Il
manto blu cobalto del cielo, intessuto di stelle, sovrastava la città
e un debole vento soffiava tra le palme, riempiendo l’aria di
un delicato stormire.
Le
luci delle fiaccole, situati a poca distanza dalle case, rompevano il
buio e il richiamo lamentoso dei gatti e degli sciacalli rompeva la
quiete.
Bek,
in piedi sul balcone del palazzo reale, lasciava scorrere lo sguardo
sulle strade della capitale. Erano trascorsi tre anni dalla sconfitta
di Seth, spietato signore del male.
Horus,
libero dal dolore e dal cinismo, era sbocciato in un monarca giusto,
che aveva lavorato per la rinascita dell’Egitto.
Le
cicatrici di quello straziante conflitto stavano svanendo.
Le
lacrime velarono i suoi occhi e un debole singhiozzo strinse il petto
del giovane ladro in una morsa d’acciaio. Quell’orribile
battaglia aveva richiesto la vita sua e di Zaya.
Ricordava
bene il momento della sua morte, gli occhi riflessi nelle iridi
d’acquamarina di Horus.
Le
sue dita si strinsero attorno alla balaustra. Horus gli aveva
raccontato quello che era accaduto in quei momenti di oscurità.
Ra,
padre di Osiride, come segno di gratitudine per la sconfitta di Seth,
gli aveva dato la possibilità di esaudire un desiderio.
E
lui aveva domandato il ritorno di Bek e Zaya.
–
Anche
gli dei hanno un limite… – mormorò, il tono
amaro. Ra, che pure era il più potente tra gli dei delle Due
Terre, non aveva potuto esaudire il desiderio del suo amato nipote.
Aveva
la possibilità di ridare la vita solo ad uno di loro.
E
Horus, mosso dal suo sentimento d’affetto, aveva scelto lui.
Alzò
la testa e fissò le stelle. Nel firmamento, erano presenti le
anime dei defunti.
Ne
era sicuro, Zaya era tra di loro e godeva delle dolcezze dei Campi
Iaru.
La
psicostasia era stata di esito favorevole per lei, tanto dolce e
gentile.
Avrebbe
dovuto essere felice, ma non ci riusciva.
Il
suo cuore sofferente anelava ad un contatto con lei.
Voleva
riprendere la vita interrotta, ma non era possibile.
Una
fitta di dolore, ad un tratto, colpì Bek allo stomaco, come il
pugno di un lottatore, e il giovane ladro si piegò su se
stesso, boccheggiando. Nelle sue mani, restavano i frammenti dei suoi
sogni d’amore con Zaya.
Sentiva
il dolore innestarsi nella sua carne e la sua ragione, a stento,
riusciva a mantenersi lucida.
Camminava
sull’orlo di un precipizio, sospeso su un filo sottile,
prossimo a spezzarsi.
Le
lacrime, impetuose, rigarono le sue guance e i singhiozzi, sempre più
rapidi, squarciarono il suo petto. Quell’amore, pieno di
desideri irrealizzabili, si stava rivelando la fonte della sua
agonia.
Spesso,
i suoi sogni erano allietati da fauste fantasie di vita familiare.
In
quelle fantasie, lui e Zaya crescevano e invecchiavano, circondati
dall’amore di figli e nipoti.
E
il risveglio recava con sé il sapore dell’amarezza.
Il
suo destino era legato alla solitudine, fino alla fine dei suoi
giorni.
Zaya
non sarebbe tornata mai più.
Due
braccia forti, ad un tratto, circondarono le spalle di Bek.
Il
giovane alzò la testa e fissò i suoi occhi ambrati,
rossi di pianto, in quelli zaffirini di Horus.
La
mano del dio del Sole, leggera, si posò tra i riccioli castani
del ladro. Si era ben accorto della pena del suo amico e si sentiva
colpevole.
Avrebbe
voluto riunire lui e la sua amata, ma tale suo desiderio si era
infranto, davanti ai limiti dei poteri divini.
Nemmeno
Ra aveva potuto resuscitare due persone.
Il
suo affetto aveva condannato il suo amico ad una lenta e amara
agonia.
Aveva
sbagliato? Ormai, non riusciva a vedere una risposta netta a quella
domanda.
Era
stato guidato da un impulso impetuoso, che non era riuscito a
governare, malgrado la sua mente acuta.
La
lontananza da Bek era per lui crudele e dolorosa.
Malgrado
un inizio turbamento, si era affezionato a quell’umano
irriverente e gentile.
E
gli dispiaceva vedere tanto dolore in quelle iridi solitamente
ridenti.
– Mi
dispiace. – mormorò Horus.
Bek
gli lanciò uno sguardo ambrato confuso.
– Sono
un dio. Controllo un potere immenso, ma non sono riuscito a ridare a
lei e ad Hathor la possibiliità di tornare a vivere. –
confessò, amaro. I doveri di sovrano gli avevano permesso di
non pensare all’irrimediabilità della sorte della sua
amata.
Ma
non aveva veduto la pena del suo compagno di lotta.
I
suoi occhi non erano stati in grado di scorgere lo strazio di Bek.
Il
ladro si appoggiò ancora di più al petto dell’amico
e chiuse gli occhi, lasciando scorrere le lacrime sulle sue guance.
Anche Horus, malgrado la sua condizione, soffriva l’assenza
della sua amata.
Malgrado
la fine della guerra contro Seth, nemmeno lui era felice.
Entrambi
condividevano la nostalgia delle loro amate.
– Non
sono arrabbiato con te. – mormorò il ladro.
Horus
non rispose e le sue lunghe dita continuarono ad accarezzare i
capelli di Bek. Le parole del suo amico erano sincere, lo sentiva.
Eppure,
vi avvertiva anche un dolore sordo e corrosivo.
– Io
so che tu avresti voluto ridare loro la vita. So che il tuo cuore
desiderava che la vita ricominciasse da dove si era fermata,. Hai
tanti difetti e mancanze, Horus, ma non sei un ingrato. Ma non è
stato possibile. Perfino i poteri di Ra hanno un limite nelle leggi
naturali. Non si può rompere l’armonia del creato per il
proprio pur comprensibile egoismo. E tu non hai nessuna colpa di
questo. – affermò Bek. Il calore del corpo di Horus
donava al suo spirito una malinconica serenità.
Pur
essendo le loro nature differenti, in quella pena comune erano
riusciti a trovare un prezioso punto di contatto.
Quella
guerra era stata devastante per entrambi.
Horus,
sentendo quelle parole, fece per parlare, ma si trattenne. Bek non
aveva finito di schiudergli i segreti del suo cuore.
Ed
era suo dovere ascoltare quelle parole, che per tre anni lui aveva
chiuso nella sua anima, come un tesoro prezioso.
– So
tutto questo, ma il cuore umano ha delle ragioni oscure, che sfuggono
alle menti dei sapienti. E, spesso, non basta la consapevolezza per
allontanare il dolore di un amore perduto. – concluse.
Uno
stormo di ibis attraversò il cielo, come una fugace nube, in
un rumoroso frullio d’ali.
Le
labbra di Horus si sollevarono in un sorriso e le sue dita presero il
mento di Horus, sollevandogli il viso.
– Hai
detto delle cose molto belle, ma c’è una falla nel tuo
discorso. – mormorò il dio, la voce roca.
Lo
sguardo di Bek, velato di confusione, si rifletté nelle iridi
di Horus.
–Non
sei solo. Non sei
condannato a sopportare le tue pene, senza il supporto di un amico. –
mormorò la divinità.
Bek,
confortato da quelle parole, sorrise a sua volta e appoggiò le
sue mani sulle spalle dell’altro. Horus gli stava tendendo una
mano salvatrice.
Inoltre,
pur in modo implicito, lo aveva definito suo amico.
Poteva
contare sul suo appoggio e questo lo rasserenava.
–
Grazie,
Horus. –
*) I
campi Iaru sono i campi di giunchi destinati ai giusti nella
religione egizia.
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