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Non c’era
molto da capire, davvero.
Non c’era
molto da capire in una ragazza con le trecce e con in testa un cappello
di paglia.
Non c’era
molto fascino nel suo prendisole azzurro, né in quel modo
impacciato di bere il thè, seduta al tavolino in ferro
battuto di un bar.
Non c’era
molta sensualità nel modo inconsueto che aveva di
trangugiare quei pasticcini standosene lì seduta, attenta solo a non imbrattare le
riviste che lo tappezzavano.
Ma io non avevo molta
dimestichezza con le negazioni e il più delle volte quel
“non” mi sfuggiva dalle mani senza neanche
accorgermene.
A conti fatti, le cose
peggiori della mia vita mi erano sempre arrivate per quella sana abitudine.
Successe così
anche quella volta in cui ti vidi e decisi di togliere quella negazione
alla frase “parlare
con gli sconosciuti.”
«E’
una cosa importante il tempo! Io ad esempio cerco sempre di usarlo per
lasciare qualche segno del mio passaggio su questa terra!
Perché è questo che vorrebbe fare ogni persona,
non credi?»
Io annui, francamente
non capii molto di ciò che mi stavi dicendo, non ero attento
per quelle cose.
Per esempio
però ero attento a notare il colore dei tuoi occhi
intimidire quello dei miei.
«Tu non sai in
quanti modi si possa fare! Devi solo trovare quello giusto e buttarci
dentro tutto te stesso fino a…. Ad assorbire il tuo tempo,
saziare la tua creatività! Ad esempio mi era venuta questa
voglia di creare delle scarpe…
Così…»
Ah, la sintesi, questa
sconosciuta, vero?
Ti guardai male ma tu,
presa com'eri, neanche te ne accorgesti.
«Quindi cosa
sei? Una specie di designer di moda? Per questo leggi tutte queste
riviste?»
«No! Quello
era prima ora sto… Beh non lo so ancora bene,
però devo trovare un modo e… Insomma
c’è questa cosa che io sento dentro e
che… Dio tu non hai…?»
«Fame?»
«Si! Ma anche
sete! Credo si dica più sete, sai?»
«Vabbè…
Nel frattempo che decidi… Degli altri pasticcini?»
«No!»
Lo hai urlato, ma poi
hai riso, Dio se hai riso. Una risata che sapeva di aria buona.
«Fame
creativa…. O forse sete… Intendevo una cosa del
genere! Suppergiù…»
Non è che ti
capissi più di tanto però mi ricordo che mi
perdevo nel suono delle cose che dicevi, negli acuti che lanciavi e
neanche te ne accorgevi.
«Sei
strano.»
Poi mi hai detto.
Annuii ma non ti dissi
che più strano era il tuo modo di essere.
Il the era bollente e io
un po’ ti invidiai, non era un bel periodo per me e mi
lasciai travolgere volentieri dal tuo entusiasmo, dal brio delle tue
facce, dalla fluidità sconnessa delle tue parole.
Parlavi, tu.
Cazzo se parlavi, ma di
quelle due ore intere con te conservo intatto solo quel mio desiderio
di piacerti.
E allora annuivo,
fingevo di capire e nel frattempo mi chiedevo perché lo
volevo.
Piacerti, dico.
In fondo
perché? Cos’eri per me?
Eri solo due chiassose
trecce rosse che sfogliavano riviste, ma più lo facevi
più mi deliziavi. E mi rapivi. E mi conquistavi.
Sono certo che non lo
sapevi, forse neanche lo volevi, ma lo facevi.
Eppure non mi piacevi,
meglio dire, non volevo che mi piacevi.
Successe,
però, che forse successe.
C’era un
ché di bambina nel tuo modo di fare, un ché di
donna nel tuo modo di guardare.
E mi guardavi, anche mi
confondevi.
Eppure non volevo mi
confondessi.
In fondo
perché? Cos’eri per me?
Eri solo una un
po’ più strana di una qualunque. E questo bastava
per evitare, non per restare.
Eppure restavo, ti
guardavo. Tu ridevi, mi piacevi e io non l’evitavo.
E io non lo so
perché ma sentivo che mi inchiodavi, eppure non lo facevi.
Tu no, non lo facevi, ma
gli occhi tuoi sì.
Lo capii quando
già ridevano dei miei che ancora non sapevano, non capivano.
E poi così,
parlavi e muovevi le mani sottili, disegnavi qualcosa
nell’aria e io non so, davvero non so cosa dicevi, ma per un
istante pensai solo a immaginarti intorno una stanza in cui ti muovevi
allegra e agitavi le mani per fare quei disegni con tutti i colori che
emanavi.
Pensai che mi sarebbe
piaciuto essere quella stanza.
Ma non lo so se avrei
avuto mura ancora bianche da farti sporcare.
I pasticcini che
mangiavi sapevano di fragole, me ne sono accorto perché dopo
che ti ho visto addentarne uno, ogni tua parola aveva quel profumo.
«Dovresti
assaggiarli! Sono ottimi, sul serio!»
Mi hai detto proprio
così mentre un po’ di quella rosea cremina ti
macchiava un lato della bocca.
«No, grazie,
ma li assaggerei dalla tua bocca, quello volentieri.»
Questo però
non te l’ho detto, ma lo volevo, sul serio.
Mi piaceva il modo che
avevi di atteggiare le labbra quando pensavi a cosa dire. Le muovevi
all’insù gonfiando il labbro superiore e io
rimanevo zitto, in bilico, a guardarti mentre mi cullavo in quel tuo
movimento involontario.
Ma durava poco
perché il silenzio non ti piaceva.
Me n’ero
accorto.
C’era un vuoto
che dovevi riempire.
Lo riempivi col suono.
Quello veloce delle tue parole e quello lento delle risate.
Lo riempivi con i
movimenti, quelli leggeri delle tue labbra, quelli nervosi del tuo
corpo.
Neanche tu dovevi aver
avuto molta pace, mi ricordo di averlo pensato, ma mica te
l’ho detto.
Non lo volevo sapere di
quel tuo passato silenzioso, neanche volevo esserci, mi piaceva molto
di più quel presente assordante fatto di me e te seduti a un
tavolino di ferro battuto.
Tu che volevi parlare.
Io che mi lasciavo
innamorare.
Mi hai dato informazioni
che non ti avrei chiesto, ma non perché non mi interessavano
e neanche perché non ne avevo il coraggio.
Era più una
questione di interruzioni.
Mi sarebbe sembrato di
essere una diga, non avrei mai voluto contenere lo straripante e
violento fluido di ciò che eri.
«Io comunque
sono Sana.»
Me l’hai detto
così, per gioco, quando ti sei alzata da quel tavolino senza
neanche tendermi la mano.
Poi hai aggiunto tante
altre parole, un indirizzo, forse un numero, non lo so, so solo che per
tutto il tempo mi chiesi solo perché non ti interessasse
sapere di me.
E poi te ne sei andata,
ma io sono rimasto.
E' così che
mi hai lasciato.
Lì seduto con
un the ormai freddo e il mio nome tra la lingua e le labbra.
Cosa avrei dovuto fare?
Mi leccai un pasticcino
senza più quel profumo e pensai che le fragole, senza di te,
non è che fossero questo granché.
Speravo non finisse,
invece te n’eri andata.
Poi però ti
sei voltata.
Da lontano mi hai fatto
un sorriso e ti sei riavvicinata.
«Mi
è piaciuto parlare con te. Questo è il mio
numero.»
Mi hai detto
così e mi hai avvicinato un pezzo di carta, poi hai
affondato un dito fra la crema di ciò che avevi lasciato.
«Promettimi
che la prossima volta che ci vediamo mi porterai le fragole, quelle
vere!»
Ti dissi sì
senza capire, chi se ne fregava delle fragole.
A me, in fondo, bastava
solo sapere di doverti rivedere.
Non c’era
molto da capire, davvero.
Eppure quel giorno
pensai che sarei volentieri finito col passare la vita a guardare delle
trecce rosse poggiate su un prendisole azzurro.
E’ forse per
questo che oggi mi sento così.
C’è
un camion dei rifiuti davanti casa nostra.
Io esco giusto un attimo
e gli lascio della roba.
L’autista mi
guarda come se non fossi in me, ma mille pezzi di me.
Per un istante mi chiedo
se ti vede incastrata tra uno di questi o se forse sei nascosta ancora
lì, in mezzo a due dei mille pezzi che hai fatto di me.
Se così fosse
gli chiederei di non toccare perchè anche se fai male
è meglio se ti lascia stare.
Sotto sotto ci spero, ma
lui non me lo dice e io gli chiedo di aspettare.
Torno dentro allora e
cerco qualcosa che sa di me e te ancora da buttare.
Guardo le pareti di casa
nostra, mi ricordo dei miei jeans e della tua salopette. Della mia
faccia sporca di vernice e di te.
Pensavo che non mi sarei
mai stancato di vederti imbrattare la mia casa o la mia giornata ma mi
hai detto che ora i colori non ti piacciono più.
Vuoi del bianco o forse
del nero.
Cerco.
Ma poi mi scoraggio.
A che serve buttare?
Ormai tu neanche mi
parli eppure sai restare?
Mi passa del tempo e non
so come.
Sento un silenzio e
anche lui sa restare e allora ti immagino qui con tutte le parole che
ancora mi vuoi dare ma che questa volta, senza la tua faccia che si
muove proprio non riesco ad ascoltare.
Ma poi mi tornano in
mente le fragole che ti avrei dovuto portare e sto un po’
meglio.
Quando
tornerà quel tempo mangerò solo quelle.
Anche solo per vederti
tornare.
Care
amiche,
non
so cos'ho creato.
Trattasi
di delirio notturno che mi rendo conto avrei anche potuto evitare
però mi è uscito e quindi... Boh ho pensato di
metterlo X-D
Un
bacio grande <3
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