Arrivai in ospedale leggermente in ritardo quella mattina.
Quel maledettissimo traffico.
Parcheggia la mia auto al solito posto. Presi la borsa e scesi dalla
macchina.
Ero davanti ai portoni. Ero completamente spaesata.
Le porte erano spalancate e la gente correra spaventata verso le loro
automobili.
Infermiere, Medici e pazienti stavano scappando dal mio ospedale.
Sperai che House non centrasse niente con questa cosa.
Bloccai un'infermiera.
"Che cosa diavolo sta
succedendo qui dentro?"
"Un uomo armato si
è barricato nel suo ufficio. Ci sono degli ostaggi con lui"
L'infermiera corse anche lei fuori dall'ospedale.
"O mio Dio!"
Il mio studio era oscurato. Le tende erano state tirate. Dall'esterno
non si poteva percepire niente.
Drin Drin Drin
Chiamai la polizia. Sarebbero arrivato in mezz'ora.
La hall dell'ospedale era semivuota.
Mi strinsi al bancone della reception. Dovevo aspettare.
Chiamai un infermiera.
"Ci sono dei medici tra
gli ostaggi?"
Drin
Drin Drin
Il trillo del telefono non permise alla donna di rispondere alla mia
domanda.
Sollevai la cornetta.
Era House.
Lui era uno degli ostaggi ecco perchè non rispondeva alle
chiamate di Wilson.
"Che succede
là dentro? Stanno tutti bene?"
Cercai di nascondere la paura nella mia voce, ma senza risultati.
"Tra poco sì,
sempre che lui non racconti frottole, ma mi sembra uno a posto"
A lui quell'uomo sembra a posto? Anche in un momento del genere la sua
voce era calma. Nel suo tono non c'era paura o una minima traccia di
preoccupazione.
Era il solito House.
"Ci servirà
del Propofol per verificare che si tratti di scleroderma polmonare. E
poi ce ne andremo a casa"
"Propofol, sicuro?"
Capii il motivo del sequestro. Quell'uomo voleva una diagnosi.
"Voglio che ce lo porti
una guardia" disse calmo
"No!"
Una terza voce si aggiunse. Era una voce roca, spaventata che cercava
di mantenere il controllo.
"Niente guardie. Niente
sbirri"
Dall'altra parte sentti delle voci. Degli strilli. Non riconobbi
nessuno.
Capii che qualche ostaggio avevo proprosto di uscire e prendere i
farmaci. Ma la secca risposta del sequestratore zittì tutti.
Non voleva guardie. Non voleva la polizia. Non voleva che un ostaggio o
un medico uscisse dallo studio.
Un'idea corse nella mia mente. Ero confusa e la paura mi faceva tremare
la mano che sorreggeva il telefono.
Fai che non mi chieda di portare il farmaco. Ti prego. Non ce la posso
fare.
"Visto che non
è uno sbirro, il farmaco ce lo porterà la
dottoressa Cuddy"
Quelle parole mi fecero gelare il sangue nelle vene.
Il mio cuore prese a battere all'impazzata.
Un terribile capogiro mi costrinse a stringere più forte le
mani al bancone.
La voce di House ruppe il silenzio.
"Potrebbe essere armata.
Io la farei entrare senza camicetta!"
Anche in un momento del genere, House non smentiva il suo modo di fare.
Anche se un pazzo gli puntava contro una pistola doveva scherzare.
Avrei voluto dargli uno schiaffo e fargli capire che non era tutta una
messa in scena.
Riagganciarono il telefono.
Nonostante la battuta di House, ero bloccata.
Ero eram immobile. Mi sorreggevo a setnto sulle gambe.
Il panico stava facendo di nuovo breccia nella mia mente.
Mi ricollegai alla realtà. Se non avessi reagito subito,
delle persone potevano morire di lì a poco.
Cercai il farmaco. Lo presi. E camminai velocemente verso il mio
ufficio.
Camminavo veloce per non avere ripensamenti. Per trovare il coraggio di
non scappare e di aspettare l'arrivo della polizia.
Mi fermai davanti alla porta. Bussai.
"Chi è?"
La voce sarcastica di House fece breccia nella parete. Ancora il suo
sarcasmo.
Mi venne ancora voglia di colpirlo.
Ma quando lo vidi aprire la prima porta, mi venne voglia di prendergli
la mano e tirarlo fuori da quella stanza e scappare con lui.
House camminò verso la seconda porta.
La aprì.
Mi tratteni dalla mia stupida idea.
Gli posi il medicinale.
Nello stesso momento sussultai.
Oltre le spalle di House, l'uomo teneva una pistola puntata alla tempia
di un infermiera.
"Oh Dio House! Forse
dovremmo aspettare..."
"Quelli con le pistole
più grosse?"
Ancora una volta il suo sarcasmo.
"Uno che sappia trattare
con un uomo armato!"
"Se ne vada o sparo!"
A quell'intimidazione, House chiuse la porta alle sue spalle.
Continuai a seguirlo con lo sguardo fino a quando lui non raggiunse la
seconda porta.
Si voltò.
Ci guardammo negli occhi per un millesimo di secondo.
Il tempo giusto. Lo sguardo Giusto.
Quello sguardo che ha un significato.
Lessi nei suoi occhi la preoccupazione.
Non mi voltai fino a quando la porta non si chiuse alle sue spalle.
Trattenni le lacrime.
Ora dovevo aspettare la polizia.
La sicurezza arrivò pochi minuti più tardi.
Raccontai dell'accaduto e nbel pronunciare il nome di House il
comandante notò la mia preoccupazione.
"Ci sono persone a cui
lei è molto legata lì dentro?"
"No..."
Mentii.
I cecchini avevano circondato l'edificio.
Il mio studio era sotto controllo dall'esetrno e dall'interno.
Il mio cuore batteva all'impazzata e le gambe che tremavano tradivano
le mie emozioni.
Avrei voluto parlare con qualcuno. Magari con Wilson. Ma di lui nemmeno
l'ombra.
Era nell'ufficio di House con la squadra. Lo stavano aiutando con la
diagnosi.
Anche la dottoressa Hadley era nel mio ufficio.
House chiese altri farmaci, ma questa volta non mi fu permesso di
avvicinarmi.
Fummo costretti ad abbandonare l'atrio.
Il pazzo aveva deciso di mandare la dottoressa Hadley a prendere i
farmaci, in cambio avrebbe liberato degli ostaggi per ogni famaco.
Ricevemmo un'altra telefonata.
Il paziente doveva fare una risonanza.
L'atrio era completamente libero.
Si aprirono le porte del mio ufficio.
Un cerchio di persone circondava il paziente. Erano tutti legati con
una corda.
Quel pazzo aveva creato una sorta di scudo umano.
Un'altro capogiro mi costrinse ad appoggiarmi al muro.
House era il medico che guidava il gruppo.
Era davanti a tutti e zoppicando cercava di avanzare verso l'ascensore.
Gli ostaggi erano entrati nella stanza della risonanza.
La squadra di sicurezza si spostò nell'atrio superiore fuori
dalla stanza.
Mi avvicinai di nuovo verso il comandante della polizia.
Gli ultimi ostaggi erano usciti. Un'infermiera e un'altro uomo.
"Come mai vi ha lasciato
andare?"
"Non ci hanno lasciato
andare. Siamo scappati. House gli ha preso la pistola per poter fare la
risonanza e noi abbiamo colto l'occasione per scappare!"
House. L'uomo senza pistola. Ora ero ancora più confusa.
Aspettavo che uscisse dalla stanza con la pistola in mano.
Ma niente.
Rimase nella stanza.
Voleva scoprire la malattia di quell'uomo.
Il comandante chiamò, ma nessuno rispose.
Continuammo a chiamare.
House rispose al telefono.
"Mi ha colpito e ha
ripreso la pistola. Smettetela di chiamare!"
House non aveva più la pistola. Le vite dei due dottori
erano ancora a rischio.
Speravo che House non facesse qualche idiozia. Di nuovo.
"Sta mentendo?"
Mi risvegliai dai miei pensieri.
"Perchè
dovrebbe?"
House non stava mentendo. Almeno lo speravo.
"Molte volte gli ostaggi
finiscono per stare dalla parte del rapitore"
"House non è
quel genere di persona"
O lo era? Chissà cosa stava passando per la mente a
quell'uomo.
"No, è il
tipo ossessivo e provocatorio"
Il comandante aveva ragione. House era davvero il tipo ossessivo e
provocatorio.
E non solo in quella occasione. Lo era stato per tutta la sua vita e
dovevo rassegnarmi.
Non sarebbe mai cambiato.
Doveva portare a termine quel caso. Diagnosticare la malattia. Era
quello l'obiettivo.
Anche se quell'uomo gli stava puntando contro una pistola.
"Mettet un microfoco
alla porta. Piazzate una carica."
Quell'ordine mi spaventò.
"Spero che il tuo
fidanzato sappia sappia quello che fa!"
Lo guardai sconcertata. Avrei voluto controbattere, dire che House non
era il mio fidanzato, ma una parte di ma, la più forte, non
me lo permise.
Passarono pochi minuti e House uscì dalla porta.
Rimase lì. Fermo. Immobile.
Fecero esplodere le cariche.
Non vidi altro che polvere.
Il boato dell'esplosione rimbombò in tuto l'ospedale.
Mi rialzai.
I muri della stanza erano sgretolati.
La polvere era ancora alta e densa.
Respirare era faticoso.
Ordini precisi.
Colpi si tosse.
Cercai con il mio sguardo House.
Non c'era. Lo cercai di nuovo.
Lo vidi inginocchiato in parte alla dottoressa.
***
Passarono alcune ore dall'accaduto.
Avevo dovuto compilare carte su carte.
Documenti vari. Assicurazioni. Telegiornali.
Dopo tuto quel trambusto riebbi il coraggio di entrare nel mio ufficio.
Spalancai gli occhi.
Era devastato.
I mobili erano stati spostati.
Sul muro erano segnati con la calligrafia di House i sintomi del
paziente.
Una scarpa era appoggiata sul tavolino sporco di sangue.
Siringhe e camici erano sparsi sul pavimento, anch'esso macchiato di
sangue
Mi voltai nel sentire quel passo...ma senza il bastone.
"I test hanno confermato
la melioidosi".
Stava cercando qualcosa. Io rimasi zitta.
"Facile non vederlo su
un vetrino."
Trovò il bastone.
"TAC e raggi x non sono
risolutivi"
Ad ogni sua parola, sentivo la rabbia fare breccia in me, per la prima
volta in quel giorno.
"E' tutto qui quello che
ti importa? Un cretino fa irruzione nella clinica, si guadagna di
prepotenza un ergastolo e tu permetti ogni suo singolo passo!"
"Se non avesse fatto
quello che ha fatto ora sarebbe morto. Per fortuna che tu hai permesso
ogni mia scelta medica."
Si avvicinò a me. Anch'io feci lo stesso.
"Credi che mi sia
comportata diversamente perchè c'eri tu lì
dentro?"
Eravamo vicini.
Speravio che lui annuisse. Speravo che lui si fosse accorto di tutto.
"Non lo so. Rifacciamolo
senza di me"
Rimasi sbigottita da quelle parole.
Una parte di me era delusa.
"Questo è il
perchè tra me e te non ci può essere
un...qualcosa"
Mi voltai diretta verso la mia scrivania.
Sembrava l'unica cosa intatta.
"Se stai insinuando che
hai fatto un casino a causa di una non-relazione con me...non so come
posso aiutarti"
Lo guardai un pò stupita.
"Perchè
l'unica cosa che puoi tirere fuori da una non-relazione è..."
Inclinò la testa e mosse una mano in mia direzione.
"Tu vuoi una relazione?"
Ora ero totalmente stupita.
"Dio. No! Cercavo solo
di seguire il tuo ragionamento."
Rimasi a fissarlo mentre usciva dal mio ufficio.
Mi sedetti e tentai di pensare ad altro.
Dovevo calmarmi. Avevo cercato di nascondere troppe emozioni in quella
giornata.
Cercai di aprire il cassetto.
House si bloccò alla porta, ma non diedi importanza.
Il cassetto era bloccato. Diedi uno starttone più forte.
Il cassetto si aprì facenco cadere tutte le cartelle sul
pavimento.
Anche se House mi dava le spalle, capii che sul volto di House si era
aperto un ghigno malefico e divertito.
Se ne andò. Uscì dallo studio e si diresse verso
l'uscita.
Mi chinai per recuperare tutta la documentazione.
Ecco perchè era nel mio ufficio quella mattna. Era arrivato
in anticipo per potermi fare questo scherzo. Per sua sfortuna questo
non era stato il suo giorno fortunato.
Ricomincia a sistemare i documenti, ma dovetti smettere quando mi
accorsi di stare piangendo.
Il mio ufficio era distrutto.
Una decina di persone aveva rischiato di morire a causa di quel pazzo.
House era una di quelle persone.
E che fa? Decide di curarlo.
Ed entrambi avevamo appena capito che c'era un qualcosa tra di noi.
Un qualcosa di impossibile.
Eravamo persone diverse. Completamente diverse.
Non c'era una vera storia. Non una qualsiasi storia. Qualcosa tra amore
e odio.
Ero confusa. Ero preoccupata. Ero arrabbiata.
Continuai a piangere inconsciamente.
Ero una donna forte, ma le lacrime non ne volevano sapere di smettere.
Guardavo fisso il pavimento.
Quell'unico metro quadrato che sembrava per lo più intatto.
sentti dei passi. Non alzai lo sguardo.
La mia testa era piena di pensieri, di ricordi e sensazioni.
"Cuddy"
Qualcuno mi stava chiamando.
Non risposi.
"Lisa"
Ancora una volta rimasi ferma.
Qualcuno si sedette accanto a me.
Allungò una mano e prese la mia.
Non alzai ancora lo sguardo.
Con l'altro braccio mi cinse leggermente le spalle.
Il bastone era appoggiato alla spalliera del divano.
Il colletto della camicia azzurra usciva spiegazzato dal cappotto.
Non alzai lo sguardo. Non ancora.
Mi strinsi forte a lui.
"Non andartene"
Mi strinse e sospirò.
"Uffa...vuol dire che mi
perderò la maratona di Monster Truck!"
Il suo sarcasmo. Ancora una volta.
Ma
adesso non avevo nessuna intenzione di colpirlo.
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