Breve nota
introduttiva.
In questo racconto è
presente il fratello maggiore di
Genzo, che nella mia testa si chiama Hiroji, è un ex
studente del King's
College di Londra ed è sposato con Annie, una ragazza
inglese che studiava
nello stesso ateneo.
Questo dettaglio collega la
one-shot alla mia long
fiction "Frammenti di Vita", ma poiché è ispirata
dalla scena
iniziale del capitolo 18 di CT e dai dieci capitoli seguenti, quindi
molto
tempo prima, può essere letta come storia autonoma.
Patto con il
nemico
Hiroji
entrò nella sua stanza e si sdraiò sul letto,
intenzionato a smaltire gli
effetti del fuso orario dopo essere tornato quel giorno da Londra, per
passare
le sue vacanze estive.
Era
contento di essere di nuovo a Nankatsu e riabbracciare la sua famiglia,
dopo il
suo primo anno in Gran Bretagna.
Un
anno
molto positivo: al King's College aveva incontrato studenti provenienti
da
tanti Paesi e aree del mondo diverse, aveva conosciuto e fatto amicizia
con
ragazzi e ragazze con cui aveva in comune sogni e passioni. Un vero
crocevia di
culture, e ci si trovava a meraviglia.
Anche
con
i professori aveva instaurato un buon rapporto, in particolare con
quello di
Economia, un vero luminare in materia e questo lo inorgogliva.
Sì,
aveva
indubbiamente molte cose interessanti da raccontare ai suoi famigliari
e a
Mikami.
Si
era
ritrovato a pranzare in compagnia della sola Hitomi, così
era stata l'ormai
storica governante di villa Wakabayashi la prima affascinata
ascoltatrice dei
suoi aneddoti.
I
suoi
genitori erano a Tokyo, il fratello mezzano Keisuke era in vacanza a
Izu con i
suoi amici e quello più piccolo, Genzo, era nella sua stanza
a riposare, per
via del suo piede ancora dolorante.
Ora,
in
Giappone, gli mancava solo Annie, la bellissima studentessa di Lingue
Moderne
che aveva conosciuto a una serata tra amici. Si frequentavano, ma
nessuno dei
due aveva ancora trovato il coraggio di dichiararsi. Una volta tornato
a
Londra, avrebbe dovuto decidersi a invitarla a uscire con lui a cena, o
al
cinema magari.
«E
da soli
…» sussurrò, chiudendo gli occhi e
distendendo le labbra in un sorriso.
«Perché
li
incontriamo proprio alla prima!»
Sussultò
e
sbarrò gli occhi.
L'urlo di Genzo, seguito da un tonfo
nella stanza accanto, infranse
bruscamente quel piacevole silenzio e i dolci pensieri in cui la sua
mente
stava indulgendo.
Si
tirò a
sedere sul letto sospirando, poi scivolò sul materasso,
facendo oscillare le
gambe. Infilò i piedi nelle ciabatte, si alzò e
uscì dalla stanza.
Era
ancora
inginocchiato sul tatami
quando sentì un
discreto bussare alla porta della sua camera.
«Genzo?
Sono Hiroji. Posso entrare?»
Il
ragazzino strinse le labbra ed esitò qualche secondo, prima
di rispondere. Non
gli andava di riprodurre certe scene patetiche e infantili, che
sarebbero
sicuramente seguite a un "no". Odiava essere considerato un'anima in
pena, soprattutto dal suo fratello più grande.
«Sì.»
rispose infine, sollevato nel sentire che era riuscito a usare il suo
abituale
tono di voce.
Hiroji
spinse piano la porta ed entrò, con passo lento e cadenzato
e un leggero
sorriso sulle labbra.
«Che
ti è
successo? Mi hai fatto prendere un colpo.» disse, mantenendo
però l'espressione
serena e un tono di voce disteso. Non voleva rimproverarlo, voleva solo
capire.
Genzo
si
alzò in piedi e si girò a incrociare lo sguardo
del fratello che vide, nei suoi
occhi, scintille di rabbia mista a senso d'impotenza.
«Oggi
si è
tenuto il sorteggio per i gironi di eliminazione del torneo di Yomiuri
Land.»
Hiroji
chiuse la porta e fece un cenno d'assenso, per invitarlo ad andare
avanti.
«La
Nankatsu incontrerà il Meiwa alla prima partita.»
disse, tenendo lo sguardo
fisso davanti a sé, le sopracciglia corrugate e i pugni
stretti.
«Il
capitano del Meiwa è Hyuga Kojiro. Prima dell'inizio del
torneo della
prefettura, è venuto al campo di allenamento per sfidarmi.
Ha fatto un tiro
potentissimo. Io mi ero da poco infortunato e non ho neppure provato a
muovermi. Mi ha sminuito e riso in faccia, davanti a tutti i miei
compagni ...»
spiegò, e tremò di rabbia nel sentire
riecheggiare la risata sprezzante
dell'attaccante, con lui fermo al centro della porta, inerme, umiliato,
oggetto
delle sue frasi maligne.
Hiroji lo aveva ascoltato
attentamente, con le braccia
incrociate. Voltò leggermente il viso e annuì.
«E
tu non
vedi l'ora di vendicarti.»
Genzo
annuì con un cenno del capo.
«Sì.
Per
dimostrargli che io sono veramente il migliore portiere del campionato,
e sono
in grado di parare qualsiasi suo tiro.»
«Quante
squadre passeranno il turno?»
«Le
prime
due di ogni girone.»
«Quindi
Nankatsu e Meiwa potrebbero passare insieme.» dedusse Hiroji.
Genzo
annuì.
«E
se
passano entrambe» continuò a ragionare, come se
stesse risolvendo una semplice
equazione «potrebbero rincontrarsi in una delle gare a
eliminazione diretta.
Magari proprio in finale.» concluse, voltandosi verso il
fratello con uno
sguardo eloquente.
«Sì
…»
confermò, pensando alla configurazione del tabellone. Nei
suoi occhi si accese
una luce.
«Sarebbe
il massimo: avresti il tempo per recuperare dall'infortunio e la
possibilità di
prenderti la tua rivincita proprio nella finale.»
Gli
occhi
di Genzo si illuminarono. Poi strinse le labbra, la sua mente
attraversata da
un dubbio. «E se la sua squadra non dovesse
arrivarci?»
«Beh, in questo caso
significa che nemmeno lui è così forte
come dice di essere, proprio come quel mio compagno di
scuola.» sorrise Hiroji.
«Di
chi
parli?»
«Non
te
l'ho mai raccontato, vero? Già, eri ancora piccolino.
È successo ai tempi delle
medie, terzo campionato nazionale di baseball. Nella prima partita del
campionato della prefettura, la Mizukoshi vinse contro la Shutetsu. Il
battitore di quella squadra disse che il migliore non ero io, ma lui, e
che io
vincevo solo perché venivo dalla famiglia più
ricca della città e frequentavo
una scuola privata. Insomma, ero solo un figlio di papà.
Sarà capitato anche a
te di sentirtelo dire.»
Genzo
annuì. Sì, nei primi anni di scuola molti
ragazzi, specie quelli più grandi,
avevano cercato di ridimensionare le sue qualità, insinuando
che veniva
favorito e lodato più degli altri solo perché
proveniva dalla famiglia più
antica e facoltosa di Nankatsu. Quelle maldicenze lo avevano spinto a
reagire,
alimentando e facendogli tirare fuori quell'orgoglio che era diventato
ormai
uno dei suoi tratti più distintivi.
«Mi
suscitò una tale rabbia, che non vedevo l'ora di
sfidarlo.» continuò Hiroji.
«Ero convinto che le nostre due squadre si sarebbero
ritrovate in finale. Lui
mi aveva sempre guardato con quell'aria strafottente … poi
però, in semifinale,
la Mizukoshi venne sconfitta. Il mio avversario non ne aveva presa una.
Lì per
lì rimasi deluso, ed ero invidioso del giocatore che lo
aveva surclassato. Poi
mi resi conto che non avevo ragione di esserlo: era meno bravo di
quanto lui
credesse e di quanto mi aveva fatto credere. E l'altro giocatore era
ancora più
forte di lui e la mia soddisfazione fu ancora più grande
quando fui io a
sconfiggerlo. Se anche con Hyuga dovesse capitare la stessa cosa, non
avrai
nulla da recriminare: significa che in finale ci sarà un
avversario ancora più
bravo di lui da sfidare e da battere, e tu potrai dimostrare lo stesso
di
essere un grande portiere.»
Genzo
lo
guardò un po' incerto, poi fece un breve sorriso.
«Grazie
Hiroji. Io però spero che per me vada diversamente.
È una questione anche
personale. Io voglio affrontare Hyuga. Lui e nessun altro. Devo essere
io a
batterlo, non voglio che lo faccia un altro al mio posto.»
Hiroji
chiuse gli occhi e assentì con un sorriso divertito. Mikami
non aveva esagerato
quando gli aveva detto che Genzo era diventato ancora più
ostinato e
orgoglioso.
Gli
mise
una mano su una spalla e gli strizzò un occhio.
«Sai
una
cosa? Nankatsu-Meiwa la guardiamo insieme, sono proprio curioso di
vedere
questo Hyuga.»
Genzo
gli
rispose con un sorriso e un cenno d'assenso, poi andò a
raccogliere la cornice
con la fotografia che lo ritraeva mentre teneva in braccio la coppa
vinta dopo
il precedente torneo di Yomiuri Land, con un sorriso fiero e la posa
diritta e
orgogliosa.
Il
vetro
di protezione era, fortunatamente, ancora intatto.
Un
buon
presagio.
La
rimise
al suo posto, sul ripiano della cassettiera, tra le altre coppe
conquistate.
Hiroji
assistette, come promesso, alla partita tra Nankatsu e Meiwa insieme a
Genzo e
Mikami.
Capì
immediatamente perché suo fratello desiderava
così risolutamente sfidare Hyuga.
Quel
ragazzo possedeva una foga, una grinta, uno spirito combattivo che
travolgevano
qualsiasi ostacolo.
Tsubasa
gli aveva opposto una passione pari alla sua, anche se espressa in modo
diverso, con la gioia pura di giocare a calcio. Per Hyuga invece,
sembrava una
questione di vita o di morte. I suoi occhi scintillavano di rabbia e
ostinazione, aggrediva ogni pallone con una foga impressionante e
riusciva
sempre ad avere ragione dei suoi avversari. Era pronto a tutto pur di
annientare chiunque si frapponesse tra lui e il suo obiettivo, come
aveva
dimostrato il bolide scagliato deliberatamente sul mento di Morisaki.
Non
aveva
mai visto Genzo così teso e arrabbiato, al punto da
afferrare il televisore,
come se volesse entrarci e ritrovarsi così in campo assieme
ai suoi compagni.
Il gol incredibilmente facile di
Sawada lo aveva fatto
quasi impazzire per il disappunto e il senso d'impotenza, per essere
costretto
a casa e non poter fare nulla per aiutare un Morisaki terrorizzato dal
pallone
e diventato un comodo bersaglio.
Poi
si tranquillizzò:
per fortuna Tsubasa aveva trovato presto il modo giusto per ridargli
fiducia e
non temere l'impatto della sfera.
E
lo aveva fatto nel
miglior modo possibile: bloccando con il viso il pallone calciato da
Hyuga con
potenza inaudita.
Da lì in poi, il suo
sostituto non aveva più avuto alcun
problema e aveva fatto delle ottime parate, arrendendosi solo a tiri
effettivamente imprendibili.
La Nankatsu aveva perso infine, ma
aveva lottato ad armi
pari. Tsubasa e Misaki erano giocatori di prim'ordine e Morisaki era
uscito
rafforzato e maturato da quella partita, avendo superato il suo trauma.
Era
certo che lo avrebbe rimpiazzato degnamente per tutte le gare seguenti.
Inoltre, aveva scoperto che il Meiwa non era solo Kojiro Hyuga, aveva
altri
bravissimi giocatori e se la sarebbe giocata fino in fondo.
Il
partner
d'attacco di Hyuga era Takeshi Sawada, un giocatore piccolo, agile e
dotato di
una tecnica notevole per la sua età. Un talento precocissimo
dotato anche di
una buona dose di opportunismo, vista la prontezza con cui aveva
bruciato sul
tempo Takasugi in occasione del gol della vittoria.
«Confesso
che credevo avessi esagerato un po', Genzo, ma guardando questa partita
mi sono
dovuto ricredere. Questo Hyuga è davvero indomabile,
è una forza della natura.»
«Già
… sai
Hiroji, prima della sfida con Tsubasa non riuscivo a sopportare l'idea
che
potesse esserci qualcuno in grado di battermi. Ma ora tremo dalla
voglia di
confrontarmi con i migliori giocatori del torneo. Perché
solo così posso
davvero conoscere il mio valore.»
Hyuga
non
sarebbe uscito prima della finale, ne era certo. Quando aveva fatto
irruzione
al campo della Nankatsu lui era infortunato, sì, ma quel
tiro aveva una potenza
inaudita, superiore persino a quella di Tsubasa.
Una
bomba
che avrebbe fatto tremare le gambe a qualsiasi portiere.
«Sono convinto che Hyuga
continuerà a segnare e il Meiwa
arriverà in finale.»
«Allora mi sa che ti
toccherà tifare anche per lui. Almeno
fino a che non vi incontrerete.» disse, dandogli un leggero
buffetto sulla
nuca.
Nei
giorni
seguenti riprese ad allenarsi, approfittando di quelle giornate
assolate, calde
ma non afose.
Non aveva seguito le gare successive
del girone, convinto
che la Nankatsu avrebbe battuto senza difficoltà le
avversarie, dedicando così
il suo tempo al recupero della sua forma fisica.
Riponeva
grande fiducia in Morisaki, che aveva superato le sue paure e si stava
dimostrando un portiere affidabile.
Solo Hanawa poteva dare fastidio:
aveva una difesa solida e
i loro due attaccanti, i gemelli Tachibana, erano agili, veloci e con
una buona
tecnica, e soprattutto avevano un'intesa straordinaria. Tutte
qualità che gli
avevano consentito di fermare il Meiwa, costringendolo al pareggio.
Un
risultato che aveva messo la Nankatsu in una situazione scomoda: la
gara
successiva era proprio contro la squadra della prefettura di Akita ed
era
obbligatorio vincere per passare il turno.
Questa
volta non ci sarebbe stato Hiroji a seguirla in tv accanto a lui,
perché era
andato a Tokyo per passare qualche giorno con i loro genitori.
Alla
fine
del primo tempo, la Nankatsu conduceva la gara con il risultato di 2-0.
Genzo
si
alzò dal divano con un sorriso.
Hanawa,
tolti i gemelli Tachibana che erano però stati letteralmente
oscurati da
Tsubasa e Misaki, sembrava veramente poca cosa.
Uscì
nel
giardino: aveva tutta l'intenzione di dedicare il resto del pomeriggio
ad
allenarsi.
Per
qualche giorno, d'accordo con Mikami e con il dottor Morimoto, si era
limitato
a fare dei brevi, semplici esercizi e ora voleva provare a correre.
Fece
qualche breve corsa di pochi metri, con cautela.
Non sentiva dolore al piede. La cura
prescritta dal suo
medico stava dando buoni risultati, ma soprattutto la sua
determinazione e il
suo desiderio, anzi smania di prendersi la rivincita si stavano
rivelando il
rimedio più efficace.
Si
arrestò
quando sentì Mikami che lo chiamava a gran voce.
«Vieni
a vedere, Hanawa
ha pareggiato!»
Genzo
rimase di sasso.
«Com'è possibile?» replicò,
incamminandosi rapidamente, ma con cautela.
Il
televisore stava
trasmettendo le immagini delle incredibili invenzioni dei gemelli
Tachibana:
tecniche mai viste prima, tenute nascoste e usate per raddrizzare il
risultato.
La
situazione sembrò
precipitare dopo che Ishizaki aveva clamorosamente sbagliato quello che
doveva
essere un passaggio diretto alla Golden Combi, spiazzando Morisaki e
mandando
il pallone in rete.
Quel
momento di
smarrimento durò poco: la Nankatsu, grazie soprattutto a
Misaki, seppe
recuperare il morale e la fiducia e riuscì a ribaltare il
risultato.
Riagganciò
la cornetta
del telefono dopo aver chiamato i suoi compagni, per fare loro i
complimenti e
fargli sentire il suo sostegno.
Nella
partita contro
Hanawa, una cosa lo aveva colpito anche più della loro
bravura e tenacia.
Aveva
visto lo sguardo compiaciuto di Hyuga dopo l'autogol di Ishizaki ed era
certo
che non si stava semplicemente facendo beffe del difensore: quello era
un
sorriso di soddisfazione.
Come
se
stesse osservando il compimento di un piano.
Lo
aveva
poi visto stringere la mascella e lasciare il campo scuro in volto, al
termine
della partita.
Lo
spavaldo Hyuga aveva paura di Tsubasa e della Nankatsu … al
punto da volerli
già fuori dal torneo!
E con ogni
probabilità il pareggio contro il Meiwa era stato parte
di quella strategia.
Hyuga
che cercava di
scappare dagli avversari che potevano insidiarlo!
Genzo
sogghignò.
Prima voleva sfidarlo solo per
desiderio di rivalsa,
per vendicarsi del gol subìto e della risata di scherno che
ancora risuonava
nella sua mente.
Ma ora c'era un altro motivo per cui
voleva confrontarsi
con lui: era il giocatore più forte, l'attaccante
più pericoloso alla pari con
Tsubasa. Batterlo, avrebbe significato essere il miglior portiere.
E
per converso anche
Hyuga, se voleva dimostrare di essere l'attaccante più
forte, avrebbe dovuto
segnare contro di lui.
«Non
ci si libera di
una cosa evitandola, ma solo attraversandola.»
mormorò, ripetendo a sé stesso
un proverbio che suo nonno era solito citargli quando non gli andava di
fare
qualcosa.
Ristette
accanto al telefono.
Gli
tornarono in mente le parole di Hiroji.
Ti
toccherà tifare anche per lui, almeno
fino a che non vi incontrerete ...
Un'idea
si
stava facendo strada nella sua mente. Lì per lì
gli parve assurda.
Un
attimo dopo, si
ritrovò a ricomporre il numero dell'albergo in cui
alloggiavano le squadre.
Kojiro
si
diresse verso le scale sbuffando.
Aveva fatto in modo che il Meiwa
pareggiasse contro Hanawa,
nella speranza che i gemelli Tachibana e compagni riuscissero a
impedire alla
Nankatsu di vincere.
Quel
piano
stava per riuscire, se non fosse stato per Misaki e soprattutto
Tsubasa, il
rivale da togliere di mezzo perché rappresentava per la
Nankatsu quello che lui
era per il Meiwa, il finalizzatore, quello che segnava i gol e
procurava le
vittorie.
I
due
osservatori che lo avevano avvicinato dopo la prima partita avevano
parlato
chiaro: l'Istituto Toho avrebbe preso in carico sia le rette da pagare
per
l'iscrizione, sia le spese famigliari. E lui avrebbe potuto dedicarsi
interamente allo studio e al calcio. La Toho era la migliore scuola del
Giappone sia per la qualità dell'offerta didattica e
dell'insegnamento, sia per
la formazione di giovani calciatori, e lui voleva diventare un
campione. Un
fuoriclasse. Il più forte attaccante del mondo.
Ma
erano stati
altrettanto espliciti quando gli avevano detto che nel club di calcio
della
Toho c'era posto per uno soltanto.
Non
poteva
permettere che scegliessero Oozora… se la Nankatsu fosse
stata eliminata, quel
ragazzino che diceva che il calcio era il suo sogno e che il pallone
era il suo
grande amico, non avrebbe più rappresentato un ostacolo per
lui.
Strinse
i pugni.
L'ingresso
alla Toho era un treno che passava una volta sola nella vita.
Lui
era il
più forte e doveva dimostrarlo senza lasciare alcun dubbio.
Ripensò
al prosieguo
del torneo: stando alla composizione del tabellone, il Meiwa poteva
incontrare
la Furano in semifinale … no, non "poteva". A meno di
clamorose
sorprese, sarebbe accaduto. Era una squadra solida e affiatata, con un
capitano
abilissimo nel possesso palla e con un tiro insidioso.
Gli
tornò in mente ciò che era avvenuto poco
prima nella sala mensa.
Quel
Matsuyama gli era andato a sbattere contro e lui lo aveva allontanato
da sé con
una manata. Se non fosse stato per gli interventi di Misaki, Tsubasa e
Misugi
avrebbe cercato di restituirgli il favore.
Meglio così. Lo avrebbe
trovato più arrabbiato e deciso a
sconfiggerlo che mai, e per lui sarebbe stata una soddisfazione doppia
batterlo.
«Hyuga!
Una chiamata per te, da Nankatsu!» la voce di un inserviente
lo fermò quasi in
cima alle scale.
Kojiro
alzò un sopracciglio. «Da Nankatsu?»
Ristette
un momento, pensieroso. Chi poteva chiamarlo da Nankatsu?
Poi si diresse verso l'uomo, che
teneva la cornetta in
mano.
«Hyuga.»
esordì. Una voce profonda e risoluta. E con una vena di
strafottenza che gli
provocò un fremito di fastidio.
«Chi
è?»
«Sono
Genzo Wakabayashi.»
«Wakabayashi?»
ripeté Kojiro, stupito.
Se
Genzo
avesse potuto vederlo in quel momento, con gli occhi sgranati, la bocca
semiaperta e le sopracciglia scattate in alto, sarebbe scoppiato a
ridere.
Poi
aggrottò le sopracciglia e strinse la mascella.
«Che
diavolo vuoi?» chiese, senza troppo riguardo.
«Ah,
sei
rozzo di tuo allora!» replicò Genzo provocatorio,
senza trattenere un accenno
di risata.
Kojiro
sbuffò, spazientito. «Falla finita, genio.
Perché mi hai telefonato?»
Il
portiere piegò le
labbra da un lato. Stava cominciando a divertirsi. «Per dirti
di non fare
scherzi e di portare il Meiwa in finale, perché quel giorno
ci sarà anche la
Nankatsu, e ci sarò io a difendere la porta.»
Kojiro
sgranò gli occhi. «Ma se sei infortunato e non sei
nemmeno qui con la tua
squadra.»
«Il
piede
non mi fa più male, è in via di guarigione. E
stai sicuro che ti servirà un
tiro ben più potente e preciso di quello che mi hai fatto al
campo per
segnare.»
L'attaccante
stava per
replicare con una battuta sarcastica, poi si rese conto che Wakabayashi
gli
aveva appena lanciato una sfida, reclamando il diritto ad avere una
rivincita.
«Ci
vediamo in finale allora, Wakabayashi. Distruggerò te,
Tsubasa e la Nankatsu.
Il Meiwa vincerà il campionato e io la classifica dei
cannonieri.»
«Non
te lo
permetterò.» furono le parole con cui Genzo lo
salutò, prima di riattaccare.
Kojiro
non
fece nemmeno in tempo a muovere le labbra per rispondergli.
Guardò
la
cornetta con una smorfia e la riappoggiò sulla forcella.
Quel
Wakabayashi voleva avere l'ultima parola, a quanto pareva …
Si
ritrovò
a sorridere, suo malgrado.
Si
sentiva
più forte e motivato che mai.
Aveva
segnato più gol di tutti nella fase a gironi e contendeva il
primo posto a
Oozora.
Il
Meiwa
si era qualificato con la prima posizione ed era una delle favorite.
E
presto
sarebbe tornato anche Wakashimazu. Il mister Kira aveva detto che lo
aveva
contattato e aspettava, a breve, sue notizie.
Lui
non si
era ancora fatto sentire, ma Kojiro era sicuro che li avrebbe raggiunti
presto.
Ken
era
leale, non mancava mai alla parola data.
Il
suo
nome era inserito nella lista consegnata agli organizzatori del torneo,
ciò
lasciava pochi dubbi sul fatto che fosse ormai pronto a riprendere il
suo posto
dopo l'infortunio che lo aveva costretto all'inattività per
molti,
interminabili mesi.
Anche per Tsubasa e Misaki non sarebbe
stato facile segnare
...
Il
suo sorriso si
allargò.
In
fondo,
per dimostrare di essere il migliore, doveva battersi proprio contro i
migliori.
E
la prima
sfida con Tsubasa, nonostante la vittoria all'ultimo secondo del Meiwa,
si era
conclusa in parità. E quanto a Wakabayashi, come sarebbe
andata quel giorno, se
fosse stato in grado di muoversi?
Era
pur sempre il
portiere che l'anno prima aveva mantenuto la sua porta inviolata per
tutto il
torneo. Non poteva essere avvenuto soltanto per caso.
Kojiro
si trovò solo
in quel momento a considerare che, in fondo, lui era appena apparso
sulla scena
calcistica giovanile: il suo valore effettivo era ancora da dimostrare
e non ci
sarebbe mai riuscito senza mettersi alla prova contro avversari forti.
Lo
doveva
anche a suo padre, che stava tornando a casa con il pallone nuovo che
gli aveva
promesso, quando c'era stato l'incidente che glielo aveva portato via
…
Il
calcio,
da quel giorno aveva smesso di essere solo un gioco. Era diventato la
sua arma
di riscatto.
Avrebbe
battuto il migliore attaccante, il miglior portiere e la migliore
squadra del
campionato, avrebbe sollevato la sua famiglia dai problemi economici,
sua madre
non avrebbe più dovuto ammazzarsi di lavoro e i suoi
fratelli avrebbero potuto
frequentare le migliori scuole.
Solo affrontando i più
forti, avrebbe potuto davvero
convincere quei talent-scout che lui era davvero il giocatore
più bravo,
l'attaccante che la loro squadra cercava.
Genzo
rise tra sé e
sé, pensando all'espressione che doveva avere avuto Hyuga
nel momento in cui
gli aveva praticamente sbattuto la cornetta in faccia.
Continuava
a pensare
che fosse uno sbruffone, ma a ragion veduta, doveva ammettere.
Un
po' come lui, si
sorprese a sogghignare.
«Con chi
parlavi prima al telefono, Genzo?» chiese Mikami, dopo
che fu tornato nel
salotto.
«Ho
appena fatto un
patto con il mio nemico.» rispose, con quel sorriso obliquo
che lo faceva
sembrare più scafato dei suoi dieci anni.
Mikami
lo guardò
dapprima con aria interrogativa, poi capì e piegò
anche lui le labbra in
un'espressione divertita.
«Da
domani
riprendi a farmi qualche tiro.» gli propose Genzo.
«Sì,
ma
riprenderemo per gradi. Non voglio che una ricaduta ti costringa a
rinunciare
definitivamente.» lo redarguì da par suo,
incrociando le braccia.
Il
giovane
portiere chiuse gli occhi e sorrise.
«Non
preoccuparti.
Onoro sempre gli impegni presi.» replicò,
strizzandogli un occhio e avviandosi
verso la sua stanza.
FINE
***Note***
Nella
versione in lingua inglese del manga, Genzo viene definito genius keeper.
Da
qui
l'appellativo con cui Kojiro lo chiama durante la loro telefonata.
L'arrivo della primavera e la
nostalgia
particolarmente forte in questo periodo mi hanno ispirata questa
one-shot
prettamente calcistica, che mi ha riportata indietro di un bel po' di
anni,
quando guardavo "Holly & Benji" in tv, ancora ignara del titolo
e
dei nomi originali, per poi uscire a fare una passeggiata o un giro in
bici
quando giornate miti e soleggiate come queste lo permettevano.
Auguro a tutti voi la migliore
Pasqua e il miglior
Lunedì dell'Angelo possibili, in questo periodo
straordinariamente difficile.
Sandie