Cherry Blossom Tree
Prologo. Senza Petalo.
«Come
stai?»
La mora seduta sul letto fece uno sbuffo, deviando lo
sguardo che le stava rivolgendo l'amico e puntandolo fuori dalla
finestra. Accennò ad un mezzo sorriso amaro, sentendosi
trapassare la mente dall'espressione angosciata che gli aveva letto in
faccia nonostante stesse cercando di mantenersi il più
possibile neutro per non farla preoccupare.
Era sempre stato un
pessimo
bugiardo e si conoscevano troppo bene per mentirsi a vicenda.
Osservò il cielo azzurro fuori dalla finestra e il sole
illuminare la stanza con una prepotenza che quasi le fece male agli
occhi, la testa ogni tanto le mandava delle fitte acute e le ferite
sotto le bende bruciavano. Faceva caldo, ma lei sentiva solo freddo.
«Beh... » si portò una mano
graffiata davanti al viso, sentendo le parole morirle sulla punta della
lingua ancor prima di poter prendere vita. Ingoiò il groppo
che le strinse prepotentemente la gola, accorgendosi del peso sul letto
solo quando percepì un altro respiro mischiarsi al suo e
l'inconfondibile sensazione di quando le veniva violato lo spazio
vitale.
Il suo profumo l'avvolse come una dolce carezza e le fece
cadere anche l'ultimo rimasuglio di compostezza.
Alzò gli
occhi angosciati notando che, come si era immaginata, si era seduto sul
bordo del letto. Le
prese la mano che si stava guardando tra le sue e la
inchiodò con lo sguardo, aggrottando la fronte in una muta
richiesta di risposte.
Sussultò davanti al suo viso,
osservando le pesanti occhiaie circondare gli occhi smeraldini, i
capelli in ricci più scompigliati del solito e i vestiti
stropicciati di chi non si cambia da giorni o infila le prime cose che
trova.
Ho perso l'Unicità, gridò dentro di
sé, ma dalla sua bocca uscì solo un lamento
strozzato che nulla aveva a che vedere con la violenza con cui quella
consapevolezza le saettò nella mente folgorandola come un
fulmine.
Tremò visibilmente e lui la strinse impulsivamente
in un abbraccio che le fece mancare il respiro, e solo in quel momento
si rese conto della gravità delle cose, perché le
volte in cui lo aveva fatto in anni di amicizia si potevano contare
sulle dita di una mano.
«Ho perso
l'Unicità.» riprovò, e il
dolore che aveva pensato di riuscire a contenere divenne terribilmente
reale insieme a quelle parole tremanti che si persero per la stanza.
Che cosa aveva fatto?
***
«Dottore,
il paziente della camera nove ha iniziato a
mostrare delle onde anomale.»
Mentre percorreva il
corridoio asettico l'uomo tese una mano verso l'infermiera, afferrando
il tablet che gli stava porgendo. Osservò i dati con sguardo
serio per lunghi attimi, riflettendo tra sé e ignorando
volutamente le occhiate che la collega gli lanciava. Non era proprio il
momento per gli sguardi languidi, quello. Prima doveva capire cosa
stava succedendo.
«Da quanto tempo?»
domandò, facendo improvvisamente dietro front e grattandosi
la nuca. La donna seguì alla perfezione quel cambio di
direzione, abituata da anni di lavoro al suo fianco alle sue
improvvisazioni ed i cambi di idee o semplicemente per i riflessi
necessari in caso di emergenze. I loro passi risuonarono per l'ambiente
bianco e silenzioso, mentre si dirigevano verso la camera.
Il
corridoio era intriso dell'odore di disinfettante, delle guardie
passeggiavano per controllare gli accessi e vicino all'ascensore c'era un piccolo gruppo di infermieri in pausa.
«Da questa notte. Il medico del turno notturno ha lasciato
appuntato che suppone si stia risvegliando
dal coma.»
Il medico tese le labbra, irrigidito. Si
passò una mano tra i capelli e sospirò ridando il
piccolo computer all'infermiera, lanciando delle occhiate veloci alle
porte che superavano fino ad arrivare di fronte a quella che gli
interessava.
Quel dettaglio avrebbe dovuto dirglielo non appena aveva iniziato il
turno, ormai tre ore prima. Colpa sua che aveva perso l'abitudine di
controllare di persona i resoconti dei colleghi, preferendo farlo fare
alle infermiere perché non c'era mai niente di particolare
da sapere e dopo anni di lavoro gli sembrava di perdere solo tempo.
Posò la mano sullo schermo appeso al muro e la
serratura scattò con un lieve bip prolungato, socchiudendosi
e mostrando il contenuto della stanza.
I due medici fecero scorrere lo
sguardo sulla figura distesa sul letto ricoperta di bende, illuminata
solo dalla luce appesa al soffitto e dal lieve sole mattutino di
febbraio che filtrava attraverso le tapparelle rigorosamente abbassate.
Le grate per impedire eventuali fughe o entrate indesiderate rendevano
il tutto ancor più geometrico e la donna si
avvicinò alla finestra per aprirla e far cambiare l'aria,
sperando
di rendere meno persistente l'odore del disinfettante che le stava
dando alla testa.
Lo schermo dell'elettroencefalogramma messo in un
angolo schizzava come impazzito disegnando picchi altissimi e il
dottore lo mutò, infastidito dal suono acuto che gli
fischiava nelle orecchie ma senza staccare gli occhi dal tracciato.
«Bisogna fare qualcosa, altrimenti potrebbe essere un
problema.»
***
«Come
mai sospettate di lui?»
L'ispettore
Reiji osservò l'uomo attraverso il vetro della sala
interrogatori, sondandolo con lo sguardo e riportando poi la sua
attenzione all'agente che aveva richiesto come supporto per quel caso.
«È l'unico erede, trarrebbe una fortuna dalla
morte dei genitori ed era risaputo litigasse spesso con
loro.» portò le mani nelle tasche dei pantaloni,
rilasciando un grosso sospiro esasperato e socchiudendo leggermente gli
occhi assonnati.
Erano settimane che brancolava nel buio senza
trovare altre piste ed iniziava ad essere profondamente frustrato di
non riuscire a trovare alcun collegamento che gli fornisse una svolta.
Appena preso in mano gli era sembrato un caso semplice, qualcosa che
avrebbe risolto nel giro di qualche giorno, invece si stava rivelando
più ostico del previsto.
Aveva esultato troppo
presto.
«Purtroppo è l'unica pista concreta che abbiamo,
signor Kujaku, e lei è piuttosto famoso nel suo
campo.» sussurrò, amareggiato.
Quello che vedeva
seduto nella piccola stanza vuota era poco più che un
ragazzo fatto e finito, dai capelli neri increspati e gli occhi blu che
spiccavano sul viso abbronzato, l'aspetto trasandato di chi ha smesso
di prendersi cura della propria persona. Teneva lo sguardo basso sul
tavolo come in trance ed era infossato nelle spalle, indifferente al
resto del mondo come se non esistesse, spento e vuoto come la stessa
espressione che aveva in viso.
Era strano accostare quella visione alla
parola assassino, ma l'esperienza che aveva sulle spalle grazie agli
anni di lavoro era troppa per farsi ammorbidire dalle apparenze.
L'ispettore Reiji fu attirato da un movimento e riportò
l'attenzione al collega al proprio fianco. Lo vide portarsi indice e
pollice al mento, pensieroso, mentre faceva scorrere gli occhi sulle
prime righe del fascicolo che gli aveva dato, e non poté
evitare di guardare le bizzarre piume che gli spuntavano tra i capelli.
«Vediamo che riesco a fargli dire qualcosa.»
***
«Avanti
Raggio di Sole, è ora di
svegliarsi.»
Avrebbe
voluto
dire qualcosa, ma dalla gola secca non uscì
alcun suono.
Forse era meglio così.
Rimase immobile,
fingendo di non aver sentito ed essere ancora svenuta. Sentiva in bocca
il sapore del sangue, i
polsi bruciavano, ogni parte del corpo le urlava dolore.
Era da troppo
tempo che non dormiva decentemente, aveva perfino smesso di contare i
giorni passati in quel buco angustio e buio ed era sicura che se non
fosse cambiato qualcosa entro breve ci avrebbe perso la vita,
lì dentro.
Chissà se la stavano cercando.
Non
chiamarmi in quel modo, avrebbe voluto ribattere,
perché era il nomignolo che aveva sempre usato suo padre.
Cercò di fare il possibile per far finta di dormire, con la
testa china in avanti e ciocche di capelli che le
coprivano parte del viso. Le labbra pulsavano, sentiva colarle lungo
una tempia qualcosa di tiepido e viscoso.
Dio, come si era ridotta
in
quello stato?
Strinse i pugni, decidendosi ad aprire gli occhi quando
percepì uno spostamento d'aria. Dovette raccogliere tutta la
motivazione che le rimaneva perché sentiva le palpebre
pesanti in modo osceno e avrebbe davvero voluto abbandonarsi alla
spossatezza, ma non riuscì a reprimere uno scatto per il
terrore.
Qualcosa strascicò sul pavimento e solo dopo
svariati tentativi mise a fuoco la figura che le stava davanti.
«Finalmente.»
L'uomo si rigirò un coltello tra le dita,
saggiando la consistenza dell'elsa come se lo avesse tra le mani per la
prima volta. Poi si grattò la nuca, pensieroso, ed
arricciò il naso. Riportò lo sguardo violetto su
di lei, sorridendole in un modo così subdolo che le diede i
brividi.
Ebbe la certezza che il tempo che le era rimasto fosse
drasticamente diminuito.
«Pronta
a dirci ciò che vogliamo sentire, Raggio
di Sole?»
***
«Come
è possibile che non si abbiano nuovi
indizi?!»
Il rumore di qualcosa che viene pestato per terra.
«Calmati, Bakugou. Le indagini sono in corso. La polizia ci
sta dando una grossa mano e molti Pro Heroes sono stati
avvisati.»
Come se fosse possibile, il tono pacato
– pacato! Come diavolo faceva a essere sempre così
posato lo sapeva solo lui – di Todoroki lo fece infuriare
ancora di più.
«Allora dovrebbero impegnarsi di
più.»
«Kacchan... »
Un grugnito di risposta.
« ...sei sicuro che non ti dice
niente?»
Silenzio.
Strinse
maggiormente il foglio, trattenendosi a stento dal
stropicciarlo a causa dell'irritazione.
Lo studiò
nuovamente, si soffermò sul modo in cui sinuosamente le
lettere andavano a formare quell'unica domanda sulla carta bianca. Non
c'era dubbio che avrebbe riconosciuto quella scrittura ovunque
– anche dopo anni senza vederla, anche se c'era stato qualche
lieve cambiamento. Troppe volte l'aveva vista riempire pagine bianche
di appunti.
Bakugou corrugò la fronte, se possibile ancora
più di quanto già non fosse, sentendo qualcosa di
estremamente importante sfuggirgli come sabbia tra le mani ogni volta
che cercava di dare un significato a quel messaggio imparato a memoria.
Odiava quella sensazione, detestava tutto ciò che sentiva
smuoversi senza controllo dentro di lui.
“È stato bello il nostro primo Hanami, vero,
Katsuki?”
Che
cazzo voleva dire?
Benvenuti a
voi! E benvenuta a me in questo fandom, lol!
Sono un paio di mesi che ho in progetto questa storia e mi ero
ripromessa di pubblicare verso agosto, quando avessi scritto almeno
fino al ventesimo capitolo - sono al decimo -, ma mi sta crescendo un
dente del giudizio, domani ho un'otturazione e sentivo la
necessità di fare qualcosa che mi distraesse.
Che dire... come si sarà forse intuito, amo l'attenzione ai
dettagli e all'introspezione, viceversa faccio davvero fatica per le
scene di azione e quelle che ho affrontato al momento mi hanno messa
non poco in difficoltà, però ho cercato di fare
del mio meglio. In ogni caso, questo è solo un prologo, ma
spero che vi abbia incuriosito abbastanza da proseguire nella lettura.
Maggiori dettagli li scriverò nelle note dei prossimi
capitoli, al momento posso dirvi che la storia seguirà due
storyline - presente ambientato in un eventuale futuro, e passato - e
che spero di aver reso i personaggi abbastanza IC da non farvi scappare
a gambe levate.
Ho provato a immaginarmeli da grandi, sapendo anche qualcosa di come
prosegue il manga, ma non ci saranno spoiler a riguardo quindi ho dato
abbastanza sfogo all'immaginazione sia per quanto riguarda
l'organizzazione del lavoro da Eroi nelle agenzie sia per come
potrebbero evolversi i loro caratteri mano a mano che crescono e con le
esperienze che affrontano nella mia storia, specialmente Bakugou
è stato quello più criptico e spero di aver reso
abbastanza le motivazioni dietro certi suoi atteggiamenti.
I personaggi
non mi appartengono tranne quelli originali che compariranno.
Insomma mi sono impegnata molto per gestire il tutto meglio che potevo
e spero si noti, qualsiasi pensiero a riguardo è sempre ben
accetto.
Stay tuned e grazie per aver letto fino a qui.
D. <3
|