Girasoli_Музеи

di SuFin
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Ivan guardava i quadri quasi distrattamente, come a cercare qualcosa che nemmeno lui sapeva.
Forse il futuro che aveva perso, forse un amante, come quelli di Magritte, forse un quadro di Monet, forse I Girasoli di Van Gogh, non lo sapeva nemmeno lui, ma cercava.
Era da quando la sua casa si era svuotata che lui cercava in ogni museo qualcosa a cui aggrapparsi.
Forse cercava di riempire quel vuoto che si era venuto a creare quando, uno dopo l'altro, si erano allontanati tutti, fino a perdere anche lui, il suo lituano.
Era diventato come un quadro incompiuto, una Guernica, un'esplosione di colore nero e grigio che giorno dopo giorno perdeva colore e forme.
Ivan si fermò su una panchina e sospiró, guardando la Venere di Botticelli, ricordandosi tutte le volte che, dopo aver fatto l'amore, lui si alzava coprendosi con le lenzuola.
Ecco, lui era il mistero di Stonehenge. 
Era piccolo, ma riusciva a tirare fuori una forza che riusciva a farlo rialzare, era solare nonostante il mostro che era diventato durante l'URSS, era puro nonostante tutto il dolore che gli aveva causato.
Erano il bacio di Klimt, etereo ed immortale, eppure lo aveva fatto diventare solo una brutta copia degli orologi di Dalí.
Sciolto e fermo in quel periodo, con la polvere che si posava su quel vuoto incolmabile dove prima si posava il suo cuore, un cuore un po' matto, un po' infantile, ma un cuore che vicino a lui sapeva battere e fargli perdere il fiato quando facevano l'amore, quando lo sentiva battere dentro la gola e dentro le orecchie, mentre si univa a lui.
Gli aveva dato quella macchina imperfetta chiamata cuore e lui lo aveva distrutto come fosse un giocattolo.
Senza nemmeno pensarci un momento.
Ivan si rialza e si ferma di nuovo davanti ai Girasoli, girandosi quando un odore di biscotti gli arriva al naso.
Lo guarda mentre dischiude le sue labbra, rosee come le Ninfee di Monet, mentre quella macchina imperfetta chiamata cuore riprende a battere, mentre la sua anima si blocca.
-Cosa ci fai qui? - domanda stupida, Ivan. Sai perché è qui, è lui che ti ha fatto conoscere il significato delle opere.
-Scusami, avevo bisogno di vederti- vederti, Ivan, lo hai sentito? Vederti - Sai...speravo di trovarti qui, Ivan. Ne avevo bisogno, penso- e gli scappa uno di quelle risatine imbarazzante di cui si era innamorato il russo, mentre lo guarda passarsi una mano tra i capelli.
Alza le spalle, Ivan, e lo guarda come se fosse un dipinto di Salvador Dalí, non capendo molto bene.
Ha mille domande Ivan, ma nessuna che gli esca dalle labbra, finché non vede il lituano che si avvicina a lui, baciandolo, o meglio, sfiorando le sue labbra -Mi ero dimenticato questo, prima di andarmene, scusami. Non riuscivo a dormire per non averti detto addio come si deve-
Adesso è al russo che scappa una risata, mentre sente il mondo crollare, mentre sente quel cuore malandato finire di rompersi quando vede il polacco dietro di lui, sentendosi come Oloferne quando Giuditta lo decapitava, con quella anziana signora che li fissa, quasi a dare forza a Giuditta.
-Beh, adesso puoi anche andartene, anzi- e gli dai le spalle, iniziando ad uscire.
Gli hai dato tutto ciò che di buono c'era in te, ma adesso, ed ancora una volta, i tuoi corridoi sono tornati vuoti, lui ti ha portato via anche gli ultimi quadri, il tuo futuro.
Che cosa farai adesso, Ivan?




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