Messer Federico scese da cavallo e tristemente lasciò l’animale alle
cure dello stalliere, che lo guardò con gli ossi rossi di stanchezza e
dai quali traspariva una chiara disapprovazione per la condotta del
giovane.
Federico degli Innocenti, infatti, giovane rampollo di una delle
famiglie più importanti della città da qualche mese aveva cominciato a
condurre una vita dissennata: usciva tutte le sere a fare bisboccia con
quegli sciamannati dei suoi amici, spesso facendo l’alba e ubriacandosi
di vino speziato.
Sembrava che i divertimenti fossero l’unico modo di far perdere al
giovane quell’aria intristita e melanconica che caratterizzava i suoi
giorni.
Spesso, infatti, passava le giornate con lo sguardo perso in chissà
quale sogno, senza prestare troppa attenzione a quanto stesse facendo,
si trattasse di studiare o di assistere il padre nell’amministrazione
delle rendite di famiglia.
La servitù mormorava con acredine che il padroncino si fosse ammalato
di mal d’amore, perchè qualche fanciulla lo aveva respinto e lui, come
suo padre del resto e come gli aristocratici tutti, non era abituato a
ricevere risposte negative.
Chissà, forse era stata la bella Margherita, nipote dei Malatesta, a
fargli perdere il lume della ragione, volgeno i suoi bellissimi occhi
verdi su qualcun altro.
O forse addirittura qualche popolana che teneva alla propria virtù e
aveva rifiutato le avance del rampollo.
Federico conosceva bene tutte queste dicerie e se fosse stato in
spirito più allegro, avrebbe riso di gusto poichè non si avvicinavano
minimamente alla realtà.
La verità è che si sentiva sperduto, desiderava disperatamente un amore
che non avrebbe mai potuto avere e che probabilmente qualcuno della
servitù avrebbe bollato con qualche parola di sdegno.
Non gliene importava di cosa dicessero i preti a riguardo o se Dante
mettesse all’inferno quelli che hanno desiderio di uomini, a quelle
fiabe da donnette lui non ha mai creduto. E poi sa che non è l’unico a
desiderare un corpo maschile tra le lenzuola.
Ma la persona che lui desiderava con tanto ardore, fino a farsi
struggere le membra come raccontavano bene gli antichi poeti, non lo
avrebbe mai visto come amante. Per qualche scherzo del Destino,
infatti, o piuttosto per l’intrinseca complicatezza dell’umana natura,
l’oggetto del suo sentimento era Messer Antonio da Pieri, il suo
migliore amico.
E d’altronde Virgilio insegnava che i grandi amori fanno di pari passo
con le grandi amicizie.
Quante volte aveva sognato, leggendo d’Eurialo e Niso sul prezioso
manoscritto ravennate del padre, di cavalcare assieme ad Antonio, come
erano soliti fare e poi di fermarsi in un punto ascoso della riva del
mare, accostare le loro labbra e assaporare la dolcezza dell’amico.
Ma quando riapriva gli occhi, quei sogni evanescenti facevano ancora
più male.
Sntì bussare alla porta della camera e trasalì.
“Messer Federico, posso disturbarvi?” la voce roca di Bettina, la sua
anziana e fidata cameriera personale lo riscosse dalle sue
fantasticherie. S’accorse che, perso com’era nei suoi pensieri, non
aveva neppure tolto gli stivali. Fece entrare la donna, cercando di
sorridere: voleva bene a Bettina come ad una madre, sicuramente più che
ad una madre e la trattava sempre con rispetto.
“Messer Federico, so che l’ora è quanto mai tardi, ma avreste richiesta
per una visita.” Federico si inquietò. Chi poteva essere a quell’ora
così sconveniente. Prima che potesse chiedere, la donna parlò:
“Si tratta di Messer Antonio, dice che ha bisogno di parlarvi con
urgenza. Si fosse trattato di qualcun altro, non lo avremmo neppure
fatto entrare data l’ora.” Il cuore di Federico balzò suo malgrado nel
petto: quella visita inaspettata gli faceva piacere.
Messer Antonio da Pieri aspettava nell’ingresso degli appartamenti
dell’amico, stringendo tra le mani un fagotto avvolto in una stoffa
povera ed unta.
Aveva agito d’impulso e adesso la parte più razionale di lui quasi si
pentiva di ciò che aveva fatto. No, non si pentiva, pentirsi non faceva
parte del suo essere. Diciamo che aveva un qualche ripensamento
sull’efficacia del suo bizzarro piano. Federico poteva essere già
andato a letto o comunque decidere di non riceverlo.
Antonio era fatto così, agiva spesso seguendo il proprio impulso e anzi
in questo caso lo aveva soffocato per troppo tempo, per la paura di un
fallimento che non avrebbe potuto sopportare.
Quando Bettina gli aprì la porta e lo invitò ad entrar non potè fare a
meno di stampare sul suo viso un sorrisetto di vittoria.
“Buonanotte..o buongiorno, dovrei dire, Antonio.” Lo accolse Federico.
Il suo primo impulso sarebbe stato quello di buttargli le braccia al
collo, ma preferì trattenersi con una sobria pacca sulle spalle. “A che
debbo l’onore della tua visita ad un orario così inconsueto?” chiese,
curandosi di chiudere la porta del suo quartiere, una volta congedata
Bettina.
“Alla festa di Giovanni poco fa parlavamo di strane squisitezze ed io
ti rammentai quell’ottimo pane speziato che mi aveva portato mio zio il
giorno avanti. Ed ho pensato che fosse opportuno dividerlo con te per
rifocillararci dopo la nostra notte brava.” Spiegò con disinvoltura,
spogliandosi del cappello e del mantello per mascherare l’imbarazzo che
gli procuravano i suoi stessi pensieri.
Alla luce incerta delle candele Federico gli sembrava bello come un
quadro, coi capelli ispidi e scomposti che gli incorniciavano il viso
affilato. E si diede cento volte dello stolto per non aver notato prima
la sua fulgida bellezza.
Si accomodarono al tavolo dello studio.
“La verità” proseguì Antonio, prese da un’improvvisa parlantina”è che
mi sei sembrato particolarmente intristito stasera e volevo accertarmi
che tu stessi bene.” Antonio allungò una mano a toccare quella
dell’amico. Federico sobbalzò a quel contatto e si perse negli occhi
troppo profondi dell’amico.
“Sto bene...se così si può dire..” vagheggiò a fior di labbra.”Ma
d’altronde che intendi fare?”
“Vieni.” Antonio si alzò per raggiungere l’amico dall’altra parte del
tavolo e appoggiarsi alle spalle ben tornite di lui, improvvisando un
massaggio.”Forse ho un buon rimedio contro la tristezza d’animo.” Gli
sussurro, appoggiando la bocca tra quei capelli che desiderava così
tanto.
Federico era incredulo di quanto stesse accadendo, ma tuttavia seguì
l’amico verso la camera da letto.
“Sei bellissimo, Federico.” Lo gratificò Antonio, cercando di mettere
l’amico a suo agio. Anche lui non era poi così sciolto, ma poteva
contare su qualche esperienza che l’amico non aveva. Per una volta, a
differenza di quello che era sempre stato durante i loro anni di
frequentazione, Antonio sapeva di avere, per così dire, un certo
vantaggio dettato dall’esperienza sul compagno e si sentiva
responsabile.
Invitò Federico a distendersi sul grande letto e per un qualche forma
di rispetto e di pudore non lo guardò mentre si spogliava, anche se
avrebbe desiderato ardentemente farlo.
Si tolse anche lui gli indumenti, senza curarsi di spargerli per tutta
la stanza e si accostò, finalmente, al corpo di Federico.
“Non aver paura.” Gli sussurrò all’orecchio, seguendo con le labbra le
curve della schiena di lui.
“Con te non ho paura.” Rispose Federico, ormai perso in quello che gli
sembrava il migliore dei suoi sogni. E se davvero tutto codesto era
illusione, avrebbe ardentemente desiderato morire per quell’attimo
perfetto piuttosto che svegliarsi.
Antonio cominciò ad accarezzarlo lentamente, scivolando dall’altra
parte, in modo che le loro intimità fossero a contatto e potessero
incontrarsi delicatamente.
Il desiderio è un cavallo impetuoso e irrefrenabile, che presto prende
il sopravvento: così Antonio e Federico si trovarono presto in quel
momento solenne che chiede di non indugiare oltre.
Antonio, spaventato all’idea di nuocere in qualche modo alla persona
che aveva di più cara, percorse ancora una volta la schiena di Federico
con le labbra, lasciando umidi e dolcissimi baci fin là dove non batte
il sole.
Entrò poi in lui con tutta la delicatezza che l’ardente passione gli
permetteva. Poi, sentendo i gemiti sempre più frequenti dell’amico si
lasciò andare a quel momento irripetibile, incapace di pensare ad altro
che non fosse il reciproco piacere.
Furono i cardellini che cantavano la primavera nel giardino del palazzo
a risvegliare entrambi dal sonno stordito dei sensi.
Si ritrovarono così abbracciati stretti, in un groviglio di lenzuola e
coperte: Federico teneva la testa nascosta sul petto di Antonio.
Si guardarono, incapaci di fare altro che sorridersi e baciarsi
nuovamente.
“Credo che la mattina sia ormai inoltrata, sarà ora di alzarsi.”
Commentò con riluttanza il padrone di casa, allungando una carezza sul
viso pallido dell’amante.”Il mio stomaco reclama il suo pasto
mattutino.”
Antonio mugolò, riluttante ad alzarsi e ad abbandonare quel comodo e
caldo rifugio.
Non amava alzarsi dal letto neppure quando era quello freddo e vuoto
della sua camera, così adesso alzarsi dal nuovo giaciglio gli sembrava
quasi lasciar correre via le sensazioni ed i ricordi di quella notte
d’incanto.
“Non possiamo sprecare il pane speziato per il quale sei venuto fin qui
con tanta fretta nel cuore della notte.” Scherzò Federico, sedendosi di
nuovo sul letto e portando alla bocca dell’amante un pezzo del dolce
dal fortissimo aroma. “E’ davvero speciale.” Apprezzò, masticandone un
po’ a sua volta.”Come te.” Gli sussurrò, baciando Antonio su una spalla.
“Se sapessi di trovare te al mio fianco, non mi farebbe più così tanta
fatica svegliarmi.” Sorrise Antonio.
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