kakairunambertu
A friendly hand
capitolo secondo: satellite of love
Seduto a un tavolo solitario del
Nuovo Chiosco Ichiraku Ramen, il naso o chi per lui distrattamente
infilato in una zuppa di miso fumante, Hatake Kakashi scorreva
con gli occhi le Tattiche della Pomiciata.
Era il riposo del guerriero, il
pasto dell’eroe, la colazione del campione, o qualsivoglia nome
la pietà popolare attribuisse a quel brodino solitario e
salutare, che sorbiva di tanto in tanto fra mugolii di pura delizia.
Il fatto era, che Hatake Kakashi aveva salvato una vita. E non una vita qualsiasi.
Aveva salvato la vita del maestro
Iruka, incurante della sua, e si era guadagnato tre giorni tre di
prognosi riservata all’ospedale del Villaggio della Foglia, e
cure sollecite di Haruno Sakura e visite dell’Hokage in persona,
e ovviamente la succitata pietà popolare, che appunto ne
dipingeva le imprese tinteggiandole dei colori vivi di un
chiacchericcio chioccio, e del resto non era la prima volta.
Tuttavia, se Hatake Kakashi avesse
prestato una qualche attenzione ai discorsi estatici del villaggio, o
se Hatake Kakashi fosse stato un uomo da sbandierare le sue opinioni ai
quattro venti, così, senza riflettere, ecco, avrebbe avuto
un’altra versione della storia del suo eroico salvataggio.
Per prima cosa, avrebbe fatto presente alla pietà popolare che il maestro Iruka era un pagliaccio.
Poi avrebbe percorso a falcate
ampie la strada che dal Nuovo Ichiraku Ramen portava al palazzo
dell’Hokage, e l’avrebbe rimproverato come quando aveva
dodici anni, perché era un idiota e perché non si mandano
i Chunin in missione A.
Infine, e si trastullò per
qualche secondo con quel pensiero agrodolce, sarebbe andato
dritto a casa di Iruka e gli avrebbe fatto presente che le sue
melensaggini l’avevano quasi ucciso, che se non ci fosse stato
lui di lì a poco si sarebbe celebrato il suo funerale, e sarebbe
passato di certo per il ninja più stupido della storia di
Konoha, e -e qui sorrise suo malgrado, e quel proposito inattuabile gli
galleggiava nella testa con un sentore post-operatorio di gas
esilarante- , e poi si sarebbe lasciato intontire da quel sorriso quasi
condiscendente che Iruka gli faceva sempre, come
un’obiezione silenziosa e disarmante. Allora gli avrebbe
confessato l’inconfessabile: che se era stato ferito, la colpa
era solo sua, e non di Iruka; che un nukenin qualsiasi come quello non
l’avrebbe mai colpito se lui non si fosse lasciato distrarre da
quella stessa infatuazione stupida che adesso lo portava ad evitare
accuratamente il maestro Iruka, per vergogna, e perché era certo
che l’altro glielo avrebbe letto negli occhi, quell’anelito
nascosto e prezioso, e l’avrebbe ignorato con dolcezza compunta,
come l’aveva ignorato per anni.
Pensava a tutte queste cose,
rigirandosi in bocca il gusto amaro di
un’autocommiserazione melanconica e dolciastra, quando lo vide.
Doveva essere venuto apposta per
lui, perché per una volta non si portava dietro torme di
bambinetti casinari, sbavanti e tutti contenti per un ramen in regalo,
e perché -constatò Kakashi con un’ovvietà
che non gli faceva onore- si dirigeva verso il suo tavolo, e con passo
incerto da patibolo.
Considerò l’opzione di
una fuga in grande stile e la censurò; poi pensò di
alzarsi e salutare Iruka e magari sorridergli, e stringergli la spalla
e dirgli che era tutto a posto, e farsi riscaldare da quello
sguardo vischioso di miele e al diavolo, era sempre meglio di niente.
Aveva deciso per il piano B, e
aveva già posato la scodella sul tavolo per fargli un cenno di
saluto, ma qualcosa nello sguardo di Iruka, o nel suo sorriso o nel
modo esitante in cui sollevò la mano, attento a non sforzare
troppo il braccio ferito, dovette fargli cambiare idea.
Improvvisamente, Hatake Kakashi si scoprì arrabbiato,
arrabbiato col mondo e con se stesso, e con l’uomo che ormai era
al suo tavolo, con lui soprattutto. Fu un sentore fulminante, come un
gancio ben assestato sulla mascella mentre guardi un bel tramonto, e
altrettanto doloroso. Fu un misto di paura coagulata in grumi di
frustrazione, e nella gelosia assurda per un traditore a cui
Iruka aveva prestato compassione, mentre a lui di quell’amore non
toccava niente, niente, e nemmeno un po’ di pietà,
perché se Iruka avesse avuto pietà di lui se la sarebbe
tenuta stretta, la sua vita, consapevole com’era -come doveva
essere- che ogni ferita infertagli dilaniava lui, Kakashi, con il
doppio della violenza. E così,quando il maestro si
schiarì la gola, non lo degnò di uno sguardo.
- Kakashi-sensei, stai bene.
Aveva una voce impregnata di dolcezza, risuonante di una nota calda di genuina preoccupazione, vibrante. Ed era troppo.
Il Jonin strinse i denti fra di
loro, serrò il pugno libero e resse le Tattiche della Pomiciata
con quella che doveva considerare una fiera dignità, alzandosi
dal tavolo e trascinandosi il suo rancore fuori dal locale, lontano da
un Iruka perplesso e ferito.
-Kakashi-sensei!
La voce trafelata del ragazzo lo
raggiunse come un’eco fra la pioggia, rimbalzando sulle pareti
stagne della sua indifferenza ostentata.
- Kakashi-sensei!
Uno stillicidio. Dal cielo, e poi
questo-questo seguirlo, quando era chiaro che non voleva parlargli, che
era stanco di girargli attorno come un satellite senza speranza, che ne
aveva piene le tasche di lui e delle sue menate da buon samaritano.
- Kakashi-sensei, io volevo…
Non si accorse di essersi fermato,
le Tattiche chiuse al suo fianco col suo indice per segnalibro, se non
quando la mano di Iruka si posò sulla sua spalla.
-..Volevo ringraziarti. Di tutto.
Aveva la voce tremolante di
affanno, il jonin. Non era capace di stargli dietro neanche per
cinquanta metri, e poi gli metteva la mano sulla spalla, e pretendeva
che ogni cosa-ogni cosa fosse risolta con un ringraziamento smozzicato.
Di tutto, poi.
Si voltò verso di lui con un baluginare assassino in fondo allo sguardo, e l’intento di colpire.
- Non vedo quale possa esserne il motivo.
A fondo.
- Mi pare di aver svolto il mio
dovere, che era quello di aiutare un compagno di squadra. D’altra
parte non mi pare che tu sia stato all’altezza del tuo compito,
Iruka-sensei.
- …Non pretendo di essere all’altezza del chunin più giov-
- Non credo che tu abbia capito.
Non sto parlando dell’eccellenza. Non è eccellenza che
pretendo da te; è chiaro come il sole che è al di fuori
della tua portata. Mi aspettavo buon senso; mi apsettavo disciplina.
Sono tutte capacità che si richiedono a un chunin meno che
medriocre, e tu-tu non ne sei provvisto.
- Maestro Kakashi..
- Credi di essere al di sopra delle
regole perché sei tanto buono. Credi davvero che un
sorriso possa, chessoio, redimere i cattivi, beneficiare i giusti, e
dare la pace in terra agli uomini di buona volontà, o è
solo una maschera? Cos’è, un bisogno irrefrenabile di
suscitare pietà? E’ ancora la storia dell’orfanello
Iruka che ha tanto bisogno di attenzioni? E’ di attenzioni che
hai bisogno, maledizione?
Lo incalzava e tremava di rabbia, e
finì per intrappolarlo contro un muro nella gabbia delle sue
braccia premute contro la pietra umida.
- Una persona è quasi morta
per colpa tua, Iruka. Sei uno sciocco egocentrico, e faresti meglio a
rendertene conto. Non puoi pretendere che il mondo giri attorno a
te. Non puoi pretendere che il mio mondo ti giri intorno.
- Credevo fosse il contrario, Kakashi-sensei.
La doppia sferzata di pioggia e
voce calda e rotta ebbe l’effetto stordente di un
anestetico. Stesso rombo alle orecchie, ma inadatto a sedare
quell’amarezza che fu come un brivido sottopelle, quando Iruka lo
spintonò, spalla su spalla, superandolo stretto in un dignitoso
silenzio, le guance imperlate di pioggia iridescente.
Leggeva all’ombra di un
grosso tiglio, un braccio piegato sotto la nuca a fargli da cuscino.
Reggeva le ormai ben note Tattiche a livello d’occhi, un
po’ per ripararsi dal sole, un po’ per non dover prendersi
la briga di prestare attenzione agli altri occupanti del giardino,
bambini ululanti e mamme apprensive e chuunin adoranti inclusi.
Leggeva per non pensare
all’ossessione che lo tormentava da tre giorni, e leggeva per
sfuggire a un senso di colpa incalzante pur apendo che non gli
sarebbe servito a tenere a bada il desiderio impellente e surreale di
applicare sul maestro Iruka le strategie della pomiciata appena apprese.
Leggeva da quarti d’ora
interminabili, quando un’ombra gli si piazzò sul volto,
costringendolo a sollevare lo sguardo.
- Kakashi.
La voce inconfondibile di Uchiha Sasuke. Si sollevò sui gomiti, si aggiustò il coprifronte.
- Sasuke. Non mi aspettavo di vederti qua..
Gli fece cenno di sedersi accanto a lui.
- Neanch’io, infatti.
..Cenno prontamente ignorato. Il
ragazzo bruno si limitò ad accovacciarglisi di fronte, le
mani raccolte in grembo, sul volto i segni dell’incertezza.
- Cercavo te. Per un.. -E qui una schiarita di voce segnò una pausa gravida di tensione- ..un consiglio.
Kakashi non era uomo da stupirsi
più di nulla, ormai. Ma -pensò mentre si sistemava
seduto, con le gambe incrociate- il fatto che Uchiha Sasuke gli
chiedesse un consiglio rientrava decisamente nell’ordine di cose
che presagivano un cataclisma naturale di proporzioni cosmiche. Doveva
essere un problema davvero serio.
- Ho un amico.. -Esordì il
più giovane, l’aria greve come se fosse costretto ad
assolvere a un compito spiacevole ma inevitabile- Ho un amico che
ha… Una.. Storia con una ragazza. Una ragazza importante,
intendiamoci. Una ragazza.. Con le palle, ecco.
- Con le palle..
Gli fece eco il Maestro, le sopracciglia aggrottate e l’aria spiazzata.
- In senso figurato, s’intenda.
- Ovviamente. Prosegui pure.
- Questa ragazza.. Lui… Ci
tiene molto. Tanto. Diciamo che… Non ne è innamorato,
perché.. E’ un sentimento troppo popolare per lui,
insomma, non si piegherebbe mai a queste cose, fa parte di un clan
famoso, anche se sterminato dal frat.. Un clan famoso, insomma. Non
è innamorato. Ma diciamo che le è molto riconoscente. In
fondo, lei l’ha riportato indietro. A casa. Vedi, lui.. Era
scappato. Brutto equivoco. Brutta storia. Brutta storia, gli equivoci.
Ad ogni modo..
Una breve pausa di Sasuke permise a
Kakashi di considerare il fatto che stava parlando davvero troppo, per
i suoi standard. L’ipotesi del cataclisma scemò
gradualmente nella sua testa, battuta dall’opzione che una strana
tecnica di sostituzione fosse stata applicata al ragazzo moro, rapito e
rimpiazzato da un ninja logorroico di qualche villaggio sperduto.
- Ad ogni modo.. -Lo invitò a continuare.
- Ad ogni modo, lui vorrebbe
davvero dimostrare riconoscenza a quel-a QUELLA ragazza.
Perché la stima. Anche se lei è fastidiosa, e parla a
vanvera, e veste di colori improponibili, e mangia sempre lo stesso
cibo, e probabilmente fra sei anni sarà più simile a un
grosso rospo obeso e arancione
che a un essere umano. Però, vedi. Lui-questo.. Questo mio
amico, non riesce a non trattarla male. Cioè. Lui vorrebbe
sapersi controllare. Ma ogni volta che la vede, è più
forte di lui, non può che ferirla. Lui vorrebbe davvero
risolvere questa situazione, perché-perché ogni volta che
la ferisce, è come se sentisse un dolore, qui -e si
indicò il petto, all’altezza del plesso solare-, e si
sentisse..
Un eloquente sospiro pose fine alla
spiegazione dell’ultimo degli Uchiha. Speculare, Kakashi trasse
un fiato lungo, aggiustandosi il coprifronte sull’occhio
scarlatto.
- Penso che il tuo amico dovrebbe limitarsi a parlare con la ragazza.
- Ho appena detto che non ci
riesce. -Incalzò quello, e sottolineò il concetto con
un’occhiataccia molto Sharingan, che ebbe l’effetto, se non
di intimidire Kakashi, almeno di sedare i suoi dubbi circa una
possessione demoniaca dell’ex-allievo.
- Mi sembra che non ci sia molto da
fare.. -Cacciò un respiro teatrale, prima di portare mano alla
tasca laterale della divisa.
Quello che ne uscì era un
tesoro senza precedenti, dalla collezione privata di Hatake Kakashi;
qualcosa che custodiva da anni, e che difficilmente avrebbe prestato a
una persona di cui non si fidasse, o a un bambino non accompagnato dai
genitori.
- Il.. -Sasuke annaspava, in un imbarazzo malcelato sotto la maschera di boria.
- Sei abbastanza grande da leggerlo, adesso. Te lo affido perché sono certo che ne farai buon uso.
Poco ci mancò che cori
angelici si librassero attorno a loro, nel momento in cui Sasuke si
chinò a prendere il volume che Kakashi gli porgeva.
Qualche minuto dopo, chi fosse
passato di lì avrebbe visto ex-maestro ed ex-allievo seduti a
fianco, a gambe incrociate, leggere rispettivamente le Tattiche della
Pomiciata e il Paradiso della Pomiciata, entrambi in Edizione Limitata
con sovraccoperta rigida autografati personalmente dal Fu eremita
porcello.
- Etchù!
Chiuso nel suo ufficio luminoso, lo
Hokage starnutì violentemente, mandando all’aria una pila
di relazioni su Missioni S Supersegretissime.
- Qualcuno deve stare parlando male di me-ttebayo!
Fantastiche note di fine capitolo:
Bene bene bene.
Pare che anche questo sia andato, e, e beh, è il penultimo e
personalmente penso che sia troppo breve e che avrei dovuto farne una
one shot, che poi sarebbe stata troppo lunga e noiosa e blablabla.
Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto il primo capitolo,
anche quelli che si sono limitati a una scorsa frettolosa; è
comunque un'emozione vedere che qualcuno è passato di lì.
Vorrei anche ringraziare le mie commentatrici, aw! >_<
Fuyu: Mrao! *-* E ho detto tutto, bbbella. <3
RedFraction: Mi riempie di
onore che tu abbia commentato, dico davvero! °O° Sono
contenta che ti piaccia, e.. Beh, quanto ai Mindless Self Indulgence,
non sono proprio una fan, nel
senso che li conosco da poco, però mi piacciono, e quando ho
finito di scrivere il capitolo ho pensato che il nome si addicesse
proprio all'atteggiamento di Iruka, e in un certo modo anche a quello
di Kakashi.
Spero ti piaccia anche questo capitolo. E' stato abbastanza veloce, l'aggiornamento? *w*
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