Le Chimere di Salomone

di BabaYagaIsBack
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Capitolo Dodicesimo
Sconosciuti

parte seconda

 

"I miss you and it still feels like I know you
I've got pictures of us side by side to show you
But it feels like I owe you so much more"

- Amelia, Tonight Alive

 

 

Noah rimase immobile, o almeno fu ciò che provò a fare perché, seppur impercettibilmente, le gambe avevano preso a tremare, così come le mani e, per un breve istante, poco prima, gli era parso di essere sul punto di svenire. Si era dovuto costringere a non restare aggrappato al pianoforte quando aveva chiuso la tastiera, quasi temesse che quei due scorgessero le sue debolezze eppure, mentre la porta sembrò sul punto di richiudersi alle spalle della ragazza che era corsa via, si sentì vacillare - fu come essere privato di ogni forza: ma per quale ragione?

Ad ogni falcata di lei il suo corpo reagiva negativamente. Perché?

Umettandosi le labbra fissò il proprio sguardo sulle spalle tese dello sconosciuto rimasto nell'auditorium. Osservò ogni minimo dettaglio e persino sotto al cappotto, ai vestiti, a qualsiasi cosa, riuscì a immaginarsi i suoi muscoli contratti. Li vedeva di fronte a sé con incredibile nitidezza, quasi fosse nudo. Riusciva a scorgerne i nei, il rilievo della colonna vertebrale e delle scapole, le cicatrici e... sussultò.
Quali cicatrici? Come poteva immaginarsi simili sfregi su un corpo che persino in lontananza e nascosto sotto strati di stoffa appariva statuario? Non ne aveva idea, eppure era certo vi fossero. Conosceva quei segni come se fossero suoi, ma non ricordava chi li avesse fatti o come - men che meno quando li avesse scorti.

D'un tratto, forse attirato dal peso dei suoi occhi su di sé, l'estraneo si volse, abbozzando un sorriso. La sua tensione sembrò essersi sciolta, la preoccupazione dissolta - pareva che nulla di ciò che fosse successo fino a quell'istante avesse mai avuto luogo. Il cuore di Noah iniziò a battere forte, a colpire con veemenza il torace. Lo sentiva al pari di un tamburo nello sterno e più tempo passava, più il ritmo aumentava. Rimasero sospesi in quell'osservarsi per qualche lunghissimo secondo, solo loro due, poi l'illusione si ruppe.
Il ragazzo davanti a lui scosse piano la testa, si prese la montatura degli occhiali e l'abbassò appena, giusto il necessario per permettergli d'incontrare le palpebre chiuse che vi si celavano dietro: «'akheshayv ani tsarikhe bediyuq lalekhett, sheli Melekĕ» disse poi in un sussurro che Noah non riuscì a dirsi se si fosse immaginato o meno - dopotutto erano troppo distanti perché lo potesse udire, eppure... eppure quando l'altro aprì gli occhi, rivelando lo strano colore dell'iride e l'innaturale forma della pupilla, una voce, negli angoli più reconditi della sua mente, gli disse che ciò che aveva sentito era reale, dalla prima sillaba sino all'ultima. E si sentì bruciare. Fu come essere investito dal vento che corre tra le dune del deserto, colpito dai raggi del sole che impietosi inaridiscono ogni cosa. Gli sembrò di essere schiacciato nella sabbia rovente, di venirne sepolto in mezzo - peccato che fosse ancora nell'auditorium universitario al centro di Vienna.
Il palpitio del suo cuore divenne un susseguirsi serrato, un principio di ipocondria. Avrebbe voluto boccheggiare, stringersi una mano al petto e con l'altra tenersi saldo a qualcosa, ma non riusciva a far altro che osservare quello sguardo, quegli occhi così particolari, ammalianti, pericolosi e anche terribilmente familiari.

Ma cosa diamine gli stava succedendo? Perché la presenza di quei due tizi lo stava alienando fino a quel punto? Chi erano!?

Lo sconosciuto si girò verso la porta, la bloccò giusto prima che si chiudesse definitivamente. Mosse il primo piede e Noah a quella vista si sentì sopraffare dall'agitazione, da una strana e inspiegabile sensazione di perdita mista a nostalgia.

Perché se ne stava andando? 
Dove stava fuggendo?

«Ani ekhezor elayikhe, akh» gli sentì dire d'improvviso un po' più forte, squarciando il lieve mormorio che si era alzato dai pochi studenti presenti.
Quella frase fu un vero e proprio schiaffo, un colpo dritto in pieno viso - soprattutto quell'ultima parola: fratello.

Le mani presero a tremargli senza logica, il petto a dolergli e, a quel punto, lo riconobbe. Quel ragazzo era lo stesso che aveva visto nei suoi incubi, nelle allucinazioni che lo assillavano giorno dopo giorno disturbando la sua vita da mesi. Era il cadavere che si era ritrovato a stringere tra braccia, la persona che sentiva di dover trovare, la risposta a ogni fottuta cosa!


 

'akheshayv ani tsarikhe bediyuq lalekhett, sheli Melekĕ: adesso devo proprio andare, mio Re
Ani ekhezor elayikhe, akh: tornerò da te, fratello



Yaga:

Non sono nemmeno 1000 parole, a saperlo tenevo tutto il capitolo insieme 😂

 




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