INCENDIO
Quando
Ronald Weasley era furibondo c'era poco da stare tranquilli. Diventava
nervoso, inquieto e anche un po' crudele. Dopo un anno nelle vesti di
Prefetto, gli altri studenti di Grifondoro avevano imparato a
riconoscere i cambiamenti dei suoi stati d'animo e a comportarsi di
conseguenza per evitare di vedersi sottrarre dei punti solo
perché sorridevano troppo. Quello era un giorno in cui dare
fastidio a Ron Weasley poteva risultare non solo irritante, ma anche
pericoloso. Se n'erano accorti tutti dopo la lite con Lavanda Brown. I
due piccioncini si stavano sbaciucchiando, come al solito. Francamente,
molti iniziavano a non sopportarli più, desiderando seguire
l'esempio di Hermione Granger e abbandonare in massa la Sala Comune.
Lavanda stava a cavalcioni su di lui, le mani premute sulle sue guance,
i lunghi capelli biondi e morbidi che cadevano sul suo petto, ed
emetteva mugolii soddisfatti mentre premeva le labbra sulle sue.
Eppure, era la sola a partecipare al bacio. Nonostante gli invitanti
tentativi, le labbra e il corpo di Ron non partecipavano come al
solito.
"Insomma, Ron-Ron, cos'hai?" si arrese infine Lavanda.
"Eh? Come?" rispose Ron, sbattendo le palpebre come se non si fosse
accorto di aver avuto una ragazza in grembo con le labbra premute sulle
sue fino a quell'istante.
"Se non hai voglia di baciarmi, puoi anche dirmelo" insistette Lavanda
lanciandosi in una sfuriata sempre più isterica. Ron finse
di ascoltarla per un po', ma poi scattò: "Smettila, Lavanda.
Sei fastidiosa".
La ragazza interruppe bruscamente la sua tirata, per un attimo troppo
stupita per ribattere. Poi urlò con quanto fiato aveva in
gola: "Sei uno stronzo, Ron-Ron!" e fuggì via in lacrime.
Sotto lo sguardo un po' divertito, un po' di disapprovazione dei
presenti in Sala Comune, Ron si sentì in colpa. Non avrebbe
dovuto essere così brusco, ma avrebbe fatto pace con
Lavanda; sarebbe andato da lei e le avrebbe chiesto scusa con un
bacio... l'indomani. Non quel giorno, non quando non si sentiva
sé stesso, e tutto attorno a lui lo infastidiva, le
ghirlande natalizie, le luci, i festoni e le carole, gli studenti
allegri e l'intero castello addobbato a festa. Odiava tutto e tutti.
Nessuna sorpresa, quindi, non essere riuscito a sopportare la sfuriata
di Lavanda per più di un minuto. Quel giorno non ne aveva le
forze. Si raddrizzò un po' sulla poltrona nella quale era
sprofondato sotto il peso dei suoi pensieri: eppure Lavanda avrebbe
dovuto intuire il suo stato d'animo, era la sua ragazza, no?
Perché si professava tale se poi non lo conosceva per
niente? Non era quello che significava avere una ragazza? Forse no...
Sprofondò di nuovo con disperazione nella poltrona,
desiderando porre questa domanda all'unica persona esperta in materia
di ragazze che conoscesse. Ma non poteva. Perché quella
persona era la causa di tutti i suoi mali, perché il motivo
per cui era arrivato ad odiare il natale (che solitamente significava
cibo di sua madre a palate, la Tana, partite a Spara-Schiocco e regali
) era proprio quella persona: Hermione.
"Ehi, Mike, passi da me durante le vacanze di Natale? Do' una festa..."
Ron alzò di scatto la testa. Chi aveva osato pronunciare le
parole 'Natale' e 'festa' nella stessa frase? Si erse in tutta la sua
altezza aguzzando gli occhi e le orecchie in cerca del colpevole di
tale misfatto; lo individuò senza problemi: "Meno 5 punti,
Caulter" dichiarò con folle trionfo, poi girò i
tacchi, lasciando il basito Caulter alle pacche comprensive dei suoi
amici.
Qualche ora più tardi, Ron varcò la soglia della
sua stanza, deciso a farsi un pisolino per portare un po' di calma
nella sua testa, ma si bloccò quando vide Harry in procinto
di uscire. Era molto elegante e quella vista lo fece diventare nervoso.
Harry notò il suo sguardo.
"Ehi, Ron. È affollata la Sala Comune questa sera, vero?"
esordì titubante, cercando di parlare di tutto tranne del
fatto che stesse andando alla festa di Natale di Lumacorno. Ron si
accorse del suo tentativo, lo apprezzò e un po' della sua
rabbia scemò. "Ehm... Già. Tu... vai
già lì?" chiese Ron, deciso a non nominare quel
posto.
"Sì" rispose Harry laconico. Incoraggiato dal tono di Ron,
che non pareva propenso ad una sfuriata improvvisa, il ragazzo
azzardò una domanda: "Tu cosa farai stasera? Vai avanti con
il tema per Piton?"
"Magari!" replicò Ron sprezzante. "Devo pattugliare i
corridoi e mi tocca anche doppio turno dato che Hermione...". Le parole
gli si strozzarono in gola, talmente grande era la sua indignazione.
Harry si dette mentalmente dello stupido e cercò, vagamente
nel panico, di trovare un qualsiasi pretesto per cambiare discorso.
Talvolta si scordava dei doveri dei suoi due amici come Prefetti; non
avrebbe dovuto farlo, specialmente se significava far infuriare ancora
il suo amico.
"Anzi, sai che ti dico, scendo già per cena. Prima inizio,
prima finisco" e senza ulteriori indugi, raggiunse la porta. Era quasi
fuori dalla stanza, quando si arrestò e disse con una voce
roca, dura, non da lui: "Solo una cosa, Harry: butta un occhio".
Osservandolo mestamente chiudersi la porta alle spalle, Harry sapeva
benissimo a cosa e a chi si riferisse.
Mentre si dirigeva lentamente verso la Sala Grande, Ron fu avvinto
ancora una volta dai sensi di colpa. Non intendeva mollare Harry
così su due piedi, non ce l'aveva assolutamente con lui. Era
la rabbia che lo faceva agire come un imbecille, non riusciva a
trattenersi. Lo trasformava in un vulcano pronto all'eruzione e a
travolgere chiunque si trovasse sulla sua strada. I suoi passi presero
un ritmo più concitato. Anche questo sentirsi impotente lo
faceva arrabbiare. Era tutta colpa di Hermione. Incredibile, era sempre
e solo lei l'unica in grado di farlo innervosire come neanche Fred e
George erano mai riusciti a fare. Non l'avrebbe mai perdonata per
averlo fatto impazzire scegliendo Cormac McLaggen per andare alla festa
di Lumacorno, per averlo fatto diventare il suo chiodo fisso,
compromettendo la sua sanità mentale. Il pensiero dei loro
visi vicini, complici nell'intimità dell'ufficio di
Lumacorno, gli faceva venire la nausea, e si sentiva strozzare dalla
pura cattiveria e gelosia che lo braccavano come un animale spietato.
Il profumo di arrosto e castagne gli arrivò alle narici: in
Sala Comune era in corso la cena, ma non aveva fame. Si volse
disgustato e iniziò in anticipo il suo turno di pattuglia.
Bastò qualche sottrazione di punti selvaggia a far spargere
la voce tra gli studenti di non avvicinarsi ai corridoi del secondo e
terzo piano perché erano sorvegliati da quel lunatico di
Ronald Weasley, così ben presto per il ragazzo non ci fu
nient'altro da fare che vagare per i corridoi deserti.
Il coprifuoco era già scattato da un pezzo,
perciò nel castello regnava un silenzio solenne. Questo non
aiutava Ron a sbarazzarsi delle fantasticherie ossessive su cosa stesse
facendo Hermione in quel momento, anzi, grazie alla quiete che lo
circondava, i suoi pensieri erano ancora più liberi di
vagare senza ritegno. Immagini, scene e parole del tutto inventate
affollavano la sua mente e lo trascinavano in un vortice malsano.
Più pensava, più diventava irrequieto;
più immaginava, più perdeva la ragione.
Non se ne rese conto finché non si ritrovò
davanti all'unico luogo in tutta Hogwarts in cui fosse permesso far
baldoria quella sera. La porta dell'ufficio di Lumacorno si stagliava
splendente, dal suo interno proveniva un allegro vociare. Ron non
sapeva cosa ci facesse lì davanti, non sapeva se voleva solo
farsi del male, o se voleva fare irruzione e trascinare via Hermione.
Era combattuto tra questi irrazionali impulsi, quando la porta si
aprì lentamente e ne sgusciarono fuori due figure. Ron si
nasconse repentinamente buttandosi dietro una colonna.
"Mi aspetti un attimo qui? Faccio in fretta. Vado in dormitorio, prendo
la giacca e torno subito da te" stava dicendo una voce maschile in un
tono che avrebbe voluto essere seducente.
"Va bene, Cormac" replicò l'altra voce, imbarazzata, ma
piacevolmente sorpresa. A Ron andò il cuore in gola. Era
LEI. Si sporse in modo avventato oltre la colonna: voleva guardarla e
non gli interessava che lo scoprissero. Ma tanto avrebbe potuto
mettersi a ballare che non lo avrebbero notato, talmente erano presi
l'uno dall'altra. Cormac le stava accarezzando il viso, poi la sua mano
scese e le sfiorò il collo, libero dalla solita cascata di
capelli ribelli. A quel tocco, Hermione arrossì
violentemente, provocando l'ilarità di McLaggen, che
proseguì imperterrito a sfiorarla. Le sue dita percorsero
tutta la lunghezza del collo della ragazza per proseguire lungo le
spalle e le braccia, fino a giungere alla sua piccola mano che fece
scomparire nella sua. Hermione sorrise incerta.
Ron nel frattempo vedeva rosso, pietrificato dall'orrore e al contempo
divorato dalla gelosia, famelica creatura. Rimase a guardarla mentre
McLaggen si allontanava, voltandosi ogni quattro passi per lanciarle
occhiate tutt'altro che innocenti. Possibile che Hermione non riuscisse
a capire cosa gli facesse quando stringeva la mano a qualcun altro? Non
sapeva che lo stava uccidendo? Una marea rovente di magma lo
attraversava, bruciando.
"Ci stiamo divertendo, vedo". Non era riuscito a trattenersi; il
vulcano era eruttato. Lei era lì, era sola, doveva parlarle.
Hermione sussultò nel riconoscere quella voce.
"Ron, che ci fai qui?" chiese con prudenza.
"Pattuglio i corridoi. Sono un Prefetto anch'io, ricordi? E questa sera
devo sgobbare il doppio dato che tu sei qui a far festa".
Notò che le sue parole la stavano irritando ed
esultò internamente. Voleva farla innervosire, arrabbiare,
farle perdere la ragione tanto quanto lui, voleva provocarla.
Così continuò, travolto dall'ondata incandescente
dentro di lui.
"Come mai, mi chiedo, la precisa e corretta Hermione Granger sgattaiola
via dalla magnifica festa di Lumacorno? Era troppo affollata per caso?
C'era troppa gente per i tuoi gusti o per quelli di McLaggen? Dove
volevate andare, tra l'altro? Non pensate di starvene a ciondolare per
i corridoi perché vi tolgo dei punti, vi avverto. Allora, vi
siete già baciati? Sì, scommetto di
sì". Più parlava, più il sangue gli
scorreva velocemente nelle vene, bruciando come se al sua posto ci
fosse veleno di Doxy; più parlva e più la metteva
spalle al muro.
"Ron, non capisco se sei completamente impazzito o..."
iniziò Hermione, stizzita, ma Ron non la stava a sentire. La
interruppe, piantandole negli occhi uno sguardo allucinato, ma
terribilmente magnetico, proprio perché poco gli si
addiceva. Hermione arretrò ancora sotto i colpi delle sue
parole che non le davano il tempo di reagire. Era in bilico tra il
pianto e lo scagliargli una fattura per liberarsene; questa volta non
avrebbe usato la scusante dell'insensibilità noncurante di
Ron, sapeva cosa stava facendo e sospettava che la cosa gli piacesse.
Ci aveva visto giusto. Ron infatti era esaltato dal potere che sentiva
di avere per una volta su di lei, così proseguì.
"Scommetto che è andata così. Vi siete incontrati
in Sala Comune. Mentre scendevi le scale del dormitorio lui ti ha
squadrato da capo a piedi" e mentre lo diceva percorse lui stesso con
lo sguardo l'intera figura di Hermione. "Ha osservato ogni singolo
pezzetto di te" proseguì Ron. "I tuoi capelli," e
così dicendo le portò un ciuffo scappato
dall'acconciatura dietro l'orecchio; "il tuo vestito," e le
sfiorò la stoffa dell'abito partendo dalla spalla e
tracciando un sentiero con la punta delle dita verso il fianco; "le tue
gambe..." e per un istante sembrò volersi inginocchiare e
lambire anche quelle; "la tua pelle". Le dita risalirono e trovarono la
pelle nuda della braccia che sbucava dalla manica.
"Ron, cosa..." Hermione tentò di allontanarsi e di fermare
la mano del ragazzo, senza riuscirci. Ron pareva completamente fuori
controllo, divorato da un oscuro e inaspettato desiderio. Era la prima
volta che la toccava, soprattutto in quel modo che lei aveva solo
immaginato nei suoi sogni più reconditi. Ron sembrava
essersi calato alla perfezione nell'inedito ruolo del ragno: l'aveva
intrappolata nella sua tela, privandola di ogni uscita. La sovrastava,
decisamente troppo vicino, ma nonostante le sue parole l'avessero fatta
infuriare, proprio come una mosca, Hermione non riusciva a ribellarsi.
Non trovava la forza di reagire come la normale Hermione Granger, il
che era del tutto normale quando si trattava di Ronald Weasley. Mai
avrebbe pensato che Ron si sarebbe rivelato un ragno tanto ammaliante e
che la sua improvvisa sicurezza l'avrebbe attirata a tal punto. Lo
scorrere dei suoi pensieri era talmente repentino da non darle modo di
mascherarli come al solito, e Ron sembrava non essersene perso neanche
uno, a giudicare dal lampo di trionfo nei suoi occhi. Che avesse
intuito il desiderio che nascondeva sepolto nelle parti più
profonde e sconosciute di sé, ora in superficie in ogni
cellula visibile del suo corpo che andava a fuoco appiccato dalle mani
di lui?
La bocca, le mani, le dita, il corpo di Ron agivano di
volontà propria. Il contatto con la pelle di Hermione, a
lungo bramata, aveva interrotto il già sottile collegamento
con la razionalità. Ron non era più cosciente di
nulla, tranne dell'incendio che si stava sviluppando sotto i suoi
polpastrelli. Mentre percorreva l'intera lunghezza del braccio di
Hermione, dirigendosi verso le spalle, capì che quella sera
non si sarebbe accontentato. Voleva che il fuoco divampasse e
l'incendio divorasse anche lei.
Si fece ancora più vicino, ora a corto di parole oltre che
di fiato. Aveva parlato abbastanza, voleva mostrarle cosa gli aveva
fatto. Una mano era dietro la nuca di Hermione, l'altra la
afferrò il fianco, stringendolo, poi scivolò alla
base della schiena. Hermione sussultò, ma rimase immobile.
Incoraggiata, la mano di Ron risalì lungo la schiena e
avvicinò i loro corpi, tanto da mescolare i loro profumi.
Hermione permise a sé stessa di seppellire il viso nel suo
petto, non tanto per nascondersi, ma per respirare quanto poteva di
quel profumo, tanto bramato. Iniziò a muoversi anche lei,
scuotendosi dal torpore, come si fa quando ci si risveglia da un sogno
-o da un incubo. Le sue mani presero a sfiorare le braccia
sorprendentemente forti di Ron, dapprima con pudore, poi con sempre
più vigore, come se stesse affogando e l'unica cosa che la
potesse salvare fosse quel contatto. Ron scottava, gli occhi ardenti;
aveva bisogno solo di quel segnale. L'incendio era ormai indomabile. La
sentiva, finalmente vicina, come avrebbe sempre dovuto essere; la
toccava finalmente, come avrebbe sempre voluto fare. Quando Hermione
sollevò gli occhi verso di lui, le inclinò
leggermente il capo con la mano che ancora non aveva abbandonato la sua
nuca sottile, ed iniziò ad avvicinare con lentezza
deliberata il proprio viso a quello della ragazza, prendendosi tutto il
tempo di contare le sue lentiggini una ad una.
Delle immagini però avevano iniziato a sovrapporsi nei
pensieri di Hermione: quello stesso corpo, che in quel momento sentiva
così solido contro il suo, avvinghiato ad un'altra ragazza
contro gli arazzi della Sala Comune; quelle stesse mani che le avevano
mandato in fiamme la pelle, affondate in altri, lunghi capelli biondi.
Spalancò gli occhi, lucida, come se avesse toccato
accidentalmente il fondo di un calderone bollente ustionandosi.
"Che stronzo. L'hai fatto anche con lei?" mormorò gelida
Hermione. Le faceva male parlare. Si era ritrovata in una stanza chiusa
divorata dalle fiamme, piena di fumo; era riuscita ad uscire appena in
tempo, prima che il fumo la soffocasse, e l'aria pulita che ora
respirava era rabbia. "Hai scelto Lavanda. Hai lei. Non puoi avere
anche me" sussurrò a mezza voce.
In lontananza risuonavano dei passi. Cormac stava ritornando alla
festa. Ron era confuso. Cosa c'entrava Lavanda? Avrebbe voluto dire
qualcosa di sensato, per un folle momento stava per riafferrarla tra le
braccia e ricominciare cos'era stato interrotto. Poi, nel sentire i
passi di Cormac avvicinarsi, la vide voltarsi nella loro direzione,
mettendo distanza tra loro e avvicinandosi all'altro ragazzo.
Udì lo strappo. Voltò le spalle a Hermione senza
dire una parola e si dileguò.
La ragazza si accorse sgomenta della rabbia negli occhi di Ron prima di
ritrovarsi a fissare la sua schiena. Nel vuoto improvviso che si era
creato, il suo corpo era l'unico testimone di quanto accaduto.
Abbassò lo sguardo verso le proprie mani, sorpresa che fino
a qualche istante prima avessero toccato proprio Ron, stupita di
sentirle ancora incandescenti.
L'incendio in Ron non si era ancora sopito mentre avanzava rapidamente
nei corridoi. Era infuriato: con McLaggen, con Hermione, con
sé stesso. Con Hermione. Stare accanto a lei non era
più facile come un tempo: era come camminare su braci
ardenti. Il corpo gli doleva, lei provava lo stesso? L'aveva avuta tra
le braccia, pensava che ciò avesse un significato, che le
stesse dimostrando qualcosa, ma lei l'aveva allontanato.
Entrò come una furia in Sala Comune e vi trovò
Lavanda, rannicchiata nella solita poltrona davanti al fuoco che andava
spegnendosi. Senza starci troppo a pensare, si precipitò da
lei, la sollevò dalla poltrona e se la mise in grembo,
baciandola come se ne andasse della sua vita. Lavanda tentò
una protesta offesa, non troppo convinta, tra le sue labbra, ma Ron la
strinse più deciso, non lasciandole possibilità
di replica. Lavanda non era come Hermione, sapeva lasciarsi andare, e
per una volta aveva capito di cos'aveva bisogno Ron.
Il fuoco era ormai spento. Lavanda era già andata a dormire.
Né Harry, né Hermione erano ancora tornati dalla
festa di Lumacorno. Ron si era tranquillizzato, o perlomeno, era in
grado di pensare con maggiore lucidità agli eventi della
serata. Era abbastanza sicuro che anche Hermione avrebbe adottato la
sua tattica di ignorare quanto successo. Lei aveva McLaggen, lui aveva
Lavanda, e per il momento gli bastava così.
Concesse ai suoi pensieri un'ultima deviazione, mentre si avviava verso
la sua stanza. Era tardi, la festa di Lumacorno era al suo apice,
probabilmente Hermione si trovava sotto al vischio con McLaggen. Ron si
chiese se anche quello scimmione venisse tormentato da visioni di
Hermione lambita da mani che non erano sue. Si chiese cosa sarebbe
potuto accadere se quella sera, mentre si avvicinava lentamente ad
Hermione per fare ciò che a lui era vietato, Cormac avesse
avvertito il suo profumo, la sua traccia sulla pelle di Hermione. Si
sarebbe accorto dell'insieme confuso dei loro profumi, e avrebbe
così saputo che Ron l'aveva sfiorata, accarezzata, e che per
un attimo, era stata soltanto sua. Magari avrebbero litigato. Un ghigno
di trionfo selvaggio apparve fugace sul suo volto. 'Mi dispiace,
Hermione' pensò selvaggiamente 'ma stavolta non me ne frega
un cazzo.'
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