On a winter's day- Riavvolgendo il nastro
Prima di leggere, come
in ogni song-fic sarebbe meglio conoscere la canzone su cui si basa la
storia.
Qui
è “California
Dreamin’” dei
The Mamas And The Papas.
On a winter’s day- Riavvolgendo il nastro
All the leaves are brown
And the sky is grey
I’ve been for a walk
On a winter's day
I'd be safe and warm
If I was in L.A.
California dreamin'
On such a winter's day
[Tutte le foglie sono appassite
E il cielo è grigio
Sono andato a camminare
In un giorno d’inverno
Sarei al sicuro e al caldo
Se fossi a Los Angeles
Sognando la California
In questo giorno d’inverno]
- Dobbiamo per forza ascoltare questa lagna? –
sbottò Ino
non appena udì l’iniziale arpeggio di chitarra,
così familiare a tutti e tre.
- A me piace – fece Choji dal sedile posteriore, godendosi il
panorama esterno nonostante fosse piuttosto spoglio.
- Choji ha ragione, non è così male… -
gli diede
manforte Shikamaru dalla sua postazione di guida, mentre le parole e la
melodia riempivano l’abitacolo – E poi si adatta
bene a
quello che stiamo facendo, no? -.
- Sarà, ma se penso che i miei ci avranno fatto
l’amore
ascoltando questa canzone… - una smorfia disgustata
alterò i tratti di Ino, che cercò di distrarsi
lanciando
un’occhiata fuori dal finestrino – Ma non
c’era un
posto un po’ più decente da cui passare? -.
Uno sbuffo divertito provenne dal sedile posteriore, mentre il
conducente si trattenne dall’emettere un profondo sospiro.
- Senti, se non volevi venire potevi dirlo subito. Così io
avrei
potuto fumare in santa pace e Choji lasciare tutte le briciole che gli
pareva -.
- Dai, Shikamaru – un viso rotondo spuntò nello
spazio tra
i due sedili anteriori, riflesso dallo specchietto retrovisore
–
Senza Ino non sarebbe stata la stessa cosa. Non avrebbe avuto nessun
senso -.
- Senza contare che vi sareste ritrovati in una nuvola tossica nel giro
di due ore, e col cavolo che Choji sarebbe riuscito ad uscire
dall’auto, una volta arrivati –
puntualizzò lei
– Ma tranquillo, grazie a me arriverai con un fisico
così
asciutto che troverai una ragazza in men che non si dica -.
Choji continuò a ridacchiare, commentando:
- Non credo che quella volta tuo padre abbia fatto questi discorsi -.
- E meno male, perché sarebbe stato scaraventato
giù
dalla macchina senza tanti complimenti – concordò
Shikamaru.
Ino incrociò le braccia, per nulla offesa.
- Ma figuriamoci. Senza di me non saremmo nemmeno partiti, cosa
credete? -.
- Solo perché andiamo in California –
puntualizzò
l’addetto alla guida – Se la meta fosse stata il
Nord
Dakota, ci avresti bidonato all’istante -.
- Dettagli – ribatté lei, scuotendo il ciuffo
biondo – O forse era destino -.
- Diciamo che i nostri vecchi avevano in mente solo le donne, quando ci
sono andati – commentò Shikamaru, poggiando un
gomito
sullo sportello per sostenere la testa – Altro che
“tempo
caldo e cieli azzurri”… -.
- E non dirmi che là ha conosciuto tua madre! –
fece Choji.
- No, lei era a casa che lo aspettava con un bastone in una mano e un
badile nell’altra -.
- Ah, ecco, mi sembrava… -.
Shikamaru alzò leggermente il riscaldamento. La temperatura
esterna doveva essere vicina allo zero, anche se le nubi accalcate
significavano bassa pressione. Stavano entrando in un paesino minuscolo
in cui ci saranno state al massimo una cinquantina di anime, perse fra
le pianure del centro del Paese.
- Questo posto è orribile – sentì
commentare Ino – Non ci vivrei nemmeno se mi pagassero -.
- C’è un supermercato, almeno? – fece
eco Choji.
- Ma dai – intervenne Shikamaru, al quale quel posticino
tranquillo non dispiaceva poi molto. Sicuramente il vento che lo
sferzava in primavera doveva creare fantastici giochi di nuvole
–
Non dev’essere tanto mal… ehi! -.
Frenò bruscamente, le ruote stridettero
sull’asfalto freddo e Choji si ritrovò catapultato
in avanti.
- Ma cosa… vuoi
farci ammazzare? – strillò Ino, anche
se era ben assicurata dalla cintura.
- Non è colpa mia, guarda un po’ lì!
–
ribatté il guidatore, borbottando poi fra i denti: - I cervi
che
attraversano la strada sono più prudenti… -.
- Chi è quella tizia? – domandò Choji,
che stava
faticosamente rialzandosi dopo essersi quasi incastrato fra i due
sedili anteriori.
- Una pazza suicida – rispose Shikamaru, mentre abbassava
controvoglia il finestrino ad un cenno della
“tizia”, che
si era avvicinata tranquillamente.
- Mi date un passaggio? – esordì, le parole che si
disperdevano in una nuvoletta di vapore.
- E ti sembra la maniera di chiederlo? – borbottò
il
giovane, guardandola storto – Che ci facevi in mezzo alla
strada?
-.
La ragazza gli lanciò un’occhiata ambigua da
dietro un impertinente ciuffo di capelli rossi.
- Ho appena finito di suonare – spiegò
semplicemente.
I
stopped into a church
I
passed along the way
Well,
I got down on my knees
And
I pretend to pray
You
know, the preacher likes the cold
He
knows I'm gonna stay
California
dreamin'
On
such a winter's day
[Mi
fermai in una chiesa
Che
incontrai lungo la strada
Beh,
mi inginocchiai
E
finsi di pregare
Sapete,
al predicatore piaceva il freddo
Sa
che io sto
Sognando
la California
In
questo giorno d’inverno]
- Lì dentro? – domandò curioso Choji
mentre
ripartivano, indicando la costruzione in legno bianco con uno scialbo
campanile dietro – È una chiesa cattolica o
protestante? -.
- Non so, a me basta aver suonato – rispose lei senza
guardarlo,
sistemata all’altra estremità del sedile
posteriore, lo
zaino buttato al centro e un lungo astuccio rigido al sicuro sulle
gambe.
- Se volevi andare a suonare direttamente per il Creatore, stavi
facendo proprio la cosa giusta – commentò
Shikamaru da
davanti – Volevi farti ammazzare? -.
- Era solo un modo un po’ più deciso per fermarvi
–
fece lei, placida – Fossi rimasta sul marciapiede, sareste
passati e tanti saluti -.
- Beh, non ha tutti i tort… - tentò Choji, subito
bloccato da un’occhiataccia di Ino, che da quando era salita
la
ragazza non aveva ancora aperto bocca.
- Di’ un po’, sei una di quelli che girano da uno
Stato
all’altro con lo zaino in spalla? – chiese
Shikamaru, suo
malgrado interessato. Era una cosa che l’aveva sempre
affascinato, quella di vagabondare senza meta e senza seccature fra i
piedi, spinto soltanto dalle nuvole e dal vento. Un po’
troppo
faticoso, forse, ma sicuramente affascinante.
- Più o meno – rispose laconica la sconosciuta.
- Ehi, carina, visto che ti abbiamo fatto il favore di raccoglierti
dalla strada potresti anche rispondere – sbottò
Ino,
seccata – Inoltre si può sapere dove sei diretta?
-.
La ragazza era esattamente dietro di lei, perciò Ino non
poté vedere il sorriso beffardo che le era spuntato sul viso.
- Cazzi miei – fece.
- Ah, beh… in questo caso… - intervenne Choji,
tentando
di sedare sul nascere la zuffa tra donne che si prospettava inevitabile
– Noi, invece, stiamo andando in California -.
- Originale… -.
- In realtà lo è abbastanza, visto che stiamo
rifacendo
lo stesso viaggio dei nostri padri. Seguiamo lo stesso percorso che
fecero loro più di vent’anni fa -.
- E riascoltate anche la stessa musica? – ribatté
lei, per nulla impressionata.
Shikamaru lanciò un’occhiata di sottecchi a Ino,
prima di chiedere:
- Perché? Pensi anche tu che sia una lagna? – era
inutile. Le donne erano tutte uguali.
- Affatto -.
Nell’autovettura si udì uno scatto, e tutti si
voltarono
immediatamente a guardarla. Anche Shikamaru la osservò dallo
specchietto retrovisore, regolandolo per vederla meglio: aveva aperto
il lungo astuccio che si portava dietro, e adesso sembrava stesse
montando qualcosa.
Quando il giovane Nara riuscì a vederlo, si accorse che era
un
flauto traverso. Grigio come quella giornata, ma scintillante come la
luna.
- Riavvolgi un po’ la cassetta – disse la ragazza
– Ecco… sì, dovrebbe essere abbastanza
-.
Quando Shikamaru premette il tasto “play”,
nell’abitacolo si udirono le ultime parole della seconda
strofa.
Un tizio che sognava la California in un giorno d’inverno.
Ma quando iniziarono le note dell’intermezzo musicale,
assieme a
quelli un po’ rovinati del nastro si levarono i suoni
provenienti
dal flauto della ragazza; perfettamente intonati, dolcemente modulati.
Shikamaru non poté fare a meno di ammettere con se stesso
che
quella parte gli era sempre piaciuta, perché non sembrava
che
fosse soltanto un flauto a suonare. Pareva che il vento stesso,
soffiando e fischiando, stesse componendo la propria melodia. Da
piccolo, quando suo padre gliela faceva ascoltare
all’infinito,
in quel punto immaginava sempre un cielo immenso in mezzo alla
prateria, dove le nuvole galoppavano scacciate dal vento, come una
mandria di soffici cavalli impazziti.
Era calato il silenzio, nella vettura.
Choji non riusciva a staccare gli occhi dalla ragazza: malgrado gli
abiti bizzarri e piuttosto logori, i folti capelli ingarbugliati e la
leggera puzza dello zaino, le dita erano pulite e curate. Lunghe e
affusolate, si muovevano sicure a chiudere alternativamente i fori
dello strumento, senza nemmeno guardarli.
Non si sarebbe stupito se, da sotto quella strana berretta, fossero
improvvisamente spuntate due orecchie da elfo.
A Ino, apparentemente intenta ad osservare il paesaggio sterile fuori
dal finestrino, stavano passando davanti agli occhi le immagini della
vegetazione californiana che suo padre le mostrava sempre. Ricordava in
particolar modo una foto, quella del Joshua Tree. Malgrado il nome,
altro non era che una pianta di giglio dai fiori grandissimi,
spettacolari.
Li aveva cercati spesso, nei giardini botanici e nelle serre, ma non
era mai riuscita a trovarne un esemplare.
Era soprattutto per questo che aveva accettato di partecipare a quel
viaggio con i suoi amici d’infanzia. Non per le spiagge, il
mare,
o i ragazzi in costume. Non solo, almeno.
Ma aveva sempre pensato di non poter morire, non prima di averne visto
almeno un fiore.
All
the leaves are brown
And
the sky is grey
I’ve
been for a walk
On
a winter's day
If
I didn't tell her
I
could leave today
[Tutte
le foglie sono appassite
E
il cielo è grigio
Sono
andato a camminare
In
un giorno d’inverno
Se
non glielo avessi detto
Potrei
partire oggi]
Quando l’intermezzo finì e ricominciò
la strofa, Tayuya staccò lo strumento dalle labbra.
Nessuno parlò, mentre la canzone riprendeva potenza.
- E, precisamente, quando siete partiti? -.
- Nel febbraio dell’ ‘86 - rispose atona Ino.
- Sette anni – calcolò l’altra,
schioccando le labbra – Un giro lungo, complimenti -.
Poi si rivolse a Shikamaru:
- Un cervo ti ha tradito, eh Nara? – anche se lui avrebbe
potuto
guardarla attraverso lo specchietto retrovisore, teneva gli occhi
incollati alla strada – L’avresti mai detto, dal
momento
che tuo padre ha passato la vita a salvarli dai bracconieri? -.
Buttò la schiena contro il sedile, con lo strumento ancora
fra le mani.
- Beh, credetemi, non vi siete persi nulla di speciale – lo
smontò e lo ripose con cura nell’astuccio,
chiudendo con
uno scatto le serrature – La California non è un
gran che,
in fondo. Molto meglio sognarla da lontano -.
Mise l’astuccio sul sedile e, scavalcando agilmente lo zaino,
finì addosso a Choji, sedendoglisi a cavalcioni sulle gambe.
- Mi spiace che le ragazze non abbiano potuto vedere il
“fisico
asciutto” con cui saresti arrivato –
sussurrò,
prendendogli il viso fra le mani e posando la bocca sulla sua
–
Sarà per la prossima volta. Se ci sarà -.
Poi si staccò da lui e si sporse nello spazio fra i sedili
anteriori, rivolgendosi a Ino.
- Tuo padre è andato personalmente a cercare i fiori del
Joshua
Tree, e te li ha portati. Basta che torni a casa, li troverai freschi
nel vaso davanti alla lapide -.
Allungando la mano sinistra, le prese il mento fra le dita. Ino, con lo
sguardo ancora perso nel paesaggio esterno, non oppose resistenza. Il
collo si girò docilmente, finché un paio di
labbra
femminili la baciarono.
La canzone continuava, ancora e ancora, mentre il nastro si riavvolgeva
su se stesso, da sette anni a quella parte.
- Puoi smettere di guidare, adesso – Tayuya
allungò le
mani su quelle del giovane e gliele staccò dal volante. Non
perse il controllo, non andarono a sbattere da nessuna parte. Non
più – La benzina è finita da un pezzo -.
Shikamaru sentì una mano sul collo, molto più
gentile
rispetto a quella di sua madre quando ogni tanto si tratteneva dallo
strangolarlo. Non avrebbe mai creduto che quelle maniere poco materne
gli sarebbero mancate.
- È finita – gli mormorò lei sulle
labbra, prima di
attirarlo a sé. Quell’alito freddo quanto il
metallo gli
entrò in gola, mentre il torpore si diffondeva tra le membra
– Puoi riposare, ora -.
Quando Tayuya premette il pulsante “stop”
tornò a
trovarsi lungo il ciglio della strada, tra il cielo grigio e gli alberi
spogli. Infilò l’astuccio col flauto nello zaino e
se lo
mise in spalla, riprendendo a camminare.
Di lì a poco sarebbe passata un’altra auto.
California
dreamin'
On
such a winter's day
On
such a winter's day
On
such a winter's day
[Sognando
la California
In
questo giorno d’inverno
In
questo giorno d’inverno
In
questo giorno d’inverno]
Spero si sia capito, ma provvedo a spiegare. I nostri del team 10 in
realtà sono già morti, e Tayuya…
può essere
interpretata in diversi modi. Può essere colei che li fa
“passare oltre”, che dà loro il vero
“bacio
della morte”. Può essere un fantasma a propria
volta, o
qualcuno che sta sul confine tra due realtà.
“Traghettatore di anime”, l’ha chiamata
DarkRose.
Può darsi.
Ho scelto Tayuya per forza di cose: c’è qualcun
altro, in “Naruto”, che suona il flauto traverso?
È da quando l’ho vista che volevo scrivere
qualcosa su questo personaggio.
Mi piaceva un sacco l’idea dei nostri del team 10 che
ripercorrono
qualcosa fatto dai loro genitori. Ciò che mi piace di questo
team, è per l’appunto il “legame
generazionale”: sono amici come lo erano i loro padri, prima
di
loro. Mi sembra una cosa bellissima.
Sono davvero contenta di essere arrivata prima al flash contest
“Il
misterioso viaggiatore”! Anche se le differenze
di
punteggi con le altre partecipanti erano minime, il che vuol dire che
erano tutte storie meritevoli.
Quindi complimenti a tutte!
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