Falsehood's breath

di carachiel
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Dedico la presente a Naoko_chan/Galatea delle sfere che mi ha fatto da beta e a thegiu840 per il parere, grazie!

 

Falsehood's breath
 

 

Quando lo vide entrare dalla soglia Faker si maledisse per averlo invitato, e persino per quel senso di colpa che in quel momento si faceva infinitamente più lacerante.

 

Era tutto persino troppo educato, tanto da fargli desiderare che lo insultasse, o che comunque smettesse di fissarlo con quello sguardo maledettamente comprensivo, come se potesse capirlo.

Gli aveva risposto al telefono, quando una, due, infinite volte lo aveva chiamato per scusarsi, finendo dopo ogni telefonata con l'avvertire quel peso sullo stomaco farsi sempre più opprimente.

 

E anche quando con quelle bugie che li accompagnavano erano caduti anche i loro vestiti Faker non aveva smesso di pensarci.

Neppure mentre faceva scorrere tra le dita i fini capelli biondi dell'altro, era riuscito a smettere di pensare di non meritarlo, di non sentire la necessità di quel perdono offertogli insieme alla sua pelle calda.

Era rimasto incurante alle circostanze persino mentre il collega lo conduceva sul letto, posizionandosi a cavalcioni su di lui e lambendolo delicatamente con la lingua.

Faker non mostrò il minimo segno di gradimento finché l'altro non arrivò a leccargli il lobo dell'orecchio.

 

Nel momento in cui quel fiato caldo lo sfiorò sentì allontanarsi tutti i suoi sensi di colpa, desiderando solo che quel contatto si protraesse il più a lungo possibile.

 

"Rilassati" mormorò Byron nel suo orecchio, in tono talmente basso che la sua voce assomigliava di più ad un gatto che faceva le fusa, al quale Faker si sentiva particolarmente affine in quel momento.

Le mani del collega si fecero gentilmente strada sul suo corpo disteso, mentre con le labbra continuava a stuzzicargli l'orecchino che portava al lobo.

Quella tortura leggera gli provocò una serie di brividi di piacere verso il basso ventre, facendogli dimenticare il peso del corpo dell'altro.

 

Tuttavia Byron sembrava non avere alcuna fretta, carezzandolo e mordendolo con studiata lentezza.

Faker rigirò gli occhi.

"Vuoi...?"

L'altro si avvicinò, abbastanza da guardarlo dritto negli occhi. 

"Non ci penso nemmeno" aggiunse con un sorrisetto sardonico.

"Non pensare di incantarmi con così poco" replicò, distogliendo lo sguardo. Avrebbe mentito nel dire che Byron non avesse dei begli occhi, o nel dire che non li sapesse sfruttare dannatamente bene.

 

"Giusto. Ci vorrà molto meno." mormorò, chinandosi completamente su di lui.

Faker sospirò, annusandolo. Odorava di legno e di libri vecchi, e chissà perché non se ne stupì.

 

Non riuscendo più a vedere il viso del collega, gli scostò i capelli dalla schiena, aderendo con le mani alle sue scapole, finché la consapevolezza di quel che stava facendo non assunse la consistenza del timore.

"Non-"

"Mh?" Byron rialzò la testa, una ciocca ad adombrargli il viso.

"Non credo che sia la cosa giusta." 

"Ti stai pentendo?" Il tono era neutro, neppure ferito o infastidito.

"Io..."

 

Non fece in tempo a replicare perché l'altro gli chiuse le labbra con un bacio.

Faker sbarrò gli occhi, per poi richiuderli e assecondare il bacio sempre più a fondo, finché il fiato non gli bastò più e si staccò, mentre un brivido caldo gli percorreva la spina dorsale.

E in quell'istante in cui si lasciarono andare nello stesso identico istante contro le lenzuola calde, le loro anime e i loro corpi, uniti dalla forza di un unico sentimento in bilico tra l'odio e la redenzione, si fusero in un climax di percezioni contrastanti.

 

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Quando il fuoco d'artificio nel suo petto si fu acquietato e il silenzio della notte fu scandito solo dal leggero russare di Byron accanto a lui, Faker sentì di odiarlo, per quella stessa placida serenità che emanava, per il fatto stesso di non riuscire a dimenticare gli errori commessi, il cui ricordo degenerava in una bolla di plastica, in un'atmosfera chiusa e soffocante che ritornava a respirare non appena la distrazione si dissolveva.

 

Lo odiò, se possibile, anche di più perché era ben conscio che quei tentativi, innumerevoli, di perdono terminavano ogni volta nello stesso modo: con un sorriso sghembo da parte sua e la promessa di non pensarci più.

E quei confronti, sempre così educati, tra loro, erano solo che la manifestazione palese di quanto avesse preferito che non lo salvasse; avrebbe preferito cadere in una voragine infinita, piuttosto che essere salvato e dover fronteggiare il senso di colpa per non meritarlo.

 

E fu con un sospiro di menzogna che, voltandosi verso il collega, gli sussurrò nell'orecchio: "Ti amo", per poi alzarsi, rivestirsi e uscire, avendo cura di richiudere la porta dietro di sè, come se non fosse mai entrato.


Angolo Autrice: 
Ammetto candidamente che si tratta del mio primo esperimento con una lime, ma spero che risulti comunque godibile ^^''''
*corre a nascondersi dall'imminente lancio di pomodori* 

 




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