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Scritta
per il "contest degli haiku" indetto da Juriaka sul forum di
EFP.
Pacchetto #10
Tematica
generale: perdita
Luogo:
museo/galleria d'arte
Prompt:
scritto di un personaggio
Stagione:
autunno
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What
matters to me
La
pioggia di fine novembre le inzuppava i vestiti e le
congelava la pelle come infiniti aghi ghiacciati. Il freddo le era
penetrato
fin dentro le ossa e non accennava ad allentare la presa, la sua intera
figura
era scossa da violenti brividi. Tuttavia non aveva la minima intenzione
di
spostarsi e cercare un riparo da quel temporale. Sarebbe potuta anche
resistere
fino alla mattina seguente, era determinata a farlo.
Il
Metropolitan Museum alle sue spalle era chiuso già da un
pezzo, ma Clarisse non voleva alzarsi dai gradini
dell’ingresso principale.
Sarebbe stato come ammettere che aveva fallito su tutta la linea, e il
fallimento era qualcosa che non poteva proprio accettare.
Non
poteva credere di aver perso quella cosa
in un luogo come il Met. Come ci fosse riuscita non lo
sapeva nemmeno lei e la cosa di certo non contribuiva a migliorarle
l’umore.
Tutto il contrario.
Non
le importava più di tanto che non avesse tenuto fede a
un giuramento sullo Stige, il più potente
nell’intero mondo divino – no,
figuriamoci, in quel frangente, di maledizioni e fiumi infernali non
poteva
fregarle di meno.
Lei
voleva solo riavere quell’oggetto. Il resto del mondo
poteva andare a farsi fottere.
Si
era accorta della mancanza soltanto quando erano
trascorse parecchie ore dopo che lei e il suo gruppo di studio per il
college
erano usciti dal museo e subito si era fiondata sul primo treno che
l’avrebbe
fatta tornare a Manhattan. Aveva avvertito Chris e Chirone, al Campo,
che
avrebbe fatto più tardi di quanto pianificato inizialmente;
entrambi il figlio
di Ermes e il centauro avevano chiesto se le serviva aiuto solo per
ricevere in
risposta un secco “no”.
La
ragazza aveva passato al vaglio la zona degli “oggetti
smarriti” senza alcun risultato, così si era
incaponita nel comprare un altro
biglietto e setacciare l’intero museo da cima a fondo. Aveva
controllato la
sala dell’arte classica almeno cinque volte, girato senza
meta nell’ala egizia
per più di un’ora e fatto su e giù per
i tre piani dedicati alla pittura
talmente tanto che alla fine le sembrava di aver appena finito la
maratona di
New York. I sorveglianti l’avevano praticamente buttata fuori
a calci quando
era arrivato l’orario di chiusura e la sua ricerca non aveva
condotto a nessun
risultato utile se non quello di farla sentire una miserabile.
Guerriera
benedetta da suo padre Ares. Salvatrice del Campo.
Annientatrice di draghi. Clarisse era tutto questo eppure non era stata
in
grado di mantenere una cavolo di promessa riguardo un dannatissimo coniglietto rosa di pezza.
Soltanto
l’universo poteva sapere quanto si sentisse uno
schifo in quel momento. Fulminò con lo sguardo una coppia
sul punto di
avvicinarsi alla sua posizione: non aveva bisogno di venire compatita
da
qualche sconosciuto né dagli altri al Campo,voleva solo
restarsene da sola con
le sue elucubrazioni. Quel peluche tutto spelacchiato non poteva
essersene
andato via per conto suo, e lei era certissima di aver aperto lo zaino
che lo
conteneva soltanto al museo perciò di sicuro era
lì. Magari le serviva solo più
tempo per cercarlo in ogni sala.
Poco
importava di dover aspettare per molte ore fuori al
freddo, di notte, alla mercé di eventuali mostri. Che si
facessero pure avanti
in massa, le serviva giusto un modo per sfogare tutta la sua rabbia.
Il
Fato doveva proprio trovare divertente questa sua ultima
constatazione perché, tempo neanche dieci minuti, le venne
incontro una donna
apparsa da chissà dove. Se avesse camminato sul marciapiede
per un lungo tratto
come tutte le persone normali, le orecchie allenate della semidea
avrebbero
potuto udire i suoi passi nonostante la pioggia e le foglie ingiallite
che
coprivano parte del viale.
–
Tutto bene, tesoro? Ti serve una mano?
La
ragazza, più giovane di quanto Clarisse avesse pensato
inizialmente, parlava con un tono di voce strano. Era un suono gentile
e soave,
come se si stesse preoccupando davvero
per lei e potesse percepire appieno tutto lo sconforto
della
mezzosangue. Risultava davvero difficile non accettare il suo aiuto.
La
figlia di Ares non riusciva a vederla bene in faccia, ma
poteva notare come avesse una corporatura minuta. I suoi vestiti erano
ampi e
parecchio ridicoli anche per qualcuno dallo stile eccentrico: un
giubbotto da
sci verde chiaro sopra una gonna a pois bianchi e rossi al ginocchio e
degli
stivali alti marroni. Sembrava un po’ svitata.
La
sconosciuta la invitò ad alzarsi dagli scalini e la
riparò sotto un ombrello azzurro mentre si incamminavano
lungo la Fifth Avenue.
Lì sul momento Clarisse non fece caso al fatto che si
stavano allontanando
sempre di più dalle strade maggiormente frequentate, la
ragazza aveva una
parlantina sciolta e la sua mente finiva per concentrarsi sempre su
quello.
Disse che si chiamava Bethany e l’avrebbe portata a mangiare
qualcosa di caldo
in un baretto, perché non poteva lasciare che una povera
fanciulla restasse da
sola a piangere sotto la pioggia.
La
castana si convinse che Bethany fosse una persona
gentile, nonostante si fossero incontrate appena quindici minuti prima.
Solo
quando lei glielo fece notare, la figlia di Ares si rese conto di avere
davvero
freddo per via dei suoi abiti fradici.
–
Devi essere stanca, ti peserà portare sulle spalle quello
zaino! – esclamò la più bassa.
– Che ne dici di darlo a me? Te lo tengo io,
tranquilla. Dai qua.
Un
angolino razionale del suo cervello ancora opponeva
resistenza alle parole persuasive della donna, strillandole che non
poteva
affidare a una sconosciuta la sacca in cui aveva riposto anche la sua
arma
principale in caso di attacco. Aveva con sé anche un
coltello di bronzo – Chris
non l’aveva lasciata uscire dai confini magici fino a quando
lei non si era
arresa e aveva acconsentito a portarlo –, ma si sentiva
più sicura con il lungo
pugnale dello zaino.
La
giovane donna insisteva, il palmo della mano proteso
verso di lei e un sorriso incoraggiante stampato in viso. Clarisse era
titubante, continuava a spostare lo sguardo dallo zaino alla figura di
fronte a
sé. Quella la esortò ancora, tuttavia era sempre
più titubante. Qualcosa
decisamente non tornava.
Fu
la luce tremolante di una scalcinata insegna al neon a
farla tornare in sé. Si concentrò sulla
luminosità ad intermittenza piuttosto
che sull’invito dell’altra a guardarla e ascoltare
le sue parole e quel gesto
le salvò la vita.
–
In nome di… Perché cavolo mi hai portato in
questo
vicoletto malfamato? – la semidea si mise sulla difensiva. Si
allontanò da
Bethany di alcuni passi e dopo aver tirato fuori dalla borsa la sua
arma se la
ributtò in spalla.
La
viuzza in cui si trovavano era stretta e soffocante,
giusto una striscia di terra tra due alti palazzi. Qualche metro alle
spalle
della sconosciuta c’erano dei grossi bidoni
dell’immondizia, forse appartenenti
ad un ristorante, viste la nube di moschini e la puzza nauseabonda che
li
circondavano. Di certo se fosse finita nei guai non sarebbe passato
nessuno che
avrebbe potuto aiutarla, nemmeno per sbaglio.
–
Non c’è bisogno di essere così
scontrosi, ragazza mia. Io
ti sono amica, voglio solo aiutarti. Eri uno spettacolo così
triste, sola sotto
la pioggia, che mi si è stretto il cuore e mi sono detta
“non posso non fare
niente per lei”!
Di
nuovo quel tono suadente e mellifluo che l’aveva fatta
cadere in trappola. Clarisse era determinata a non farsi fregare una
seconda
volta, doveva resistere alla sua magia persuasiva. Portò il
pugnale contro il
palmo della mano libera e fece scivolare la lama contro la pelle: un
rivolo di
sangue cominciò a sgorgare dal taglio che si era inflitta.
La ferita non era
dolorosa, tuttavia il suo cervello non poteva ignorare il fastidio
pungente.
Esattamente ciò che la guerriera desiderava.
–
Oh, andiamo! Voi mezzosangue siete così irritanti.
– il
viso di Bethany si contorse in una smorfia di disappunto. –
Davvero sei
arrivata a ferirti da sola per non ascoltare la mia voce?
Avanzò
di un passo verso la semidea e solo in quel momento
Clarisse si accorse che il suo modo di camminare era un po’
strano: faceva un
rumore particolare, diverso per una gamba e l’altra. Inoltre,
sembrava che
fosse instabile sui suoi stessi piedi.
–
E io che speravo in un pasto facile, stasera. – il ghigno sul
suo viso era mostruoso, le labbra lasciavano scoperte le gengive da cui
scaturivano affilate zanne. – È un po’
che non trovo un semidio maschio di cui
cibarmi, speravo di poterti fregare e uccidere in santa pace anche se
sei una
ragazza. Poco male, vorrà dire che farò un
po’ di esercizio fisico prima di
cena.
La
figlia del dio della guerra digrignò i denti. – Ma
bene,
fatti pure sotto. Tanto anch’io ho del tempo da buttar via.
–
Oh, già, devi aspettare che riapra il museo. –
ridacchiò
Bethany mentre stiracchiava le braccia con fare annoiato. Le dita si
fecero più
lunghe e nodose, e le unghie si tramutarono in affilati artigli. Gli
occhi
luccicarono scarlatti nella penombra del vicolo, desiderosi di
assaporare la
carne della mezzosangue.
–
Devi tornare a cercare quella cosa che hai perso... –
finché parlava, con un gesto fulmineo si strappò
letteralmente gli stivali e
gran parte della gonna, rivelando due gambe mostruose: la prima era una
protesi
metallica ammaccata in alcuni punti, invece la seconda era la zampa di
un
asino, la peluria ispida e scura.
–
…peccato solo che non la troverai mai.
La
castana non si chiese come facesse l’Empusa a sapere del
coniglio, si lanciò all’attacco e basta.
Mirò la testa del mostro, ma Bethany
deviò la lama con gli artigli e ne approfittò per
colpirla sul fianco con
l’altra mano. Clarisse balzò
all’indietro con un colpo di reni, evitando per un
soffio di venire sventrata dalla sua avversaria. Era in una posizione
sbilanciata, ma caricò comunque un calcio che prese
l’Empusa sotto lo sterno e
la allontanò da lei.
Bethany
si rialzò
subito, fece forza sulle gambe e si scagliò verso di lei.
Clarisse si era già
rimessa in piedi con una specie di capriola e caricò a sua
volta. Bronzo
celeste e artigli si incrociarono. Stavolta la figlia di Ares non si
fece
cogliere alla sprovvista: respinse l’attacco della prima mano
e, rapidissima,
mulinò l’arma che tranciò di netto tre
dita della seconda. Bethany ululò di
dolore e riuscì a graffiarle la spalla.
–
Tu non sei una figlia di Afrodite, bastarda! –
latrò
l’Empusa, rabida. – Tu puzzi come l’altro
odore che appesta il pupazzo!
Clarisse
trovò un’apertura tra i suoi colpi senza sosta e
le
rifilò il pomello del pugnale sulla guancia, mandandola a
schiantarsi contro il
muro. Le balzò addosso, pronta per il colpo di grazia, il
mostro la prese in
pieno petto con lo zoccolo e la spedì contro la parete
opposta. Lo zaino sulla
schiena attutì solo di poco la botta; la ragazza rimase
senza fiato e le si
annebbiò la vista. Barcollando, cercò di
rialzarsi, tuttavia Bethany la
schiacciò con il suo piede metallico.
La
testa le pulsava, ma poté comunque mettere a fuoco la
figura dell’Empusa davanti a sé. Tra gli artigli
della mano sana reggeva un
fagotto grande non più di due pugni di Clarisse, anche se
non sapeva da dove lo
avesse appena tirato fuori.
–
Quando ho trovato questo affare al museo, speravo che a
riprenderselo sarebbe venuta una figlia di Afrodite. Io odio i figli di
Afrodite! – Bethany fece dondolare il peluche con fare
scocciato. – Insomma,
sono sempre così belli e perfetti da fare schifo. E alcuni
di loro osano pure
copiare i nostri poteri! Ma che se ne fanno della lingua ammaliatrice
se tanto
sono inutili?
Alla
castana non interessava ascoltare i complessi
dell’Empusa contro la progenie della dea
dell’amore, ma doveva guadagnare tempo
prima che l’altra si ricordasse di ucciderla. –
Come fai a… dire che… che è di
una figlia di Afrodite? – grugnì, i polmoni e la
gola che andavano a fuoco.
Bethany
doveva essere parecchio idiota, perché le diede
retta e attaccò a parlare. – Stupida mezzosangue,
è l’odore di questa cosa.
Così orribilmente delicato, proprio come una figlia di
Afrodite reale. Anche
se, in realtà, c’è un’altra
puzza attaccata al coniglio. Che fastidio, solo
adesso mi rendo conto che è uguale alla tua…
La
ragazza fingeva di ascoltare le lamentele del mostro,
mentre teneva un braccio ripiegato dietro la schiena. Il polso e la
mano si
muovevano appena, tastando la pelle sotto la felpa alla ricerca del
coltello di
Chris: lo aveva nascosto sotto i vestiti, nell’estremo caso
che il pugnale
fosse stato fuori dalla sua portata.
Lo
stordimento dovuto all’urto stava scemando, la sua
visuale stava tornando nitida. I polpastrelli toccarono qualcosa di
rigido e
freddo. Aveva trovato l’elsa del coltello!
–
E quindi… tu speravi di uccidere la semidea figlia di
Afrodite che sarebbe venuta a riprendersi il peluche?
L’Empusa
batté le palpebre, confusa. – Uh? Te
l’ho appena
detto, sciocca ragazza. Cos’è, la botta contro il
muro ti ha rintontito del
tutto? Se è così, allor-
Non
terminò mai la frase.
Come
una saetta, Clarisse si lanciò in avanti verso il
mostro e le affondò il coltello nel ginocchio di metallo,
là dove c’erano le
giunture. Urtò Bethany e la sbilanciò
all’indietro, facendola cadere sulla
schiena. Strappò la lama dalla sua gamba e le si
avventò contro. Le urla e le
imprecazioni dell’Empusa erano assordanti. Le
conficcò l’arma nel petto una,
due, tre volte, fino a che il suo grido non si spense e di lei non
rimasero che
un cumulo di polvere e una gonna sbrindellata.
La
ragazza si passò le mani sui pantaloni per pulirli dalla
polvere, dopodiché rimise a posto sia il coltello che il
pugnale; quest’ultimo
era finito sul pavimento poco distante da dove l’Empusa
l’aveva atterrata. Per
ultimo raccolse l’animaletto di pezza. La peluria era
scolorita e su uno degli
occhi di plastica si ramificavano varie crepe, ma non era niente di
diverso dal
solito.
Con
delicatezza, Clarisse girò il peluche e gli
esaminò la
schiena. Un angolo sotto la testa era senza pelo ed era stato
rammendato con
due semplici punti di filo. Anche in questo caso, tutto nella norma
– Will
Solace, della Capanna Sette, l’aveva ricucito dopo che un
novellino di Ermes
aveva provato a farle uno stupido scherzo (finito poi con il suddetto
novellino
in infermeria con un braccio rotto).
Restava
da controllare la parte più importante. Con le dita
tastò il retro fino a quando non trovò una
minuscola cerniera. La aprì con
estrema cautela, quasi avesse paura di poterla rompere se avesse
esercitato
solo un briciolo di forza in più.
Dalla
tasta nascosta del coniglio estrasse un biglietto
ripiegato a metà. Spostò il peluche sotto braccio
e aprì il foglio con mani
tremanti: si trattava di una breve lettera scritta in una grafia
inclinata ed
elegante. Finché la leggeva, non si accorse nemmeno che le
si inumidirono gli
occhi e piccole lacrime presero a rigarle le guance.
Grazie
agli dei il temporale era terminato, la pioggia non
avrebbe rovinato quella carta così importante. Terminata la
lettura, sistemò di
nuovo il foglio all’interno del coniglio e poi pose
quest’ultimo al sicuro
nello zaino. Cercò di asciugarsi gli occhi e darsi un
contegno mentre si
incamminava di nuovo verso la Fifth Avenue, pensando a un modo per
mandare un
messaggio Iride a Chris e tornare di nuovo a casa.
Aveva
trovato ciò che cercava.
L’ultimo
regalo di Silena Beauregard.
---
Ciao, Clarisse.
Forse mi odierai per
quello che sto facendo pero, ehi, qualcuno qui doveva pur prendersi
questo
incarico. Charlie è qui vicino a me che se la sta ridendo e
continua a dire “oh
vedrai, vedrai come darà di matto” ma io ci tengo
a sottolineare che questa
idea è per metà anche sua. Il povero Chris non
c’entra niente.
Okay, forse è
brutto ammetterlo visto che orchestreremo il tutto in modo che
sarà lui a darti
il regalo, ma lo conosci troppo bene. Non è esattamente il
tipo più romantico
del mondo.
Beh, nemmeno tu lo sei
a dirla tutta, e io credo che insieme state benissimo così,
senza nessuna
smanceria o che altro.
Però domani è pur
sempre il vostro primo anniversario come coppia; è un giorno
speciale e quindi
in qualche modo bisogna festeggiarlo, perciò ecco qua questo
stupido
coniglietto rosa. Lo so, è un po’ spelacchiato e
mi spiace non aver trovato niente di
più carino, vai tu a fidarti dei figli di Ermes (mi
preoccupo per la povera
Katie, lei dovrà sorbirsi i regali di Travis Stoll
– perché io LO SO che quei
due finiranno per mettersi insieme).
Mi sto perdendo nel
mio stesso discorso. Quello che volevo dire è che spero con
tutto il cuore che
questo regalo piaccia sia a te che a Chris, e che voi due sia per
sempre quella
coppia stupenda che siete adesso.
Ti voglio bene,
tua Silena.
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Hola gente
Finalmente, dopo
secoli in cui continuavo a buttare giù una bozza, rileggerla
e cancellarla perché faceva pena, riesco a pubblicare questa
shot! E' ambientata nell'autunno dopo "Lo scontro finale", quindi qui
doveva ancora succedere tutto il casino con i semidei romani e Gea e
compagnia bella ("L'eroe perduto" mi pare sia ambientato a dicembre e
lì è scritto che Percy è scomparso da
soli tre giorni)
L'idea del
coniglietto rosa mi è stata data - involontariamente,
chiariamo che non mi ha aiutato in nessun modo rispetto agli altri, io
da sola ci ho fatto su tutto il mio castello di carte - dalla
stessa Juriaka, nella sua challenge "Slot machine": il morbido
coniglietto di peluche sembra un prompt assurdo per una storia angst e
quindi io, masochista e disperata, mi sono bellamente detta
"perché no?" Okkei, non è angst, solo alla fine
diventa un po' malinconico, ma dettagli.
La stagione del
pacchetto non è presente solo come ambientazione generale
della storia (fine novembre), ho cercato di renderla anche in senso
metaforico: l'autunno, tra le sue tante interpretazioni, ne ha una
riguardo alla malinconia e alla tristezza. Spero di averla resa
abbastanza bene con la lettera finale, anche se mi sa che è
un po' criptica la cosa.
L'Empusa che
attacca Clarisse la inganna usando la lingua ammaliatrice
(abilità che hanno anche alcuni figli di Afrodite),
cioè la ipnotizza con le sue parole. Ha un effetto
più debole se la vittima sa che l'avversario sta usando
questo incantesimo o se la sua volontà è davvero
molto forte.
Ah
sì, l'accenno alla Tratie nella lettera di Silena l'ho
dovuto mettere per forza, non ho saputo resistere.
E mai come questa volta fu più vero che il titolo mi fa pena
e ho dovuto dare di matto per inventarmene uno decente...
Mi pare di aver
detto tutto, ringrazio chi recensirà e anche chi
leggerà e basta
Alla prossima gente
Adios
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