Lo sapeva, oh, sì: ogni più microscopica particella della sua fredda e straordinariamente cinica mente sapeva, senza ombra di incertezza, che non avrebbe dovuto farlo.
Che non avrebbe dovuto nemmeno sfiorare l'idea di farlo.
Sapeva che sarebbe stata una catastrofe, e sapeva anche che sarebbe stata la fine di ogni cosa; che avrebbe annientato, in un istante, e spazzato via senza possibilità di redenzione, qualsiasi cosa giusta e sensata avesse fatto negli ultimi trent'anni.
Eppure, eppure, nonostante il suo brillante cervello gli gridasse istericamente di non farlo, talmente forte che poteva quasi sentirne la voce nella propria testa, quando Benjamin Linus aveva incontrato quello sguardo distaccato,
indifferente, noncurante, con sua grande sgomento - e per la prima volta nella sua frustrante vita - non era riuscito a controllarsi.
“Per trentacinque anni ho vissuto su quest’isola”, aveva
detto - le mani che formicolavano per l’agitazione, la rabbia, l'angoscia - con voce rotta. “E in tutto
questo tempo non ho fatto altro che sentire ripetere il tuo nome, all’infinito,
all’infinito...!”
Jacob l’aveva fissato: il suo viso, illuminato debolmente
dal fuoco, era immobile; senza emozione, senza espressione, senza nemmeno tanto
interesse. Non aveva detto una parola.
“E Richard mi portava le tue istruzioni – tutti quei
fogli, tutte quelle liste!...” Ben aveva alzato lo sguardo su di lui, la voce
che si affievoliva in un gemito, in un sussurro. “...E io, io non ho mai messo in dubbio niente. Facevo
quello che mi si diceva di fare.”
Seduto sulla sabbia, la camicia inzuppata di sangue che gli
si appiccicava al corpo, Ben si prese la testa fra le mani. Un vento leggero
faceva fremere la stoffa attorno al suo collo, gli rinfrescava il viso madido
di sudore, la pelle febbricitante. I suoi lineamenti pallidi e duri - la linea dura della bocca, i pallidi occhi ("Non guardarmi con quei tuoi orribili occhi", aveva detto Charles, in un altro tempo, in un altro luogo; in un'altra vita) - erano
contratti dall’angoscia, il suo viso era bianco come gesso, fra le dita delle mani
macchiate di sangue.
Nonostante tutto, Jacob aveva preferito John a lui. Che cosa
aveva fatto, John, per lui? Che cosa aveva dato, lui, all’isola?
Ben si lasciò sfuggire un gemito. Era lui che aveva
perso sua figlia, l’unica persona per cui avesse mai provato autentico affetto, lui
che era stato quasi ucciso da un tumore al midollo. Lui aveva avuto la
spalla trafitta dalla balestra di Sayid, lui aveva subito le torture
nella Botola. Non John!
Tutto ciò che John era stato capace di fare, era andarsene
in giro blaterando del destino, di quanto lui fosse speciale, e dell’Isola, dell'Isola, dell'Isola...
L’isola! Come se John potesse saperne più di lui, che in quel luogo aveva passato tutta la sua breve, solitaria, miserabile vita. Lui, lo scialbo, esile uomo dietro le quinte, dal viso slavato e scarno e dai pallidi occhi severi, che eseguiva gli ordini senza una parola. Eppure, l’isola parlava a John. Jacob
si faceva vedere da John, non da lui.
Per Jacob, dunque, lui non era mai stato null’altro che un
ripiego, un rimpiazzo? Per tutti quegli anni in cui aveva sofferto e sperato, durante i quali si era illuso di essere speciale, non era stato, in realtà, che la seconda scelta?
“Cosa c’era di così sbagliato in me?” Ben aveva alzato la
voce, le labbra che tremavano.
“Che mi dici di me?”
Jacob l’aveva guardato, con un'espressione, negli occhi chiari e fermi, di pura commiserazione, e Ben aveva capito, in un soprassalto di disperazione, quel che stava
per dire prima ancora che avesse aperto bocca. Improvvisamente tutta l’umiliazione,
l’angoscia, la mortificazione - per essere stato usato, per essere stato ignorato e trascurato
per tutti quegli anni, per essere stato privato di ogni cosa - erano state
spazzate via, e al loro posto non era rimasto che un freddo, lucido, consapevole odio.
Benjamin Linus aveva perso tutto, aveva rinunciato ad ogni cosa, per il
bene dell’isola. La sua vita era stata un interminabile susseguirsi di
sacrifici, un’infinita serie di obblighi. E per tutta ricompensa, cosa aveva ottenuto?, aveva avuto
un tumore, sua figlia era stata uccisa, Juliet lo odiava. Per tutto il tempo
Ben aveva sperato che ci fosse, alla fine, una ricompensa, un risarcimento per le sue sofferenze, qualcosa che
desse un senso a tutto ciò che era successo. Voleva soltanto che qualcuno gli
spiegasse a cosa era servito, perchè tutto ciò che era stato, era stato. Perchè a lui.
Non voleva, in fondo, nient'altro che l’approvazione di Jacob,
l’assicurazione che ciò che aveva fatto era giusto, che era servito a qualcosa. Che voleva, poi, se non una mano sulla spalla, un cenno, qualcuno che gli dicesse "sei stato bravo"?
E invece, tutto ciò che aveva ricevuto era stato uno
sguardo frettoloso, distratto.
C’era una punta di pietà, nella sua voce, si era chiesto
Ben, o era solo fastidio, quando aveva sussurrato: “Cosa vuoi che ti dica?”
Tutt’a un tratto, il coltello che gli aveva dato John si
era fatto inspiegabilmente pesante e solido nella sua mano. L’aveva stretto, fra le dita che
tremavano, e col cuore che batteva e una gelida, disperata determinazione si era
gettato su Jacob e l’aveva colpito una, due, tre volte, con fredda e deliberata brutalità. Jacob era caduto in
avanti, addosso a lui, si era aggrappato alla sua camicia.
Ben non aveva previsto l’orrore che aveva provato nel
sentire d’un tratto il calore del suo corpo contro il proprio, lo scomposto
tentativo di aggrapparsi a lui.
Aveva sentito, con un brivido di raccapriccio, le dita di
Jacob che gli artigliavano il braccio; il peso del suo corpo, che crollava su
di lui, l’aveva sbilanciato, costringendolo a fare un passo indietro. Guardando
Jacob che si accasciava a terra, lasciando un’orrenda striscia di sangue,
innaturalmente rosso, sulla sua camicia, Ben si era reso improvvisamente conto
dell’enormità del gesto che aveva compiuto.
Il resto si era svolto in una specie di irrealtà. Aveva visto,
come se si trattasse di un sogno, Jacob sputare, con un singulto, un fiotto di sangue, John chinarsi per ascoltare le sue ultime parole e poi, inaspettatamente, incomprensibilmente, spingerlo con un calcio
fra le fiamme. Ancora in quella sorta di trance, si era reso vagamente conto
del fatto che John l’aveva preso per un braccio e lo stava strattonando di
nuovo fuori, sulla spiaggia. A contatto con l’aria fresca e umida della notte,
Ben aveva riacquistato lucidità.
Si era guardato intorno, assurdamente sorpreso che nulla
fosse cambiato: le stelle erano fisse al loro posto, il mare sciabordava
tranquillo poco distante. Non lontano brillava il falò che Richard e gli altri
avevano acceso. Si accorse distrattamente che Alpert parlava con la donna
dell’aereo, ma era troppo sconvolto per chiedersene il motivo.
Aveva sbattuto le
palpebre, aspirato con un singhiozzo una boccata d’aria notturna.
“Mio Dio, che cosa ho fatto?”, aveva pensato, in preda
all’angoscia.
Ben sentì una mano
posarglisi su una spalla. Alzò gli occhi, per vedere un John stranamente calmo
che si chinava su di lui. Sorrideva appena.
Ben si puntellò con una
mano sulla sabbia e si girò verso di lui, strinse le labbra, lo fissò da sotto
in su. Senza togliere la mano da sopra la sua spalla, John si accucciò accanto
a lui.
“Non avrei potuto farlo
senza di te”, disse, semplicemente. Gli strinse brevemente la spalla, poi si
alzò di nuovo in piedi e si allontanò senza fretta.
Ben appoggiò le braccia
sulle ginocchia e chinò la testa.
Per l’ennesima volta, si
erano serviti di lui.
Stava ancora pensando a cosa avrebbe fatto, adesso, quale giustificazione avrebbe usato, quale scusa... Quando la bomba esplose, e il tempo scivolò fuori dal suo asse, il mondo si dilatò e si contrasse per affusolarsi in una puntina luminosa. E niente, a quel punto - nè John, nè il coltello fra le sue mani, o il sangue sulla sua camicia; nè sua figlia morta, o trentacinque anni di ordini da un uomo che non aveva mai visto - ebbe più un senso.