Fandom:
The X-Files
Personaggi:
Fox Mulder, Dana Scully
Coppia:
Mulder/Scully
Words:
1776
Genere:
Introspettivo, Hurt/Comfort
Rating:
Arancione
Contesto:
post s07e17 - All things
Beta:
none
Disclaimer:
i personaggi non mi appartengono.
Note:
Partecipa alla challenge del weekend 7 e
mezzo
challenge indetta dal gruppo Hurt/Comfort
Italia - Fanfiction & Fanart
Paure
a cuore
aperto
Si
barricano all'interno. La casa è piccola: un quadrato di
soli
cinquanta, sessanta metri quadri forse. Due stanze, una per il bagno,
l'altra addetta a cucina, soggiorno e stanza da letto, con un piccolo
giaciglio spinto contro la parete opposta alla cucina, vicino alla
porta del bagno. Distrattamente, Scully pensa che persino il divano
di Mulder sembra più comodo di quel minuscolo pezzo di
ferraglia.
Non che le importi davvero, al momento: è solo contenta di
avere un
posto dove farlo sedere che non sia il pavimento.
«Almeno
le lenzuola sembrano pulite.»
Mulder
sorride sbilenco, ma non riesce del tutto a nascondere la smorfia di
dolore che il suo volto vorrebbe invece esporre, come un segnale al
neon che urla “mi fa male, fa qualcosa!”. Scully
sospira, mette
su la maschera di un dottore e con una mano sul gomito illeso lo
spinge verso il letto.
«Siediti,
Mulder.»
Esegue
senza lamentarsi. Quando si siede, smette per un secondo di
respirare.
«Scully»
un respiro, il tono smozzicato di chi deve farsi violenza per non
urlare «le finestre.»
Scully
annuisce e, dopo solo un attimo di esitazione, abbandona il suo
fianco per andare a controllare che il resto della casa sia ben
barricato. Per fortuna ci sono solo due finestre, una accanto alla
porta di ingresso e un'altra sopra il gabinetto nel bagno. Di fronte
alla prima ci posiziona il frigorifero. È mezzo vuoto,
quindi riesce
a spostarlo, ma è ancora abbastanza pesante da offrire una
sorta di
protezione. Per la seconda non c'è molto da fare.
È troppo piccola,
però, ed è abbastanza in alto per convincerla che
quelle persone
non decideranno di usarla per entrare nel loro piccolo forte.
Quando
ritorna nella stanza principale, nota subito che Mulder ha deciso di
sdraiarsi senza troppi convenevoli. Scully sente la morsa allo
stomaco farsi più stretta, ma si permette di sguazzare nelle
proprie
paure e preoccupazioni solo per una manciata di secondi prima di
darsi da fare per accertarsi che quelle stesse paure non diventino
una poi immutabile realtà.
Si
siede sul bordo del letto.
«Fammi
vedere, Mulder.»
Lo
vede ingoiare un groppo di saliva, gli occhi fissi sul soffitto.
Gli
occhi di Scully si addolciscono in simpatia e con le dita gli sfiora
la mano con cui si tiene il braccio ferito stretto al petto.
«Non
ti farò male, promesso.»
Mulder
sbuffa una risata e le labbra di Scully guizzano all'insù.
Entrambi
sanno che è una bugia. Entrambi sanno che farà
male, perché Scully
ha bisogno di vedere l'estensione del danno e questo significa
muovere il braccio, spogliarlo della giacca, procurargli intense
fitte di dolore; eppure bastano quelle parole a dargli coraggio,
perché Mulder sa anche che lei non gli farà mai
davvero male, che
tutto il dolore che potrebbe provocargli è solo al fine di
farlo
stare bene.
Lo
aiuta a sollevarsi a metà busto, poi gli sfila la giacca e
arrotola
la manica della camicia. Poco sotto il gomito c'è quello che
Scully
sa essere il morso di un essere umano, lo ha visto accadere, ma se
così non fosse stato, a primo impatto avrebbe invece pensato
fosse
l'opera di una bestia. A dire il vero, in quel momento, non sa se
c'è
davvero una differenza. A quelle persone là fuori
è rimasto davvero
poco di umano. C'è un buon pezzo di pelle che manca e il
sangue è
sgorgato in abbondanza, anche se il flusso per ora sembra essersi
fermato. La ferita però è rossa, infiammata, e un
reticolo di linee
nere sembra sbocciare da essa. Un virus, un veleno, non ne ha idea.
«Allora,
doc? Bisogna amputare?» il tono è leggero, ma
Mulder ha gli occhi
serrati e gocce di sudore che gli scivolano sulle guance in
sostituzione della lacrime che non si è ancora permesso di
versare.
Qualunque cosa gli abbia infettato il sangue agisce in fretta, a
quanto pare.
«Non
essere melodrammatico.»
Si
alza, si avvicina al lavandino. Acqua e gas funzionano ancora e
Scully deve ricordarsi che, fino a due giorni prima, quella
città
era ancora piena di vita. Ora sembra il villaggio fantasma di un
qualche disastro naturale.
I
suoi abitanti sono morti che camminano.
No,
no è vero. Sono persone affette da qualche sorta di virus.
Gli
zombie non esistono, Scully.
Torna
al fianco di Mulder con una bacinella di acqua calda e alcune pezze
pulite che ha trovato in uno dei cassetti della cucina. Pulisce la
ferita con scuse sussurrate tra le labbra, ad ognuna delle quali
Mulder risponde con un sorriso. Quando finisce, il suo partner riesce
a malapena a tenere gli occhi aperti. Volta la testa verso di lei, lo
sguardo lucido di febbre.
«Resta
sveglia, Scully...» biascica «... potrebbe venirmi
fame» sorride a
mo' di scherzo, ma Scully sa che in realtà ci crede davvero.
È
tentata di roteare gli occhi, ma non lo fa, perché zombie o
meno, il
virus che affligge quelle persone le ha rese davvero affamate. E per
quanto vorrebbe convincersi del contrario, è chiaro che
anche Mulder
ne è stato infettato.
«Dormi,
Mulder. Andrà tutto bene» gli risponde, dopo un
momento di
contemplazione. Mulder, però, ha già gli occhi
chiusi: si è
addormentato.
Scully
sospira e afferra una penna dalla tasca interna della giacca. Con una
piccola x, marchia sul suo braccio il punto dove si è
fermato,
almeno per il momento, il reticolo di linee nere. Almeno
così avrà
modo di constatare con quale velocità questa cosa si
diffonde. Teme
che, una volta arrivata al cuore, potrebbe essere troppo tardi. Gli
occhi pungono di lacrime che non si permette di versare,
perché, ora
come ora, l'amputazione del braccio non le sembra più
nemmeno
un'idea così assurda, ma non può arrendersi.
Prima che le cose
andassero di male in peggio è riuscita ad inviare dei
campioni di
tessuto e sangue a Quantico, prelevati da quello che al tempo pensava
essere il corpo di un morto, ma che poi tanto morto non le è
sembrato quando si è sollevato dal tavolo dove lo avevano
lasciato e
si è lanciato su Mulder per afferrarne un boccone. Gli ha
sparato,
ben tre colpi, ma solo quello alla testa sembra aver avuto effetto.
Scully
lancia uno sguardo alla pistola che ha lasciato sul tavolino accanto
al letto. Pensa di sparare a Mulder e le viene da vomitare. Il
telefono non prende, ma fuori è buio ormai e sa che a
Washington
Skinner avrà già iniziato a domandarsi dove sono
finiti. Al mattino
verrà a prenderli, ne è sicura. Prega solo che
Mulder sia in grado
di resistere fino ad allora.
Torna
in cucina per cambiare l'acqua della bacinella, riempendola adesso di
acqua fredda. Ci immerge una pezza, la piega con cura e la adagia
sulla fronte del suo partner. Poi, anche se non ha nessuna intenzione
di dormire, Scully decide comunque di coricarsi al suo fianco, la
pistola a portata di mano nel caso ne avesse bisogno, se una di
quelle cose – persone – dovesse
riuscire ad entrare. O se
Mulder dovesse svegliarsi con l'improvviso desiderio di carne rossa.
Smettila,
Scully.
Gli
cinge la vita con un braccio e gli scosta ciocche di capelli bagnate
con la mano dell'altro. Lo tiene stretto a sé: ha bisogno di
sentirselo vicino.
L'improvviso
desiderio di sentire le sue braccia ricambiare quella sorta di
abbraccio diventa quasi insopportabile e Scully chiude gli occhi,
solo per un secondo, bagnandosi delle sensazioni di un ricordo. Il
ricordo di una notte soltanto, quando le paure le ha messe in un
cassetto ed ha ceduto corpo e anima all'unico uomo di cui si
è mai
fidata abbastanza per donargli entrambe le cose. E poi lo ha spinto
via, perché è quello che fa, Dana Scully che non
ha paura di
mostri, alieni e forze oscure, ma teme di aprire il petto per
lasciare che le si tocchi troppo il cuore.
Mulder
non le ha mai detto nulla. Le ha permesso di tenerlo a distanza,
anche se nei suoi occhi Dana ci legge ormai da tempo la preghiera che
le chiede di lasciarlo entrare.
E
adesso potrebbe essere troppo tardi.
Scully
passa la notte intrappolata in un incubo, gli occhi sul volto del suo
partner e una mano sul petto, per accertarsi che ogni respiro e che
ogni battito del suo cuore non sia l'ultimo. Non può fare
nient'altro che aspettare e pian piano sente venir meno la forza che
ha cercato di mantenere per ore, sente crollare la maschera che ha
messo su per non farlo preoccupare e lo stringe a sé, gli
accarezza
i capelli, gli bacia la nuca, gli promette che andrà tutto
bene
mentre continua a immergere sempre più spesso la pezza in
una
bacinella d'acqua fredda, ma la sua temperatura continua ad alzarsi
imperterrita.
Si
sveglia un paio di volte, ma non è mai abbastanza coerente
da
intavolare una conversazione.
Sorride,
però. Sorride sempre quando vede Scully al suo fianco. E
ogni volta,
davanti a quel sorriso, lei si sente soffocare.
Cerca
di farlo bere il più possibile. Svaligia il frigo di quel
poco che
vi è rimasto, ma tutto il cibo che riesce a procurargli
Mulder lo
rigetta nel giro di mezz'ora.
Alle
cinque del mattino ha smesso di muoversi.
Alle
sei, Scully deve concentrarsi fin troppo per riuscire a vedere il
movimento quasi impercettibilmente del suo petto.
È
in ginocchio ai piedi del letto con entrambe le mani strette attorno
alla sua.
«Andrà
tutto bene» continua a mormorare. Ha bisogno di crederci.
È ciò
che ha bisogno di fare quando Mulder non è lì a
credere abbastanza
per entrambi. “Credere non è semplice”
è ciò che le ha detto
una volta e Scully ne sta imparando pian piano le
difficoltà, ogni
dubbio un affondo nel petto come la lama di un coltello.
Il
reticolo di linee nere ha ormai raggiunto la spalla. Manca poco.
Alle
otto e dieci Mulder smette di respirare. Scully si aggrappa ai pezzi
del suo mondo in frantumi e respira per lui.
Alle
otto e tredici minuti la porta viene buttata giù e Walter
Skinner
entra con una siringa tra le mani.
Senza
attendere spiegazioni, Scully la afferra e pugnala il cuore del suo
partner.
Un
secondo in cui tutto si ferma.
E
poi respira, il reticolo di linee nere inizia a recedere e Mulder
apre gli occhi.
«Ouch»
sussurra, la voce roca, mentre con difficoltà punta lo
sguardo su
Scully e la siringa che ancora regge tra le mani «mi hai
appena
pugnalato con quella cosa, Scully?»
Scully
ride, una rasata che suona bagnata di lacrime, ma ride fino a quando
le manca il respiro per farlo.
Ce
l'hanno fatta, di nuovo.
A
volte, forse, crederci è ancora abbastanza.
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