Luna
di miele
Newt
odiava contare i
giorni della settimana.
Odiava
che fosse già
sabato e che il giovedì ed il venerdì fossero
passati così velocemente, in un
battito di ciglia, senza poter neppure pianificare di fare qualcosa.
Con
un sospiro, mentre
carezzava con occhi vacui la testa del suo Snaso nero intento a
infilarsi
alcune monete nel marsupio, si ricordò che non odiava solo
che fosse sabato;
aveva scoperto di odiare molte cose negli ultimi tre giorni. Che Tina
fosse
stata trascinata in lungo e in largo per ogni Dipartimento del
Ministero tra
udienze e interrogatori, che non avesse potuto seguirla
perché Theseus gli
aveva fatto capire che era meglio non mostrarsi in giro dopo quello che
aveva
fatto, che si fossero incontrati soltanto per qualche ora a
cena giovedì e
venerdì, prima che lei ritornasse a Hogwarts con la
Metropolvere, dove Silente
si era offerto di ospitarla.
Ovviamente non poteva andare neanche lì, dato che tutti
pensavano, per qualche
assurdo motivo che neppure lui conosceva, che fosse colluso con Silente.
Sì,
Newt odiava che
fosse già sabato.
Il
giovedì ed il venerdì
sera erano trascorsi troppo velocemente. Durante le cene, che si era
offerto di
ospitare a casa sua con un'evidente seconda finalità, lui e
Tina erano sempre
capitati seduti lontano uno dall'altra. Tina gli era sembrata
stravolta, non
soltanto per tutto ciò che le era successo, ma anche per
tutte le volte che
aveva dovuto rivivere, con i vari funzionari del Ministero, la fuga di
Queenie
e di Credence. Gliel'aveva confessato, cercando di sorridere senza
successo,
giovedì sera tra una portata all'altra, quando le si era
avvicinato con una
scusa prendendo il posto di Yusuf, che era seduto accanto a lei. Ma non
avevano
parlato molto, perché c'erano tante orecchie in ascolto e
Yusuf era tornato a
reclamare la sua sedia quasi subito.
Aveva
immaginato che,
dopo la sua confessione a Parigi, sarebbe stato difficile trovare un
momento
per restare da solo con Tina e per riprendere l'argomento, ma quel
momento non
era mai arrivato ed era già il giorno della sua partenza:
lei e Jacob sarebbero
ritornati quel sabato in America, appena due giorni dopo essere
rientrati da
Parigi, con una Passaporta in partenza dal Ministero alle dieci del
mattino.
Era
stato Theseus a dar
loro quella informazione, venerdì sera a cena, e Newt si era
irrigidito e aveva
rinunciato ad ogni altro tentativo di avvicinare Tina, affranto. Non
voleva che
lei ripartisse così presto.
"È
sabato mattina o
mai più." gli aveva sussurrato Jacob all'orecchio, prima di
prendere la
Metropolvere per Hogwarts: non sapeva come, ma Jacob sapeva che era
accaduto
qualcosa tra di loro, a Parigi. Sapeva leggerlo meglio di un
Legilimens, a
volte.
Newt
aveva ripensato a
quelle parole tutta la notte appena trascorsa, continuando a rigirarsi
tra le
lenzuola, sfinito, stanco, ma era vero, era quel sabato o mai
più. Temeva che
il suo divieto ai viaggi internazionali sarebbe durato per sempre, dopo
che era
scappato a Parigi in cerca di Tina.
Così
quella mattina si
era alzato dal letto prima del sorgere del sole ed era andato a
ricercare il
coraggio nel suo seminterrato, tra le sue creature. Le aveva curate,
nutrite,
aveva parlato con loro. Poi aveva pensato all'unica creatura che
avrebbe voluto
avere accanto a sé, ma che non possedeva, e il volto di Tina
si era disegnato
istantaneamente nella sua mente.
Non
sapeva perché, ma,
mentre pensava a lei, sentì l'impulso di trasferire alcune
delle sue creature
nella sua valigia per poterle portare con sé.
Non
sapeva neppure a che
ora Tina sarebbe arrivata al Ministero, forse avrebbe dovuto chiedere a
Theseus. Ma dopo quello che era successo a Leta non aveva avuto il
coraggio di
parlare neppure con lui. Sentiva ancora troppa sofferenza dentro si
sé.
Non
fece caso al fatto
che fossero ancora le sette: richiuse con uno scatto la sua valigia,
Appellò il
cappotto, lo indossò, si sistemò la sciarpa di
Tassorosso a coprirgli la nuca
e, come pronto a partire, si richiuse la porta alle spalle.
La
strada di casa sua
era ancora parzialmente coperta dal buio mentre l'alba iniziava a
scintillare
nel cielo.
Si
disse che poteva
camminare fino al Ministero per non arrivare troppo in anticipo.
Lentamente, un
piede pesante dietro l'altro, giunse davanti alla cabina telefonica
rossa che
serviva da ingresso per i visitatori.
Vi
entrò a fatica,
sbattendo la testa, e digitò il numero d'ingresso sulla
tastiera del telefono.
"Motivo
della
visita?" gli chiese la solita, fredda voce femminile.
"Sto
cercando Tina
Goldstein." mormorò in risposta, e immediatamente
là dove un Babbano
avrebbe raccolto il resto comparve una spilla argentata con la scritta
"Cercatore di Tina Goldstein."
La
indossò con un
sorriso amaro, sperando che riuscisse a cercare Tina più
facilmente di come
avrebbe giocato a Quidditch.
La
cabina telefonica lo
condusse nell'Atrium, dove già alcuni maghi si accingevano a
recarsi nei loro
uffici. Ricambiò il saluto di alcuni uomini che sembravano
molto sorpresi di
vederlo e si avviò a sua volta verso gli ascensori.
Salì al secondo livello e
si diresse verso l'ufficio di suo fratello, ma Theseus non era ancora
arrivato.
Con un sospiro si lasciò, allora, cadere su una delle sedie
che c'erano nel
corridoio appena fuori dalla sua porta, e attese.
Non
avrebbe saputo dire
per quanto tempo aspettò. Ogni tanto qualcuno attraversava
il corridoio e,
guardandolo stranito, lo superava senza salutarlo. A differenza di suo
fratello, non aveva mai goduto di una buona reputazione al Ministero.
Pickett
continuava ad estrarre la testolina della tasca del suo cappotto quasi
ritmicamente, nascondendola di nuovo perché non
vedeva nulla di
interessante.
Poi,
attorno alle nove,
finalmente intravide la sagoma di Theseus spuntare sul fondo del
corridoio,
seguito da una sagoma più piccola e da una di una donna e
fece uno strano verso
che attirò immediatamente l'attenzione di Newt.
"Tina!"
esclamò il mago scattando in piedi.
La
strega strabuzzò gli
occhi non appena lo vide, così Theseus. Jacob, invece, gli
sorrise sornione,
certo che l'avrebbe trovato lì.
"Cosa
ci fai
qui?" gli chiese Theseus, confuso, non appena Newt gli ebbe raggiunti
alla
fine del corridoio inciampando più volte nei suoi stessi
piedi. Ma suo fratello
non lo guardò nemmeno: aveva occhi solo per lei.
"Tina"
ripeté,
respirando a fatica, come se fosse l'unica parola che riuscisse a dire
in quel
momento.
"Ciao."
mormorò lei, imbarazzata, cercando di non pensare che altre
due paia di occhi
li stavano fissando. Aveva sperato tutta la notte che Newt almeno
passasse a
salutarla e lui era davvero lì. Era un miracolo.
"Forse
è meglio se
li lasciamo soli." disse Jacob sottovoce all'indirizzo di Theseus, che
annuì con gli occhi sbarrati. Non era da suo fratello fare
tutto quel trambusto
intenzionalmente, anche se negli ultimi tempi l'aveva visto fare sempre
più
spesso cose strane. Doveva c'entrare lei
più di quanto potesse pensare.
"La
Passaporta
parte alle dieci in punto." disse soltanto, cercando di suonare
autoritario, e spinse Jacob dentro il suo ufficio.
Erano
rimasti solo loro
due. Era un buon inizio, pensò Newt respirando di nuovo a
pieni polmoni. Si
sentiva sempre a suo agio con Tina, nonostante tutto.
"Facciamo
un
giro?" le propose senza pensare troppo. Lei annuì con la
testa, in
silenzio, e lo anticipò verso l'ascensore per non guardarlo.
Il viaggio verso
l'Atrium fu lento, cadenzato dalla gente che entrava e usciva
dall'ascensore al
primo livello. Tina continuò a fissarlo di sottecchi, in
silenzio, senza sapere
cosa dire. Poi lui le sfiorò lievemente il braccio,
spingendola verso l'uscita
e finalmente parlò.
"Possiamo
uscire e
poi rientrare?" gli chiese cercando di mantenere un tono calmo, ma
bruciando dentro.
"Hai
la tua
spilla?" le chiese a sua volta Newt.
Tina
annuì estraendola
dalla tasca.
"Ti
conviene
appuntarla sulla giacca. Cosa c'è scritto?"
"Viaggiatrice.
E
sulla tua?"
Newt
spalancò gli occhi
solo per un secondo, poi i suoi occhi corsero alla spilla
più velocemente dalle
sue dita e mentre cercava goffamente di coprirla Tina riuscì
a leggere
chiaramente "Cercatore di Tina". Non riuscì a trattenere il
sorriso
che le risalì dal cuore mentre finalmente alzava lo sguardo
e lo guardava
dritto negli occhi.
Avrebbe voluto dirgli mille cose, ma le parole le restarono in gola.
Dentro di
sé non era sorpresa di averlo trovato lì al
Ministero, non dopo ciò che si
erano detti a Parigi. Anche se, durante quelle sere a cena, vedendolo
nervoso e
di cattivo umore, aveva temuto che fosse troppo tardi per loro, anche
per colpa
sua. Ottenebrata com'era dal dolore per la perdita di Queenie e per
aver
fallito con Credence, aveva relegato Newt in un angolo remoto dal suo
cuore,
fuori dal quale si era fatto strada a forza quella notte mentre cercava
di
addormentarsi senza piangere.
"Grazie
per essere
venuto." riuscì soltanto a sussurrare, con la voce strozzata
da quel
coraggio che sapeva di avere, ma che in quel momento si era nascosto da
qualche
parte e non voleva saperne di mostrarsi.
"Non
potevo non
venire." replicò Newt sostenendo il suo sguardo, sperando
che lei capisse,
che non servisse aggiungere altro. E per un momento Tina vide il fuoco
negli
occhi di Newt, la sua risolutezza così dolce ed
educata che gli impediva
di afferrarla con la forza e di costringerla a guardarlo.
Tina
si lasciò andare ad
un sospiro pesante, quasi con le lacrime agli occhi, ma
cercò comunque di
sorridergli, grata di quel tentativo.
Perché
Deliverance Dane
li aveva muniti di due bocche che non riuscivano a parlare e di quattro
mani
che non riuscivano a sfiorarsi? A cosa serviva amarsi così
profondamente,
sentirsi anime affini, se erano costretti a separarsi di nuovo?
Sentendosi intrappolata, prese a camminare nella direzione opposta al
Ministero, seguita strettamente da Newt; poteva sentirlo respirare
affannosamente alle sue spalle, proprio come lei.
Se
fosse nata in
Inghilterra, forse sarebbero stati colleghi. Si sarebbero conosciuti,
frequentati, innamorati senza avere paura di perdersi.
All'improvviso,
quei
pensieri la schiacciarono. Si lasciò scivolare sui gradini
di un'abitazione che
dava sulla strada. Newt prese posto accanto a lei, in silenzio, ben
attento a
non sfiorarla neppure per sbaglio.
Il
vento aveva preso a
soffiare, debole, ma continuo, coprendole la vista con i capelli. Tina
fu
scossa da un brivido, nonostante il cappotto, nonostante la vicinanza
di Newt
le provocasse calore. Lo sentì trattenere il respiro. Poi
avvicinare il viso al
suo, sempre si più, sempre di più. Chiuse gli
occhi, in attesa, di cosa non lo
sapeva. Sentì Newt trafficare, trattenendo il respiro, e
quando qualcosa di
morbido le sfiorò il collo capì che lui l'aveva
avvolta nella sua lunga sciarpa
gialla e nera.
Aprì
la bocca più volte,
ma non ne uscì alcun suono. Newt tornò ad
allontanarsi da lei guardando davanti
a sé con occhi vacui, in silenzio, i palmi sulle ginocchia.
Il
vento non la
infastidiva più.
"Grazie."
mormorò senza riuscire a guardarlo negli occhi, imbarazzata.
Le sembrava di
stare in un film, in uno di quei film che aveva visto al cinematografo
l'anno
prima, senza smettere di battere le palpebre per l'emozione. Lui
l'aveva
avvolta nella sua sciarpa e, beh, sapeva cosa significasse.
"È
solo una sciarpa."
si schermì il ragazzo voltandosi leggermente, come per
assicurarsi di averla
coperta bene, ma all'improvviso si rivoltò dal lato opposto
come se gli fosse
venuto meno il coraggio.
Sì
portò i palmi delle
mani, rigido, di nuovo sulle ginocchia, e dondolò sul posto.
Poi, come avesse
preso la sua decisione, si alzò in piedi e finalmente si
voltò verso di lei.
"Ti
va di mangiare
qualcosa prima di..." La sua voce si spense mentre pensava a quello che
sarebbe accaduto di lì a poco. Tina annuì con la
testa, alzandosi in piedi, e
fece una cosa che non aveva assolutamente considerato, gli
sfiorò le dita con
le sue e le strinse. Prima che potesse accorgersi di quello che aveva
fatto,
Newt si voltò e la fissò, sorpreso, ma non
lasciò la presa, anzi intrecciò le
dita alle sue causandole uno strano senso di felicità nel
petto.
Ma
non poteva essere
felice, se stava per ripartire a breve. Lo seguì in
silenzio, continuando ad
interrogarsi su come fosse possibile sentirsi allo stesso momento
così felici e
così disperati: non voleva andare via. L'ultima volta che si
erano salutati,
erano accaduti una serie di avvenimenti che non avrebbe mai neppure
potuto
immaginare, e non sapeva quando avrebbe potuto rivedere Newt, se non
gli
avessero più concesso il permesso di viaggiare lui non
sarebbe più tornato in
America.
Camminarono
per alcuni
minuti, imboccando una via diversa rispetto a quella in cui c'era il
Ministero,
diretti verso un caffè alla fine della strada. Ma, non
appena vide l'insegna,
Tina si accorse che aveva lo stomaco chiuso.
"Non
ho fame,
perdonami." sì scusò a bassa voce, imbarazzata,
quasi sperando che lui non
potesse sentirla.
Newt
la guardò e annuì
senza dire nulla, gli occhi immobili davanti a sé.
Controllò l'orologio di
pietra incastonato sul palazzo di fronte a loro e disse, inespressivo:
"Forse dovremmo andare."
Fu
lui a prenderle la
mano e, uno accanto all'altro, si avviarono lentamente verso il
Ministero.
Camminarono, continuando a girare intorno nei vicoli foderati di pietra
e
mattoni, mentre il ritmo dei loro respiri pian piano diventava quieto e
sopportabile. Poi all'improvviso Newt si fermò di fronte
alla cabina telefonica
rossa che entrambi conoscevano bene e le lasciò lentamente
la mano, facendole
segno di passare prima di lui.
Tina
obbedì,
disorientata da quel cambiamento così repentino: sapeva che
era la cosa giusta
da fare per salvaguardare le loro vite, i loro sentimenti, ma si era
sentita
così bene stretta a lui.
Entrò
nell'ascensore con
i piedi pesanti e sentì che la nausea le montava mentre
salivano al terzo
piano. La Passaporta con destinazione MACUSA sarebbe partita in dieci
minuti,
dieci minuti che avrebbe passato con Newt senza poter dire nulla,
perché
Theseus le aveva detto che alcuni uomini importanti del Ministero
sarebbero
stati presenti.
Quando
varcarono la
porta dell'ufficio Cooperazione Internazionale, scoprì che
c’erano di più
persone di quel che pensava. Erano tutti riuniti in gruppetti da tre o
quattro
e parlavano fittamente tra di loro. Soltanto Theseus parve accorgersi
della
loro presenza, perché li salutò con un cenno del
capo e poi si rituffò nella
sua conversazione.
Jacob
attirò la loro
attenzione con la mano dal fondo della stanza, piuttosto pallido. Era
in piedi
accanto ad una strega con un mantello blu notte che stava sistemando
gli ultimi
dettagli per la partenza mormorando incantesimi ad un vecchio ombrello
scolorito poggiato contro il muro.
"La
Passaporta
parte tra cinque minuti esatti." annunciò loro sorridendo.
Jacob
rabbrividì al ricordo del suo ultimo viaggio compiuto con
quel mezzo e Newt gli
diede una pacca sulla spalla, abbozzando un sorriso non troppo convinto.
"Andrà
tutto bene,
non preoccuparti! Continua a cucinare i tuoi stupendi dolcetti, ok?"
Jacob
lo guardò
sull'orlo delle lacrime e, contro ogni previsione, lo
abbracciò stringendolo
forte. Newt restò per un attimo immobile tra le sue braccia,
sorpreso.
Poi,
come se avesse
paura di romperlo, gli diede dei lievi colpetti sulla schiena per
consolarlo.
Quando si liberarono dall'abbraccio Tina poté giurare che
entrambi avevano gli
occhi lucidi, proprio come lei.
Tutti
sapevano che
rivedersi sarebbe stato difficile: Londra e New York distavano
duemilasettecento ottantasei chilometri via mare e un divieto per i
viaggi
internazionali.
A
quel pensiero Tina si
disse che era stato davvero stupido donarsi reciprocamente quei
sentimenti per
non poterli vivere liberamente. Sorrise tristemente a Newt, cercando di
ricacciare indietro le lacrime, le mani strette in grembo. Avrebbe
voluto
stringerlo forte a sé come aveva fatto Jacob, ma tenere quel
momento solo per
loro. Tutta quella gente presente la metteva a disagio. Newt continuava
a
guardarla, immobile, la presa ben stretta sulla sua valigia, combattuto
tra gli
stessi pensieri, glielo leggeva sul viso.
"Due
minuti."
annunciò la strega dal mantello blu.
Tina
fece
automaticamente un passo in avanti, porgendo la mano a Newt.
"Grazie di tutto." gli disse, sperando che lui capisse tutto quello
che avrebbe voluto dirgli.
Il
ragazzo strinse forte
la sua mano senza smettere di guardarla negli occhi. Aprì le
labbra, ma non ne
uscì alcun suono. Tina lo guardò, in attesa,
speranzosa che lui le dicesse
qualcosa prima di lasciarsi, delle parole da poter ricordare quando
avesse
pensato a lui ed il suo pensiero si sarebbe fatto troppo pesante da
sopportare.
"Sei
la salamandra
più bella che io abbia mai incontrato." disse
infine lui con una
voce quasi impercettibile, per farsi sentire solo da lei. Vide gli
occhi di
Tina guizzare al ritmo del suo respiro e le sue labbra aprirsi in un
largo
sorriso, come non accadeva da giorni.
Un'ultima
stretta e le
loro dita si sciolsero; Tina si voltò controvoglia verso la
Passaporta mentre
lui faceva un passo indietro con un sospiro. Theseus la stava
guardando, le
sopracciglia aggrottate, concentrato sulla sciarpa di Newt che aveva al
collo.
Anche Newt, lontano da lui, la valigia tanto stretta nella mano da
rendere il
suo pugno bianco, non smetteva di guardarla.
"Trenta
secondi!"
Jacob le
posò una
mano sulla spalla, stringendola tanto forte da farle male, ma gliene fu
grata:
stava per piangere; almeno avrebbe giustificato le lacrime, in quel
modo.
"Cinque,
quattro!"
Tina
chiuse gli occhi
per non pensare.
"Tre,
due!"
Sentì
un rumore
concitato di passi, quasi una corsa, il suo cappotto tirare verso il
basso, lo
stomaco contorcersi ed il viaggio cominciò.
Era atterrata su qualcosa di morbido, ma non osò aprile gli
occhi: le girava la
testa e le sembrava ancora di vorticare a mezz'aria.
Improvvisamente
nella
stanza scoppiò un turbinio di voci che non si aspettava e
che le attutì
l'udito.
"Ma
non dovevano
essere solo in due?"
"Per
Deliverance
Dane!"
"Ancora
quella valigia!"
Quel
sibilo che non
riuscì a ricondurre al proprietario la gelò
dentro. La valigia?
Provò
per un secondo
solo voglia di aprire gli occhi, ma non ci riuscì: le sue
palpebre sembravano
incollate. Sentì il suo respiro farsi più veloce
mentre le voci intorno a lei
si facevano sempre più chiare.
"Cosa
ci fa lei qui?"
"Signor
Scamander!"
Tina
trasalì nel sentire
quel nome.
"È
impossibile!" pensò, spaventata "Sto sognando. Lui non
può, non
può..."
Un
paio di braccia la
afferrò e la scosse lievemente per capire se fosse svenuta.
Finalmente riuscì
ad aprire gli occhi.
Newt,
le gambe distese
sotto il suo bacino, strinse la presa sulle sue braccia mentre il suo
sguardo
indagatore le trafiggeva le guance già rosse.
Cosa
ci faceva lui
lì? Come mai era seduta su di lui?
Perché i loro visi erano così vicini?
Sentì nel petto uno strano ruggito di felicità
misto ad un crescente imbarazzo.
Chissà quante persone li stavamo guardando. Ma la sua testa
le disse di non
pensarci. Lui era lì, era tutto ciò che
desiderava.
"Cosa
ci fai
qui?" gli chiese in un sussurro emozionato, cercando di farsi sentire
solo
da lui.
Il
ragazzo sorrise,
rassicurato dal fatto che lei fosse perfettamente in sé, e
rispose come se
fosse la cosa più ovvia del mondo: "Hai dimenticato di
restituirmi la mia
sciarpa di Tassorosso. Ce l'ho da quando mi hanno Smistato, ci tengo
tanto."
Il
suo sorriso sghembo
la contagiò e Tina non poté fare a mano di ridere.
"Come
hai
fatto?"
"Ho
improvvisato,
ma non credevo funzionasse. Non potevo lasciare andare di nuovo la mia
salamandra."
Newt
le sorrise ancora
sollevando le spalle e lei sentì le guance improvvisamente
andarle in fiamme.
Newt
era lì, davanti a
lei, e le sorrideva regalandole tutta la sua vita, tutta la vita che
voleva.
Con il respiro pesante, lo strinse di scatto forte a sé.
Affondò la testa nel
suo petto e sentì che lentamente, dopo un salto durato
diversi secondi, il
cuore di Newt si stava adeguando al ritmo del suo respiro. Strinse di
più la
presa, impaurita che lui potesse scomparire da in momento
all'altro: non
l'avrebbe lasciato andare via per nessun motivo. Voleva restare in
quell'abbraccio per sempre.
"Goldstein,
ti
alzi, per favore?" ordinò all'improvviso una voce, seccata.
Solo
allora Tina tornò
in sé. Lasciò scivolare le braccia lungo il corpo
e si rimise in piedi a testa
bassa. Newt si alzò subito dopo di lei, battendosi i
pantaloni con le mani per
togliere la polvere.
Poi
guardarono davanti a
sé e videro che c'erano almeno dieci persone con loro,
Jacob, altri Auror e
persino Madame Piquery. Almeno dieci persone che avevano assistito a
quella
scena.
Oh
Lewis.
"Goldstein,
come
mai ogni volta che ho a che fare con te c'è anche il signor
Scamander?"
sbuffò Madame Piquery incrociando le braccia.
Jacob
aprì la bocca
sogghignando, ma Newt strabuzzò gli occhi al suo indirizzo,
cercando di fargli
capire che era meglio tacere.
Con
la valigia nella
mano, si sentiva ancora rigido, ma meno di quanto pensava: forse stava
cominciando a realizzare quali sarebbero state le conseguenze del
gesto. Tina
gli lanciò uno sguardo di sottecchi e abbassò la
testa con un sorriso, senza
dire nulla. Non riusciva a non essere felice, anche se lui aveva
violato ancora
sul suo divieto ai viaggi internazionali. Per
lei.
Contro
ogni previsione
Newt sfoderò un sorriso compunto e mentì:
"È stata colpa mia, Madama
Piquery. Per sbaglio sono finito nel vortice della Passaporta."
La
presidentessa
aggrottò le sopracciglia, non troppo convinta.
"Speravo
di non
vederla più, signor Scamander." disse, contrariata, con un
sospiro
"Ma sembra che lei adori New
York."
Le
labbra di Jacob si
allargarono ancora in un sorriso, come quelle di Newt, che
annuì educatamente
con la testa.
"Moltissimo."
"Goldstein,
prenditi qualche giorno di ferie – cercheremo di capire cosa
fare - e tieni il
signor Scamander e le sue creature lontano da qui. Abbiamo
già avuto abbastanza
problemi lo scorso anno." ordinò allora Madame Piquery
lanciando a
entrambi un ultimo sguardo di rimprovero e voltandosi per uscire.
"Agli
ordini,
Madama Presidente." mormorò Tina, e il presidente
lasciò la stanza seguita
dagli altri Auror.
"Tu
sei
completamente folle!"
esclamò
Jacob avvicinandosi a Newt con un sorriso larghissimo e abbracciandolo
"Ritornare
qui dopo tutto quello che è accaduto lo scorso anno!"
Il
ragazzo gli sorrise
debolmente.
"Forse
sì."
ammise, con espressione lievemente colpevole "Ma non potevo lasciare
andare così la mia salamandra..."
Tina
sentì di nuovo le
guance bruciare lievemente a quelle parole. Jacob le diede una pacca
sulla
spalla con un grande sorriso e disse: "Da oggi, quindi, comincia la
vostra
luna di miele? Se venite al mio forno, oggi offre la casa..."
"Luna
di
miele?" mormorò Tina incredula, ma senza riuscire a smettere
di sorridere.
In effetti potevano definirlo così, qualche giorno solo per
loro in sostanziale
tranquillità. Un sogno a cui non avevano neppure osato
pensare dopo gli ultimi
avvenimenti.
"Perché
no."
confermò Newt, ricambiando il suo sorriso, più
sciolto di quel che pensava, e porgendole
un braccio. Tina lo strinse forte, quasi aggrappandosi a lui mentre
Jacob si
voltava verso la porta con finta noncuranza per donare loro un po' di
intimità.
Non
era decisamente il
sabato che avevano immaginato, ma poteva andare per cominciare una luna
di
miele. Per lasciarsi per un attimo le preoccupazioni alle spalle.
Sì,
poteva andare.
Si
guardarono negli
occhi meno imbarazzati, sorridendo, e si avviarono verso Jacob.
Note:
Ogni
volta che scrivo di
questi due personaggi mi stupisco di quanto siano difficili da muovere,
perché
sono così realistici, umani. Vi giuro
che ho sofferto con Newt e Tina mentre
cercavano di chiarire il non detto tra di loro. XD
Ma
li amo oltre ogni
cosa, quindi ci provo lo stesso ad interpretarli. :D Per questo, spero
che i
personaggi siano IC e che la cara zia Jo risolva la questione degli
“occhi come
le salamandre” meglio di me nel prossimo film! :D
Io
ci sto provando
cominciando da questa one shot e con un seguito, in stesura, su
più capitoli
che dovrebbe arrivare a breve. Mi impegnerò a postarlo
quanto prima, fatemi
sapere se potreste essere interessati a leggerlo :)
Ritornando
a questa fic,
spero che vi sia piaciuta :
) Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate : )
Grazie
per aver letto!
Ayumi
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