Visions of Gideon
« Non
riesci a dormire? »
Il
vento che agita l’erba alta porta a Gatsu le
voci dei suoi compagni in festa, strappa a Grifis la fine della domanda – rendendola più simile ad un’affermazione,
un dettaglio buffo che la mente di Gatsu, pur cogliendolo, decide di archiviare
in fretta e furia. C’è molto
altro da osservare: la luna splende perpendicolare sulle loro teste, ed
illumina il profilo della figura di Grifis, il cui volto è immerso invece nel buio a cui Gatsu,
seduto e nascosto dalla sua ombra, appartiene. Indossa vesti leggere e chiare,
come leggeri e chiari sono i lunghi capelli che gli circondano il volto, e
tiene le braccia dietro la schiena – una
posizione che assume spesso, quand’è
pensieroso; un’abitudine tra le tante.
Gatsu
si domanda quando abbia smesso di classificarle come stranezze ed abbia
iniziato a percepirle come tali.
« Veramente no. », ammette. Con un cenno della testa
indica il caos di luci e voci alle loro spalle, l’accampamento
della Banda dei Falchi in festa: c’è chi
ha tirato fuori una lira, chi ha ricavato uno strumento a percussione da una
bottiglia di vino vuota e due bastoncini di legno; un coro di voci stonate si
solleva in aria e ad ogni nuova canzone da taverna, ogni inno sacro e blasfemo,
un nuovo stormo di uccelli vola via dagli alberi su cui si era rintanato,
lontano da quella stridente accozzaglia di suoni. Volano alla ricerca del
meritato riposo; Gatsu riesce a seguire il percorso di alcuni di loro con lo
sguardo; altri svaniscono nella notte, si fanno più distanti.
Quello è qualcosa a cui neppure lui, nato e
cresciuto in un accampamento di mercenari, si abituerà mai: il rumore, l’assoluta
e perenne voglia di festeggiare, di imprimere nella mente ogni vittoria ed ogni
risultato. Viaggia coi Falchi da molto tempo, ormai, ma le notti successive
alle grandi battaglie la passa ancora insonne, ad ascoltare le voci dei suoi
compagni, a cercare di distinguerle. Quella di Grifis la riconoscerebbe ad
occhi chiusi – pacata, sottile, decisa nell’impartire ordini quanto sognante e
svagata nei momenti di pace.
Lo
stesso Grifis si sdraia al suo fianco, restituendo Gatsu alla luce della luna. I
gomiti reggono il busto e la testa appena al di sopra degli steli d’erba; il suo sorriso splende di
bianco. « Lascia che festeggino. », mormora, voltandosi per rivolgere
il proprio sorriso a lui, e a lui soltanto. Gatsu china lo sguardo, si sottrae
a tanto apparente candore. « Se lo
meritano, non credi? »
Annuisce
a quella domanda. Ogni giorno non impiegato nel combattimento è un giorno di addestramento, ma i
risultati sono più che evidenti: venti ingaggi
nell’ultimo anno, venti battaglie,
venti vittorie. Come vi fosse una voce a guidarlo, Grifis accetta sempre i
lavori migliori, quelli che permettono alla loro fama di crescere e al loro
numero di rafforzarsi – e se c’è un disegno all’atto, una qualche strategia nelle sue
scelte, Gatsu non la vede né si
preoccupa di cercarla: a lui basta combattere, avere un letto in cui dormire e
qualcosa da mangiare. Gli basta avere una ragione, sia essa superficiale o
meno, per impugnare un’arma.
Grifis
si rilassa completamente, ora; si sdraia, incrocia le braccia dietro la testa.
Gli occhi azzurri fissano il cielo notturno e le stelle che lo decorano, creano
trame che solo a lui è dato
vedere. Quanto a Gatsu, non può dire
di possedere altrettanta fantasia – ma
prova un piacere segreto nell’osservarlo
tessere, nel comprendere ciò che
gli passa per la mente. Sussulta quando lo sguardo di Grifis si sposta da un
punto indefinito al suo volto, come l’avesse
colto nel bel mezzo di un qualche crimine.
« Sdraiati con me. », lo esorta. Gatsu sorride, scuote la
testa – ma il sorriso di Grifis
rimane dov’è, per nulla scalfito dalla
sua reazione, e lui cede: si sdraia, posa la testa sul terreno ed incrocia le
braccia sul petto dopo aver speso qualche istante indeciso sul da farsi. La
loro vicinanza è tale che Gatsu, osservandolo
anche solo distrattamente, vede il petto di Grifis alzarsi ed abbassarsi al
ritmo dei suoi respiri. La maglia si tende nello sforzo della posizione delle
sue braccia, delinea e rivela muscoli che la sua figura longilinea solitamente
nasconde. Nel notare il suo sguardo, Grifis abbassa il braccio a lui più vicino e lo posa sulla pancia; la
magia termina in un istante. Gatsu riprende ad osservare un punto all’orizzonte, il volto rivolto nella
direzione opposta a quella in cui si trova il suo compagno.
« Oggi hai combattuto bene. », mormora Grifis. La sua voce è bassa, fine; di nuovo si perde nel
vento, nonostante la distanza tra loro due sia ora infinitesimale. « Che cosa farai, domani? »
Gatsu
aggrotta le sopracciglia. « Non
dobbiamo combattere, domani. »
« Non intendo domani domani. », gli
risponde. Gatsu non lo sta guardando, ma percepisce il sorriso nella sua voce – in un angolo del suo campo visivo
vede le sue braccia: le ha sollevate per esprimere con un gesto un tempo vago,
futuro. « Intendo dire più in là. Tra
una settimana, un mese. Un anno. »
Gatsu
ci pensa per un istante. Un muro di nebbia gli si para davanti agli occhi; nella
cecità avverte salda la presa della
sua mano sull’elsa di una spada, ma nulla
di più. « Domani è troppo
distante per pensare a cosa vorrò fare. », risponde. Grifis mugugna, non del
tutto soddisfatto della sua risposta. Abbassa le braccia. « Posso dirti cosa farò tra un’ora, se
ci tieni tanto. »
Una
pausa. Il vento carezza la pelle di Gatsu, un abbraccio freddo ma gentile. « Ti ascolto. », sussurra Grifis. Gatsu torna a guardarlo, per un
momento; poi rivolge il viso al cielo. La luna è all’orizzonte.
« Tra un’ora mi
sarò stancato di sentirli schiamazzare. », spiega. « Mi alzerò e dirò loro di fare silenzio. Qualcuno di
loro protesterà, ma la maggior parte
abbasserà la voce. Allora me ne andrò a letto, e mi farò una lunga dormita. »
« Non mi sembra un gran piano. », mormora Grifis. Intreccia una
ciocca di capelli tra le sue dita e la lascia andare.
« È un
ottimo piano. », ribatte lui. Sistema meglio
la testa contro il terreno. « Il
migliore che abbia mai pensato, credimi. »
Grifis
ride; si stringe la pancia con un braccio e ride di gusto. La sua risata si
acquieta piano piano, un singulto alla volta. Per qualche istante è un suono forte, totale e completo,
tanto da soffocare i canti e gli strumenti alle loro spalle; poi scompare,
ancora una volta inghiottita dal vento. Il suo fantasma aleggia tra loro, l’eco di un tempo che sembra già lontano, distante.
« Hai così tanta voglia di dormire? », gli
domanda. Gatsu annuisce.
« Sono molto stanco. »
« Allora che bisogno c’è di aspettare? »
Grifis
si volta su un fianco. Parte del suo corpo aderisce perfettamente al fianco di
Gatsu, eppure lui non si sposta, non lo allontana: è caldo, un calore confortevole e amico, il calore di un
falò nel bel mezzo di una tempesta. Boccoli
bianchi ricadono oltre la sua spalla, mascherano l’espressione sul suo volto. Il sorriso di Grifis è dolce, è pieno, ma i suoi occhi sono tristi gemme incastonato in
un viso d’avorio: non mutano d’espressione, indipendentemente dalle
circostanze. Riflettono un futuro distante.
« Dormi. », gli mormora. Posa il mento sul palmo della mano aperta,
il gomito nel terreno, a qualche centimetro dalla testa di Gatsu.
« Non ci riesco. », ripete lui. « C’è
troppo rumore. »
La
luna, ora, è alle loro spalle. La mano su
cui Grifis non si regge, la destra, si libra dal fianco su cui è posata e scivola verso il volto di
Gatsu; il dito medio traccia una linea retta che dalla sua fronte scende oltre
al suo naso, indice ed anulare premono delicatamente sulle palpebre e le chiudono.
« Dormi. », ripete; Gatsu percepisce la sua mano scendere, il suo
fiato caldo contro i polpastrelli delle dita di Grifis che si attardano sulle
sue labbra. Le sente secche, ed istintivamente le lecca per inumidirle – scatenando una reazione divertita in
Grifis, che ride sottovoce. La sua mano prosegue oltre il mento di Gatsu, si
sofferma sul suo collo, lo carezza; in circostanze differenti Gatsu lo avrebbe
allontanato, scaraventandolo di peso lontano da sé – ma quelle non sono circostanze
normali, e tanto è chiaro anche a lui.
« Da quanto tempo siamo qui? », gli chiede. La risposta di Grifis è sempre la stessa, una litania lenta
e breve:
« Dormi, Gatsu. »
La mano
ora preme sul suo petto, riscopre forme che già
conosce. Non vi si sofferma a lungo, ma per un istante Gatsu ha l’impressione che riposi all’altezza del suo cuore, per percepire
i battiti il cui ritmo si fa sempre più
concitato. Scende verso il cavallo dei pantaloni ed è allora che Gatsu si concede di aprire gli occhi: Grifis
lo fissa coi suoi occhi da rapace, sottili e maligni, ma mai crudeli – mai con lui. Il suo sguardo non muta
neppure quando la sua mano scivola sotto il limite invalicabile dei pantaloni
di Gatsu, quando prende in mano il suo sesso.
La
reazione è istintiva. I pugni di Gatsu scendono
ad afferrare ciuffi d’erba,
il suo corpo si contrae, disturbato da quel tocco nuovo ed alieno, dalle
sensazioni che causa. Sente il viso di Grifis sfiorare il suo e si volta a
guardarlo, aggrappandosi disperato alla sua espressione lievemente divertita
per ritrovare la calma, la quiete. Non comprende se gli altri si siano
addormentati improvvisamente; tutt’attorno
è quiete, e al di sopra delle
pulsazioni che rimbombano nelle sue orecchie Gatsu sente solo i propri gemiti,
il suono regolare della mano di Grifis che lo masturba.
« Va tutto bene. », gli sussurra. Gatsu annuisce,
allenta la presa; si sottomette completamente a lui, forse per la prima volta
da quando lo conosce. L’intera
visuale che la posizione in cui è
costretto gli offre è il
volto di Grifis e più lui lo
tocca, più i suoi movimenti si fanno
rapidi e calcolati, più Gatsu
si scioglie tra le sue dita. Inala il profumo dei capelli di Grifis, che gli
sono scivolati sul volto; ad occhi chiusi cerca la sua bocca e la bacia, accetta
con curiosità che lui morda il suo labbro
inferiore fino a fargli male. È tutto
nuovo, ed è tutto terrificante, ma il godimento
che lui gli provoca è una
certezza assoluta che Gatsu esprime sotto forma di mugolii rochi, proteste
spezzate ed inermi che cadono dalle sue labbra incoerenti. Sente sempre più nitida la forma del piacere, una
pozza liquida che sporca il suo pube, un velo bianco che lo avvolge e soffoca,
costringendolo ad un’esistenza
priva di qualsiasi altro stimolo.
Per un momento,
totale e profondamente reale, non esiste altri che Grifis. È la mano che lo conduce all’orgasmo, il fiato che aspira l’aria e la toglie ai suoi polmoni, la
bocca che lo afferra e soffoca. È il
candore dei suoi capelli che, ora che Grifis quasi lo sovrasta, sdraiato su di
lui, lo circonda completamente.
Poi,
quasi un istante dopo, Gatsu chiude gli occhi.
*
Li
riapre su un cielo che ha un colore che non conosce, una macchia indistinta a
metà tra un tenue azzurro ed un grigio
che promette freddo, promette neve. Non ha il coraggio di muoversi: non è stanco, ma neppure riposato – sente i muscoli irrigiditi dal
freddo, le gocce di rugiada che bagnano gli steli d’erba che carezzano la sua pelle. Due uccelli entrano nel
suo campo visivo: volano lenti, tracciando forme astratte, si inseguono l’un l’altro
senza emettere un singolo suono – ad una
più attenta riflessione non sono loro a
non emettere suoni, ma è il
mondo intero che sembra essersi calato nel silenzio più assordante che Gatsu abbia mai sentito.
Si
solleva seduto. Neppure il suo movimento produce alcun suono, e la nebbia che
lo circonda e che nasconde l’accampamento
sembra rallentare anche i movimenti. Grifis è di
fronte a lui, in piedi – gli da le spalle, le braccia di nuovo unite dietro la schiena,
le dita delle mani intrecciate. Gatsu prova vergogna, nel vederlo; una nota
triste di rimpianto.
« Ti manca mai tutto questo? », gli domanda. Gatsu annuisce; lo
osserva sparire nella nebbia, e solleva nuovamente gli occhi al cielo.
I due
falchi volano ancora un istante sopra la sua testa, in religioso silenzio,
prima di scomparire oltre l’orizzonte.
*
Apre
nuovamente gli occhi su un mondo che è molto
più grigio e funesto di quello nei suoi
sogni; il terreno su cui siede è duro,
la cappa con cui si è
coperto pesante della pioggia sotto cui si è
addormentato – ma è un nuovo giorno quello a cui si affaccia, una nuova
prospettiva. Si alza in piedi.
Non
ricorda molto del sogno, ma ricorda Grifis – una
visione candida nella nebbia, chiara laddove i suoi ricordi sono sbiaditi dal
tempo. La Banda dei Falchi, Caska e Judeau, Colkas, Rickert e Pippin sono macchie
indistinte nella sua memoria, ricordi vecchi di mesi; ma il ricordo di Grifis
rimane intatto, si rifiuta di andarsene – se l’inconscio di Gatsu, spaventato all’idea di lasciare andare tutto ciò che Grifis rappresenta, fa di tutto
per non perderlo.
La
spada è un peso familiare sulla sua
schiena, l’unico conforto che gli rimane
oltre a quei sogni di cui ricorda poco o niente. A passi lenti lascia la radura
in cui si è rifugiato la notte prima, di
nuovo sul sentiero, di nuovo nella sua peculiare normalità – nei
rumori che fanno di sottofondo alla sua vita, il vento gentile tra le frasche
degli alberi e il cinguettio degli uccelli, i rami che si spezzano al passaggio
di un qualche animale e le pesanti gocce di pioggia che dalle foglie ancora si
riversano sul terreno.
L’ultima
volta che lo ha visto, Grifis era in ginocchio nella neve; non aveva prodotto
alcun suono, nel cadere, nell’accettare
la sua dipartita. Come fa nei suoi sogni – questo
Gatsu lo ricorda sempre – non si
era neppure voltato a salutarlo.
Si
domanda dove sia, in quel momento; scaccia quel pensiero alzando gli occhi al
cielo. La strada che ha deciso di percorrere – quella
che gli è stata indicata, che dovrebbe
condurlo al mastro fabbro Godor – è ancora
lunga. Due falchi si rincorrono contro il cielo plumbeo.
Questa storia è stata
scritta su commissione. I più
sentiti ringraziamenti al committente, Enrica!
Vi lascio il post col mio listino prezzi nel caso anche voi foste interessati
ad una fan fiction scritta su commissione, dove trovate anche tutti i miei
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AL POST (Aggiornato 8/07/20). Ricordo che potete anche contattarmi su EFP!
Vi ringrazio per l’attenzione,
alla prossima!
-Joice