Autore: Rota23/meg89
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Titolo: Sinner
- Serie: Angel Sanctuary
- Personaggi: Raphael,
Michael
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Trama: Senti i tuoi passi rimbombare per il corridoio
dell’ospedale.
Non
è il momento delle grandi emergenze, dove i pazienti che
grondano sangue infestano come parassiti ogni angolo della struttura
che ti racchiude, inglobandoti in un unico ventre materno che nulla fa
fuggire alla sua presa, dove l’odore di tumefazione e di
morte riempie le narici dei medici e degli infermieri, che come angeli
caduti sulla terra quasi per caso tentano con tutta la loro
volontà di strappare le anime dei mortali dalla forca del
Signore Impietoso, condannando queste povere creature umane a una pena
più lunga.
C’è
calma, quest’oggi, chi è morto è morto,
chi ancora vive agogna come un disperato il sacro momento
dell’addio.
- Rating: Arancione
- Genere: Romantico,
Introspettivo, Nonsense, Drammatico
- Avvertimenti: Au,
shonen ai, one shot
- Note autore: devo dire
che la mia ff poco c’entra con la poesia del sommo
Baudelaire. Ma posso dire che ho dato una mia personale interpretazione
alla cosa.
Presento Raphael come
un’indifferente, una persona che non riesce a cogliere niente
dalla vita. Michael è invece la rappresentazione fisica,
corporale della Bellezza che lui non coglie nel mondo, che gli muore
davanti senza che lui possa nulla per fermarla.
Ma è grazie
alla morte di Michael che finalmente Raphael si sveglia, riconoscendo
quanto la vita possa essere Bella.
Ecco tutto ^^
SINNER
Il fumo denso di una
sigaretta, perlaceo, profumato, si eleva nell’aria a spirali,
come danzando girando ripetutamente su sé stesso, per
svanire assorbito dall’aria che tutto lo circonda.
La sigaretta torna alle
labbra pallide, concedendo una lieve carezza alle dita affusolate che
la muovono appena, eleganti e discrete, per poi scivolare appena
all’interno della calda bocca.
Un’altra
boccata viene liberata dai polmoni gonfi.
Le pareti bianche
dell’ospedale fanno male agli occhi, come la neve mortale dei
poli.
Fredde, ghiacciate,
infinite.
Gli occhi vengono
accecati dalla luce artificiale riflessa dalle mattonelle, e non
riescono a scorgere altro che un tunnel bianco
d’infinità opacità. Tutto uguale, tutto
così perfetto, tutto così monotono.
Nessuna sbavatura,
nessuna gradazione di colore.
Noioso….
Senti i tuoi passi rimbombare per il corridoio dell’ospedale.
Non è il momento delle grandi emergenze, dove i pazienti che
grondano sangue infestano come parassiti ogni angolo della struttura
che ti racchiude, inglobandoti in un unico ventre materno che nulla fa
fuggire alla sua presa, dove l’odore di tumefazione e di
morte riempie le narici dei medici e degli infermieri, che come angeli
caduti sulla terra quasi per caso tentano con tutta la loro
volontà di strappare le anime dei mortali dalla forca del
Signore Impietoso, condannando queste povere creature umane a una pena
più lunga.
C’è calma, quest’oggi, chi è
morto è morto, chi ancora vive agogna come un disperato il
sacro momento dell’addio.
Gli occhi scuri di Barbiel incontrano la tua figura esile, e il tuo
sguardo vagante si ferma solo per qualche istante sulla figura
accomodante della donna.
Con un sorriso forse rassegnato, forse triste, non sai bene cosa mai si
nasconde dietro quell’anima candida e pura, ti porge la
cartella del tuo nuovo paziente.
-Dottor Kondor, questo ragazzo è affetto da Mieloma Multiplo
in stadio avanzato… veda quanto riesce a fare…-
La Morte vuole graziare un altro umano. E questa volta neppure un
miracolo l’avrebbe fermata più.
Entri ancora prima che la donna possa dirti qualcosa di più
su quest’oggetto, su questa carne da macello, che carattere
abbia, il suo cognome e la sua età.
Cose inutili, per chi s’appresta a partire per non tornare
più. La vita ti ha insegnato che se cominci a chiamare con
un nome un oggetto, questo entrerà a far parte della tua
esistenza, nel bene e nel male.
Non vuoi ritrovarti a palesarti debole, ineluttabilmente, ancora una
volta…
-Ehi, dottore! Come andiamo?-
La voce squillante, quei occhi così limpidi che ti si parano
davanti agli occhi in maniera quasi crudele non paiono smorti, non
rasseganti.
Vivono ancora, forse troppo stupidi, così attaccati alla
menzogna della Vita, per cedere con rassegnazione. Ancora resistono,
certamente convinti di trovare una futile gloria nel loro impavido
coraggio.
Sprecano inutilmente energie.
-Andiamo non troppo bene, signor Sowaki…. Conosce la
malattia di cui è affetto?-
Nessun tipo di contatto, nessun tipo di dolore alla perdita.
Persino la tua voce sembra quella di una macchina. Smorta, glaciale,
così distante e irraggiungibile.
-Si, la signorina di prima mi ha detto che ho un tumore! Nulla di
grave, immagino, giusto? E’ una di quelle cose che si toglie
con un’operazione, vero?-
Innocenza che nasconde l’ignoranza che cela il baratro
profondo dell’abisso infernale, quei occhi così
limpidi paiono solo vetri colorati.
-No… è una malattia che porta alla
morte…-
Stupido, stupido non arrendersi quando non v’è
nulla che sembra portare un segno di salvezza, un luminoso appiglio al
quale ragionevolmente ci si aggrappa con tutte le forze.
La tempesta non s’arresta, come una furia s’abbatte
sopra il porto, sopra le navi galleggiati; ogni cosa
sottostà a questa furia cieca, inarrestabile.
Ciò che non si può contrastare, è
anche ingenuo cercar di combattere.
Come la vitalità che non si piega al dolore o alla
remissione, il corpo di Michael lotta sotto i tuoi occhi per non
concedersi alla Morte, perché i muscoli non si fermino per
sempre, perché il cuore continui a battere.
Le macchine ticchettano le tue orecchie, come picchi insistenti, senza
posa. Testimonianza meccanica della vita che scorre ancora nelle vene
del giovane uomo.
Bip. Bip. Bip. Bip.
Impazzisci all’idea di doverle sentire per soli cinque
minuti, probabilmente desidereresti strangolarti con le tue stesse mani
se t’infliggessero la pena di starle a sentire tutto il
giorno.
Odi le macchine, sono così fredde e bianche, perfettamente
crudeli.
-Sto migliorando almeno un poco, Raphael?-
Non vedi i suoi occhi pieni di ingenua speranza, il tuo sguardo
è troppo intento a leggere la cartella che segna man mano
l’avanzamento del nemico inesorabile. E anche le tue orecchie
non sentono il desiderio mal celato che il tono quasi fanciullesco
dell’altro nasconde.
Non vuoi sentirlo.
Solo, un sopracciglio ti s’inarca in maniera severa, non
ricordi d’essere entrato in confidenza col ragazzo.
-L’andamento delle sue condizioni è standard,
signor Sowaki… ma questo è normale, assolutamente
normale. Direi che il peggio non è neppure
iniziato…-
-Allora posso ancora guarire?-
Si rivela sordo come tu ti riveli cieco.
Ma non vuoi perdere tempo con chi, nella sua arroganza testarda, sembra
non voler capire l’evidenza.
Troppa vitalità fa male ai malati terminali,
perché crea l’illusione di una speranza che non
avendo radici non cresce e non da frutto alcuno.
I tuoi occhi hanno visto troppo sangue per distinguere, ormai, il rosso
dagli altri colori.
-No, signor Sowaki… lei non guarirà
più…-
E’ forse sbagliato desiderare la Vita con ogni fibra del
proprio essere? Non lo pensi, ma ritieni sciocco illudersi per un sogno
che non è possibile da realizzarsi.
Si prova dolore, immenso dolore, quando le illusioni si sgretolano
sotto il peso della realtà.
La differenza tra un adulto e un bambino sta tutta in questo,
l’adulto non può permettersi di sognare,
perché la vita l’ha fustigato fino a fargli
sputare sangue, fino a farlo rotolare nella polvere.
Non è ammesso sognare, non quando vedi le budella dei tuoi
conoscenti fuori dal loro corpo, non quando un essere microscopico
prende la coscienza di una persona e la rende un animale bavoso che non
riesce neppure a muovere un arto, non quando sembra che sia una
macchina a dover decidere quando e come morirai.
Non sogni più Raphael, i tuoi incubi sono pieni di ossa,
sangue e nero. Un nero che sembra inglobare tutto.
La cosa più terribile di certe malattie, come tu ben sai,
sta nel preservare la coscienza anche nel dolore estremo.
Il corpo freme, tutto trema, i muscoli sono come lacerati, i polmoni
pieni di coltelli, il ventre squarciato da lame invisibili.
Eppure il cervello è ancora lì, che pulsa
inesorabile dentro la scatola cranica. Pieno di vita.
-Non voglio morire. Non voglio morire!-
No, Michael non vuole morire. Lo ripete continuamente, ogni cosa in lui
sembra ripeterlo fino alla nausea.
Non vuole morire, non vuole.
Ma le intenzioni sono limitate al campo delle possibilità,
non ti è data la facoltà di trascendere
l’impossibile. Per quanto tu voglia far cessare quella
cantilena da delirio, ti tocca star ad ascoltare il tuo paziente che
agonizza nel dolore di un corpo che lo sta tradendo.
La macchina impazzisce quasi d’improvviso, trillando in
maniera infernale, urlando con quanto fiato ha in corpo che una vita
sta per cessare, sta per partire senza possibilità di
ritorno.
Arriva dunque il momento, per ognuno di questi miseri vermi che
arrancano nel fango della terra, di prendere coraggio per elevarsi da
terra per non farvi mai più ritorno.
I tuoi colleghi si accalcano tutt’attorno al lettino dove
Michael è disteso, come se davvero si potesse fare qualcosa
per trattenere ancora la povera anima di quel martire nel corpo in
putrefazione, come a dare un’illusione vana e quanto mai
ridicola.
I sogni sono oggetti da bambini, la tua mente da adulto non prevede la
loro esistenza. E il cuore di Michael sembra pensarla esattamente allo
stesso modo.
La mente è ancora crudelmente attiva, l’anima non
vuole staccarsi dalla terra in cui è nata.
Vile, si aggrappa con tutte le sue forze alla sola certezza che ha.
Teme di spiegare le ali, ha paura di volare.
Sbuffi, allontanandoti appena da quel gruppo di camice bianche
impazzite.
Ma la vedi. La vedi, infine.
La vedi che brilla in quei occhi che faticano a spegnersi, che non
vogliono chiudersi.
La vedi in quel sorriso stanco, spossato, come un guerriero che dopo
una battaglia feroce si lascia cadere a terra spossato, senza alcun
indugio.
La scintilla che anima lo spirito di chi non ha sprecato neanche un
secondo concessogli per piegare le spalle o la testa, di chi ritto
sulle proprie gambe ha ribadito, anche con testardaggine e strepitio la
propria persona, il proprio ego.
Chi con una spada in mano s’è fatto largo, urlando
a squarciagola, tra i demoni che gli si sono parati davanti.
Il tutto sembra come fermarsi davanti a te, quegl’occhi
chiari diventano come un buco nero che tutto assorbe, che niente lascia
fuori.
Luce, odori, rumori. Non v’è nulla intorno a te.
Gli occhi, ecco gli occhi.
Quali occhi ti hanno mai
guardato a quel modo?
Quali occhi ti hanno mai
fissato con tale intensità?
Non quelli di una donna
amata in una notte, non quelli di un amico, non quelli di un genitore.
D’una bellezza
abbagliante son colmi, d’una Bellezza che terrena non
può essere.
Bellezza Viva, viva e
ancora viva.
Il ticchettio insistente delle macchine s’arresta, una lunga
nota monotona sembra trillare, sola, nel tuo cranio.
Il fumo cresce ancora
soffiato quasi con stanchezza di fuori da quel corpo teso, in attesa.
Rotea in aria,
trastullandosi in capriole degne di una ballerina professionista, e
svanisce nel vento leggero che si eleva, divenendo incolore.
Gli occhi sono chiusi,
perché le immagini non scorrano crudeli di fronte alla
coscienza, perché quei occhi non facciano male ancora una
volta.
Ma è tardi,
signor Raphael.
E il sorriso che
è nato sulle tue labbra pallide non cancellerà
con una dolce, effimera, illusione quanto è stato fatto.
_Vieni dal ciel profondo
o l'abisso t'esprime, Bellezza?
Dal tuo sguardo infernale e divino
Piovono senza scelta il beneficio e il crimine,
e in questo ti si può apparentare al vino._
_Hai dentro gli occhi l'alba e l'occaso,ed esali
profumi come a sera un nembo repentino;
sono un filtro i tuoi baci, e la tua bocca è un calice
che disanima il prode e rincuora il bambino._
_Sorgi dal nero baratro o discendi dagli astri?
Segue il Destino, docile come un cane, i tuoi panni;
tu semini a casaccio le fortune e i disastri;
e governi su tutto, e di nulla t'affanni._
_Bellezza, tu cammini sui morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l'Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l'Omicidio
ti ballonzola allegro sull'orgoglioso ventre._
_Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l'amante sull'amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba._
_Venga tu dall'inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco
,se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m'aprono a un Infinito che amo e non conosco?_
_Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio,
che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto,
luce, profumo, musica, unico bene mio,
rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?
Charles Baudelaire, Inno alla
bellezza.
La storia si è classificata seconda al Contest
sulla bellezza indetto da Iria *O*
Ecco a voi il bannerino per aver preso il premio giuria ^^
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