Nota
dell’autrice: dopo la fine della
quarta stagione di
uno dei miei anime preferiti ho sentito il bisogno fisico di omaggiare
questa
serie con una fanfiction che avesse come protagonista una coppia che ho
amato
dal profondo del cuore. Ho provato a pensare ad Oikawa come ad un
personaggio a
tutto tondo, che nonostante il suo essere frivolo non manca di mostrare
la sua
maturità quando la situazione lo richiede.
Il suo rapporto con
Iwaizumi per me rappresenta qualcosa di speciale, qualcosa di
maledettamente
dolce e allo stesso tempo amaro e, inutile dirlo, ecco spiegato il
titolo.
Spero vi piaccia!
Bittersweet
Accanto
a
sé, sul letto, giaceva ancora il dvd che poco dopo la
semifinale di quel
pomeriggio gli era stato consegnato da uno dei membri più
giovani della
squadra. Lo avrebbe visionato e avrebbe finalmente elaborato una
strategia che sarebbe
riuscita nell’intento di reggere il confronto con il rivale
più ostico
dell’Aoba Johsai, quel colosso a cui la squadra non era mai
riuscita a
strappare una vittoria: l’Accademia Shiratorizawa. Niente di
particolare
rispetto al solito, dunque, se non che ad un certo punto commise
l’errore di
abbassare le palpebre per più di una manciata di secondi, e
come un fiume in
piena i ricordi di quel pomeriggio lo aggredirono. Violenti e
inarrestabili
portarono con sé una verità che per fin troppo
tempo forse aveva disperatamente
cercato di nascondere anche a se stesso.
«Non
sei speciale come credi, Oikawa.»
Strinse
d’istinto le dita intorno al cellulare. Aveva creduto che
sfruttarlo come
valvola di sfogo non sarebbe stata un’idea poi
così malvagia, forse nel
disperato tentativo di alimentare la speranza che tutto potesse ancora
filare
liscio e che quella dannata serata potesse concludersi al
più presto, ma a
stento ora riusciva a sopprimere la volontà di scagliarlo
lontano da sé.
Quando
lei lo aveva raggiunto, poco prima che imboccasse l’ampio
corridoio che
collegava gli spogliatoi all’uscita del palazzetto, lui
l’aveva salutata con un
sorriso innocente, perché mai avrebbe immaginato che la
gioia per la vittoria
potesse trasformarsi in frustrazione così tanto rapidamente.
Era risaputo che
le sue relazioni non sopravvivessero che un paio di mesi, e in fondo
non era
stata quella rottura a segnarlo così tanto, ma le parole che
la accompagnarono
colpirono il suo orgoglio con la stessa freddezza di uno schiaffo in
pieno
viso.
«Sei
solo un egoista e un arrogante. Le tue vittorie in campo non fanno di
te una
persona migliore.»
Chissà
quante altre ragazze sarebbero state disposte a rimpiazzarla senza
battere
ciglio. Almeno una decina, secondo un rapido calcolo. Non era
importante, non
doveva preoccuparsi di qualcosa di così tanto frivolo,
eppure non riusciva a
scrollarsi di dosso la viscida sensazione di essere stato rifiutato,
respinto,
senza alcun tipo di riguardo. Avrebbe potuto trovare un’altra
ragazza quella
stessa sera, se solo avesse voluto, eppure in quel momento non gli
interessava.
Dentro di sé qualcosa bruciava, faceva male. Quella ferita
che aveva squarciato
in due il suo orgoglio non avrebbe trovato sollievo con così
poco.
«Sei
così ossessionato dalla tua idea di perfezione da non
accorgerti che il mondo
non gira intorno a te. Devi crescere.»
Più
abbassava lo sguardo e più, quando lo rialzava, non riusciva
a vedere nulla,
solo il viso della persona che lo aveva messo a nudo così
schiettamente,
rinfacciandogli di essere ben lontano dall’immagine di
sé che negli anni aveva
costruito e venduto con così tanta sicurezza. Per troppo
tempo era rimasto
convinto che il suo talento nella pallavolo, unito alla sua
popolarità,
sarebbero bastati a renderlo perfetto agli occhi degli altri,
dimenticandosi di
quanto fosse povero di sostanza, in realtà, un simile
desiderio.
*
* *
«Oikawa,
è quasi mezzanotte e domani abbiamo la finale, si
può sapere cosa diavolo vuoi?»
tuonò una voce familiare al di là del ricevitore.
«Iwa-chan,
vieni da me.» Oikawa era serio, quasi distaccato, fin troppo
se paragonato al
modo in cui solitamente si rivolgeva all’amico
d’infanzia. Trascorse qualche
secondo, prima che dall’altro capo del telefono giungesse una
risposta.
«Sei
impazzito per caso? Va’ a dormire.» Iwaizumi stava
quasi per riattaccare senza
nemmeno dargli il tempo di giustificarsi, ma le suppliche
dell’altro lo
raggiunsero prima ancora che potesse provarci. Glielo chiese di nuovo,
una,
due, altre tre volte, facendolo rabbrividire di fronte a quel tono di
voce che
non riusciva a riconoscergli. Non lo aveva mai sentito parlare in quel
modo.
«Iwa-chan,
ti prego. Vieni da me.» a quel punto si domandò se
Oikawa non fosse sul punto
di scoppiare a piangere. Diede una rapida occhiata
all’orologio. Le undici e
quarantacinque. Si alzò dal letto e recuperò la
giacca e le chiavi di casa.
Dall’altro
capo, il capitano del Seijoh avvertì un sospiro.
«Sto
arrivando.»
Non
abitavano così distanti, ma quando Oikawa udì il
campanello, appena dieci
minuti più tardi rispetto a quella telefonata,
sussultò per la sorpresa. Non si
aspettava ci mettesse così poco, ma un flebile sorriso gli
si dipinse sulle
labbra mentre andava ad aprire.
«Cosa è
successo? Stai bene?» le prime parole che Iwaizumi gli
rivolse non appena ebbe
modo di vederlo tradirono tutta la sua preoccupazione, ma non se ne
curò
particolarmente. Dal momento in cui aveva lasciato la propria
abitazione per
raggiungere l’appartamento dell’altro, nella sua
mente aveva ricostruito gli
scenari più assurdi e inimmaginabili, tanto che ad un certo
punto, tra i due,
non avrebbe saputo distinguere chi fosse davvero sull’orlo
della pazzia.
«Ah? Sì,
sì, sto bene. Vieni, Iwa-chan.» visibilmente
più rilassato, come se quella
conversazione al telefono non fosse effettivamente mai avvenuta, Oikawa
lo
invitò ad entrare e, nonostante non fosse la prima volta che
l’altro metteva
piede in casa sua, gli indicò la strada fino alla propria
camera.
Dapprima
Iwaizumi gli rivolse una strana occhiata. Sembrava quasi infastidito
dal fatto
che il suo umore fosse mutato in così poco tempo, e
inevitabilmente iniziò a
pensare che la sua corsa nel cuore della notte per raggiungerlo nel
minor tempo
possibile fosse stata inutile, ma lo seguì ugualmente senza
dire una parola,
perlomeno finchè entrambi non si ritrovarono seduti
l’uno di fronte all’altro
in camera da letto.
«Si può
sapere perché mi hai supplicato di venire qui, se ora ti
comporti come se non
fosse successo niente?» non alzò la voce, non
aggrottò nemmeno le sopracciglia
come era solito fare più o meno tutte le volte in cui si
rendesse necessario
parlare con lui, ma chiunque avrebbe potuto notare una piccola punta di
fastidio in quella domanda, malcelata sotto a uno strato di innegabile
preoccupazione.
«Ecco…
oggi pomeriggio, subito dopo la nostra partita Aiko mi ha lasciato e
non volevo
restare da solo, così ho pensato che-» Il suono di un pugno riecheggiò nella
stanza prima che avesse il tempo di terminare quella frase. Per un
momento
faticò a comprendere se l’altro avesse colpito il
comodino accanto al letto o
direttamente il suo stomaco. Il dolore che provò fu
pressochè identico.
«Mi stai
prendendo in giro?! Mi hai chiamato per questo? Sul serio?»
Iwaizumi si alzò di
scatto, mentre un leggero rossore iniziava già ad allargarsi
sulla pelle del
polso. Quando l’effetto dell’adrenalina fosse
scomparso sicuramente avrebbe
accusato le conseguenze di quel colpo. Si voltò e si diresse
immediatamente verso
la porta della stanza, scuro in viso come in ben poche occasioni.
«Iwa-chan,
ti prego, lasciami spiegare!» Oikawa provò a
raggiungerlo, allungò una mano per
afferrare il suo braccio e costringerlo a restare, ma con una rapida
scrollata
Iwaizumi lo allontanò, come se la sola idea di essere
sfiorato da lui in quel
momento gli desse la nausea.
«No! Sono
stanco di essere il tuo giocattolo di riserva. Non puoi continuare a
ripiegare
su di me tutte le volte in cui le cose ti vanno male. Devi
crescere.» in
confronto alla reazione istintiva di qualche momento prima, quelle
parole
furono al pari di una doccia gelata. Faceva male. Faceva male sapere di
essere
poco più di una seconda scelta. Aveva sopportato in silenzio
per tutti quegli
anni, fin dalle scuole medie lo aveva osservato all’ombra
della sua popolarità,
ben consapevole che, da quel palcoscenico, l’altro non si
sarebbe mai voltato a
guardarlo come qualcosa di più di un semplice migliore
amico. Per un certo
periodo la questione non lo aveva interessato in modo particolare, ma
con il
tempo le cose, per fortuna o per sfortuna, avevano iniziato a cambiare.
Si era
accorto di quella sottile gelosia con cui lo ascoltava parlare delle
sue
relazioni, dell’invidia con cui osservava le attenzioni che
tutte quelle
ragazze gli regalavano prima e dopo gli allenamenti, a volte perfino
per
strada, durante gli unici momenti che potevano concedersi da soli,
l’uno in
compagnia dell’altro. Era diventato insostenibile. Non
sarebbe più rimasto in
silenzio.
Oikawa
sgranò gli occhi. Per davvero, questa volta, la paura di
perdere l’unico
pilastro che gli fosse rimasto gli strappò il respiro. Ma
non sprecò tempo a
riflettere. Non aveva tempo. Quasi
inciampò mentre, di corsa, coprì la
distanza che lo separava da Iwaizumi, ormai così
pericolosamente vicino alla
porta di casa. Il petto impattò con la sua schiena nel
momento in cui lo raggiunse,
ma incurante di questo gli cinse i fianchi e poggiò la
fronte contro la sua
spalla, in una tacita supplica di restare ancora per un po’.
Pochi minuti
sarebbero bastati.
La mano
che Iwaizumi aveva teso verso la maniglia si fermò a
mezz’aria.
«Allora è
vero. Pensi anche tu che sia infantile, che non mi importi di nulla se
non di
me stesso. Sai, ti ho chiamato perché sei l’unico
di cui mi fidi, volevo
confrontarmi con te. Volevo sapere… cosa pensi davvero di
me.» Oikawa stava
singhiozzando, lo capì senza problemi, nonostante il suo
viso fosse coperto e
la sua voce giungesse ovattata alle proprie orecchie, attutita dal
tessuto
della maglia contro cui teneva premuto il viso. Per un attimo
rivalutò i
pensieri che affollavano la sua mente. Quelle dita strette intorno ai
propri
fianchi lo facevano tremare, anche se in modo impercettibile. Non
avrebbe mai
voluto che l’altro si accorgesse di quanto effetto stesse
avendo su di lui in
un momento simile, in cui l’ultima cosa che desiderava era
lasciarsi
condizionare dalla sua presenza e dai sentimenti che non poteva
più negare di
provare.
Sospirò.
Un sospiro che durò giusto il tempo di lasciar ricadere il
braccio lungo il
fianco.
«Io
credo… che tu sia un grandissimo idiota.» Da
quella posizione Oikawa non
avrebbe potuto vederlo, ma Iwaizumi stava sorridendo, e dentro di
sé si odiava
per questo. Si odiava per tutte le illogiche reazioni che
l’altro era in grado
di provocargli. E si odiava anche perché nonostante tutto
non era mai riuscito
a farglielo capire.
Come
prima risposta ottenne un semplice lamento, seguito, nemmeno a dirlo,
da uno
dei suoi soliti “sei crudele”, sussurrato in modo
da assomigliare più ad una
cantilena che ad un’accusa vera e propria. Iwaizumi sorrise
ancora, questa
volta mentre spostava lo sguardo verso l’alto, inclinando
leggermente il capo
all’indietro. Sfiorò appena la fronte
dell’altro con la nuca, un gesto
involontario che, tuttavia, gli impedì di muoversi per un
po’. Quel contatto,
infatti, liberò alcuni scomodi brividi lungo
l’intera schiena.
«Quello
che voglio dire è che non dovresti preoccuparti di dover
sempre compiacere
tutti.» continuò.
Le braccia dell’altro a quel punto si fecero più
strette intorno alla sua vita,
e riuscì chiaramente ad avvertire il suo respiro infrangersi
contro il proprio
collo nel momento in cui sospirò, comunicandogli molto
più di quanto avrebbe
potuto fare con le parole. Comprendeva come si sentisse, e forse il
fatto di
capirlo così bene non stava giocando a proprio favore. Da
tempo sospettava che
pensieri del genere albergassero in lui, e quell’assurda
situazione non aveva
fatto altro che confermarglielo. Agli occhi di un estraneo Oikawa
poteva
sembrare unicamente arrogante e presuntuoso, ma lui sapeva cosa si
nascondesse
realmente sotto a quell’odiosa facciata che più
volte aveva cercato di
strappargli. Conosceva la fragilità del suo animo e
l’origine della sua
ossessione per la vittoria.
«Voglio
solo essere il migliore in qualcosa.» rispose
l’altro a fatica. Sembrava avesse
quasi rinunciato all’idea di trattenere le lacrime.
«Ecco
perché dico che sei un idiota.» Iwaizumi lo
riprese, il tono di voce rassegnato
ma comunque deciso. Lo avrebbe volentieri preso a pugni se fosse stato
sicuro
che quello sarebbe bastato a farlo smettere di autocommiserarsi.
A quel
punto portò lentamente le mani sulle sue, in una silente
richiesta di allentare
un po’ la presa sui propri fianchi, e sfruttò
l’occasione per voltarsi e
guardarlo finalmente in viso. D’istinto strinse i denti
intorno al labbro
inferiore quando notò le sue lacrime. Avrebbe dato qualsiasi
cosa pur di non
vederlo in quelle condizioni. Faceva male, molto più di
quanto potesse
immaginare.
«Sei già
il migliore in molte cose.» continuò, serio.
Desiderava che quelle parole
rimanessero impresse in lui per molto tempo, probabilmente anche
perché sapeva
che difficilmente sarebbe riuscito a ripeterle.
Portò le
dita di una mano al suo viso, sfiorandolo all’altezza dello
zigomo, in un gesto
che non avrebbe saputo riconoscersi in nessun’altra
occasione, ma che in quel
momento suonava così dannatamente bene.
«Sei il
migliore alzatore della squadra. Della nostra
squadra. Sei l’unico a
rimanere sveglio fino a tardi la notte prima di un incontro per
studiare gli avversari,
e grazie alle tue strategie, ai tuoi consigli, grazie a te
e alla tua
intelligenza… abbiamo vinto molte partite. E non sei il
migliore solo in campo,
lo sei anche fuori. Certo, solo quando usi il cervello.»
Oikawa,
inaspettatamente, non rispose a quella provocazione. Iwaizumi si
ritrovò di
fronte al sorriso più sincero che avesse mai avuto modo di
scorgere su quel
viso che per la maggior parte del tempo avrebbe soltanto voluto
prendere a
schiaffi. Così sorpreso e allo stesso tempo rapito da una
visione simile, quasi
non percepì le dita dell’altro che, dal polso,
risalirono fino ad incrociare e
a stringere le sue.
«Iwa-chan.»
Oikawa disse soltanto quello, come se quella fosse effettivamente la
prima e
l’unica parola ad essergli venuta in mente. Iwaizumi
sollevò un sopracciglio.
In un istante spostò lo sguardo sulle loro mani, ma fu
davvero poco il tempo
che potè impiegare ad osservare come le proprie dita si
intrecciavano
perfettamente alle sue. Avvertì un fastidioso rossore
all’altezza delle guance,
una sensazione che si fece sempre più intensa, fino ad
esplodere nel momento in
cui percepì le sue labbra sulle proprie, in un gesto
così naturale che, anche
ripensandoci, avrebbe fatto fatica a crederci. Dapprima lo sfiorarono
soltanto.
Forse Oikawa si sarebbe fermato se lui gli avesse implicitamente
chiesto di non
proseguire, ma così non fu. Anche se per qualche breve
istante, Iwaizumi si beò
di quel contatto così dannatamente piacevole. Lo
assecondò, arrivando perfino a
pensare di aver finalmente ottenuto ciò che più
bramava al mondo. Ma poi si
allontanò di colpo, come risvegliatosi da un sogno.
Guardò Oikawa negli occhi.
L’altro non disse nulla, ma comprese perfettamente
ciò che stava per dirgli,
perciò fece in fretta ad anticiparlo.
«Iwa-chan,
ti prego, resta qui stanotte.» lo supplicò,
esattamente come aveva fatto al
telefono forse appena una ventina di minuti prima. Strinse ancora di
più la
presa sulle sue dita, e sfruttò l’altra mano per
attirarlo a sé. Ancora. Più
vicino. Per poco Iwaizumi non perse l’equilibrio. Non aveva
mai sofferto di
vertigini, ma decisamente ora sentiva di poter cadere da un momento
all’altro.
Quel bacio lo aveva disorientato, lo aveva distrutto e poi rimesso in
piedi
come se nulla fosse. Ancora una volta aveva sottovalutato
ciò che Oikawa fosse
in grado di provocargli.
«Non
posso.» sussurrò, mentre lentamente abbassava lo
sguardo. «Non… non adesso.
Credo che tu abbia bisogno di un po’ di tempo per te
stesso.» si spiegò meglio,
così che l’altro potesse comprendere il motivo di
quelle parole. Dentro di sé
ardeva dalla voglia di restare, di lasciarsi consumare da quei
sentimenti che
per anni aveva coltivato per lui, ma sapeva non fosse la scelta giusta.
Lui
stesso sentiva di dover riflettere.
«…mi stai
rifiutando, Iwa-chan?» Oikawa singhiozzò, non
potendo più nemmeno guardarlo
negli occhi, e finì per scostare il capo da un lato, sul
viso un’espressione
corrucciata, ferita.
«Non ti
sto rifiutando, idiota.» Iwaizumi fu rapido a correggerlo, e
per un attimo si
lasciò anche sfuggire una risata. L’altro avrebbe
dovuto seriamente vedere la
sua faccia in quel momento. «Quando avrai riflettuto su
quello che ti ho detto,
io sarò qui.» aggiunse, mentre con le dita della
mano libera riportò il suo
viso verso di sé, e gli mostrò un sorriso
sincero. Oikawa avrebbe dovuto capire
che gesti come quello a volte significavano molto più di
quanto avrebbero mai
potuto fare in un’intera notte. Forse per questo avrebbe
dovuto aspettare
ancora per un po’, ma era un sacrificio che sarebbe stato
disposto a fare, per
lui.
L’altro annuì
in risposta, avvicinandosi solo per posare un leggero bacio sulla sua
guancia.
«Sei
arrossito, Iwa-chan.»
«Smettila.
Adesso va’ a dormire.»
*
* *
Il
giorno seguente il Seijoh perse la finale
contro l’Accademia Shiratorizawa. Nessuno dei giocatori
sembrò accusare le
conseguenze degli avvenimenti che la sera prima avevano coinvolto il
capitano e
l’asso della squadra, ma un generale senso di frustrazione si
impadronì
inevitabilmente di tutti al suono dell’ultimo fischio
dell’arbitro.
Per
molto tempo Oikawa si colpevolizzò per quella
sconfitta, ma Iwaizumi fu bravo a ricordargli che il loro ultimo anno
al Seijoh
non si era ancora concluso.
Avrebbero
combattuto fino all’ultimo.
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