***Metto le note all'inizio perché mi sembra d'obbligo. Non
so come andrà questa storia, non so come sarà, se
sarà un flop oppure no, se ne sarò contenta o se
deciderò di abbandonarla. PErò... Sono qui. E
l'ho iniziata a scrivere, non so dove mi porterà
(né tantomeno se il titolo è proprio il suo, devo
ancora decidere) ma non ho trovato ff su questa coppia e allora,
conscia del fatto che cadrò in una miriade di
cliché e diventerà così OOC da
diventare quasi un'originale... Io la scrivo. Grazie per l'attenzione.
E, se vi va, leggete. 😊
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Springfield
non si smentisce mai
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Lisa
girò la chiave nel
quadro dell’auto e non successe niente. Niente. La macchina
di sua madre non
dava segni di vita.
Sbuffò prima di posare il
capo sul volante: era tornata a Springfield da poche ore e
già quell’orribile
città le stava dando il tormento. Si pentì di
essere tornata: perché non era
rimasta anche quell’estate a Cambridge a frequentare i corsi
estivi? Eh, perché
si era laureata e aveva promesso a sua madre di tornare almeno per un
po’. E
soprattutto perché non poteva permetterselo: se voleva
frequentare il corso di
veterinaria per la cura di animali selvatici, doveva risparmiare ogni
dollaro.
Scese dall’auto,
parcheggiata lungo la via davanti al piccolo fruttivendolo, e diede un
calcio
alla ruota anteriore. “Stupida auto!”
“Serve aiuto?”
Lisa si voltò verso la voce
che l’aveva interpellata, pronta a ringraziare.
“Sì, grazie. L’auto non si
accende…” Si interruppe quando dovette alzare lo
sguardo per guardare l’autista
del carro attrezzi sulla corsia opposta. Quel ciuffo di capelli castani
e
quella smorfia sul viso giallo le erano familiari, ma non riusciva a
inquadrare
il ragazzo in questione: un bel ragazzo, fra l’altro.
“Lisa,
Lisa Simpsons? La
piccola Lisa è tornata a Springfield…”
La ragazza sbarrò gli occhi e sbuffò,
alzando poi lo sguardo al cielo. Il ragazzo pensò che
l’avesse riconosciuto
solo in quel momento.
“Nelson… Che piacere
vederti” disse lei, ironica. Nelson non ci fece neanche caso
e scese dal suo
mezzo, lasciandolo nel bel mezzo della strada.
“Che succede?” chiese,
avvicinandosi all’auto.
Lei si riscosse da
qualcosa che le aveva preso i pensieri e, sorpresa, gli rispose:
“Oh… Non lo
so. La chiave gira, ma non si accende…”
“Posso?” Il ragazzo non
aspettò che lei rispondesse, ma aprì la portiera
e si accomodò sul sedile del
guidatore. Girò la chiave e guardò il quadro:
spento. “Mi sa che si è scaricata
la batteria” spiegò a una Lisa ancora stranita.
“E come si fa?”
“Posso accenderti la
macchina con i cavi, ma devi controllare la batteria. Potrebbe essere
da
cambiare.”
Lisa
annuì alle parole di
Nelson senza ascoltarle bene. Cosa doveva fare con la batteria?
“Ci sei? Hai capito?” Il
viso del ragazzo era un po’ corrucciato e una ruga si era
disegnata sulla sua
fronte.
“Sì… Sì, ho capito. Va
comprata nuova ma puoi accendere la macchina. Giusto?” Lui
annuì ma lei ebbe il
dubbio che non fosse troppo convinto che lei avesse capito davvero.
Cosa
verissima, comunque. Lisa si guardò intorno e poi si
passò una mano fra le
corte ciocche di capelli mentre sospirava.
“Esatto. Io te la accendo
ma se non si ricarica conviene sostituirla. Stai andando a
casa?” Lisa annuì
ancora. Cosa gli interessava a Nelson se stesse andando a casa o no?
“Se torni
a casa, non c’è problema. Spiega a tuo padre o a
Bart della batteria e loro
sapranno cosa fare”.
“So anch’io comprare una
batteria nuova!” esclamò, indignata.
Nelson rise scuotendo la
testa in un modo che a Lisa fece mordere le labbra, e mise mano sotto
al
volante, facendo aprire il cofano dell’auto. “Va
bene, va bene. Intanto vediamo
di accenderla.”
Si spostò davanti all’auto
e aprì il cofano. “Sembra vecchiotta…
Io la cambierei. Vedete voi se…”
“Ho detto che…” Nelson
rise ancora e alzò le spalle. “Allora valla a
comprare tu, ma stai attenta,
perché è possibile che la prossima volta che
spegni l’auto poi non si accenda
più, come è successo adesso”. Oh, e
cosa sarebbe successo se non avesse trovato
una batteria nuova?
Il ragazzo attraversò la
strada e salì sul carro attrezzi. “Dove
vai?” chiese, spaventata, Lisa. La
stava lasciando lì? Lì con un auto in panne
e… il cofano aperto?
“Prendo l’avviatore con i cavi
e arrivo.”
Lisa si sentì un po’
stupida e annuì, osservandolo mentre parcheggiava il mezzo
per lasciare libero
il passaggio. Lui tornò con quello che le sembrò
un trolley e iniziò, notò
impressionata, con gesti sicuri, a snodare dei cavi elettrici.
“Sali in macchina e quando
te lo dico metti in moto.”
Lei non pensò neanche a
contraddirlo: aveva la patente ma non un’auto e non si era
mai trovata in
quella situazione.
“Vai!” Lisa girò la chiave
e la macchina sussultò, prima di accendersi. Sì!
Il rumore del motore le riempì
le orecchie e lei si sentì vittoriosa. Anche se non aveva
fatto niente.
“Grazie” disse, scendendo
dall’auto e raggiungendolo vicino al cofano, improvvisamente
più propensa nei
confronti del ragazzo.
Nelson
le fece segno di
stare indietro e dopo un po’ iniziò a staccare le
pinze: non doveva farsi
distrarre, una volta era scattata una grossa scintilla e ci aveva quasi
rimesso
il naso e le sopracciglia.
“Ok, fai un giro lungo e
lasciala accesa almeno per venti minuti, così magari si
ricarica. Ma io la
sostituirei lo stesso” le spiegò.
Lei annuì e guardò il
cofano mentre Nelson gli dava il colpo per richiuderlo.
“Dove la compro una
batteria qui a Springfield? E come si fa a sostituirla?”
chiese poi, abbassando
lo sguardo e guardandosi le scarpe. Nelson seguì il suo
esempio e percorse con
gli occhi il corpo della ragazza, forse guardandola veramente per la
prima
volta da quando aveva fermato il carro attrezzi. I capelli portati
corti le
lasciavano scoperta la curva del collo e lui continuò a
scendere nonostante il
brivido che provò a vedere la pelle gialla sparire sotto
l’orlo della maglietta
rossa. Una gonna marrone le copriva le cosce e le sue gambe, snelle e
tornite,
finivano dentro a due scarpette rosse dalla punta quadrata e il tacco
grosso.
Sospirò silenziosamente e guardò da
un’atra parte per non dare l’impressione di
volerla spogliare.
“Posso montarti una
batteria usata per venti dollari.”
Lisa
alzò lo sguardo
improvvisamente: sarebbe stato perfetto! E gliela avrebbe data subito?
La
macchina le serviva per potersi spostare e comunque si sarebbe fatta
ridare i
soldi da sua madre.
“E… ce l’hai qui?” chiese
infatti, guardando verso il carro attrezzi.
Il ragazzo si passò una
mano fra i capelli. “Ehm, no. Ce l’ho in officina.
Però, non è molto lontano,
appena fuori Springfield”.
“Ok. Vengo a prenderla:
fai strada.” Salì in macchina velocemente, si
allacciò la cintura e guardò
fuori dal finestrino, in attesa che lui si desse una mossa.
Nelson,
che non si era
neanche accorto di averle fatto quella proposta, si riscosse e
raggiunse
velocemente il carro attrezzi. Ma cosa aveva fatto? Perché
le aveva detto che
le avrebbe montato la batteria invece di dirle di andare in un
supermercato o
da un meccanico? Mise in moto e si immise sulla carreggiata,
controllando che
lei lo stesse seguendo. Quando vide l’auto lasciare il
posteggio, si passò
ancora una volta una mano fra i capelli: che Lisa Simpson fosse
già tornata non
andava bene. Che lui si fosse fermato a parlare con lei, neanche. Che
stesse
andando a casa sua, poi, non andava bene per niente.
-
***
-
Lisa
seguì il mezzo per
tutta la cittadina e continuò a seguirlo anche quando
lasciarono il centro. Per
tutto il tempo ebbe paura che improvvisamente l’auto si potesse
spegnere, ma non
accadde mai. Quando svoltò per una via laterale deserta e
oltrepassò un grosso
cancello, capì il perché l’officina di
Nelson fosse fuori da Springfield: era
uno sfasciacarrozze. Un enorme sfasciacarrozze.
Continuò a seguire il carro
attrezzi lungo la strada ghiaiosa, in mezzo a macchine accatastate
l’una
sull’altra. Un grosso topo si fermò sul bordo e si
raddrizzò sulle zampe
posteriori, come per osservarla: chinò anche la testa di
lato, come faceva il
Piccolo aiutante di Babbo Natale tanti anni prima. Lisa
rabbrividì. Dov’era
capitata?
Nelson
posteggiò e scese
proprio davanti al portone dell’officina. Si voltò
a guardare se la ragazza lo
avesse effettivamente seguito e quando vide la macchina fermarsi dietro
al
mezzo, un po’ si sorprese: pensava che lei sarebbe scappata e
che non avrebbe
neanche oltrepassato il cancello.
Il cimitero delle macchine
era una cosa obbrobriosa, sia da vedere che da tenere in cortile. Non
era
ancora riuscito a organizzare lo sgombero. Fece cenno a Lisa di venire
più
avanti e lei seguì le sue istruzioni. Strano: non aveva mai
ubbidito in quella
maniera. Mai e a nessuno. O la piccola Lisa era cambiata o aveva capito
che non
poteva fare diversamente.
Lisa
scese dall’auto e non
riuscì a non guardarsi intorno: l’odore del
metallo era nauseante, le riempiva
le narici e le dava un senso di vertigine, mentre le carcasse delle
auto erano orribili
da vedere, tutte schiacciate, con le lamiere a pezzi e i vetri
infranti:
sembrava una discarica. Per non parlare dell’altezza di quei
rottami:
superavano il tetto della struttura che c’era in mezzo al
piazzale, dandole la
sensazione di esserne sommersa.
Vide Nelson sparire oltre
una saracinesca e continuò a osservare
l’abitazione: era una casa. Una casa di
quelle vecchie, con il porticato e le colonne a reggere la tettoia,
probabilmente una volta era stata una fattoria. Poco lontano, nascosto
dall’accumulo delle macerie, c’era una costruzione
che ricordava un fienile.
Probabilmente ora fungeva da garage.
“È casa tua?” gridò verso
la saracinesca.
La risposta di Nelson fu
un po’ strana, ma comunque affermativa.
Si avvicinò alla porta
d’entrata quando sentì il forte abbaiare di un
cane. Si guardò intorno, senza
riuscire a capire da dove arrivasse il rumore, finché non
vide arrivare, dal
cortile laterale, un grosso cane nero. Lui abbaiava e il suo latrato
rimbombava
nelle orecchie di Lisa che indietreggiò. Le zampe del cane
raschiavano la terra
da tanto il suo correre era veloce e pesante. Di taglia media, sembrava
un
grosso bufalo impazzito e abbaiava così forte che la ragazza
sentì vibrare lo
orecchie e il petto. I suoi denti erano ben visibili e per un attimo
lei si
chiese se l’avrebbe morsa davvero.
Leggermente impaurita, ma
conscia del fatto che non dovesse temere un animale, poiché
aveva intenzione di
curarli, Lisa si fermò a guardarlo arrivare. E
lui stava arrivando bello
carico.
Lisa
era ferma ad
osservare il cane che correva verso di lei.
Un topolino corse, anche
lui spaventato, per scappare dal cane e le passò sulla punta
delle scarpe. Lisa
gridò inorridita e sorpresa, facendo un saltello e un altro
passo indietro, ma
inciampò e cadde sul sedere, riuscendo solamente a osservare
il topo che
scappava e il cane che arrivata abbaiando. La sua non era una posizione
favorevole.
Trovarsi così in basso non aiutava il fatto di convincersi a
non avere paura.
Anzi… Osservò ancora il cane correrle incontro.
Cosa sarebbe successo una volta
che l’avesse raggiunta? L’avrebbe morsa?
L’avrebbe attaccata e tenuta ferma?
Al suono di un fischio,
forte, lungo e fastidioso, il cane si fermò, a due metri da
lei, guardandosi
intorno. Quando vide Nelson avvicinarsi a loro sorridendo, si
infuriò ma non
voleva darlo a vedere, così cercò di rialzarsi,
ma si accorse che le gambe le
tremavano un pochino.
Nelson
aveva visto Batman
scattare dalla sua cuccia appena la macchina di Lisa si era fermata nel
cortile,
non aveva pensato che il cane sarebbe corso all’impazzata
così, abbaiando e
spaventandola. Non lo teneva legato, che era un cane docile, nonostante
il
latrato pesante.
Probabilmente lei non lo
sapeva, ma Batman era abituato a ‘far le feste’ a
chiunque arrivasse,
soprattutto se arrivava insieme a lui, ma lei doveva aver frainteso
l’atteggiamento del cane.
Fischiò per richiamarlo,
lo stesso rumore che gli aveva insegnato quando si allontanava troppo e
per cui
di solito veniva sgridato, così, quando si
avvicinò lo fece sorridendo e con
andatura rilassata: i cani capivano il linguaggio del corpo, in quella
maniera
gli avrebbe trasmesso serenità.
Si avvicinò a Batman, gli
fece una carezza sulla testa e poi si diressero insieme verso Lisa, che
era
ancora in terra. Allungò una mano verso di lei e
approcciò una scusa: “Non è
abituato alle ragazze con i tacchi, lui non…”
Lei si tirò su e lo
interruppe: “Di solito vengono con gli stivali impermeabili e
la tuta
protettiva?”
Lisa
si pentì di aver
detto quella brutta frase quando il sorriso sparì dal viso
del ragazzo. Il cane
nero, che si era avvicinato al suo fianco, le mise il muso vicino alla
coscia e
le leccò una mano. Lei abbassò lo sguardo e il
suo cuore si intenerì quando vide
i suoi occhioni. “Oh, come sei dolce!” Fece un
po’ di carezze al cane e notò la
targhetta con il nome: “Batman”.
“Batman! Hai un nome
bellissimo!” Si chinò un po’ e, ridendo,
continuò a strapazzarlo come faceva
con il loro cane e il cuore le si strinse un po’, al pensiero
che non ci fosse
più da qualche anno. Si rialzò e, imbarazzata,
prese a spolverarsi la gonna a
pieghe. “Scusa, non avrei dovuto dire…”
“Lascia
stare” la
interruppe Nelson “qua non viene mai
nessuno…”
Il ragazzo si girò e tornò
verso l’entrata dell’officina. Così non
vide che lei era veramente dispiaciuta.
“Dentro c’è il bagno, se
vuoi…” disse, indicando la porta
d’entrata di casa sua, ma non si girò per
vedere se lei avesse accettato il suo invito o meno. Entrò
nell’officina e si
diresse velocemente verso l’armadio in fondo, dove sapeva di
avere almeno un
paio di batterie ancora funzionanti. Prima avesse fatto il lavoro,
prima lei se
ne sarebbe andata.
Lisa
entrò dalla porta che
lui aveva indicato e si trovò in un lungo corridoio.
Curiosò in giro: le
piaceva osservare i dettagli e le cose delle altre persone: si capiva
tantissimo di loro anche solo guardando di cosa si circondavano.
La prima porta portava in
una graziosa cucina. Era modesta e con il minimo essenziale: una cucina
economica con il forno era accanto a un piccolo lavello, mentre un
piano di
lavoro ben attrezzato era sotto la finestra che dava sul cortile. Un
tavolo e due
sedie erano appoggiati alla parete da dove era entrata la ragazza.
C’erano
persino delle tende alla finestra. Era piccola, ma molto, molto carina.
E in
ordine. E pulita. Non si era aspettata nessuna delle due cose. Quindi
Nelson
viveva lì? Oltrepassò la porta della cucina e
andò in cerca del bagno. Anche lì
rimase sorpresa: piccolo e pulito.
Si lavò le mani e si
inumidì la gonna, pulendola dalla polvere. Quando ebbe
finito, prima di
andarsene, si guardò intorno: amava i particolari.
Aprì gli sportelli di fianco
allo specchio e trovò il tubetto di dentifricio e uno
spazzolino blu, afferrò
il barattolo della schiuma da barba e poi il contenitore della lametta,
li
osservò e poi li rimise giù, prendendo un
boccetto in vetro che doveva essere
il dopobarba. Lo aprì e lo annusò. Quando chiuse
gli occhi si rese conto di
quello che stava facendo e lo rimise via velocemente. Doveva uscire
subito.
Si girò velocemente: vide
il box doccia e dietro la porta, appeso, un accappatoio grigio scuro.
Passò le
dita contro il vetro, mentre usciva, e cercò di immaginarsi
la spugna avvolgere
il corpo del ragazzo che stava aggiustando la sua macchina. La sua
macchina!
Era lì per quello! Non per curiosare nel bagno di un
ragazzo! Uno come Nelson,
poi!
Uscì dal bagno e dalla
casa più velocemente di come era entrata e subito si diresse
verso l’auto: lui
stava trafficando dentro il vano motore, aveva metà del
corpo coperto dal
cofano e lei poteva benissimo vedere l’altra metà.
Indossava degli stivali
che andavano di moda dieci anni prima ma che, notò Lisa, gli
stavano effettivamente
molto bene e i jeans erano attillati sulle cosce e sul sedere, forse
per via
della posizione che aveva assunto, ma non era assolutamente una brutta
visione.
Il cane era accucciato ai suoi piedi. Quando lui imprecò,
spostando la testa,
colpendo il metallo e imprecando ancora, si riscosse; lo aveva fatto di
nuovo:
si era scordata che fosse Nelson!
“Ci sei riuscito?” chiese
lei avvicinandosi. Questa volta il cane non si mosse.
Nelson
sbucò da sotto il
cofano e sventolò una mano.
“Sì sì, mi sono solo
scottato” disse. Era un idiota. Lo sapeva che la macchina era
appena stata
spenta, quindi il motore era caldo, perché aveva fatto la
stupidata di toccare
proprio lì?
“Comunque è a posto. Sali
e prova ad accenderla.”
Lisa ubbidì e salì in
macchina senza chiudere la portiera. Girò la chiave e il
motore non sussultò
neanche, si accese immediatamente. Scese sorridendo e tornò
verso di lui, che
stava cercando di darsi sollievo alla mano con uno straccio.
“Grazie!”
“Ti ho dato quella messa
meglio. Cosa faccio di questa? La butto io o…” le
chiese, indicando con la
punta della scarpa la vecchia batteria. Lei annuì, guardando
dentro al vano
motore. Lui si passò di nuovo lo straccio sulla mano e si
avvicinò, indicandole
la batteria e spiegandole come funzionasse.
Non l’aveva mai vista
sorridere così tanto in sua presenza.
Lisa
vide l’interesse
negli occhi del ragazzo mentre le spiegava come la batteria
dell’auto si
ricaricasse da sola mentre la macchina andava e quando non si caricava
più, era
inservibile. Notò anche la smorfia mentre si toccava la mano
dove si era
bruciato. “Dovresti metterla sotto
l’acqua” suggerì. Lui annuì e
disse che lo
avrebbe fatto presto.
Lisa si riavvicinò alla
macchina e prese la borsetta, ci frugò dentro, ma non
trovò il portafoglio.
Dov’era? Non lo aveva lasciato dal fruttivendolo, vero? Forse
era caduto in
auto. Guardò in macchina ma non c’era neanche sul
tappetino. Dannata
Springfield! Lo sapeva, lo sapeva, lei, che era una cattiva idea
tornare lì.
“Non ho il portafogli…”
iniziò a scusarsi, ma Nelson non c’era. Lo vide
uscire dall’officina con uno
straccio bagnato a coprirgli le dita scottate e gli andò
incontro. “Scusami,
non ho…”
“Ho sentito. Posso farmeli
dare domani da Bart.”
“Bart?” chiese Lisa.
“Sì, passo in città,
domani, vado al Jet Market e me li faccio dare da lui, ok? Ma digli che
sono
trenta dollari.”
Oh. Era vero. Bart
lavorava per Apu. Sospirò. Ehi, un attimo, ma
perché…
“Perché trenta dollari?
Avevi detto venti!”
“Venti da te. Da Bart,
trenta” spiegò, ridendo, il ragazzo.
“Allora te li porto io!”
“Va bene, dolcezza. Di
sicuro, è meglio vedere te che Bart!” Nelson
ammiccò e Lisa non seppe
ribattere. Lui la osservò per un momento e Lisa si
sentì trasparente.
Trasparente ma desiderabile. Non era mai successo, neanche quando
Milhouse le
rivolgeva i suoi soliti complimenti.
Nelson
si girò subito dopo
aver detto quella sciocchezza e la salutò con la mano per
non doverla guardare
più. Non era riuscito a spiegarle che Bart avrebbe tirato
sul prezzo e alla
fine gli avrebbe dato comunque venti dollari. E l’aveva
chiamata dolcezza! E ora era
fregato: aveva
appena fatto un lavoro per niente: non sarebbe mai andato da Bart a
farsi
prendere in giro per quello che aveva detto a sua sorella e lei non
sarebbe mai
tornata a portargli i soldi.
La guardò dal fondo
dell’officina mentre, con la borsetta in mano e guardandosi
intorno, risaliva
in macchina e se ne andava.
***
Quella
sera, dopo essere
passata dal fruttivendolo e aver scoperto che il suo portafoglio era
lì, ma
senza più soldi, Lisa tornò a casa arrabbiata e,
dopo aver salutato a malapena,
si rifugiò in camera sua e si coricò sul letto.
Il suono della chiamata in
arrivo sul cellulare le impedì di pensare, ancora una volta,
di aver fatto un
errore madornale.
“Kristen” rispose al
telefono, dopo aver visto il nome della sua compagna di stanza del
college,
nonché unica migliore amica da tanto tempo.
“Lisa, tesoro, com’è
andata? Come è stato tornare a casa?”
“Una merda. Ho perso dei
soldi, la macchina mi ha lasciato a piedi e sono stata aggredita da un
topo”
spiegò, esagerando. Non voleva dire che era stata spaventata
da un cane, perché
si era sempre vantata di non averne paura.
“Oh, mamma mia, deve
essere proprio un postaccio, questa Springfield! Ecco perché
non volevi tornarci.
E la tua famiglia? Che ha detto?”
“Riguardo a cosa, del topo?”
E cosa avrebbe detto la sua famiglia quando avesse saputo che a casa di
Nelson
aveva annusato il suo dopobarba?
Dall’altro lato della
comunicazione Kristen rise. “Ma no! Che ha detto la tua
famiglia del lavoro?”
Lisa spalancò la bocca: si
era completamente dimenticata di dire alla sua famiglia del lavoro!
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***
e niente... grazie di essere arrivati fino a qui.
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