Aveva
vent'anni quando era partito per la guerra, spinto dal padre che
voleva toglierlo dai guai in cui spesso, lui che era una testa calda,
si cacciava. Vent'anni, un buon nome di famiglia rispettato ed
ammirato, un brillante futuro davanti e l'amore incrollabile per una
delle ragazze più desiderate ed ammirate della Cornovaglia,
Elizabeth Chynoweth.
C'era
poi molto altro, ovviamente. Tante sfide nelle miniere di famiglia da
affrontare, un gruppo di parenti più o meno uniti che lo
attorniavano come solo una famiglia sa fare, due cugini che avevano
più o meno la sua stessa età e con cui era
cresciuto, una casa
forse non elegante ma dignitosa, due servi che erano dei fannulloni
senza speranza ma che erano amici sinceri e lo avevano cresciuto, una
madre amatissima che aveva perso da bambino e un padre che con la
vedovanza si era invece un pò perso a sua volta e che per
sfuggire
al dolore della morte della sua amata Grace si era lanciato in mille
effimere storie di sesso e nella vita sregolata.
Quando
era partito, la sua vita stava in perfetto equilibrio fra gioie e
dolori ma nel cuore aveva mille speranze e tanti sogni. Tornare,
cercare di far risorgere le miniere di famiglia che suo padre Joshua
aveva lasciato abbandonate a loro stesse ed aiutare così le
tante
povere famiglie di minatori con cui era cresciuto e che considerava
amiche, vivere in maniera meno ribelle e soprattutto, finalmente,
sposare la sua Elizabeth. Lei, bellissima, eterea, che aveva rubato
il suo cuore e che in pegno gli aveva donato un anello da cui non si
separava mai, era stata il sogno in cui si era cullato durante i
momenti più duri di quei tre anni sui campi di battaglia che
gli
avevano donato, come ricordo, una lunga cicatrice sulla guancia che
ne accentuava i tratti duri del viso e gli dava un'espressione non
più da ragazzino ma da uomo vissuto. Ma questo non
importava, non
era nulla per Ross in confronto al desiderio di tornare,
riabbracciarla, baciarla e poi chiederla in moglie. Elizabeth
apparteneva ad una antica e nobile famiglia, aveva dei genitori
odiosi – soprattutto la madre che mal lo sopportava
– era forse
inarrivabile per un giovane di nobili origini come lui la cui
famiglia però era caduta un pò in miseria, ma
questo non gli
importava. Elizabeth lo amava, lo aspettava a braccia aperte e ogni
ostacolo si fosse frapposto fra loro e il matrimonio, insieme lo
avrebbero superato.
C'erano
molti sogni in lui, sulla via del ritorno dalla Virginia e uno su
tutti, rivedere lei, gli davano speranza in un futuro finalmente
roseo.
Ma
quei sogni si infransero subito, nel giro di una sola serata...
Tornò
e scoprì che durante la sua assenza, sei mesi prima, suo
padre era
morto. Un padre assente, distratto, ma che gli voleva bene e che
forse, in lui, aveva trovato l'unico appiglio che aveva per non
impazzire davanti alla perdita dell'unica donna della sua vita che
avesse amato davvero. Suo padre Joshua aveva trovato una luce in
Grace come lui l'aveva trovata in Elizabeth e forse, benché
Ross ne
condannasse molti comportamenti, da un altro punto di vista
comprendeva come la perdita di un amore potesse portare poi alla
perdita dell'anima in un uomo...
Ma
quel lutto non fu tutto. Solo, smarrito da quella notizia su suo
padre appresa da un pettegolezzo sulla carrozza che lo stava
riportando a casa, si era recato a Trenwith da suo zio Charles in
cerca di visi amici e famigliari. Trenwith, che confinava con
Nampara, le due proprietà di due fratelli uniti ma anche da
sempre
divisi da una eredità iniqua che vedeva il fratello
maggiore,
Charles, proprietario della terra più ricca e Joshua, il
minore, con
ciò che restava del patrimonio di famiglia, erano tutto
ciò che
restava della gloriosa storia della famiglia Poldark.
Ma
a Ross questo non era mai importato. Era cresciuto a Trenwith e
lì
aveva trovato una parvenza di famiglia con i suoi cugini, la dolce
Verity che lui adorava e Francis, l'erede di Charles, un ragazzo
invece poco dotato di carattere e autostima. Aveva voglia di
rivederli, quasi quanto di rivedere Elizabeth.
Giunto
in quella casa però, convinto di venire accolto come un
gradito
ritorno, dovette ricredersi. Visto come un fantasma il cui ritorno
sembrava poco gradito, eccetto per l'abbraccio di Verity, gli ci
volle poco per capire che era arrivato al momento sbagliato. Una
cena, la tovaglia migliore in tavola, calici pieni di vino, l'anziana
zia Agatha e zio Charles tirati a lucido, davano il senso di una
occasione importante per loro: il fidanzamento di Elizabeth, la SUA
Elizabeth, con suo cugino Francis.
Da
lì tutto era precipitato in un abisso di dolore e rabbia.
Tutto era
perduto, la fede nell'amore e la speranza di un futuro migliore.
Elizabeth
si era sposata, giurando di amare Francis e alludendo al fatto che
dopo tutto, fra loro, non c'erano promesse formali e che pensava che
fosse morto... L'amore per lei, il desiderio di lei si erano
trasformati in rabbia, dolore, rancore e desiderio di possesso che
mai avrebbe potuto soddisfare. C'era ancora tanto amore e ammirazione
per lei ma la cenere che li aveva ricoperti ne nascondeva anche gli
aspetti più nobili che da sempre avevano albergato nel cuore
di Ross
nei confronti dell'amata. Ed era altrettanto inaccettabile che
Francis, suo cugino, che pensava di non avere le capacità di
combinare granché nella vita, era riuscito dove lui aveva
fallito.
Era amore, il loro? Ross ne dubitava, Ross era convinto che niente e
nessuno avrebbe potuto competere con lui agli occhi di Elizabeth...
Eppure lei aveva sposato un altro... Li aveva dovuti vedere dirsi
sì,
aveva assistito alla nascita del loro primo figlio e non aveva potuto
essere che un ospite che guardava da lontano la vita degli altri...
Casa
sua, in rovina, era pian piano risorta grazie alla sua testardaggine
nel voler salvare almeno qualcosa, al duro lavoro, all'aiuto dei
suoi amici e al quasi aiuto dei suoi due servi fannulloni, Prudie e
Jud, l'unica eredità, assieme a terre incolte e infruttuose,
che gli
aveva lasciato suo padre.
Ma
Nampara, la sua casa, era vuota e fredda e nulla di quello che aveva
sognato in guerra si era avverato. Non c'era accanto a lui la donna
del suo cuore a ravvivargli la vita, ad attenderlo al ritorno dal
lavoro, a dargli amore e sostegno, a creare insieme una famiglia...
Al
ritorno la sera trovava cibo malcucinato in tavola, due servi
ubriachi, lettere da parte dei suoi creditori che gli ricordavano i
suoi debiti e null'altro... Si chiese se sarebbe sempre stato
così e
si rispondeva di sì, che sarebbe stato sempre
così perché senza
Elizabeth tutto sarebbe stato senza senso.
L'unica
cosa che lo teneva in vita e gli impediva di sprofondare nel baratro
della disperazione e di una vita sregolata e distruttiva come era
stata quella di suo padre, erano i suoi amici. I minatori, persone
temprate dalla vita dura che però per lui erano una famiglia
ancor
più vera di quella che aveva a Trenwith. Per loro aveva
accettato la
sfida di riaprire la vecchia miniera di suo padre, la Wheal Grace,
per loro aveva accettato di entrare in affari con Francis
perché gli
serviva il suo aiuto finanziario, per loro aveva implorato chi poteva
di prestargli capitale, per loro si era indebitato, aveva ipotecato
Nampara e forse sarebbe finito nella prigione dei debitori un giorno.
L'ingiustizia della vita, il fatto che esistessero persone ricche che
potevano permettersi tutto e poveri che non avevano nemmeno del pane
per sfamare i figli, era qualcosa che lui avrebbe combattuto sempre,
anche senza denaro e col cuore spezzato.
Francis,
desideroso di riallacciare i rapporti con lui che si erano logorati
dopo il matrimonio con Elizabeth, aveva accettato quell'azzardo e
aveva impegnato i pochi soldi che gli erano rimasti dopo la morte del
padre, avvenuta poco dopo la nascita di suo figlio Geoffrey Charles.
Francis, di temperamento debole, aveva perso al gioco infiniti
capitali e la miniera di famiglia, la Grambler, e solo grazie a Ross
aveva ritrovato uno scopo per vivere dopo che il suo matrimonio con
Elizabeth era entrato in crisi quasi subito a causa delle
ristrettezze economiche, delle sue scelte sbagliate e delle amanti
che ne avevano allietato molte notti e alleggerito il portafoglio. In
cuor suo Ross però continuava ad invidiarlo e non sapeva che
Francis
provava lo stesso sentimento per lui perché convinto che in
fondo
Elizabeth continuasse ad amarlo. Un muro invisibile li divideva ma
l'apertura della Wheal Grace, nonostante i tanti fallimenti e le
tante incognite che aveva portato con se, li aveva un pò
riavvicinati.
Anche
se le cose lasciate in sospeso, sospettava Ross, prima o poi
avrebbero richiesto il conto... Nessuna delle loro anome era cheta,
nessuna delle loro anime si era rasserenata e il passato di certo non
era stato superato.
...
Demelza
Carne era nata in una umile baracca ad Illugan, figlia primogenita di
un padre minatore e manesco e di una giovanissima donna che, dopo di
lei, aveva partorito uno dopo l'altro altri sei figli maschi ed era
morta di consunzione.
L'infanzia
di Demelza era stata segnata dalle botte, dalla fame e dalle mille
responsabilità che gravavano sulle sue piccole spalle che
dovevano
sorreggere i tanti fratellini più piccoli di lei.
Era
cresciuta senza regole, senza educazione, come una piccola bestiolina
scalpitante di conoscere il mondo ma senza i mezzi per farlo. Avrebbe
voluto imparare a leggere, a scrivere, scoprire cosa c'era oltre
Illugan e fuggire da quel padre che verso di lei non nutriva alcun
sentimento paterno e la guardava come si osserva una bestia da
lavoro.
A
quattordici anni però, era cambiato tutto. In un povero
cucciolo
solo e sporco come lei, che aveva chiamato Garrick, aveva trovato il
suo primo sincero amico e pochi giorni dopo quell'incontro, ne aveva
fatto un'altro, piuttosto singolare, alla fiera di Redruth dove era
scappata per sfuggire alle cinghiate del padre che voleva punirla per
non aver spolverato a dovere la baracca che lui chiamava casa.
Camminando
sul selciato, vestita di stracci e con Garrick al suo fianco, Demelza
aveva scorto un uomo non più giovane ma dall'aspetto
distinto che
era stato aggredito da un gruppo di monelli che avevano più
o meno
la sua età e che cercavano di derubarlo del suo denaro.
D'istinto,
un istinto ancora selvatico ma già votato a combattere le
ingiustizie, Demelza aveva raccolto dei sassi e li aveva lanciati
contro a quei ladruncoli mentre Garrick, ringhiando, li aveva messi
in fuga.
Fu
così che conobbe Lord Falmouth, che scoprì essere
uno degli uomini
più potenti non solo della Cornovaglia ma dell'intera
Inghilterra.
L'uomo,
accigliato ma seriamente colpito dall'aiuto della ragazzina, aveva
cercato di donarle delle monete per ringraziarla ma lei aveva
rifiutato, adducendo che non aveva fatto nulla e che non amava la
carità. E quell'uomo, colpito da quell'orgoglio e quel fuoco
che
sembrava divampare in lei non facendola arretrare davanti a nulla, le
aveva proposto di lavorare alla sua tenuta di campagna come
domestica, in modo da avere cibo, un tetto sulla testa e abiti
decenti.
Stordita,
incapace quasi di credere che questo stesse succedendo a LEI,
Demelza accettò, con la sola opzione di poter portare
Garrick con
se. Falmouth, accigliato, acconsentì e la ragazza
lasciò Illugan,
le cinghiate del padre e una vita miserabile che prima o poi
l'avrebbe portata a morire prematuramente come sua madre per iniziare
un'esistenza più dignitosa. Era solo una ragazzina ma era
consapevole che non avrebbe avuto altre occasioni così nella
sua
vita.
E
da lì tutto era cambiato. Entrare in quel mondo nuovo, avere
abiti
puliti, regole, visi amici attorno, una grande villa come dimora, un
parco dove passeggiare nelle ore libere, erano per lei un sogno.
Indossare per la prima volta una semplice divisa da cameriera,
l'abito più bello che avesse mai avuto, l'aveva fatta
sentire una
principessa e anche se doveva rassettare, occuparsi di cucinare e
tenere in ordine le tante stanze della casa, quel nuovo lavoro
sembrava un sogno rispetto alla vita di prima.
Pian
piano il suo aspetto selvaggio scoparve e ne mostrò le
fattezze di
una giovane ragazza bella, con occhi chiari e capelli rosso fuoco,
dallo sguardo attento e curioso e dotata di una mente aperta e
brillante.
Sbocciò,
facendo un lavoro che le signorine della buona società
giudicavano
umiliante. Ma a lei non importava, ne era fiera e sognava solo di
poter fare quel mestiere, in quella casa, per sempre.
Falmouth
si era dimostrato un uomo gentile anche se austero, giusto nel
rapporto con i suoi lavoratori, mai sopra le righe e sempre corretto
nel rapportarsi agli altri. Demelza non ricordava di avergli mai
sentito alzare la voce o essere villano e questo le fece capire che
al mondo esistevano uomini diversi da suo padre.
Aveva
una stanza tutta sua, piccola ma confortevole, che dava sul giardino
interno della proprietà, con un letto comodo, un armadio,
una
scrivania, un caminetto e una cassapanca dove mettere le sue cose. E
una cesta dove far dormire Garrick. Si sentiva la più ricca
del
mondo...
Poi,
dopo due anni dal suo arrivo nella dimora dei Boscawen, di ritorno da
Londra Lord Falmouth aveva portato con se un suo nipote, Hugh
Armitage, che in seguito a dei problemi di salute di incerta natura,
aveva dovuto abbandonare l'accademia militare e rinunciare al suo
sogno di entrare in marina.
Giovane,
di bell'aspetto, dai lineamenti gentili e dotato di un animo poetico
e sognatore, Hugh aveva da subito adocchiato Demelza, attratto dai
suoi capelli rosso fuoco, dai suoi occhi trasparenti e dalla
vitalità
che emanava ad ogni suo passo, ad ogni sua parola.
Erano
coetanei, era l'unica giovane che, in quella dimora elegante ma
spersa nella Cornovaglia, potesse condividere i suoi interessi e Hugh
si trovò a cercarla spesso in giardino, quando sapeva che
era nelle
sue ore di riposo. Era affascinato dalla sua fame di apprendere,
imparare, scoprire il mondo... Le insegnò a leggere, la
introdusse
nel mondo della letteratura e delle poesie di cui era appassionato,
si propose di insegnarle a suonare il pianoforte e la spinetta e
anche se Falmouth all'inizio era contrario alla loro amicizia, alla
fine li lasciò fare. Demelza sembrava una medicina per Hugh
e quando
c'era lei, lui pareva riprendere forza, vigore e vincere la malattia
subdola e ignota che pian piano gli toglieva la salute.
Demelza
guardava a quel giovane come a un principe azzurro. Nessuno era stato
gentile con lei quanto lo era stato Hugh e anche se sapeva di essere
una ragazzina inesperta in amore, non trovava che spiegazioni
romantiche a quella emozione che sentiva ogni volta che si
incontravano...
Aveva
quasi diciotto anni quando Hugh la chiese in moglie, lasciandola a
bocca aperta. Demelza sapeva che nessun ragazzo nobile sposa una
domestica e al massimo credeva di poterne diventare l'amante, le
sarebbe forse bastato questo per vivere il suo sogno d'amore. Ma Hugh
non l'aveva mai sfiorata, Hugh voleva amarla da marito e lei,
spaventata, aveva balbettato un sì stentato sapendo
già che
Falmouth avrebbe fatto fuoco e fiamme, che in fondo non aveva nemmeno
torto e che lei non aveva assolutamente idea di cosa volesse davvero,
di cosa fosse l'amore e soprattutto, cosa fosse un matrimonio.
Ma
disse sì, spinta dall'inesperienza e da quel sentimento vago
ma
piacevole che provava ogni volta che vedeva Hugh. Lui, tanto istruito
ed intelligente, sembrava non avere dubbi e quindi lei, che era
cresciuta nel nulla, doveva fidarsi. Era qualcosa di bello
ciò che
li univa e Demelza non sapeva se ci fosse altro, qualcosa di
più
bello che potesse legare due persone che si sposavano, ma decise di
non volerlo scoprire e che a lei bastava così. Certo, Hugh
la
viziava e la assecondava sempre e forse le sarebbe anche piaciuto
discuterci ogni tanto, litigare e far valere idee diverse dalle sue,
ma di fatto questo non era mai accaduto, Hugh non sembrava
interessato a contrariarla e la loro vita sarebbe scorsa placida e
senza scossoni. E forse era giusto così... Litigare dopo
tutto era
una brutta cosa, no?
Falmouth
fece ovviamente strenua opposizione ma Hugh, dimostrandosi di
carattere, insistette. Ricordò allo zio del giorno in cui
Demelza lo
aveva salvato senza chiedere nulla in cambio, di come fosse sempre
stata fedele a lui e al lavoro che gli aveva dato, di come fosse
sempre stata onesta e sincera e di come, soprattutto, avesse influito
positivamente sulla sua salute. Fece poi leva sul fatto che la sua
malattia non lo rendeva adatto a un matrimonio combinato con qualche
giovane nobile di Londra e nemmeno voleva nulla del genere e suo zio
sapeva bene tutto ciò. Voleva Demelza che come lui amava le
poesie e
il bello, che come lui amava leggere e che insieme a lui ogni tanto
suonava il pianoforte, tutto quì. E che gli rimanesse molto
da
vivere o più probabilmente poco, era con Demelza che Hugh
desiderava
trascorrere il suo tempo.
Fu
forse la parte che argomentava sulla sua salute malferma e su quanto
fosse migliorata con la presenza della ragazza, a convincere Falmouth
a dire sì. In fondo non aveva scelte migliori da proporre al
ragazzo
e di fatto, da sempre, lo aveva esaudito in ogni suo capriccio.
Ordinò
che la cerimonia fosse intima, per pochi famigliari e senza
pubblicità. Sapeva che i pettegolezzi che ne sarebbero
seguito
sarebbero stati feroci ma sapeva anche che era nella posizione di
zittire qualsiasi malelingua sul casato, col tempo. Era un uomo
potente, aveva controllo su molte persone che contavano e nessuno
avrebbe potuto parlar male di suo nipote senza scatenare in lui
biasimo e pericolose ire...
E
così si sposarono nella piccola cappella della tenuta...
E
quella notte Demelza scoprì l'amore fisico, qualcosa che la
incuriosiva ma anche spaventava... Nessuno le aveva mai detto come
affrontare quel passo e nonostante Hugh fosse dolce e paziente, di
quella prima notte ricordò a lungo il dolore e solo verso la
fine
del rapporto un vago piacere che però si mescolava con
sensazioni
fisiche ancora spiacevoli.
Le
ci volle un pò per abituarsi a quel passo e per lunghe
settimane
guardò con terrore all'ora di andare a letto. Hugh era
sempre il suo
principe azzurro, la riempiva di dolci parole ed attenzioni ma ad
entrambi ci vollero molti giorni per trovarsi anche
nell'intimità.
Pian
piano Demelza imparò come fare, come far capire a lui come
voleva
essere toccata e a sua volta a capire come volesse essere toccato
lui, iniziò ad abituarsi a quelle sensazioni nuove e alla
fine a
provare piacere.
Ma
qualcosa, le gridava il suo cuore, mancava...
Una
volta, quando era ancora domestica, aveva sentito il racconto di
un'altra cameriera che si era appena sposata e che parlava del sesso
come della fusione di corpo ed anima...
E
Demelza lo sapeva, c'era fusione di corpi fra lei e Hugh... Ma la
loro anima, anche nei momenti di massima passione, non era mai fusa
del tutto. Lei restava Demelza e lui restava Hugh. Non erano una cosa
sola e tutto continuava ad esistere attorno a quel letto, non
diventava sfumato o lontano durante l'atto d'amore, come dovrebbe
succedere a due amanti che non concepiscono che loro stessi in quel
momento mentre tutto il resto sparisce.
Ma
Hugh sembrava contento così e pian piano imparò
ad esserlo anche
lei. Forse l'amore era tutto quì, forse era sopravvalutato e
lei
sognava qualcosa che in realtà non esisteva. Forse il
concetto di
anime gemelle non era che una fiaba per bambini oppure esserlo
significava essere come lei e suo marito, sereni e tranquilli, senza
scossoni particolari né di giorno né di notte.
Hugh la adorava e
lei adorava lui, il resto era solo una strana utopia irrealizzabile.
Di questo imparò a convincersene anche perché non
aveva nessuno a
cui chiedere.
Era
la moglie di Hugh, era diventata una lady anche se non aveva mai
sognato di esserlo e ogni suo desiderio era un ordine per coloro che
fino a poco prima erano state cameriere sue pari.
Ma
non iniziò mai a sentirsi superiore e sempre, anche se
Falmouth
spesso la riprendeva per questo, le considerò le sue
migliori
amiche.
Ma
era anche consapevole di dover imparare a gestire il suo nuovo ruolo
e cercò di fare del suo meglio senza però
sacrificare se stessa. E
così imparò ancora una volta una nuova vita fatta
di tè, cene
galanti, pomeriggi passati a suonare il pianoforte con Garrick
appoggiato ai suoi piedi, abiti meravigliosi, giornate a cavallo e
notti fra le braccia di un uomo che la adorava e che forse un giorno
avrebbe sentito suo del tutto. E lei si sarebbe sentita a suo modo,
completamente sua...
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