Questo
scontro è finito.
Ti
ho sconfitto, Tatsumaru.
Ora
giaci ai miei piedi, inerme.
Ho
vendicato la morte dei miei compagni.
Il
nostro padre e maestro potrà avere la pace eterna.
Punto
la lama della mia tanto ninja sul tuo petto.
Eppure,
la vicinanza del ferro non muta la quieta serietà del tuo
volto.
I
tuoi occhi castani sono fissi nei miei e nessuna ombra di paura vela
il loro splendore.
Come
puoi essere tanto tranquillo?
Ti
rendi conto di quello che hai fatto?
Hai
tradito la tua famiglia!
Hai
ucciso il nostro maestro e, per colpa tua, Rikimaru ha perduto un
occhio.
Esito.
Malgrado le tue colpe, io, stupida, continuo ad amarti.
Il
mio cuore mi impedisce di portare a termine il mio dovere di
kunoichi.
Tu
approfitti di questa mia esitazione.
Fulmineo,
afferri la mia lama e la pianti nel tuo petto.
Sbarro
gli occhi, sgomenta. Tutto mi sarei aspettata, ma non questo.
Il
sangue, impetuoso, esonda dalla ferita e, implacabile, divora il
ponte della nave.
Il
mio odio, dinanzi a questo tuo atto, si dissolve.
Tutto
svanisce, davanti alla realtà della tua agonia.
– Perché
Tatsumaru? Perché? – urlo. No, non voglio vederti
morire.
E’
il mio dovere di guerriera, ma non riesco ad accettarlo.
Eppure,
non riesco a fare nulla.
Mi
lanci uno sguardo serio, lucido d’amarezza.
E,
in questo momento, la verità brilla davanti ai miei occhi.
– I
crimini imperdonabili devono essere puniti… Il traditore deve
morire… – sussurri.
La
tua voce è flebile, ma io riesco a comprendere cosa dici.
Hai
scelto la mia lama per punire te stesso delle tue colpe.
Hai
voluto seguire l’Aurora di Fuoco, per un distorto senso di
lealtà, ma il rimorso ti ha tormentato.
Il
tuo corpo si accascia sul ponte, ormai morto.
Crollo,
lo sguardo fisso sul tuo cadavere. Il mio dovere si è
compiuto, ma a cosa è servito?
Tu
sei morto e le luci dei bracieri illuminano il tuo viso di un debole
chiarore.
Posso
distinguere i tuoi splendidi lineamenti, fermi nel sonno eterno.
Uno
scalpiccio di passi giunge alle mie orecchie.
Non
mi alzo.
Sono
stanca di questa pazzia.
– Ayame?
– mormora una voce maschile, vibrante di perplessità.
Sei
tu , Rikimaru.
Sei
uscito vincitore dalle tue battaglie.
Guardo
la spada Izayoi, che giace a poca distanza da Tatsumaru.
Prendo
l’arma e la lancio verso di te, amico mio.
Con
la morte di Tatsumaru, spetta a te.
La
prendi e, per alcuni istanti, resti silenzioso.
Riesco
a sentire il tuo sguardo, che si posa ora sul cadavere di Tatsumaru,
ora su di me.
Non
dici nulla, ma so che hai compreso e ti ringrazio per avere
rispettato il mio dolore.
Poi,
ti allontani verso l’ultima battaglia.
Il
rumore dei tuoi passi, presto, si confonde con le grida di morte e di
vittoria dei combattenti.
La
forza, che prima mi aveva sostenuto, scompare e, affranta, crollo sul
tuo petto immoto, Tatsumaru.
Non
doveva finire così.
Le
lacrime, impetuose, sgorgano dai miei occhi e bagnano il tuo petto.
Come
vorrei potere sentire la tua voce…
Ma
questo è un desiderio impossibile.
Mi
alzo e salgo sul castello di prua.
Sono
stanca di questa distruzione.
Perfino
tu, Rikimaru, hai perduto la tua anima in questa guerra.
E,
presto, il peso del clan Azuma si abbatterà sulle tue spalle.
Mi
dispiace di non potere essere al tuo fianco, ma non ho la tua forza
d’animo.
Ti
ho preso in giro, ma il tuo animo è ben più saldo del
mio.
Anche
senza di me, riuscirai a comandare il clan Azuma con saggezza e
coraggio.
Fisso
il mare, che si stende sotto di me, e ascolto il debole sciabordio
delle onde, che si infrangono contro la nave.
Chiudo
gli occhi, stanca. L’oscurità, in questo momento, mi
attira.
E’
la promessa di un riposo eterno, lontano dalle amarezze di questa
esistenza.
E
precipito verso la tenebra.
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