Come
dicevo nell'introduzione, chi non conosce la long principale del 2013 o
almeno la minilong da cinque capitoli pubblicata quest'anno,
difficilmente riuscirà a orientarsi in quel che
c'è scritto qui sotto.
Essendo
il ventiquattro dicembre ne approfitto per fare gli auguri a tutti
quanti, anche se questa oneshot non ha alcunché di natalizio
:'D
"Io
ti detesto"
Un
sospiro nervoso.
“Non
ne posso più”.
Strinse
il bordo del tavolo tanto forte da sentirlo
deformarsi e rompersi tra le sue dita.
Avrebbe
avuto voglia di deformare e rompere la propria testa,
sarebbe stato meglio rispetto a continuare a sentirla piangere nella
stanza
accanto.
«Basta»
sbottò, alzandosi di scatto.
Il
pianto di quella protoforma online solo da pochi giorni,
sua sorella, Spectra, divenne ancora più forte.
«Cos’altro
vuoi?!»
In
realtà Spectrus sapeva benissimo perché la
neonata
piangeva: il dolore alla gamba che Starscream aveva danneggiato si
faceva
sentire nonostante le cure. Non poteva essere altrimenti del resto, non
con un
danno simile, non con medicinali così blandi.
«Ho
fatto tutto quel che potevo fare, va bene?! Ti ho dato da
mangiare, ti ho ripulita, non posso fare altro per te. Non
posso».
D’altra
parte era una protoforma, degli antidolorifici più
forti avrebbero rischiato di ucciderla e comunque in quel periodo era
difficile
trovare in giro medici degni di tale titolo.
Era
difficile trovare qualunque cosa, soprattutto una via
d’uscita degna di tale nome dalla situazione in cui si
trovava(no).
La
nobile famiglia degli Specter avrebbe dovuto essere
risparmiata in virtù dell’appoggio concesso ai
Decepticon ma non era stato
così: Megatron non aveva mantenuto la promessa e non si era
neanche scomodato
per infrangerla di persona, preferendo mandare Starscream e un plotone
a farlo
al posto suo.
Spectrus
aveva visto morire suo padre.
Sotto
sotto, lui l’aveva sempre creduto immortale. Beata
stupidità.
Aveva
visto morire sua madre.
Sparkleriver,
meno di chiunque altro Spectrus conoscesse,
avrebbe meritato di morire com’era morta, uccisa nella sua
cuccetta poco dopo
aver dato alla luce una figlia -in modo prematuro, tra
l’altro.
In
tutto ciò lui cos’aveva fatto? Era rimasto
impietrito come
un deficiente a guardare il petto distrutto di suo padre e la testa di
sua
madre fatta esplodere con un razzo.
Non
era riuscito a reagire, tutto quel che aveva avuto in
testa in quei brevi attimi era stato “Perché? Non
doveva succedere. Mio padre
aveva detto che non doveva succedere, non a noi”.
Era
riuscito a riscuotersi solo quando Starscream era stato
sul punto di uccidere Spectra. Gliel’aveva strappata di mano
ed era fuggito con
lei, ma ormai il danno era fatto: tutto il suo mondo era stato
distrutto.
Non
aveva più la sua vita privilegiata da nobile, non aveva
più gli amici altolocati della sua cricca - lui e suo padre
avevano sacrificato
i loro clan ai Decepticon per tentare di salvare il proprio, e ora non
restava
altro da fare che chiedersi se ne fosse valsa la pena e rispondersi
“NO”-.
Non
aveva più la dimora atavica della sua famiglia, nella
quale in futuro avrebbe voluto tornare per vedere se si era salvato
qualcosa e
cercare di portarlo via, e non era consigliabile nemmeno tentare di
infilarsi
in un’altra delle sue proprietà. I Decepticon
sarebbero andati sicuramente a
cercarlo anche lì.
Non
aveva neanche particolari contatti tra il popolino ai
quali rivolgersi se non, forse, alcuni di quelli che erano stati i suoi
“gorilla”: il prezzo da pagare per aver fatto
orgogliosamente parte di una
classe di aristocratici consumati ormai abbattuta.
Non
aveva più niente, niente,
se non un cognome che avrebbe dovuto valere
qualcosa e che invece ormai, dopo generazioni e generazioni di gloria,
contava
appena poco più del nulla.
Non
aveva più un progetto per la propria vita, non riusciva
più a vedere un futuro davanti a sé. Desiderava
solo vendetta senza ancora
sapere bene come ottenerla, avrebbe solo voluto poter pensare in santa
pace.
Ma
Spectra continuava a piangere.
In
quei giorni non aveva fatto altro.
«Falla
finita, smetti di piangere, maledizione!»
Era
anche e soprattutto quella la ragione per cui non aveva
ancora trovato una via d’uscita per tornare a una situazione
più “consona”:
come poteva pensarci su avendo appresso una protoforma danneggiata che
piangeva
quasi in continuazione, alla quale era costretto a dare costantemente
la
priorità rispetto a tutto il resto?
In
quei giorni si era spesso chiesto come avesse potuto
sentirsi perfino felice per
la sua
nascita, prima del massacro, perché ora non era
felice.
Avrebbe
rimpianto di non averla lasciata a Starscream, se non
avesse ritenuto Starscream feccia indegna perfino di sporcarsi le mani
dell’energon di una Specter.
No,
non sarebbe mai riuscito a smettere di dare importanza al
suo cognome, non ci avrebbe mai neppure provato pur sapendo che di
importanza
vera non ne aveva più.
Spectra
piangeva ancora, seppure fosse sempre più stanca.
Quanto
avrebbe voluto farla stare zitta. In quel momento
Spectrus non desiderava altro se non il silenzio, benedetto silenzio.
In
passato l’aveva sottovalutato.
“Potevo
abbandonarti”.
Avrebbe
potuto, ma non l’aveva fatto. Chi mai si sarebbe
preso cura di una protoforma danneggiata, in quel periodo? Abbandonarla
avrebbe
significato condannarla a morte.
“Non
sarebbe una cattiva idea”.
Inizialmente
si irrigidì.
Era
incredulo per ciò che aveva pensato. Spectra piangeva
perché sentiva dolore ma non era colpa sua, e comunque era
sua sorella. Una
Specter come lui.
Lui
aveva accolto con gioia la notizia del suo arrivo, lui
aveva scelto il suo nome -quello di un’antenata. Gran donna,
si diceva. Aveva
sperato che Spectra potesse diventarlo altrettanto- lui le aveva
salvato la
vita: come poteva aver avuto quel pensiero?
Cos’avrebbe
pensato suo padre?!
“Ormai
è morto. Ha creduto a Megatron e ci ha condannati,
quel pezzo d’imbecille, e io che lo
rispettavo!”
Cos’avrebbe
pensato sua madre?!
“È
morta anche lei”.
Spectrus
aveva amato sua madre Sparkleriver, l’aveva fatto
profondamente come ogni figlio ama un genitore dal quale si sente a sua
volta
amato.
Non
una volta era riuscito anche solo a risponderle male, non
una volta era riuscito a dirle “No”. Poco importava
che in via teorica avrebbe
potuto ignorare ogni sua parola, essendo molto, molto più
grosso e più forte di lei.
Sparkleriver
era stata una femme dolce e gentile,
naturalmente propensa a occuparsi della propria famiglia pur avendo
servitori
che avrebbero potuto farlo al posto suo. Era uno dei motivi per cui
aveva così
tanti ricordi di lei in cucina a preparare dolci.
“È
morta anche lei e io sono rimasto qui da solo, in questo
buco trovato per pura fortuna, con la sua piccola brutta copia che
piange,
piange, e piange senza neanche capire un cazzo di quello che la
circonda, senza
neanche sapere cosa abbiamo perso, non lo sa, non potrà mai
capirlo, ed è anche
per questo che io…”
«Io
ti detesto» disse, rivolto alla neonata.
Attese
il senso di colpa.
Attese
almeno il senso d’incredulità che aveva provato
poco
prima.
Attese
di essere fulminato da uno dei suoi genitori, o
entrambi, direttamente dall’Afterspark -o dall'Inferno,
probabilmente suo padre
si trovava lì.
Non
giunsero fulmini, incredulità né sensi di
colpa.
«Ti
ho salvata perché “dovevo”»
continuò «Ti terrò con me
perché abbiamo un legame di sangue, perché siamo
gli ultimi rimasti, e in
futuro spero di riuscire a ricavare qualcosa di decente da te e che tu
non
continui a essere il fardello che sei adesso».
Stava
dicendo cose di una cattiveria assoluta, lo sapeva, ma
non avrebbe potuto importargli di meno e lei, in ogni caso, non poteva
capirlo.
«Immagino
che per ottenere questo dovrò fingere di amarti
com’era quando ti ho dato il nome».
Quella
era una delle ultime volte, se non l’ultima e basta,
in cui le avrebbe detto la verità.
«Non
doveva andare così. Tante cose non dovevano andare
così.
In un’altra vita forse non avrei avuto bisogno di fingere ma
in questa…
io ti detesto».
“E
non provo rimorso nel dirlo”.
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