Un
ululato più forte degli altri mi costrinse a concentrarmi
nuovamente sui
due animali che combattevano: contro tutte le mie aspettative, il
robusto lupo
grigio stava scappando via e si lamentava, come se fosse stato ferito.
Non
avrei mai creduto che lo slanciato lupetto nero l’avrebbe
avuta vinta, non
sembrava affatto abituato alle lotte di quel tipo.
Non
avevo avuto il tempo materiale per scappare, ora avevo ancora
più
paura perché non ero in forze, un attacco ben assestato mi
avrebbe ucciso.
Venni
scossa da un brivido quando vidi l’animale scuro avvicinarsi
lentamente a me, per poi chinare il capo e fissarmi con i suoi occhi
azzurri.
Nonostante il terrore, ebbi il tempo di chiedermi se fosse normale che
un lupo
avesse degli occhi del genere, del colore del cielo d’estate;
la cosa mi pareva
piuttosto assurda.
“T-ti
prego… non mi fare del male, risparmiami… voglio
solo tornare a
casa…” piagnucolai disperata. Dopotutto ero
convinta che gli animali avessero
la capacità di capirmi, tanto valeva provarci.
Il
lupo si lasciò sfuggire un uggiolio, poi sporse il capo
verso di me e
fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata:
cominciò a leccarmi laddove l’altro
lupo mi aveva morso, pulendo via il sangue e disinfettando la ferita.
Strabuzzai gli occhi, un po’ per la sorpresa e un
po’ per il dolore che quel
contatto, seppur dolce, mi procurava.
Ancora
tremante, fui incapace di muovermi e di pronunciare una sola
parola mentre il lupo si adoperava per medicarmi le ferite; mi pareva
una
follia, ma quella bestiola aveva un che di umano, era come se avesse un
cuore e
dei sentimenti, ed era per quello che aveva deciso di aiutarmi.
“Grazie”
mormorai infine, quando smise di pulirmi con delicatezza. Ancora
l’adrenalina mi scorreva nelle vene, ma sentivo che il freddo
si faceva sempre
più penetrante, complice anche il vento che si era
rafforzato.
Gettai
uno sguardo al cielo e adocchiai la luna, luminosa e tonda oltre
l’intreccio di rami sulla mia testa. Ero grata di essere
ancora viva e poterla
vedere.
Il
mio nuovo amico attirò la mia attenzione, passando la punta
del suo
naso umido sul dorso della mia mano.
“Ehi”
mormorai, decisamente più tranquilla. “Vuoi le
coccole?” Mi misi
faticosamente seduta e allungai una mano per accarezzare il pelo folto
e
morbido sulla sua schiena. Era la prima volta che avevo a che fare con
un lupo
così da vicino, quindi ero piuttosto emozionata.
Lui
non si oppose, anzi, nei suoi occhi lessi qualcosa di simile alla
gioia. Era surreale scorgere delle emozioni quasi umane nel suo
sguardo,
cominciavo a pensare di avere le allucinazioni.
Il
cuore fece un’impennata nel mio petto quando il lupo si
sdraiò al mio
fianco e posò il capo sul mio grembo, come a volersi
rifugiare o darmi il suo
affetto. Non riuscivo a smettere di sorridere e di intrecciare le dita
alla sua
pelliccia scura, era talmente bello e tenero che mi scaldava il cuore.
“Sai,
io penso ci sia una connessione particolare tra gli uomini e gli
animali, è qualcosa di inspiegabile. Non tutti
però la sanno cogliere e se ne
accorgono” cominciai a parlare, sperando che la cosa non lo
infastidisse.
“Penso che tra me e te sia successo, ecco, è come
se fossimo legati e ci
capissimo. È unico, è qualcosa di stranissimo e
assurdo, che va oltre la magia.
Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi
salvato.”
Lui,
in tutta risposta, mi leccò appena una mano che avevo
abbandonato
vicino al suo muso.
Stavo
bene, non volevo più lasciarlo andare… non fosse
stato per il vento
che penetrava fino alle mie ossa, facendomi tremare.
Il
lupo se ne accorse e, come se mi avesse letto nel pensiero,
cercò una
soluzione: sollevò il capo e mi diede una leggera spinta per
incitarmi a
sdraiarmi, poi mi si addossò contro, scaldandomi col suo
corpo.
“Oh,
tesoro… ma sei dolcissimo” sussurrai, colta alla
sprovvista; mi
accoccolai contro di lui, ormai senza più paura, e continuai
a coccolarlo come
potevo, carezzandogli la zampa o la testa. Lo abbracciavo e lui non si
opponeva, anzi, si faceva ancora più vicino e si assicurava
che stessi bene,
ogni tanto tornava a leccare qualche mia ferita. Erano come dolci
carezze per
me.
Mi
ritrovai a pensare che nessun essere umano era mai stato
così dolce e
affettuoso con me, quanto quella meravigliosa creatura dagli occhi
azzurri.
Non
seppi spiegarmi come né perché, ma ero talmente
rilassata e tranquilla
che il sonno ebbe il sopravvento e mi addormentai così,
sdraiata in mezzo a un
bosco, con la guancia schiacciata contro il pelo nero di un lupo.
Mi
risvegliai lentamente e mi accorsi che qualcuno o qualcosa mi stava
tirando leggermente per la maglietta: aprii gli occhi e notai che il
mio nuovo
amico ne aveva preso un lembo tra i denti e mi scuoteva piano, forse
proprio
con l’intento di svegliarmi.
“Ciao”
lo salutai con voce impastata dal sonno, accennando un sorriso.
“Che ore sono?”
Lui
in tutta risposta lasciò andare la mia canotta e
sollevò il muso in
direzione del cielo, dove la luna ancora splendeva alta. Era notte
fonda,
probabilmente mancavano ancora diverse ore all’alba.
Intanto
il freddo si era fatto penetrante e, se prima ero stata bene con
il corpo del lupo addosso a me, ora ne sentivo la mancanza e il gelo mi
entrava
nelle ossa, facendomi tremare.
“Io…
voglio tornare a casa” mormorai, stropicciandomi gli occhi
con le
mani. Cominciavo a non capire più niente, ero in pensiero
per Lea e sicuramente
mia madre era terribilmente in ansia. Ero talmente tanto stanca e
confusa che
cominciai a piangere senza motivo e senza preavviso, semplicemente
sbattei le
palpebre e gli occhi mi si appannarono. Presi a singhiozzare e mi
rannicchiai
su me stessa, sfinita.
Quando
incrociai lo sguardo del lupo, lo trovai velato di tristezza. Si
accostò a me e tentò di consolarmi e asciugarmi
le lacrime, posava il suo muso
tra i miei capelli o mi si strusciava contro per riscaldarmi.
“Mi
aiuterai?” gli chiesi tra i singhiozzi, posando la testa
sulla sua
spalla muscolosa. “Io devo… devo cercare
Lea.”
Lui
restò immobile, in attesa che ritrovassi le forze e mi
mettessi in
piedi. Sentivo gli arti intorpiditi e mi ci vollero diversi minuti per
risvegliarli e trovare l’equilibrio. Non potevo nemmeno
contare sul braccio
destro, dal momento che la spalla mi faceva male – anche se,
a giudicare dalla
quantità di sangue che avevo perso, la ferita non doveva
essere tanto profonda.
Il
lupo mi fu accanto per tutto il tempo e mi aiutò a mantenere
l’equilibrio quando rischiavo di perderlo. Per ringraziarlo,
continuai a
lasciargli carezze su tutto il corpo, godendomi ancora il suo piacevole
calore
e la sua compagnia.
Una
volta ripresami, l’animale mi condusse presso un cespuglio e
mi aiutò
a districare i fitti rametti che andavano a comporlo; solo dopo qualche
secondo
mi resi conto che mi aveva indicato il rifugio di Lea, quando le mie
dita
sfiorarono il pelo morbido della cagnolina. In preda
all’ansia, sollevai il suo
corpicino bianco e nero, intorpidito dal freddo, e in risposta ebbi un
sottile
uggiolio. Ero fuori di me dalla gioia: se l’era vista brutta,
aveva diverse
ferite, ma era viva, ce l’aveva fatta!
Con
le lacrime agli occhi, la strinsi a me e la riempii di coccole,
facendo attenzione a non farle male; ma dopo alcuni secondi il lupo mi
diede un
colpetto di naso sul braccio per attirare la mia attenzione, poi
leccò piano la
testolina di Lea, dove era stata ferita, e lei si lasciò
sfuggire un piccolo
latrato.
“Oh,
vuoi medicare anche lei? Sei un adorabile cucciolo, io… sono
commossa” ammisi con la voce rotta dall’emozione,
posando Lea a terra e
lasciandola alle cure dell’animale. Ormai mi fidavo
ciecamente di lui e lo
osservai con curiosità mentre ripuliva Lea, come farebbe
soltanto un genitore
con il proprio figlio.
Quando
ebbe finito, il lupo sollevò il capo e mi fissò;
in tutta risposta
sorrisi e gli regalai una carezza sul muso, poi mi chinai per
riprendere la
cagnolina in braccio e mi guardai attorno. “Uhm…
ho perso il senso dell’orientamento”
mormorai, mentre il cuore mi accelerava nel petto. Non ci voleva
proprio,
dovevo assolutamente tornare a casa!
Ma per l’ennesima volta l’animale nero al mio
fianco fece un gesto inaspettato
in mio aiuto: mi si parò davanti, mi fissò per un
lungo istante negli occhi –
adoravo i suoi, di un azzurro talmente limpido da lampeggiare nella
notte –,
poi mi diede di spalle e prese a camminare lentamente tra gli alberi,
voltandosi di tanto in tanto per controllare che lo stessi seguendo.
“Dove
mi vuoi portare? Tu… tu sai dove abito? È
impossibile, io non ti ho
mai visto prima” affermai perplessa, ma decisi comunque di
seguirlo, in fondo
che alternative avevo? Magari durante il tragitto avrei riconosciuto
qualche
punto di riferimento e sarei poi riuscita a orientarmi.
Rimasi
del tutto spiazzata quando, dopo circa un minuto di camminata, mi
resi conto che stavamo effettivamente percorrendo la strada che
conduceva a
casa mia; il lupo mi stava guidando con passo sicuro, come se
l’avesse percorsa
milioni di volte.
“Wow,
ma come facevi a saperlo?” esclamai, sgranando gli occhi e
correndogli accanto. Lui in tutta risposta si voltò nella
mia direzione e mi
leccò appena il braccio. Ero certa che, se avesse avuto la
possibilità di
sorridere, in quel momento l’avrebbe fatto.
Camminammo
fianco a fianco in silenzio, comunicando tra di noi tramite un
linguaggio che nessun altro avrebbe potuto capire. Stavo bene ed ero a
mio
agio, come non mi era mai capitato in compagnia di nessun altro.
Tuttavia tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi il varco tra gli
alberi
che portava a casa mia, avevo davvero bisogno di riposare e assimilare
tutto
quello che era accaduto.
“Io
sono arrivata” affermai, fermandomi proprio al limitare del
bosco. Il
lupo fece lo stesso e prese a guardarmi in silenzio. Io lo osservai a
mia volta
e venni colta da un moto d’affetto nei suoi confronti: posai
Lea a terra, che
intanto aveva smesso di tremare e si era addormentata, mi avvicinai a
lui e lo
abbracciai come meglio potevo. Sentivo davvero di volergli bene e di
essergli
grata, non riuscivo a capacitarmi di aver incontrato una creatura
così
splendida e dolce.
Lui
strusciò con affetto la sua grande testa contro di me, poi
si sporse
e posò per un istante la punta del suo naso sul mio. Sorrisi
e gli lasciai
un’ultima carezza sul muso. “Ciao”
mormorai prima di allontanarmi.
Recuperai
Lea e mi diressi lentamente verso casa, notando che la luce
della cucina era ancora accesa: probabilmente mia madre era in piedi e
mi stava
aspettando, preoccupatissima. Mi sentivo un po’ in colpa,
però sapevo che avrei
dovuto raccontarle cos’era successo e sarebbe stato piuttosto
complicato. Non
mi avrebbe creduto se le avessi detto che un lupo dagli occhi azzurri
mi aveva
salvato la vita, era convinta che fossi intrappolata nel mondo dei
sogni e
della fantasia come quando ero una bambina.
In
fondo non aveva tutti i torti.
Prima
di aprire la porta d’ingresso, mi voltai un’ultima
volta verso il
bosco e avvistai la sagoma del lupo ferma lì, che ancora mi
teneva d’occhio col
suo sguardo dolce, come un angelo custode. Gli sorrisi di nuovo e gli
rivolsi
un ultimo cenno di saluto, mentre il cuore mi batteva forte nel petto
per la
gioia e l’emozione.
Era
terribilmente bella, nonostante i capelli
arruffati e le foglie secche che vi erano rimaste incastrate,
nonostante i
graffi sulla pelle pallida e i vestiti macchiati di sangue e terriccio.
E non
potevo credere che fosse stato proprio un lupo del mio branco ad
attaccarla, mi
ero sentito davvero male all’idea di perderla e di non poter
più vedere i suoi
lineamenti dolci sul viso piccoletto, i suoi enormi occhi neri come la
notte.
L’avevo difesa, non avrei potuto fare altrimenti, a costo di
rischiare la mia
stessa vita e la reputazione all’interno del branco.
E mentre la
osservavo rientrare a casa con la sua
cagnolina tra le braccia, non potei fare a meno di pensare a quanto
fosse stato
bello starle accanto quella notte: non solo mi ero potuto prendere cura
di lei,
ma avevo avuto modo di conoscerla e scoprire quanto fosse grande il suo
cuore,
quanto fosse sensibile e intelligente. Se prima aveva soltanto attirato
la mia
attenzione, ora potevo affermare di amarla, proprio per quello che era.
Quando
assumevo la mia forma lupesca era tutto più
semplice, ma una volta tornato allo stato umano lei non mi avrebbe mai
riconosciuto, non si sarebbe mai potuta immaginare che il bel lupetto
nero e il
ragazzino pallido fossero la stessa persona. Non lo avrebbe mai potuto
capire e
io non glielo avrei mai spiegato, a scuola mi sarei limitato soltanto a
osservarla da lontano senza mai farmi avanti.
Era tutto
tremendamente complicato, era una
situazione surreale e confusa.
Eppure il mio
cuore parlava chiaro.
Il
lunedì successivo mia madre non voleva assolutamente
lasciarmi tornare
a scuola, diceva che mi sarei dovuta riposare, ma io insistetti
comunque per
andare. Anche se con qualche cerotto sparso per il corpo e
un’enorme garza
bianca sulla spalla.
Non
ero scossa fisicamente e non mi disturbava l’idea di tornare
alla mia
vita di tutti i giorni, soltanto continuavo a pensare alla mia nottata
magica
nel bosco e a quel lupo che mi aveva rubato il cuore. Chissà
se l’avrei più
rivisto.
Come
previsto, mia madre non mi aveva creduto, o almeno non del tutto;
tuttavia la mia spiegazione era l’unica che potesse
giustificare i segni che
avevo sul corpo e il fatto che fossi ancora viva, quindi aveva smesso
di fare
domande e mi aveva concesso il beneficio del dubbio.
In
effetti, non fosse stato per le ferite, avrei creduto anch’io
di
essermi sognata tutto. Però, pensandoci e ripensandoci, me
n’ero fatta una
ragione: nell’universo potevano esserci infinite combinazioni
di eventi,
infiniti casi, l’uno diverso dall’altro, e il mio
era uno di questi.
Quella
mattina arrivai a scuola con la testa tra le nuvole e qualche
brivido a incresparmi la pelle: l’aria frizzante di settembre
mi accarezzava e
io avevo come al solito dimenticato la giacca. Una volta
nell’enorme cortile,
cercai con lo sguardo Michelle, la mia compagna di banco, che giungeva
sempre a
scuola qualche minuto prima di me. Io e lei non eravamo proprio amiche,
ma
andavamo abbastanza d’accordo; era una delle poche persone
che, nonostante i
miei modi di fare bizzarri, voleva avere a che fare con me. Del resto
anche lei
era una tipa strana, una di quelle che leggeva classici greci e latini,
ascoltava musica soltanto strumentale e preferiva fare ritratti alle
persone
piuttosto che parlarci.
Quando
mi vide arrivare, Michelle assottigliò lo sguardo e si
sistemò
meglio gli occhialetti argentati sul naso per essere sicura di
ciò che vedeva.
Sorrisi.
“Cosa
ti è successo?” mi chiese perplessa.
Mi
accomodai sul basso muretto in cemento accanto a lei. “Ho
avuto un
incontro ravvicinato con un lupo” spiegai candidamente.
Lei
scosse la testa con fare sconcertato e io non riuscii a capire se mi
credesse o meno. “Proprio ieri ho fatto il ritratto di un
grande lupo bianco.
Sulla parete della mia camera” disse.
Ridacchiai.
“Che bello!”
Mi
guardai attorno e osservai i gruppetti di studenti che si riunivano,
alcuni vicino all’ingresso, altri in disparte, e
chiacchieravano tra loro,
scambiandosi sigarette e sorrisi. Molti di loro erano abbronzati e le
ragazze
sfoggiavano i loro nuovi e colorati vestiti.
Ormai
la scuola era ricominciata da una settimana e ogni mattina assistevo
a quella particolare processione, però non mi stancava mai e
trovavo sempre
qualche nuovo dettaglio nelle persone che prima non avevo notato.
A
un certo punto il mio sguardo venne attirato da una figura minuta ed
esile, abbigliata con un paio di jeans e una larga t-shirt blu scuro:
si
trattava di un ragazzo dai capelli neri e la pelle pallida che
chiacchierava
con alcuni suoi amici. A giudicare dalle persone con cui si
intratteneva – che
conoscevo di vista – supposi che frequentasse
l’ultimo anno, ma non mi era mai
capitato di vederlo prima di allora.
Stavo
per distogliere lo sguardo e posarlo su qualcun altro, quando lui
si voltò e mi osservò per un istante.
Il
mio cuore perse un battito.
Quegli
occhi azzurri… io li avevo già visti da qualche
parte, ne ero
certa. Erano limpidi e luminosi come il cielo d’estate, se
avessi sollevato lo
sguardo avrei scorto esattamente lo stesso colore sulla mia testa.
E
sapevo bene dove li avevo già visti: in un lupo giovane e
slanciato.
No,
non poteva essere.
“Michelle?”
“Sì?”
“Chi
è quel tipo dai capelli neri e gli occhi azzurri che
c’è laggiù?”
La
mia compagna di banco seguì il mio sguardo, mentre
giocherellava con
una delle sue treccine castane. “Ah, quello con la maglietta
blu? Si chiama
Ives, a quanto pare è nuovo, si è trasferito qui
quest’estate. L’hai notato
solo ora?”
Ridacchiai
tra me. “Ah, non lo sapevo. Sì, è
che… mi sembra di averlo già
visto da qualche parte.”
“Io
invece ho l’impressione che ti stia osservando da qualche
giorno.”
Mi
strinsi nelle spalle, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente
mi stavo lasciando suggestionare troppo dalla faccenda del
lupo, altrimenti non riuscivo a spiegarmi come potessi avere
l’impressione che
quel ragazzo gli assomigliasse.
Scossi
la testa per scacciare via quei pensieri assurdi, mentre la
campanella prendeva a trillare e annunciava l’inizio di una
nuova giornata di
scuola.
♠
♠ ♠ ♠ ♠
Eccomi
qui con una storia del tutto insolita per i miei standard XD non
so perché, ma ultimamente mi sto fissando in maniera del
tutto casuale con i
licantropi – o forse è meglio dire ri-fissando,
dato che li ho sempre trovati
fantastici. Purtroppo ho già letto le principali saghe
fantasy che trattano
l’argomento e non riesco a trovare altri libri per alimentare
la mia
fissazione…
Comunque!
Chi ha
letto la mia raccolta di drabble “Blue Eyed Damned
Soul” avrà
sicuramente riconosciuto (il mio adorato ♥) Ives. Ecco,
ovviamente questa
storia è completamente slegata da quella, ho soltanto voluto
prendere il suo
personaggio perché lo adoro e amo il suo carattere, ma per
l’occasione l’ho
completamente “decontestualizzato”; questo
significa che Millie non è la voce
narrante di quelle drabble, lei l’ho inventata apposta per
questa storia ^^
Spiegato
questo, non mi resta che ringraziarvi per essere passati e giunti
fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta e che piaccia anche
alle due giudici
dei contest :3
Alla
prossima – per tutti i fan di Ives, vi anticipo che presto
avrete
un’altra storia con lui come protagonista, però
nel suo normale contesto anni
Ottanta, droga e fluff ♥
He cares
Era
una torrida giornata di metà settembre, un sabato. Qualunque
normale
diciassettenne avrebbe approfittato degli ultimi strascichi
d’estate per
scorrazzare in giro con gli amici, andare a qualche festa e non pensare
all’ennesimo anno scolastico in cui si era appena imbarcato.
Chiunque,
tranne me.
Prima
di chiudere il libro che tenevo in mano e leggevo ormai da ore
– un
voluminoso fantasy dalla copertina blu scuro –, vi riposi in
mezzo il mio
adorato segnalibro a forma di tostapane, poi lo posai sulla scrivania;
aprii
l’armadio e mi misi alla ricerca di qualcosa da poter
indossare per una
passeggiata in mezzo al bosco insieme a Lea. Ora che il sole cominciava
a
calare e l’aria si era fatta più fresca, ora il
momento adatto per portare
fuori la mia cagnolina, come del resto facevo ogni giorno.
Qualunque
normale diciassettenne si sarebbe lamentato di abitare in
periferia, al limitare di un enorme bosco e distante dalla
civiltà, ma per me
era una grande fortuna: amavo la natura, amavo perdere lo sguardo tra
le fronde
degli alberi alla ricerca di qualche nido d’uccello, oppure
chinarmi a
osservare gli animaletti che abitavano il sottobosco. Tutti mi
consideravano
pazza perché parlavo con gli animali, ma non mi importava
tanto.
Mi
osservai allo specchio poco prima di uscire dalla mia stanza: avevo
indossato una canotta bianca sportiva e un paio di shorts in jeans,
mentre i
capelli corvini e leggermente scompigliati mi ricadevano sulle spalle e
sulla
schiena. Andavo benissimo così.
Mi
diressi in cucina e venni subito raggiunta da Lea, che fino a quel
momento aveva ronfato sul tappetino all’ingresso; mi chinai
subito per
accarezzarla, mentre lei faceva le feste e mi correva tra le gambe.
“Piccolina,
dormito bene? Adesso la tua Millie ti porta a fare una
passeggiata, ti va?”
Lea
appiattì le orecchie appuntite sulla testa e mi
guardò con i suoi
occhietti neri e dolci, carica di aspettative. Le lasciai
un’ultima carezza
prima di rimettermi in piedi e avviarmi verso il frigo; al suo interno
trovai
un tramezzino già pronto che mi sarei portata appresso per
cena, così lo infilai
nel mio marsupio insieme a qualche altra cianfrusaglia e mi diressi
verso
l’uscita. Mentre abbassavo la maniglia, gridai:
“Mamma, porto Lea a fare una
passeggiata!”.
Lei,
che probabilmente stava annaffiando le piante nel giardino sul
retro, non si degnò di affacciarsi dentro casa e mi rispose
a gran voce: “Va
bene, ma non fare tardi per la cena!”.
“Non
torno per cena, ho preso qualcosa da mangiare per strada!”
“D’accordo,
ma non fare tardi comunque, non mi piace che tu rimanga in
giro da sola quando fa buio!”
Sorrisi:
mia madre era sempre così carina a preoccuparsi. Eppure
sapeva
che conoscevo i dintorni meglio delle mie tasche, li avevo perlustrati
in lungo
e in largo per diciassette anni. E poi c’era Lea con me, non
ero sola.
Dopo
aver convinto la cagnolina a indossare il guinzaglio e averle
promesso di lasciarla libera una volta dentro il bosco, mi incamminai
insieme a
lei in direzione della folta distesa di alberi che si estendeva alla
destra di
casa mia. Mi sentivo euforica e contenta alla sola idea di immergermi
nella
natura ancora e ancora, non c’era una cosa al mondo che mi
facesse stare
meglio. Solo leggere mi dava una sensazione simile a quella.
“Lea,
smettila di spaventare i leprotti, non vedi come scappano se abbai
contro di loro?” rimproverai scherzosamente la mia piccola
compagna d’avventura
mentre si dimenava e guaiva come un’ossessa. Ormai
passeggiavamo da un bel po’
di tempo, ci eravamo addentrate per bene tra la fitta vegetazione e
supponevo
ne avesse abbastanza di stare legata al guinzaglio.
Sospirai
e rischiai di perdere l’equilibrio quando Lea fece uno scatto
in
avanti, strattonandomi; per essere così piccoletta aveva una
forza non
indifferente, un sacco di volte mi aveva costretto a correre per starle
dietro.
Anche per questo la adoravo.
“Okay,
sai che facciamo adesso? Io mi siedo e ceno, così nel
frattempo ti
lascio libera” affermai mentre la liberavo.
Lei
ne fu entusiasta e prese subito a correre tra arbusti e bassi
cespugli, facendomi sorridere. Anche quando la perdevo di vista, sapevo
che
sarebbe tornata indietro da me.
Mi
guardai attorno e individuai un posticino in cui potermi accomodare,
con la schiena a ridosso del robusto tronco di un albero; mi sedetti
tra le
sterpaglie e l’erba secca che formavano un comodo e morbido
cuscinetto, senza
alcun timore di sporcarmi, e tirai fuori il mio tramezzino. Ormai il
sole era
quasi del tutto tramontato, gli ultimi raggi di luce filtravano tra i
fitti
rami conferendo al sottobosco un’atmosfera particolare,
mentre le foglie
venivano mosse da un vento leggero e fresco. Si stava davvero bene e,
nonostante la penombra, io non avevo paura: gli animali non mi
spaventavano,
gli insetti non mi spaventavano e nemmeno i rumori circostanti, faceva
tutto
parte della natura, proprio come me. Nessuno era mai riuscito a capire
questa
mia stretta connessione con il mondo circostante, per questo venivo
sempre
additata come strana.
Estrassi
dal marsupio la mia cena e cominciai a mangiucchiarla con calma.
Un istante dopo vidi comparire Lea che, attirata dall’odore
del cibo, saltò
fuori dal cespuglio in cui si era nascosta; mi corse incontro e mi si
schiantò
addosso, cercando di raggiungere il mio tramezzino. Ma io ebbi i
riflessi
pronti e sollevai il braccio per impedirglielo, mentre lei mi si
arrampicava
addosso e io ridacchiavo.
“Lea!
Come, non volevi correre libera e scappare da me? Ah, e va bene, ci
divideremo il tramezzino!” affermai tra le risate, per poi
lanciare a terra un
pezzetto del mio spuntino. Lea allora ci si fiondò e mi
lasciò finalmente
mangiare in pace. Lanciai anche qualche briciola agli ultimi uccellini
che si
attardavano a tornare al nido dopo il tramonto, e loro ne furono felici.
Avevo
mangiato meno di quello che avrei dovuto, ma avevo sfamato molti
piccoli amichetti e questo mi rendeva completa e soddisfatta.
Mentre
osservavo un piccolo ragnetto che passeggiava tranquillo sul palmo
della mia mano, per poi penzolare dal mio dito tramite un filo che
aveva creato
sul momento, Lea finì la sua razione di cibo e decise di
tornare all’attacco,
in cerca di coccole: mi balzò addosso scodinzolando e mi
costrinse a sdraiarmi
a terra. Io ridevo e lei abbaiava, ci rotolavamo a terra e giocavamo,
contente
come non mai, finché lei non si stancò e corse
via, di nuovo tra gli alberi.
Ancora
tra le risate, mi rimisi seduta e constatai che ero ricoperta di
polvere dalla testa ai piedi. Non importava, stavo benissimo.
Mi
alzai e ripresi a passeggiare, cercando di seguire le tracce di Lea e
ascoltando i fruscii che produceva mentre gironzolava nel bosco.
Però sapevo
che presto avrei dovuto riagganciarla al guinzaglio e riprendere la
strada di
casa, ormai era calata la notte e mia madre si sarebbe preoccupata se
non mi
avesse visto rientrare.
Per
quanto mi riguardava, sarei potuta restare lì per tutta la
notte.
“Lea,
non fare scherzi, vieni fuori! Lea! Dobbiamo tornare a casa!”
Avevo
dovuto accendere la torcia perché, nonostante la luna piena
e
brillante, non filtrava tanta luce tra le chiome degli alberi. Una
punta
d’ansia mi chiudeva lo stomaco: già da diversi
minuti Lea era scomparsa dalla
mia vista e non riuscivo a capire dove si fosse cacciata, non era
tornata
indietro nemmeno quando avevo provato a chiamarla. Non capivo, non era
da lei
comportarsi così, ma una cosa era certa: non sarei tornata a
casa senza la mia
Lea, a costo di doverla cercare per tutta la notte.
“Lea,
andiamo! Dove sei? Sta cominciando a fare freddo, dobbiamo
rientrare!”
D’un
tratto mi immobilizzai e mi misi all’ascolto: un fruscio
frenetico,
che prima mi era parso quasi innocuo, ora si stava facendo sempre
più vicino,
accompagnato da acuti e secchi schiocchi di rami che si rompevano. Era
un
animale piuttosto veloce, di grossa taglia, anche se non avevo idea di
cosa
potesse essere.
Rimasi
immobile, sempre all’ascolto, mentre il cuore accelerava i
suoi
battiti; in genere situazioni del genere non mi intimorivano, ma non mi
era mai
capitato di incontrare una bestia così grande al buio.
Le
mie orecchie percepirono un respiro profondo, quasi un rantolo, tipico
dei cani. Sarei riuscito a gestirlo?
D’un
tratto un latrato acuto e disperato squarciò
l’aria, facendomi
rabbrividire. Era fin troppo familiare.
“Lea!”
strillai, precipitandomi nella direzione da cui proveniva. Non
riuscivo a scorgere cosa stesse succedendo né sapevo dove si
stesse svolgendo
il tutto, ma ero certa che quella bestia avesse attaccato la mia
cagnolina –
intanto lei continuava a lamentarsi e soffrire – e io dovevo
fare qualcosa per
salvarla, non mi importava quali sarebbero state le conseguenze. Lei
era così
piccola, lo scontro con un cane più grosso di lei
l’avrebbe ammazzata e io non
l’avrei potuto sopportare. Il basso ruggito
dell’animale mi riempiva le
orecchie come un campanello d’allarme, ma avrei rischiato.
Corsi
tra diversi alberi e schivai abilmente gli ostacoli – ero
abituata
al campo sterrato – e, quando finalmente giunsi sul luogo, la
scena che mi si
parò davanti mi fece inorridire: Lea, in preda a rantoli
strozzati, era
completamente schiacciata dal peso di un enorme lupo grigio, che le
mordicchiava la testa. Sorpresa di trovarmi di fronte a un animale del
genere,
per un momento pensai che fosse strano che il lupo non
l’avesse ancora finita
azzannandola all’altezza della gola, ma non ebbi troppo tempo
per rifletterci
su. Mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, implorai, nella
speranza che
il lupo mi capisse: “Ti prego, lasciala stare, è
così piccola! Che ti ha fatto
di male? Mollala!”.
Ma
l’animale mi dedicò giusto una breve occhiata, per
poi tornare a
concentrarsi su Lea.
Presa
dalla rabbia e da un forte istinto protettivo, serrai i pugni e mi
scagliai contro di loro, sperando di sbalzare via il lupo e liberare la
mia
cagnolina. Per quanto fossi minuta, gli assestai un potente colpo sul
fianco e
la cosa dovette infastidirlo, perché indietreggiò
appena e prese a fissarmi
come fossi la sua preda, coi suoi enormi e lampeggianti occhi gialli.
In
quell’istante tutto si fermò, incluso il mio
cuore. Che cos’avevo
fatto? Avevo attirato su di me le furie di un animale possente e
muscoloso, che
mi avrebbe attaccato e annientato in un nonnulla. Ero stata
un’idiota, una vera
irresponsabile, e in quel momento ebbi davvero paura.
Mi
balzò addosso e io caddi all’indietro con un
grido. Sentivo solo le
sue enormi zampe fare pressione sul mio corpo magro e dalle ossa
sporgenti, il suo
alito caldo sulla pelle e i suoi denti affilati affondare nella carne
morbida
della mia spalla. Provavo un dolore talmente lancinante che le grida mi
si
bloccavano in gola e la vista mi si appannava; mi dimenavo e tentavo in
tutti i
modi di spingerlo via, ma lui continuava a graffiarmi e mordermi,
accompagnato
da ruggiti gutturali e bassi che mi ferivano le orecchie.
Era
finita, sarei morta.
Ma,
proprio mentre l’alito del lupo raggiungeva il mio collo,
sentii le
sue zampe premere con minor potenza su di me e udii un secondo ringhio,
leggermente più acuto rispetto al primo, diffondersi
nell’aria.
Intanto
Lea uggiolava piano da qualche parte, nascosta tra i cespugli. Sperai che almeno lei si
potesse salvare.
Un
istante dopo ero libera, non avvertivo più nessun peso sopra
di me,
solo un lancinante dolore alla spalla.
Feci
appena in tempo ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la figura
imponente di un secondo lupo, più piccolo e magro rispetto a
quello grigio, dal
pelo scuro come la notte.
Mi
preparai al peggio: erano arrivati i rinforzi.
Però
accadde qualcosa che non mi aspettavo affatto: i due lupi mi
ignorarono completamente e presero a lottare tra loro, azzannandosi e
rotolandosi tra le erbacce e la polvere, ribaltando la situazione in
continuazione. Non riuscivo a distinguere il corpo dell’uno
da quello dell’altro,
per via del buio attorno a noi e della mia vista offuscata dalle
lacrime, ma in
quel momento aveva poca importanza: ero viva e reattiva, avevo qualche
speranza
di salvarmi, nonostante i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle
ferite e
imbrattavano i miei vestiti già sudici. Dovevo soltanto
trovare il modo
per smettere di tremare dal freddo e dalla paura, lottare contro il
dolore e
alzarmi, sgusciare via senza fare rumore e portare Lea con me.
Potevo
farcela?
Un
ululato più forte degli altri mi costrinse a concentrarmi
nuovamente sui
due animali che combattevano: contro tutte le mie aspettative, il
robusto lupo
grigio stava scappando via e si lamentava, come se fosse stato ferito.
Non
avrei mai creduto che lo slanciato lupetto nero l’avrebbe
avuta vinta, non
sembrava affatto abituato alle lotte di quel tipo.
Non
avevo avuto il tempo materiale per scappare, ora avevo ancora
più
paura perché non ero in forze, un attacco ben assestato mi
avrebbe ucciso.
Venni
scossa da un brivido quando vidi l’animale scuro avvicinarsi
lentamente a me, per poi chinare il capo e fissarmi con i suoi occhi
azzurri.
Nonostante il terrore, ebbi il tempo di chiedermi se fosse normale che
un lupo
avesse degli occhi del genere, del colore del cielo d’estate;
la cosa mi pareva
piuttosto assurda.
“T-ti
prego… non mi fare del male, risparmiami… voglio
solo tornare a
casa…” piagnucolai disperata. Dopotutto ero
convinta che gli animali avessero
la capacità di capirmi, tanto valeva provarci.
Il
lupo si lasciò sfuggire un uggiolio, poi sporse il capo
verso di me e
fece l’ultima cosa che mi sarei aspettata:
cominciò a leccarmi laddove l’altro
lupo mi aveva morso, pulendo via il sangue e disinfettando la ferita.
Strabuzzai gli occhi, un po’ per la sorpresa e un
po’ per il dolore che quel
contatto, seppur dolce, mi procurava.
Ancora
tremante, fui incapace di muovermi e di pronunciare una sola
parola mentre il lupo si adoperava per medicarmi le ferite; mi pareva
una
follia, ma quella bestiola aveva un che di umano, era come se avesse un
cuore e
dei sentimenti, ed era per quello che aveva deciso di aiutarmi.
“Grazie”
mormorai infine, quando smise di pulirmi con delicatezza. Ancora
l’adrenalina mi scorreva nelle vene, ma sentivo che il freddo
si faceva sempre
più penetrante, complice anche il vento che si era
rafforzato.
Gettai
uno sguardo al cielo e adocchiai la luna, luminosa e tonda oltre
l’intreccio di rami sulla mia testa. Ero grata di essere
ancora viva e poterla
vedere.
Il
mio nuovo amico attirò la mia attenzione, passando la punta
del suo
naso umido sul dorso della mia mano.
“Ehi”
mormorai, decisamente più tranquilla. “Vuoi le
coccole?” Mi misi
faticosamente seduta e allungai una mano per accarezzare il pelo folto
e
morbido sulla sua schiena. Era la prima volta che avevo a che fare con
un lupo
così da vicino, quindi ero piuttosto emozionata.
Lui
non si oppose, anzi, nei suoi occhi lessi qualcosa di simile alla
gioia. Era surreale scorgere delle emozioni quasi umane nel suo
sguardo,
cominciavo a pensare di avere le allucinazioni.
Il
cuore fece un’impennata nel mio petto quando il lupo si
sdraiò al mio
fianco e posò il capo sul mio grembo, come a volersi
rifugiare o darmi il suo
affetto. Non riuscivo a smettere di sorridere e di intrecciare le dita
alla sua
pelliccia scura, era talmente bello e tenero che mi scaldava il cuore.
“Sai,
io penso ci sia una connessione particolare tra gli uomini e gli
animali, è qualcosa di inspiegabile. Non tutti
però la sanno cogliere e se ne
accorgono” cominciai a parlare, sperando che la cosa non lo
infastidisse.
“Penso che tra me e te sia successo, ecco, è come
se fossimo legati e ci
capissimo. È unico, è qualcosa di stranissimo e
assurdo, che va oltre la magia.
Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi
salvato.”
Lui,
in tutta risposta, mi leccò appena una mano che avevo
abbandonato
vicino al suo muso.
Stavo
bene, non volevo più lasciarlo andare… non fosse
stato per il vento
che penetrava fino alle mie ossa, facendomi tremare.
Il
lupo se ne accorse e, come se mi avesse letto nel pensiero,
cercò una
soluzione: sollevò il capo e mi diede una leggera spinta per
incitarmi a
sdraiarmi, poi mi si addossò contro, scaldandomi col suo
corpo.
“Oh,
tesoro… ma sei dolcissimo” sussurrai, colta alla
sprovvista; mi
accoccolai contro di lui, ormai senza più paura, e continuai
a coccolarlo come
potevo, carezzandogli la zampa o la testa. Lo abbracciavo e lui non si
opponeva, anzi, si faceva ancora più vicino e si assicurava
che stessi bene,
ogni tanto tornava a leccare qualche mia ferita. Erano come dolci
carezze per
me.
Mi
ritrovai a pensare che nessun essere umano era mai stato
così dolce e
affettuoso con me, quanto quella meravigliosa creatura dagli occhi
azzurri.
Non
seppi spiegarmi come né perché, ma ero talmente
rilassata e tranquilla
che il sonno ebbe il sopravvento e mi addormentai così,
sdraiata in mezzo a un
bosco, con la guancia schiacciata contro il pelo nero di un lupo.
Mi
risvegliai lentamente e mi accorsi che qualcuno o qualcosa mi stava
tirando leggermente per la maglietta: aprii gli occhi e notai che il
mio nuovo
amico ne aveva preso un lembo tra i denti e mi scuoteva piano, forse
proprio
con l’intento di svegliarmi.
“Ciao”
lo salutai con voce impastata dal sonno, accennando un sorriso.
“Che ore sono?”
Lui
in tutta risposta lasciò andare la mia canotta e
sollevò il muso in
direzione del cielo, dove la luna ancora splendeva alta. Era notte
fonda,
probabilmente mancavano ancora diverse ore all’alba.
Intanto
il freddo si era fatto penetrante e, se prima ero stata bene con
il corpo del lupo addosso a me, ora ne sentivo la mancanza e il gelo mi
entrava
nelle ossa, facendomi tremare.
“Io…
voglio tornare a casa” mormorai, stropicciandomi gli occhi
con le
mani. Cominciavo a non capire più niente, ero in pensiero
per Lea e sicuramente
mia madre era terribilmente in ansia. Ero talmente tanto stanca e
confusa che
cominciai a piangere senza motivo e senza preavviso, semplicemente
sbattei le
palpebre e gli occhi mi si appannarono. Presi a singhiozzare e mi
rannicchiai
su me stessa, sfinita.
Quando
incrociai lo sguardo del lupo, lo trovai velato di tristezza. Si
accostò a me e tentò di consolarmi e asciugarmi
le lacrime, posava il suo muso
tra i miei capelli o mi si strusciava contro per riscaldarmi.
“Mi
aiuterai?” gli chiesi tra i singhiozzi, posando la testa
sulla sua
spalla muscolosa. “Io devo… devo cercare
Lea.”
Lui
restò immobile, in attesa che ritrovassi le forze e mi
mettessi in
piedi. Sentivo gli arti intorpiditi e mi ci vollero diversi minuti per
risvegliarli e trovare l’equilibrio. Non potevo nemmeno
contare sul braccio
destro, dal momento che la spalla mi faceva male – anche se,
a giudicare dalla
quantità di sangue che avevo perso, la ferita non doveva
essere tanto profonda.
Il
lupo mi fu accanto per tutto il tempo e mi aiutò a mantenere
l’equilibrio quando rischiavo di perderlo. Per ringraziarlo,
continuai a
lasciargli carezze su tutto il corpo, godendomi ancora il suo piacevole
calore
e la sua compagnia.
Una
volta ripresami, l’animale mi condusse presso un cespuglio e
mi aiutò
a districare i fitti rametti che andavano a comporlo; solo dopo qualche
secondo
mi resi conto che mi aveva indicato il rifugio di Lea, quando le mie
dita
sfiorarono il pelo morbido della cagnolina. In preda
all’ansia, sollevai il suo
corpicino bianco e nero, intorpidito dal freddo, e in risposta ebbi un
sottile
uggiolio. Ero fuori di me dalla gioia: se l’era vista brutta,
aveva diverse
ferite, ma era viva, ce l’aveva fatta!
Con
le lacrime agli occhi, la strinsi a me e la riempii di coccole,
facendo attenzione a non farle male; ma dopo alcuni secondi il lupo mi
diede un
colpetto di naso sul braccio per attirare la mia attenzione, poi
leccò piano la
testolina di Lea, dove era stata ferita, e lei si lasciò
sfuggire un piccolo
latrato.
“Oh,
vuoi medicare anche lei? Sei un adorabile cucciolo, io… sono
commossa” ammisi con la voce rotta dall’emozione,
posando Lea a terra e
lasciandola alle cure dell’animale. Ormai mi fidavo
ciecamente di lui e lo
osservai con curiosità mentre ripuliva Lea, come farebbe
soltanto un genitore
con il proprio figlio.
Quando
ebbe finito, il lupo sollevò il capo e mi fissò;
in tutta risposta
sorrisi e gli regalai una carezza sul muso, poi mi chinai per
riprendere la
cagnolina in braccio e mi guardai attorno. “Uhm…
ho perso il senso dell’orientamento”
mormorai, mentre il cuore mi accelerava nel petto. Non ci voleva
proprio,
dovevo assolutamente tornare a casa!
Ma per l’ennesima volta l’animale nero al mio
fianco fece un gesto inaspettato
in mio aiuto: mi si parò davanti, mi fissò per un
lungo istante negli occhi –
adoravo i suoi, di un azzurro talmente limpido da lampeggiare nella
notte –,
poi mi diede di spalle e prese a camminare lentamente tra gli alberi,
voltandosi di tanto in tanto per controllare che lo stessi seguendo.
“Dove
mi vuoi portare? Tu… tu sai dove abito? È
impossibile, io non ti ho
mai visto prima” affermai perplessa, ma decisi comunque di
seguirlo, in fondo
che alternative avevo? Magari durante il tragitto avrei riconosciuto
qualche
punto di riferimento e sarei poi riuscita a orientarmi.
Rimasi
del tutto spiazzata quando, dopo circa un minuto di camminata, mi
resi conto che stavamo effettivamente percorrendo la strada che
conduceva a
casa mia; il lupo mi stava guidando con passo sicuro, come se
l’avesse percorsa
milioni di volte.
“Wow,
ma come facevi a saperlo?” esclamai, sgranando gli occhi e
correndogli accanto. Lui in tutta risposta si voltò nella
mia direzione e mi
leccò appena il braccio. Ero certa che, se avesse avuto la
possibilità di
sorridere, in quel momento l’avrebbe fatto.
Camminammo
fianco a fianco in silenzio, comunicando tra di noi tramite un
linguaggio che nessun altro avrebbe potuto capire. Stavo vene ed ero a
mio
agio, come non mi era mai capitato in compagnia di nessun altro.
Tuttavia tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi il varco tra gli
alberi
che portava a casa mia, avevo davvero bisogno di riposare e assimilare
tutto
quello che era accaduto.
“Io
sono arrivata” affermai, fermandomi proprio al limitare del
bosco. Il
lupo fece lo stesso e prese a guardarmi in silenzio. Io lo osservai a
mia volta
e venni colta da un moto d’affetto nei suoi confronti: posai
Lea a terra, che
intanto aveva smesso di tremare e si era addormentata, mi avvicinai a
lui e lo
abbracciai come meglio potevo. Sentivo davvero di volergli bene e di
essergli
grata, non riuscivo a capacitarmi di aver incontrato una creatura
così
splendida e dolce.
Lui
strusciò con affetto la sua grande testa contro di me, poi
si sporse
e posò per un istante la punta del suo naso sul mio. Sorrisi
e gli lasciai
un’ultima carezza sul muso. “Ciao”
mormorai prima di allontanarmi.
Recuperai
Lea e mi diressi lentamente verso casa, notando che la luce
della cucina era ancora accesa: probabilmente mia madre era in piedi e
mi stava
aspettando, preoccupatissima. Mi sentivo un po’ in colpa,
però sapevo che avrei
dovuto raccontarle cos’era successo e sarebbe stato piuttosto
complicato. Non
mi avrebbe creduto se le avessi detto che un lupo dagli occhi azzurri
mi aveva
salvato la vita, era convinta che fossi intrappolata nel mondo dei
sogni e
della fantasia come quando ero una bambina.
In
fondo non aveva tutti i torti.
Prima
di aprire la porta d’ingresso, mi voltai un’ultima
volta verso il
bosco e avvistai la sagoma del lupo ferma lì, che ancora mi
teneva d’occhio col
suo sguardo dolce, come un angelo custode. Gli sorrisi di nuovo e gli
rivolsi
un ultimo cenno di saluto, mentre il cuore mi batteva forte nel petto
per la
gioia e l’emozione.
Era
terribilmente bella, nonostante i capelli
arruffati e le foglie secche che vi erano rimaste incastrate,
nonostante i
graffi sulla pelle pallida e i vestiti macchiati di sangue e terriccio.
E non
potevo credere che fosse stato proprio un lupo del mio branco ad
attaccarla, mi
ero sentito davvero male all’idea di perderla e di non poter
più vedere i suoi
lineamenti dolci sul viso piccoletto, i suoi enormi occhi neri come la
notte.
L’avevo difesa, non avrei potuto fare altrimenti, a costo di
rischiare la mia
stessa vita e la reputazione all’interno del branco.
E mentre la
osservavo rientrare a casa con la sua
cagnolina tra le braccia, non potei fare a meno di pensare a quanto
fosse stato
bello starle accanto quella notte: non solo mi ero potuto prendere cura
di lei,
ma avevo avuto modo di conoscerla e scoprire quanto fosse grande il suo
cuore,
quanto fosse sensibile e intelligente. Se prima aveva soltanto attirato
la mia
attenzione, ora potevo affermare di amarla, proprio per quello che era.
Quando
assumevo la mia forma lupesca era tutto più
semplice, ma una volta tornato allo stato umano lei non mi avrebbe mai
riconosciuto, non si sarebbe mai potuta immaginare che il bel lupetto
nero e il
ragazzino pallido fossero la stessa persona. Non lo avrebbe mai potuto
capire e
io non glielo avrei mai spiegato, a scuola mi sarei limitato soltanto a
osservarla da lontano senza mai farmi avanti.
Era tutto
tremendamente complicato, era una
situazione surreale e confusa.
Eppure il mio
cuore parlava chiaro.
Il
lunedì successivo mia madre non voleva assolutamente
lasciarmi tornare
a scuola, diceva che mi sarei dovuta riposare, ma io insistetti
comunque per
andare. Anche se con qualche cerotto sparso per il corpo e
un’enorme garza
bianca sulla spalla.
Non
ero scossa fisicamente e non mi disturbava l’idea di tornare
alla mia
vita di tutti i giorni, soltanto continuavo a pensare alla mia nottata
magica
nel bosco e a quel lupo che mi aveva rubato il cuore. Chissà
se l’avrei più
rivisto.
Come
previsto, mia madre non mi aveva creduto, o almeno non del tutto;
tuttavia la mia spiegazione era l’unica che potesse
giustificare i segni che
avevo sul corpo e il fatto che fossi ancora viva, quindi aveva smesso
di fare
domande e mi aveva concesso il beneficio del dubbio.
In
effetti, non fosse stato per le ferite, avrei creduto anch’io
di
essermi sognata tutto. Però, pensandoci e ripensandoci, me
n’ero fatta una
ragione: nell’universo potevano esserci infinite combinazioni
di eventi,
infiniti casi, l’uno diverso dall’altro, e il mio
era uno di questi.
Quella
mattina arrivai a scuola con la testa tra le nuvole e qualche
brivido a incresparmi la pelle: l’aria frizzante di settembre
mi accarezzava e
io avevo come al solito dimenticato la giacca. Una volta
nell’enorme cortile,
cercai con lo sguardo Michelle, la mia compagna di banco, che giungeva
sempre a
scuola qualche minuto prima di me. Io e lei non eravamo proprio amiche,
ma
andavamo abbastanza d’accordo; era una delle poche persone
che, nonostante i
miei modi di fare bizzarri, voleva avere a che fare con me. Del resto
anche lei
era una tipa strana, una di quelle che leggeva classici greci e latini,
ascoltava musica soltanto strumentale e preferiva fare ritratti alle
persone
piuttosto che parlarci.
Quando
mi vide arrivare, Michelle assottigliò lo sguardo e si
sistemò
meglio gli occhialetti argentati sul naso per essere sicura di
ciò che vedeva.
Sorrisi.
“Cosa
ti è successo?” mi chiese perplessa.
Mi
accomodai sul basso muretto in cemento accanto a lei. “Ho
avuto un
incontro ravvicinato con un lupo” spiegai candidamente.
Lei
scosse la testa con fare sconcertato e io non riuscii a capire se mi
credesse o meno. “Proprio ieri ho fatto il ritratto di un
grande lupo bianco.
Sulla parete della mia camera” disse.
Ridacchiai.
“Che bello!”
Mi
guardai attorno e osservai i gruppetti di studenti che si riunivano,
alcuni vicino all’ingresso, altri in disparte, e
chiacchieravano tra loro,
scambiandosi sigarette e sorrisi. Molti di loro erano abbronzati e le
ragazze
sfoggiavano i loro nuovi e colorati vestiti.
Ormai
la scuola era ricominciata da una settimana e ogni mattina assistevo
a quella particolare processione, però non mi stancava mai e
trovavo sempre
qualche nuovo dettaglio nelle persone che prima non avevo notato.
A
un certo punto il mio sguardo venne attirato da una figura minuta ed
esile, abbigliata con un paio di jeans e una larga t-shirt blu scuro:
si
trattava di un ragazzo dai capelli neri e la pelle pallida che
chiacchierava
con alcuni suoi amici. A giudicare dalle persone con cui si
intratteneva – che
conoscevo di vista – supposi che frequentasse
l’ultimo anno, ma non mi era mai
capitato di vederlo prima di allora.
Stavo
per distogliere lo sguardo e posarlo su qualcun altro, quando lui
si voltò e mi osservò per un istante.
Il
mio cuore perse un battito.
Quegli
occhi azzurri… io li avevo già visti da qualche
parte, ne ero
certa. Erano limpidi e luminosi come il cielo d’estate, se
avessi sollevato lo
sguardo avrei scorto esattamente lo stesso colore sulla mia testa.
E
sapevo bene dove li avevo già visti: in un lupo giovane e
slanciato.
No,
non poteva essere.
“Michelle?”
“Sì?”
“Chi
è quel tipo dai capelli neri e gli occhi azzurri che
c’è laggiù?”
La
mia compagna di banco seguì il mio sguardo, mentre
giocherellava con
una delle sue treccine castane. “Ah, quello con la maglietta
blu? Si chiama
Ives, a quanto pare è nuovo, si è trasferito qui
quest’estate. L’hai notato
solo ora?”
Ridacchiai
tra me. “Ah, non lo sapevo. Sì, è
che… mi sembra di averlo già
visto da qualche parte.”
“Io
invece ho l’impressione che ti stia osservando da qualche
giorno.”
Mi
strinsi nelle spalle, senza sapere cosa aggiungere.
Probabilmente
mi stavo lasciando suggestionare troppo dalla faccenda del
lupo, altrimenti non riuscivo a spiegarmi come potessi avere
l’impressione che
quel ragazzo gli assomigliasse.
Scossi
la testa per scacciare via quei pensieri assurdi, mentre la
campanella prendeva a trillare e annunciava l’inizio di una
nuova giornata di
scuola.
♠
♠ ♠ ♠ ♠
Eccomi
qui con una storia del tutto insolita per i miei standard XD non
so perché, ma ultimamente mi sto fissando in maniera del
tutto casuale con i
licantropi – o forse è meglio dire ri-fissando,
dato che li ho sempre trovati
fantastici. Purtroppo ho già letto le principali saghe
fantasy che trattano
l’argomento e non riesco a trovare altri libri per alimentare
la mia
fissazione…
Comunque!
Chi ha
letto la mia raccolta di drabble “Blue Eyed Damned
Soul” avrà
sicuramente riconosciuto (il mio adorato ♥) Ives. Ecco,
ovviamente questa
storia è completamente slegata da quella, ho soltanto voluto
prendere il suo
personaggio perché lo adoro e amo il suo carattere, ma per
l’occasione l’ho
completamente “decontestualizzato”; questo
significa che Millie non è la voce
narrante di quelle drabble, lei l’ho inventata apposta per
questa storia ^^
Spiegato
questo, non mi resta che ringraziarvi per essere passati e giunti
fino a qui, spero che la storia vi sia piaciuta e che piaccia anche
alle due giudici
dei contest :3
Alla
prossima – per tutti i fan di Ives, vi anticipo che presto
avrete
un’altra storia con lui come protagonista, però
nel suo normale contesto anni
Ottanta, droga e fluff ♥
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