chi
è destinato a cercarsi
Stavolta
sono costretta ad inserire le note ad inizio della storia.
In questa storia, troverete molti termini specifici che,
per quanto abbia cercato di spiegare, potrebbero non essere troppo
chiari. Parto quindi con una piccola legenda.
Seduta: una sorta di divinazione svolta da un Mastro Mascheraio per
conoscere il futuro di chi lo richieda. Non si rivela sempre esatta, ma
esercita un grande fascino per i nobili.
Svelamento: il momento della "rivelazione" tipico della Soulmate AU. Le
maschere di rado vengono toccate da estranei ma, quando accade con la
propria anima gemella, questa si disfa rivelando il proprio volto e
quello di chi l'ha toccata. Sinonimo di unione per la vita e di
passaggio all'età adulta.
Ballata: Gran parte degli Svelamenti accadono qui. I ragazzi dai sedici
anni in su vi hanno accesso e, sebbene non sia detto che si trovi la
propria anima gemella immediatamente, è considerato il
passaggio obbligato all'età adulto.
Mastro Mascheraio: Ogni città ne ha uno, o più di
uno (a seconda del bisogno), che opera per il bene della
comunità. Di solito, loro non subiscono lo Svelamento.
Dionisea: grandi costruzioni nelle città che radunano tutti
i luoghi preposti ai rituali della maschera. Sono torri divise su tre
livelli e, sul secondo, lavorano ed operano i Mastri Mascherai.
Detto questo, vi auguro una buona lettura e la speranza che questa AU
vi piaccia ♥
Odiava
le Sedute.
Lo
pensò mentre
lasciava che, con un'ultima veloce passata, l'oro tenue della tintura
per labbra seccasse sulla sua bocca sottile. Questo s'intonava
perfettamente al colore della maschera di cuoio lavorato che copriva
parzialmente il suo volto – un delicato strato di pelle
trattata,
che confondeva blu e azzurro con un più opaco oro freddo;
linee
nere, più marcate, disegnavano lungo la sua mascella la
figura
spessa che dominava tutta la parte sinistra dell'oggetto –
uno
spicchio di luna.
«Sei
pronto,
fratello?»
Ruka
fece capolino
dalla stanza di fianco, curiosa ed euforica come solo lei riusciva ad
essere per i grandi eventi. Ma era grazie a quell'entusiasmo che Leo
poteva avere un aspetto degno, tra gli altri Mastri Mascherai,
nonostante fosse l'ultimo arrivato.
Era
lei, dopotutto,
ad aver cucito la veste che indossava. Una tunica blu scuro cingeva
il suo torace in una morsa stretta e rigida, anche se un forse
troppo azzardato scollo a forma di pentagono poco lasciava immaginare
del suo petto esile; l'abito si srotolava poi in una morbidezza che
ricadeva lungo i fianchi stretti. Una fantasia in filo lievemente
traslucido impreziosiva la stoffa altrimenti leggera e decorava tutto
il capo, fino all'orlo ampio delle due lunghe maniche larghe e lo
strascico appena accennato. Nei capelli, tra le due piccole trecce
con cui Ruka aveva raccolto i ciuffi più lunghi e ribelli,
una
dozzina di brillantini concludevano l'idea di cielo stellato a cui la
ragazza si era ispirata.
«Credo
di sì»
riuscì a dire, caloroso nel sorriso che era in grado di
dedicare
solo a lei. «Dico sempre che dovresti far vedere le tue
creazioni a
Kiryuu. Sono sicuro che una mano in più, di questi tempi,
non gli
dispiacerebbe».
«Aspetterò
il mio
Svelamento per propormi al laboratorio!» esclamò
entusiasta, prima
di raggiungerlo davanti allo specchio polveroso della loro camera.
«Dopotutto, anche io l'anno prossimo potrò
partecipare alla
Ballata, finalmente» e quest'ultima parola si curò
di calcarla con
cura e tono sognante.
Leo non
replicò –
dopotutto, era comune per tutti attendere la propria Ballata con
entusiasmo... per tutti, certo, tranne che per lui. La sue poche ed
imbarazzanti Ballate erano state non solo un disastro totale, ma
l'ennesima conferma che la scelta che aveva fatto, riguardo il suo
futuro, era più che giusta.
«Non
vedo l'ora di
terrorizzare il tuo futuro compagno» ridacchiò,
prima di
scompigliarle appena i capelli e recarsi a prendere la sua borsa e
riempirla dei pochi oggetti di cui avrebbe avuto bisogno. «E
di
vedere finalmente il tuo bel faccino» aggiunse, raccogliendo
pennelli e pergamene, nonché un paio di libri e i suoi
appunti.
«Non
è giusto
però che io invece non vedrò mai il
tuo...». Leo non rispose,
pensando che a lui invece non dispiaceva così tanto.
Alla
nascita, ad
ogni individuo veniva posta sul viso una maschera neutra, di cuoio
appositamente lavorato dai Mastri Mascherai. Una volta aderita
completamente al volto della persona, questa cominciava ad evolversi:
non solo cresceva assieme al suo proprietario, ma rivelava in colori,
forme e decori l'anima, il cuore e il destino di chi la indossava.
Erano
oggetti di
una bellezza indescrivibile, che ricalcavano lo spirito stesso di chi
le indossava, ancor prima che l'individuo potesse imparare a
conoscersi; servivano, dopotutto, a guidare le persone lungo la loro
crescita – una vera e propria ancora per la propria
identità.
Le
maschere non
erano, però, per tutta la vita.
Era
tradizione
comune che queste andassero distrutte una volta trovato il proprio
compagno di vita. Solo il tocco della persona a cui il destino univa,
in buona e cattiva sorte, poteva far sì che la maschera di
disfacesse e rivelasse il vero volto di chi la indossava. Questo era
lo Svelamento ed aveva la stessa valenza di un
matrimonio,
seppur non su carta ufficiale (per quello, si aspettava la maggiore
età, di solito).
Decifrare
le
maschere per cogliere uno spiraglio di futuro era, ancora una volta,
compito dei Mastri Mascherai. Era un lavoro enormemente complesso;
per prima cosa, si parlava di una scienza inesatta, più
simile alla
magia che alla scienza e basata su fatti che non avevano mai certe
possibilità di riscontro. Inoltre, a rendere più
difficile la
decodifica, c'era la consapevolezza che le maschere stesse fossero
creature ibride, forgiate con l'alchimia dei loro
avi. La
Lettura, che avveniva durante le Sedute, era di
solito
esclusivo vezzo dei ricchi e dei nobili, ansiosi di conoscere il
futuro dei propri eredi.
Leo non
amava fare
Letture – le trovava quasi offensive nei confronti di quegli
oggetti tanto meravigliosi, che meritavano rispetto verso i misteri
che celavano e cullavano gelosamente. Eppure, essendo poco
più che
un apprendista, questo compito spettava spesso a lui, perché
considerato noioso e servile: dopotutto, quel disagio accomunava un
po' tutti gli artigiani del laboratorio.
La
Seduta di quella
sera, però, aveva qualcosa di particolare: il tempismo.
Proprio quel
giorno, infatti, si teneva la prima Ballata dell'anno e rimaneva
un'occasione preziosa, per tutti i giovani rampolli della
città, per
fare il proprio debutto in società; come mai, dunque, la
rinomata ed
antica (per quanto in declino) famiglia Suou decideva di sottoporre
il proprio unico erede ad una Lettura proprio in quell'occasione?
Sistemandosi
bene
la borsa a tracolla sulla spalla, si chiese fino a che punto certi
individui potessero essere capaci di rinnegare la sacralità
dello
Svelamento per i propri interessi; non era di certo una
novità che
ricchi e nobili nascondessero la rottura delle maschere se il
compagno scelto per i loro pupilli non era abbastanza conveniente.
Probabile
che il
vecchio capofamiglia volesse assicurarsi per il suo sangue una sorte
baciata dalla fortuna.
«Ruka,
di' alla
mamma che farò tardi anche stasera. E non farti beccare a
sbirciare
sulla terrazza, ok? È presto per te».
La
ragazza lo
salutò, di tutta risposta, con una linguaccia. Leo
scoppiò a ridere
e le regalò un'ultima occhiata piena di affetto fraterno. I
bei
capelli aranciati, come i suoi, incorniciavano deliziosamente la
maschera incantata che le copriva il volto: bianco e oro
s'intrecciavano su tre quarti del viso della sua adorata sorella
minore, reinventandosi in pitture di stelle e nubi argentate.
Un
ultimo gesto di
congedo e, poi, prese la via principale che conduceva alla ormai
familiare Dionisea, accompagnato solo dal silenzio del calar del
sole. Nell'aria, si sentiva vibrare già l'anticipazione di
buona
parte della gioventù della città.
Alzando
lo sguardo
al cielo, considerò una cosa: la luna sarebbe stata nuova,
quella
sera.
Il
laboratorio era
quasi sempre già vuoto, a quell'ora. I Mastri di solito
passavano le
proprie nottate chiusi nei loro studi, in città, tanto
più in
occasione delle Ballate.
Le
Dionisee erano
costruzioni che tutte le città ospitavano: si trattava di
torri un
poco tozze, dato il loro diametro importante ma l'altezza ridotta,
che non superava la quindicina di metri. Acquisivano un minimo di
slancio solo grazie lunga scalinata che le circondava in un abbraccio
sinuoso. Di solito, erano ripartite in tre piani: al piano terra, si
trovavano le scuole; al secondo, erano raccolti tutti i luoghi
consacrati alle funzioni dei Mastri Mascherai, le cosiddette Aule del
Fato. Qui c'erano le Stanze del Battesimo, dove ai neonati veniva
fatta indossare la maschera per la prima volta, i silenziosi quanto
affascinanti laboratori dei Mastri Mascherai, il luogo delle
Ri-Unioni, ovvero i matrimoni e i Mormorai, dove si pregavano i
defunti. Infine, la terrazza, sulla cima, ospitava tradizionalmente
le Ballate.
Leo
aveva sempre
pensato alle Dionisee come a piccole città nella
città: dopotutto,
lì risiedevano tutte le principali funzioni delle loro
esistenze –
nascita, destino, ingresso nel mondo adulto e, infine, morte.
Girò
la chiave
nella toppa della porta sul retro con confidenza, con la
familiarità
di chi entra in casa propria. Poggiò la borsa sul bancone
del
laboratorio e poi si premurò di scaldare l'ambiente, prima
dell'arrivo del suo ospite.
Shu
doveva essere
stato l'ultimo ad essersene andato, a giudicare dall'ordine
impeccabile che di rado regnava sovrano in quel luogo; lui, Rei,
Kanata e Wataru erano di solito poco inclini al rassettare
l'ambiente, soprattutto mentre erano presi dal proprio lavoro e,
seppur Natsume fosse abbastanza attento nel tenere sotto controllo il
caos che gli altri causavano, l'unico in grado di ordinare il cuoio
per spessore e colore era di certo il più pignolo dei Mastri.
Accese
un paio di
candele e poi ravvivò appena la stufa spenta da poco tempo,
mentre
coglieva il primo scalpiccio che animava le scale della Dionisea.
Le
risatine
sommesse, i passi veloci e l'aria crepitante di nervosismo ed
anticipazione erano l'annuncio sonoro dell'imminente inizio della
Ballata. Leo spalancò l'unica finestra del laboratorio e,
seppur da
lontano, riuscì a scorgere una piccola fila disordinata che
animava
le ampie gradinate che conducevano alla terrazza. Da quando aveva
preso ad osservarla così, come spettatore, persino lui aveva
iniziato a coglierne il fascino.
I
Mastri Mascherai
non erano soliti subire lo Svelamento. Non era una regola di cui i
libri parlavano, ma era raro che qualcosa contraddicesse questa
consuetudine.
I libri
riportavano
sì e no una decina di casi del genere, in secoli e secoli di
storia.
Chi diveniva apprendista, lo faceva spesso in giovane età e
smetteva
di partecipare alle Ballate per concentrarsi sul lavoro in
laboratorio e sullo studio. Infusi come divenivano d'alchimia, i
Mastri cessavano col tempo di invecchiare ed alcuni potevano vivere
anche molto a lungo (Rei ne era un esempio; non ne era certo, ma si
diceva che avesse più di duecento anni). Si distaccavano
dalla vita
comunitaria per servirla adeguatamente e permettere che continuasse
ad esistere. Per questo, non rinunciavano mai all'oggetto che dava un
senso alla loro esistenza – la maschera.
Leo
aveva accettato
tutte le conseguenze della sua scelta già l'anno prima.
Si era
sempre
sentito fuori posto in mezzo ai suoi coetanei e, benché
l'idea di
poter vivere troppo a lungo gli rendesse di tanto in tanto i sogni
agitati, era felice: sentiva che nel creare aveva trovato lo scopo
della sua vita.
La
tenerezza che
provava nel vedere ragazzi poco più piccoli di lui
scalpitare per
quell'occasione nasceva, quindi, dal distaccamento da quel mondo a
cui aveva consapevolmente rinunciato.
Sopra di
lui, dalla terrazza, le soffici note della musica che iniziava a
suonare per i futuri adulti sembrarono colare come nebbia tra le
pareti di marmo della cittadella, ravvivando un poco quella romantica
desolazione. A poco a poco, la giovane folla sparì dalla sua
vista,
finalmente al proprio posto sulla terrazza.
Rimase
per un poco in ascolto delle dolci melodie che davano inizio alle
danze, immaginando giovani impettiti nei loro abiti eleganti, alcuni
che fremevano per fare il primo passo ed altri che tremavano all'idea
di prendere l'iniziativa – almeno, lo fece fin quando un
bussare
leggero non catturò la sua attenzione.
«Avanti»
permise, prima di chiudere la finestra e così porre fine al
vagheggiare della sua mente. Indossò, come da tradizione, il
cappuccio sul capo, così che di distintivo rimanesse solo la
maschera ad accogliere il suo ospite.
Fece il
suo ingresso nel laboratorio un solo giovane ragazzo, coperto da un
lungo mantello grigio perla. Si tolse immediatamente il cappuccio e,
nel piegare il capo in segno di riverenza, la chioma rosso vino
scintillò quasi alla luce delle candele.
«Buonasera,
Mastro» mormorò, lasciando trapelare il nervosismo
dalla propria
voce.
Ma Leo
era ancora troppo incantato dalla maschera del ragazzo.
Non era
raro che le maschere assumessero forme specifiche; la sua, ad
esempio, era chiaramente una luna. Quella di sua sorella era, invece,
un poco più astratta, ma era facile riconoscervi un cielo
stellato.
Eppure,
era la prima volta che Leo vedeva una maschera ricoprire per
più di
tre quarti del volto un sole e per di più così
luminoso e vibrante
nei colori: il cuoio aderiva il volto del ragazzo sin da sotto lo
zigomo sinistro e nascondeva non solo la fronte e gli occhi, ma anche
il naso e gran parte della metà destra del volto, lasciando
un
accennato ritaglio per la bocca carnosa e pallida. L'oggetto era di
un oro vivo, quasi brulicante di fiamme e, lungo i bordi, intagli di
raggi solari concludevano la rappresentazione dell'astro.
«...
Buonasera» riuscì a dire l'ospite, seppur con un
poco di ritardo.
Con un cenno, l'aspirante Mastro lo invitò ad accomodarsi su
uno
sgabello che aveva già preparato. «Siete il
giovane Suou,
immagino».
«Sì,
perdonatemi la scortesia. Sono... Tsukasa Suou». Il
nervosismo parve
farsi più evidente quando gli porse il mantello; Leo lo
seguì con
lo sguardo mentre sollevava gli occhi al soffitto, evidentemente
impensierito dall'evento che nel frattempo si teneva sopra di loro.
Indossava un bel completo d'un blu vivo, composto da giacca a
doppiopetto e calzoni stretti, tutto rifinito in oro, rosso e bianco
brillanti, che evidentemente riprendevano le tonalità della
maschera. «Sono desolato di avervi voluto disturbare a
quest'ora
tarda».
«Vi
prego, non crucciatevi» si limitò a replicare,
mentre estraeva
dalla borsa i suoi appunti, i libri su cui era solito studiare e,
soprattutto, i guanti da lavoro, che indossò prontamente.
Dagli
scaffali, poi, si premurò di raccogliere le sostanze di
reazione –
si trattava per lo più infusi a base naturale: le maschere
non
reagivano ad elementi qualunque, ma a materia organica. Quindi di
solito ricorrevano a lacrime, sangue ed erbe di vario genere,
catalogate a seconda dei significati che negli anni avevano provato a
comprovare avessero. «Anche se ammetto di essere incuriosito
da
questo insolito tempismo».
Il
ragazzò quasi tremò sulla sedia, poi
schioccò la lingua.
Leo
sbatté le palpebre, mentre cominciava a capire
perché quella
maschera avesse colori così vivaci. Poteva non essere un
amante
delle Letture, ma le maschere rivelavano molto, ad un occhio allenato
e quel giovane mostrava un animo forte, un cuore indomabile ed
orgoglioso. Non era raro, in effetti, che i giovani nobili
indossassero colori tanto accesi.
Era
evidente che ci fosse ben di più in gioco, dietro quel
nervosismo
momentaneo. «Sono qui solo per ordine di mio padre, ma ho
insistito
nel venire da solo. Sono un adulto, anche se non ho ancora avuto lo
Svelamento».
Per
l'appunto. Fiero ed indipendente. Leo annuì, prima di
afferrare un
pennello e uno strumento apposito per raschiare la superficie del
colore. Era normale farlo, durante le Sedute e la maschera si
ricreava da sola senza alcuno sforzo, soprattutto nel caso di un
danno minimo come quello.
«Ma
siete in età da Ballata. Sareste potuto venire qui prima o,
comunque, non questa sera».
«...
Vero. Ma ho la sensazione che non troverò nulla di mio
gradimento,
lassù». Con l'aiuto di una lente, Leo
grattò via un poco del
colore e lo fece cadere in una vaschetta di ceramica, pronto a
testare le reazioni del cuoio. Ma la frase stuzzicò il suo
interesse, tanto che lo fece ridacchiare.
«Che
coincidenza, anche io avevo le vostre stesse sensazioni». Si
allontanò per portarsi dietro il banco da lavoro, seppur
questo
significasse dare le spalle al suo ospite per qualche minuto. Si
tolse dunque i guanti ed iniziò prima a schiacciare con cura
i fiori
che aveva scelto; agitò poi per bene l'infuso di lacrime con
un
pizzico dell'anemone che aveva già lavorato. Era indicato
per
conoscere se la longevità dell'individuo anche se, nel caso
specifico, colori e sole lasciassero invece supporre un'esistenza
brillante e di condottiero.
«...
Dite sul serio?»
«Oh,
sì. Infatti, eccomi qua».
Tsukasa
rimase in silenzio, probabilmente a riflettere. Sembrava che
quell'apertura da parte sua avesse definitivamente spazzato via
l'iniziale timidezza del giovane, il che confermava un cuore puro ed
una certa ingenuità nel fidarsi di chi gli offriva un poco
di
confidenza. In poche parole, un bravo ragazzo – fin troppo,
per far
parte degli alti ranghi della città.
«Quindi
mi credereste, se vi dicessi che non confido molto nelle Letture? Con
tutto il rispetto per il vostro lavoro». Un ragazzo sveglio,
per
giunta. Leo aspettò che la lacrima toccasse la superficie
dorata del
cuoio per rispondergli, anche se questa non venne neanche scalfita
dal miscuglio. La schiettezza che il giovane aveva appena mostrato lo
avrebbe portato, almeno secondo i suoi libri e i suoi predecessori,
ad un futuro luminoso.
Leo si
diresse verso gli scaffali per afferrare petali di rosa essiccati.
Questo era, invece, per ottenere risposte sull'amore.
«Non
solo vi credo, ma vi stupirò: fate bene a non riporvi troppa
fiducia. Ho visto Letture degli altri Mastri essere smentite nel giro
di neanche un mese. Io stesso mi sono sottoposto ad una Lettura
quando ho iniziato a lavorare qui e non potrei immaginare un futuro
così diverso».
Parlare
era fin troppo semplice con questo giovane. Forse la sua maschera
esercitava un po' troppo fascino, su di lui.
«Se non
sono indiscreto...»
Leo
rise. «Ero destinato a legarmi e pure con una certa urgenza.
Secondo
i miei insegnanti, la mia maschera anela alla luce, all'amore altrui
e la mia esistenza dipendeva dall'incontro con chi mi avrebbe amato.
Avrei dovuto trovare un percorso di vita radioso, che probabilmente
avrebbe colmato i miei lati oscuri. Come potete vedere,
nell'oscurità
ci vivo».
Il
giovane rise appena, con una dolcezza disarmante. Era certo che anche
il calore che quel suono produceva fosse ben rappresentato dalla
maschera che indossava.
«Siete
uno strano Mastro».
«Troppo
giovane, forse. Poco più di un anno fa, non ero molto
diverso da
come siete voi adesso».
Forse
non avrebbe dovuto rivelargli che era relativamente nuovo al
mestiere, rispetto agli altri Mastri della città. Rei gli
aveva
detto che affidarsi ad un Mastro inesperto non entusiasmava nessuno,
men che meno i nobili. Eppure, Tsukasa non gli fece notare la sua
inesperienza né si irritò per la sua confessione.
«Posso
sapere come vi chiamate?»
«Leo»
e versò, mentre lo diceva, l'infuso di rosa sulla scheggia
di
pittura della maschera.
Stavolta,
dal contenitore, si sollevò un gorgoglio: non era una strana
reazione stana di per sé, se non fosse stato che il
ribollire fioco
ben presto si tinse di un blu scuro, un tono familiare ma ben
distante dai petali di rosa rossa essiccati del reagente o dalla
pittura dorata della maschera, il cui frammento sembrava essere
improvvisamente scomparso, inghiottato dal blu vibrante.
Leo si
ritrovò a sbattere le palpebre, perplesso, poi
arricciò le labbra.
«Curioso»
si limitò a sentenziare, il suo interesse improvvisamente
risvegliato. Si diresse veloce verso la libreria più che
affollata,
mentre gli occhi cercavano dei volumi in particolare. Non appena li
trovò, li afferrò e li portò con
sé al bancone, per poi mettersi
a sfogliare velocemente pagine che aveva già letto
più volte, ma
non con la stessa avidità e la stessa motivazione.
«...
qualcosa non va?» chiese il giovane – buffo,
riuscì a pensare Leo
in un angolo della sua mente. Sembrava un po' troppo preoccupato, per
uno che non confidava nelle Letture.
«Non
direi» gli rispose veloce, appuntando velocemente le proprie
conclusioni sui fogli a sua disposizione. «Ma è la
prima volta che
assisto ad una reazione così forte e
così—beh, nuova. Non
ho mai visto l'infuso cambiare colore in modo così
drastico». Portò
con sé il foglio e, di nuovo armato di lente
d'ingrandimento, tornò
a torreggiare sul ragazzo, che aveva impercettibilmente stretto le
labbra tra loro, teso e senza forse rendersene conto, si era
irrigidito.
Si
sporse quindi quanto bastava, ripetendo con più cura
l'osservazione
del magnifico oggetto che Tsukasa indossava e riconfermò
quanto
aveva visto poco prima: nessuna traccia di colori freddi su di essa.
Arancio, rosso e oro si abbracciavano senza alcun pensiero tra loro,
fratelli di una famiglia di calde esistenze, di animi coraggiosi e
menti schiette.
La
musica, intanto, scandiva quel tempo altrimenti sospeso. Persino a
quella distanza, era facile riconoscere, tra le note di balli lenti,
i chiacchiericci allegri di chi a quell'ora aveva già potuto
vedere
il proprio volto per la prima volta.
Una
sensazione che lui, invece, non avrebbe provato mai.
Chissà
se fu la distrazione, a quel punto, o la malinconia taciuta di chi si
era consapevolmente tagliato fuori dalla società comune a
fargli
commettere il fatale errore.
I Mastri
non toccavano mai le maschere altrui senza il supporto dei guanti.
Era una questione di formalità, sì, ma anche un
modo per evitare di
prendersi inutili rischi.
«I
Mastri vivono senza lo
Svelamento perché la conoscenza può essere
annebbiata dall'amore.
Certo, non è per forza così»
gli aveva detto Wataru, mentre armeggiava con mani troppo veloci un
intero scaffale di fialette che Shu aveva meticolosamente provveduto
a catalogare e che, ben presto, sarebbero state di nuovo un disastro,
nonché introvabili. Se non rotte. «Ma
pensa essere legato
ad un Mastro come noi. Un bel casino, ti pare? Anche se ne uscirebbe
una merveilleuse
storia da
raccontare!»
Beh, non
avrebbe certo definito meraviglioso il modo in cui gli mancò
il
respiro quando, non appena le sue dita toccarono il cuoio dipinto e
quello prese a sciogliersi, come neve al sole. Avvertì il
panico
crescere, nelle sue membra: aveva ancora reagenti per le mani? Aveva
causato un danno irreparabile?
Ma ben
presto, la sconosciuta sensazione dell'aria che baciava la pelle da
sempre coperta riuscì a strappargli via pure quegli ultimi
tentativi
di negare ciò che stava realmente accadendo:
fece a malapena
in tempo a portarsi le mani sul volto per trovarle completamente
ricoperte della polvere luminescente che – chi meglio di lui
poteva
saperlo? - le maschere lasciavano dietro di sé, una volta
distrutte
dallo Svelamento.
Una
folata di vento e delle loro maschere non sarebbe rimasto neanche il
ricordo.
Sentì
le gambe, le mani, tutto il suo corpo tremare. Forse aveva
addirittura smesso di respirare e chissà, magari persino il
suo
sangue aveva cessato di circolare lungo quel corpo che sentiva
schiacciato dalla colpa... colpa, sì.
Abbassò
lo sguardo, nel disperato tentativo di trovare una spiegazione
alternativa a ciò che era appena accaduto. Eppure, era
troppo tardi:
di fronte a lui, sullo stesso sgabello di poco prima, non stava
più
lo stesso ragazzo, o almeno ebbe questa sensazione.
No, ora
che vedeva il suo volto, avvertì chiaramente lo stesso
sangue che
pareva essersi del tutto congelato, riprendere a circolare con
furore, aumentando il battito del suo cuore per animare in lui un
sentimento simile a quello che provava di fronte alle maschere
più
elaborate e magnifiche.
Era un
volto puerile, eppure bellissimo. D'un rosa pallido, gote un poco
più
piene di quanto avrebbe potuto immaginare, occhi ametista pieni d'una
fierezza che mai aveva incontrato in vita sua. Scintillavano,
increduli, di fronte al volto del Mastro svelato.
Ah, per
questo, si chiamava lo “Svelamento”.
Riuscì a pensare quanta
assurda romanticheria ci fosse dietro a quel rito – il primo
volto
che si vedeva, una volta liberi dalla maschera, era quello del
proprio partner. Non il proprio.
Lo seguì
con gli occhi mentre si sfiorava il volto con calma innaturale, che
costrinse Leo a fare un passo indietro. Non poteva sapere che
reazione aspettarsi, adesso. Come poteva rimediare ad un simile
errore? Aveva distrutto la maschera di un giovane nobile. Aveva
macchiato il nome dei Mastri della città. Aveva--
Lo sentì
ridacchiare.
Leo non
riuscì a fare altro che a fissarlo, incredulo.
Tsukasa
Suou si era portato una mano di fronte alla bocca, colto da un moto
di risa liberatorio, come se fosse appena stato esaudito il suo
più
grande desiderio. Rideva, rideva come se avessero appena aperto la
porta del paradiso di fronte a lui.
«...
Non ditemi che siete impazzito. Vi assicuro che troveremo una
soluzione e--»
«Soluzione?»
Brillava ancora. Non c'era più alcun sole su quel volto,
eppure il
calore che emanava sembrava essere lo stesso dei raggi di pieno
agosto. «Avevo ragione. Avevate ragione!» E, ancora
rideva.
Si
azzardò persino ad avvicinarsi a lui, ad afferrargli le
mani.
«Quel
che cercavamo sarebbe stato impossibile da trovare, ad una Ballata.
Ci siamo incontrati in un luogo estremamente diverso, dico
bene?»
Diceva
bene, sì. Ma questo, agli occhi di Leo, non spiegava ancora
quella
reazione assurda – avrebbe dovuto essere furioso, nel legare
il suo
futuro brillante a quello di un Mastro. Apprendista, per di
più.
Almeno
adesso riusciva a spiegarsi il colore blu fuoriuscito alla prima
interrogazione sull'amore. Era, banalmente, quello della sua
maschera.
«La
Luna... e il Sole» riuscì a dire, abbassando lo
sguardo sulle loro
mani unite. «Destinati a non incontrarsi mai».
«Se non
in occasioni uniche, come le eclissi» concluse per lui il
giovane,
il sorriso ancora troppo entusiasta perché Leo riuscisse ad
accettare la situazione di buon grado e tranquillizzarsi. «Mi
dispiace, forse ai vostri occhi devo sembrare folle. Ma non vi ho
detto una cosa. Questa—non è la mia prima
Lettura».
«E cosa
aspettavate a dirmelo?»
«Mi
dispiace, è solo che... la volta scorsa non è
andata molto bene. Le
parole del Mastro furono molto dure, per me ma soprattutto per mio
padre» sospirò appena a quel ricordo, senza
però dare segno di
voler lasciare andare le sue mani. Se possibile, la sua stretta si
fece più vigorosa. «Il Sole è un
simbolo solitario. Osserva
dall'alto la vita sulla Terra, senza alcun bisogno di compagnia. Non
c'era segno di Svelamento nel mio futuro, né di amore.
Questo
accadeva non più di qualche mese fa».
Leo
iniziava a capire. Chiunque avesse letto quel blu secondo le carte,
non vi avrebbe trovato che una profonda malinconia, una solitudine
controllata e non di certo il colore di chi era in grado di vedere
oltre la sua maschera.
«Immagino
non ci fosse neanche traccia delle Ballate, nelle previsioni del
Mastro».
«Già.
Sono qui perché volevo sentire un altro parere, volevo...
credere di
non rimanere per sempre all'oscuro di me stesso. E il destino mi ha
condotto da voi».
«... da
te» lo corresse Leo, con un sospiro. La sua maschera anelava
alla
luce e mai, in vita sua, era stato sicuro di vedere un volto luminoso
come quello che aveva davanti.
Esisteva
un senso nelle Letture, dopotutto.
Il
sorriso del giovane si fece più timido, stavolta, come se
avesse
appena realizzato l'intimità della relazione che avrebbero
dovuto
instaurare. Eppure, le sue mani non lo abbandonarono.
Ciò
sembrava contribuire al battito stupido e folle del suo cuore, che si
fece più intenso quando l'altro, complice,
sollevò di nuovo lo
sguardo sopra di sé.
«Beh,
anche se non partecipiamo ufficialmente alla Ballata... potremmo
almeno cominciare da un comune ballo in terrazza?»
C'era
sempre tempo, per pensare al resto.
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