mindlessselfindulgence
DISCLAIMER: I personaggi di Naruto
non sono miei, appartengono a Masashi Kishimoto, a Shonen Jump e a
compagnia bella; la presente fanfiction è un’opera di
fantasia prodotta senza scopo di lucro, ed è sorprendente quanto
le cose siano intercambiabili.
Se fossi
Kishimoto Sensei state certe che a quest’ora me ne starei a
sollazzarmi ad Acapulco bevendo un Margarita, altrochè.
La fanfiction si ambienta dopo un
ipotetico ritorno di Sasuke a Konoha, e l’happy ending che
ne consegue. Naruto è Hokage, Kurenai ha partorito il suo
pargoletto, Shikamaru ha sconfitto il cancro ai polmoni e Sasuke ha
vinto il premio di vendicatore dell’anno contro Paperinik e
Batman. Fate conto che tutto vada bene, che Il Villaggio della Foglia
sia piacevole come quello dei Puffi e che un giorno di primavera,
per qualche orribile scherzo del destino, a Kakashi sia stata affidata
una missione di tipo A con Iruka compagno di squadra.
E’ d’obbligo ringraziare FUYU,
luce dei miei occhi, parasole nelle avversità, amatissima,
blablabla, che mi ha aiutata nella stesura della trama, corretta quando
scrivevo spropositi, e betata amorevolmente.
Luv iu, sis! <3
A friendly hand
Capitolo primo: Mindless self indulgence
-
Era opinione diffusa che Umino
Iruka fosse una persona pacata, gentile e affidabile. Era
piacevole e aveva un sorriso dolce, e c’era qualcosa, nel suo
sguardo, che parlava di una fiducia infinita, della
disponibilità generosa di vedere del buono in tutti, guizzante
in barlumi dorati di occhiate fuggevoli.
Era opinione altrettanto diffusa
che proprio questa fiducia innata e irragionevole fosse il miglior
pregio di un ninja altrimenti mediocre, ciò che lo rendeva il
maestro perfetto.
Hatake Kakashi, però, ben di
rado prestava orecchio alle opinioni correnti; in cuor suo si limitava
a considerare quella bontà di Iruka fastidiosa, al limite
stucchevole. In cuor suo, sentiva che tutta quella solidarietà
melensa non avrebbe portato nulla di buono. E un giorno tiepido di
primavera, in missione con lui, trovò che le sue ipotesi erano
fondate.
- Arrenditi.
Camminava piano verso il Nukenin, i
lineamenti stirati in un sorriso tremulo. Aveva perso di vista Hatake e
Yamato, e in un certo modo distorto -il modo distorto di un candore
idiota-, pensò che forse-forse era un’occasione.
Un’occasione per salvare il Ninja traditore dai suoi compagni di
squadra, fermamente risoluti a un’uccisione rapida.
- Credevo che lo scopo della missione fosse riportarmi alla Foglia vivo o morto, Iruka..
La voce raschiata del Traditore gli
sferzò le orecchie insieme a un sibilo sfuggente; un
frusciò di aria e foglie secche dietro di sé, e se lo
sentì alle spalle.
- ..E’ questo il tuo problema, Maestro. Proprio non capisci.
Uno scatto di dita sul Kunai che
portava alla coscia; si mosse rapidissimo, gli occhi puntati negli
occhi del ninja. Pensò che se non l’aveva ucciso nella
frazione di secondo in cui aveva abbassato la guardia, se aveva
preferito sibilargli sul collo una frase amara e smozzicata..
Pensò che c’era speranza.
- Capisco cosa?
Prese tempo, l’impugnatura
dell’arma stretta nella mano sudata. Un suo passo avanti ne
provocò uno indietro, speculare, dell’altro ninja.
- Che alcuni di noi non vogliono essere redenti. I bravi ragazzi come te non capiscono MAI.
Le spalle contro la corteccia
nodosa di un albero, in trappola e ferito, l’avversario parlava
pacato, e gli chiedeva la morte. Fu allora che Iruka scattò in
avanti, in un balzo rapido, inchiodandolo, la lama del kunai contro la
sua gola.
Era la rabbia del giusto deluso nei
suoi propositi; era la caparbia del buono disposto a riportarlo a casa
a tutti i costi, minacce comprese. Era, infine, la sensazione pungente,
alla bocca dello stomaco, che il dono che gli offriva -il dono della
vita, il dono del perdono- fosse stato nettamente rifiutato, e quanto
peggio, sbeffeggiato.
- Sono ottuso e sentimentale, che vuoi farci..
Strinse gli occhi e si prese un
istante -un solo istante- per meditare sul da farsi. La risata del
nukenin lo informò dell’errore appena commesso. Un attimo,
e un tremolìo di aria smossa davanti a lui; doveva essere una
tecnica di mimetizzazione, messa in atto in tempo record.
Ci fu un momento di panico, poi un
sibilo e un bruciore feroce al braccio sinistro. Ci fu un rantolo e un
ringhio, e non si sapeva di chi fosse l’uno, di chi
l’altro. Ci fu un Kunai lanciato -da Iruka- e un fendente cieco.
Ci fu una colluttazione breve, e l’ansia, e la rabbia di una
speranza disillusa. La consapevolezza di dover uccidere il nukenin
-vita tua mors mea, e tutti gli apparati del caso- lo colpì come
un fiotto bilioso di odio verso se stesso. Pensò che se non si
fosse distratto, forse avrebbe potuto salvarlo.
Foglie smosse e aria tremula lo
informarono della seconda tecnica della mimetizzazione appena avvenuta
sotto il suo naso. Sentì la morsa allo stomaco di un terrore
mortale, e la lama dell’avversario che feriva l’aria, in un
coagulo di sensazioni dolorose sullo sfondo del bruciore persistente
della ferita al braccio.
Gli rombarono le orecchie, in quello che sentì distintamente come il momento della fine.
E poi chiuse gli occhi, che furono
attraversati da un’ombra, e quando li riaprì aveva davanti
il cadavere del nemico, e un bagliore di argento vivo .
Fu un istante di sollievo e una
vergogna cocente, e poi non ci fu più tempo di pensare e non ci
fu più tempo di provare nient’altro che non fosse una
paura ben diversa, quando Kakashi gli cadde ai piedi, e aveva una lama
che gli trapassava la spalla e i vestiti sporchi di sangue e le labbra
bluastre.
Un desiderio tutto nuovo di morire
lo colse impreparato, mentre apriva il kit medico con mani tremanti
pregando che Yamato si sbrigasse.
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