Eroi, Mostri e Dei di Gahan (/viewuser.php?uid=80099)
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Era un pomeriggio con un cielo rosso, quello di quel giorno.
Un fuoco si alzava non lontano da quella collina dove si trovavano ora
Leis e
il suo esercito. Una città bruciava a non molto distante da
loro. E lui, noto
come il capo dell’esercito più coraggioso e
deciso, non poteva farci nulla.
Un soldato gli si avvicinò. – Signore, non andiamo
ad
aiutarli nella battaglia? –
Quelle parole lo fecero trasalire. – No. Ora torna al tuo
posto soldato, altrimenti ti ci mando da solo lì in mezzo.
–
L’altro soldato fece tre passi indietro. Quei tre passi che
separavano l’esercito, dal suo comandante.
Era dall’alba che quella battaglia era cominciata. Ed era
dall’alba che Leis assisteva alla scena della disfatta della
sua amata patria
per mano di un uomo che si illudeva di poter raggiungere un potere tale
da
superare chiunque altro.
Una lacrima scese dai suoi occhi, una sola. In memoria ai
giorni passati in quella città che lui amava tanto.
Ricordava benissimo le
parole che l’uomo con l’armatura nera gli aveva
detto il giorno precedente.
- Buongiorno, signor
Leis. –
- Chi è che mi ha
fatto chiamare a quest’ora della mattina? Ti rendi conto che
è da poco passata
l’alba?! –
- Sì, e mi scuso per
questo, ma dovevo riferirle una cosa molto importante. –
- Di cosa si tratta? –
- Ciò che le basta
sapere, signore, è che ho un esercito abbastanza potente che
credo, solo il suo
potrebbe battere. –
- Sono contento per
te, ma cosa intendi fartene? Non vorrai usarlo, spero. –
- Invece è proprio
quello che voglio fare, mio signore. – Poi gli si
avvicinò, e toccò il petto di
Leis con l’indice sinistro. Il capo dell’esercito
svenne all’istante.
Si svegliò qualche
minuto dopo. Accanto a lui trovò i cadaveri di cinque
guardie. E l’altro uomo
seduto su un tavolo, con un piede su una sedia, che guardava di fuori.
–
Bastardo! – Leis si alzò e gli corse contro con la
spada sguainata.
Lui non si girò
nemmeno. E il corpo di Leis si bloccò. – Quello
che le ho fatto prima è un
sigillo, caro il mio capo dell’esercito. Uno temporaneo, per
l’esattezza. Tra
un paio di giorni sarà sparito. A me ne basterebbe uno solo,
ma, due giorni è
il tempo minimo. Se le può interessare, il tempo massimo
è di un anno. Reggere
un sigillo attivato per più tempo sarebbe come condannarsi a
morte certa. –
- Ma di cosa stai
parlando? –
- Oh, giusto. Lei si
limita alla rudezza di una guerra tra spade e archi. Non conosce
nemmeno cosa
sia, la sottile arte della magia. Poter spostare un oggetto solo
guardandolo.
Poter accendere un fuoco con alcune semplici parole.
Perfino… staccare i fili
che collegano l’anima di un uomo, al suo corpo. Uccidendolo,
con un solo gesto,
di un dito. –
- Che razza di demonio
sei tu? –
- Demonio? Non mi
definirei così. Preferisco essere paragonato a un dio. Siamo
in pochi rimasti
della mia stirpe. Molto pochi. Ma bastiamo a uccidere un intero
esercito
formato da migliaia di persone. –
- Un dio? Gli dei non
esistono. E se anche esistessero non avrebbero bisogno di un esercito.
–
- Gli dei non
esistono? Ah! Questa è la più grande idiozia che
abbia mai sentito nella mia
vita. Gli dei esistono. Il fatto che non sono potenti, buoni, e
altruisti come
li descriviate voi umani, è un’altra storia.
–
- Dai, se dici che
esistono, dimostramelo. Dimostrami che gli dei esistono! –
Lui si avvicinò alla
faccia chiara di Leis, con gli occhi castani e i capelli, che ormai non
c’erano
più, un tempo erano neri. Il mento molto marcato. Il resto
del corpo era
segnato dei muscoli.
L’altro uomo a lui
sembrò essere una specie di mostro. Ma, stranamente bello.
Il suo corpo era
viola scuro. Ricoperto di scaglie, tranne sul volto. Gli occhi con
l’iride
sempre viola, ma più chiaro. Quello che Leis credeva un
elmo, erano delle
specie di corna, senza punta, che, se venivano guardate di lato,
sembravano le
ali di un gabbiano. Il volto sembrava quello di un ragazzo. Ora che
Leis ci
faceva caso, il corpo era magro. Decisamente non adatto a un soldato.
- Ce l’hai davanti un
dio. –
Gli occhi di Leis si
sbarrarono. – N…non è
possibile… –
- Eppure è realtà. E
intendo prendere possesso del vostro lurido mondo. –
Leis pareva non
sentirlo. – Quanti siete? –
- Una ventina… forse
di più. Ma a chi importa? Basterei solo io per uccidervi
tutti. –
- E perché vorresti
conquistare il mondo? –
- Perché vederlo in
mano a dei pezzenti che non riescono a viverci insieme, mi sembra uno
spreco. –
- E cosa intendi fare,
allora? –
- Prendere il potere,
e costringerci a fare ciò che voglio. –
- Non mi sembra un
granché di piano per la parte del mondo. –
- Quello che io farei
è a stretto contatto con il mondo. Perché
è così che deve essere. Comunque, con
questo mi hai fatto perdere il discorso principale. Il sigillo che ti
ho
imposto, ti impedirà di venirmi ad attaccare, domani.
–
- Perché solo domani?
Perché non per un anno, cosicché abbiate tutto il
tempo per conquistare il
mondo. –
- No, mi indebolirei e
basta. Con te farò i conti dopo. Non sei il problema
principale. Ma domani
attaccherò la tua città natale. E sarebbe una
gran scocciatura averti fra i
piedi. Quindi quel sigillo te lo impedirà. Oppure morirai.
Starà a te decidere.
In entrambi i casi il tuo esercito darà perduto, quindi non
mi preoccupo più
molto. –
- Ho giurato che avrei
difeso la libertà anche a costo della mia vita, quando
entrai nell’esercito. Non
sarà uno stupido sigillo ad impedirmi di far marciare il mio
esercito contro di
te domani. –
- Sì, certo, certo.
Chi non direbbe una frase del genere in una situazione del genere? Ma
il punto
è, quando arriverà il momento, sarai capace di
adempiere al tuo giuramento? O
la paura della morte, del salto nel buio eterno senza mai ritorno,
avrà la
meglio e tu scapperai con la coda tra le gambe? –
Poi sparì, lasciando
solo una lieve nebbiolina come traccia del suo passaggio.
Leis cadde, deciso sul
da farsi. Avrebbe mobilitato le truppe quella sera stessa.
Ed era così che era finito lì, a guardare la sua
città che
periva sotto la mano di uno che affermava essere un dio.
La lacrima toccò terra. Lui si toccò il petto e
sentì il suo
cuore stranamente calmo per come si sentiva. Quello che provava era un
misto di
tristezza, rabbia, e odio.
Sputò a terra. Poi fece girare il suo cavallo verso
l’esercito
e sguainò la spada. – Gente! Lo so, di solito un
condottiero non si rivolge a
un esercito con questo nome. Ma in fondo che siete voi? Delle
semplicissime
persone che magari pensavano di fare un atto di coraggio arruolandosi
nell’esercito. O che cercano di sfuggire alla legge facendo
questo lavoro. O
che fugge da una moglie troppo possessiva. Le ragioni per cui siete qui
non mi
interessano. – Seguirono delle risatine soppresse.
– Alcuni di voi sono qui sin
da quando io ero ancora un soldato semplice. Ci sono molti amici tra
questi
tremila uomini che compongono questo ammasso di assassini che le
persone che
non hanno provato questa vita definisce “eroi”. Chi
non è della mia stessa
opinione significa che è troppo poco tempo che è
qui, o che è una sottospecie
di bestia che combatte per puro piacere di vedere un altro uomo cadere
trafitto
dalla propria spada. E credetemi quando vi dico che quelli saranno i
primi a
morire. Oggi dimostriamo al mondo che niente e nessuno potrà
fermarci. Che per
quanti di noi possano cadere, ce ne saranno sempre altri a prendere il
loro
posto in battaglia, e a vendicarli. Io vo chiedo di continuare a
combattere,
oggi. Perché chiunque siano quei bastardi che hanno fatto
cadere il fuoco dal
cielo su quella città, meritano solo la morte. Vi chiedo di
combattere
qualsiasi cosa succeda, anche se io dovessi morire. Anche se dovesse
rimanere
uno solo di voi. Che nessuno scappi. Che nessuno si nasconda. Il
destino ci ha
portati qui. Molto probabilmente molti non reggeranno la giornata. Vi
chiedo di
combattere come mai avete combattuto in vita vostra. Perché
questa non è una
zuffa tra ragazzi. Non è una rissa in una taverna.
È guerra. E spero che ve ne
siate resi conto. E spero che oggi combatterete come gli assassini che
siete.
Non fatevi venire i rimorsi di coscienza proprio oggi. E se ci saranno
sopravvissuti, spero che continuino questa vita perché,
dannazione, è la
migliore vita che un assassino come noi possa aspettarsi. Ora andiamo.
Facciamo
vedere a quei bastardi con chi hanno a che fare! –
Dall’esercito si levò un grido, il suono delle
lame
sguainate che venne subito dopo, fu assordante.
Cavalcarono dritti. Verso il fuoco. Appena arrivati alle
porte della città, a Leis prese una fitta al cuore. Qualche
secondo dopo era a
terra. Il cavallo che nitriva spaventato e triste per la morte
improvvisa del
padrone. I soldati erano spaventati anche loro. Per un attimo si
fermarono.
Poi, ricordando le parole del loro capo, il più alto in
grado maledisse tutti,
e fece un gesto con la spada per mettere di nuovo l’esercito
alla carica.
No! Non posso morire!
Non adesso, i miei uomini hanno bisogno di me. Non posso morire! Non
posso… io,
io devo continuare, a vivere. Vi prego dei, se esistete, concedetemi
un’altra
possibilità. Concedetemela… vi… I
pensieri di Leis si fermarono. Il flusso
di vita che lo pervadeva fino a un secondo prima si bloccò.
Non poteva credere che la sua vita sarebbe finita così. Da
un
momento all’altro senza conoscere nemmeno il nome del tizio
che l’aveva ucciso.
Come se si fosse addormentato, tutto intorno a lui diventò
nero. La sua anima cercava di andarsene dal suo corpo. Lui cercava di
trattenerla a sé il più a lungo possibile con le
poche forze che gli erano
rimaste. C’era lui, e c’era il nulla. E lui non
voleva entrare a far parte di
quel nulla. Sarebbe stato pronto a tutto pur di tornare a vedere il
volto dolce
della moglie, e quello allegro e vivace della figlia.
Poi sentì la sua anima arrendersi, un altro colpo al cuore.
E
in quel nulla nero si dipinsero come per magia delle ombre. Che
diventavano
sempre più distinte. Davanti a lui c’era un trono.
Tutto interamente fatto
d’oro. Sopra c’era una donna. Era bionda, con i
suoi capelli lisci che
scendevano lungo il corpo fino a metà schiena. Il corpo
magro e il viso
meraviglioso, con gli occhi verdi che lo puntavano. Portava un lungo
vestito
verde anch’esso.
- Dove sono? – Provò a chiedere Leis.
- Questo non ti deve interessare. Sai chi sono io? E chi
sono tutti gli altri qui dentro? –
- No. –
- Siamo i dei. Coloro che tu hai rinnegato per tutta la tua
vita. –
- Ma questo non è possibile. Pensavo… –
- Che gli dei fossero quelli che stanno attaccando il tuo
mondo? No. Ci vanno vicino. Molto più vicino di quanto
dovrebbe essere. Ma non
sono dei. –
- E cosa sono? –
- Una via di mezzo. Uomini che non sono uomini. Dei che non
sono dei. Sono una strana razza. –
- Razza? –
- Sì, in quello che voi chiamate mondo, non esistono solo
gli uomini. Esistono tantissime razze differenti. Una per ogni coppia
di dei
che vedi qui dentro. E qui dentro siamo molti. –
- Ma perché non si fanno vedere? –
- Un tempo sì, vivevate tutti insieme. Poi voi, gli uomini,
vi staccaste dagli altri. Desiderosi di potere. –
- E dove si trovano ora gli altri? –
- Io non lo so. Io e il mio compagno siamo i vostri dei.
Quelli degli uomini. E gli altri non sono disposti a parlarti.
–
- Ma perché sono qui? –
- Perché tu sei il primo ed unico uomo che è mai
riuscito a
battere la stessa morte. –
- Battere… la morte? –
- Sì, hai impedito alla tua anima di lasciarti. Rendendola
definitivamente schiava del tuo corpo. Ci vuole molto forza per farlo.
–
- Ed ora rimarrò qui? Insieme a voi? –
- Non scherziamo. Dopotutto sei ancora un mortale. E quando
arriverà la morte, non riuscirai a salvarti una seconda
volta. Sei qui perché
hai diritto a un solo desiderio. Ah, sì. Se vuoi posso farti
vedere cosa sta
succedendo nel campo di battaglia che hai abbandonato per venire qui. O
meglio.
Cosa è successo. –
- Sì, ti prego, mostramelo. –
La testa di Leis si riempì di cadaveri. Le immagini di
quella guerra erano orribili. La città era stata totalmente
distrutta. A terra
c’erano migliaia di cadaveri.
Non voleva
pensare che non fosse rimasto neanche un sopravvissuto del suo esercito.
Le immagini scomparvero quando Leis cominciò a piangere.
Aveva condotto migliaia di uomini alla morte. Il peso sul suo cuore era
troppo
per poterci vivere insieme. Così decise che, o li avrebbe
vendicati, o sarebbe
morto come i suoi compagni.
- Fammi diventare come loro. Rendimi un mostro come loro. –
- Ne sei sicuro? Non potrai più tornare indietro dopo.
Rimarrai così fino alla tua morte. –
- Non mi interessa. Voglio vendicare i miei compagni, non
m’importa se poi dovrò vivere per anni con le
persone dietro di me che mi
scherniscono o fuggono. –
- D’accordo. Questo vuoi, e questo avrai. –
La dea schioccò le dita. E Leis cominciò a
sentire il suo
corpo cambiare. La sua pelle si colorava di un rosso sangue come quello
dei nemici
che abbatteva in guerra. Sul suo petto, era comparso un disegno, come
un
tatuaggio, che rappresentava due catene che si incrociavano sul punto
dove si
trovava il suo cuore, per poi passare dietro le spalle, e rincontrarsi
di nuovo
sulla schiena, e continuando il loro tragitto, passando sotto le
ascelle, a poi
ricongiungendosi con il loro inizio. La donna gli spiegò che
era un altro
sigillo. E che serviva a ucciderlo, in caso, lui avesse tentato di
uccidere
qualcuno. Ma gli disse anche che, con una forza di volontà
come la sua nel
rimanere in vita, gli ci sarebbero voluti molto probabilmente dei
giorni ad
ucciderlo. Le scaglie che gli comparirono, erano leggermente
più scure della
pelle. A diversità del mostro che aveva incontrato, non
aveva corna, solo dei
piccolissimi artigli sulle nocche. Lunghi pressappoco come un ago, e
con la
stessa forma delle spine delle rose.
- Ti porgo in dono un’armatura. Un’armatura
d’acciaio, rifinita
in oro con il disegno di una rosa appassita. Quest’armatura
era stata creata
per una Guardia dal corpo rosso. E così è stato.
–
- Una Guardia? –
Leis guardò la dea con un tono di domanda. Come se si
chiedesse se ora dovesse essere lo schiavo di qualcuno.
- Sì, quelli che tu chiami mostri, in realtà sono
le Guardie
degli dei. Si sono rivoltate. Se ne sono andate dal nostro mondo, e
sono cadute
nel vostro. –
- E io dovrò essere come loro? – Chiese, mentre si
stava
mettendo i braccioli dell’armatura.
- In teoria sì, ma se ho ben capito, tu vuoi ucciderli, e
così il sigillo ucciderà anche te, quindi non ci
serviresti a molto. Io sono la
tua dea, e sono io a decidere se trasformarti in una nostra Guardia. E
decido
di no. –
- Grazie. –
Ora va, ti ridono la vita. Che i tuoi occhi marroni tornino
a brillare nel mondo dei vivi. –
Leis si sentì come trascinare via da un vento fortissimo.
Buttato fuori dal mondo degli dei. Intorno a lui il campo di battaglia
tornò ad
essere il suo mondo.
Si risvegliò con il fiatone. Come se avesse percorso
correndo un’intera foresta. Intorno a lui c’erano
solo cadaveri. Quella era
l’unica battaglia che avevano perso. E molto probabilmente,
l’ultima a cui Leis
avrebbe partecipato.
Quando si alzò, cercò se tra i morti ci fosse
qualcuno di
quei mostri. Ce n’erano tre. Uno bianco, uno verde, e uno
azzurro. Uno era
morto con una freccia in piena fronte, il secondo aveva una spada
conficcata
sul lato del collo, e il destro un’ascia nel cuore.
Fu felice nel vedere che i suoi uomini erano riusciti ad
uccidere qualcuno di quegli esseri che tanto si avvicinavano agli dei.
Ma
vedere tutti quei morti gli aveva comunque provocato tantissima rabbia.
Leis
diede un pugno a uno dei pochi residui di muri ancora in piedi. I suoi
artigli,
prima si conficcarono nel muro, e, mentre quello stava volando via per
la forza
che Leis aveva acquistato nel cambiamento di corpo, esplose.
Lui si chiese perché, così fece un buco in una
roccia, e poi
cercò di infilarci gli artigli. Ma si dovette fermare appena
dopo essere
entrato in quella che prima che lui la rompesse, era la parete della
roccia.
Perché gli artigli crearono una piccola palla di fuoco, che
si ruppe,
trasformandosi in tanti vermicelli, che entrarono nel macigno, e
facendolo
esplodere pochi secondi dopo.
Solo dopo capì che se non toglieva gli artigli dalla roccia,
la piccola palla di fuoco rimaneva tale, senza scoppiare o
trasformarsi. Capì
anche di poter creare altre palle di fuoco, di grandezza differente,
anche
grandi come tutto il campo di battaglia dove si trovava, senza
conficcare gli
artigli da qualche parte. Ma quando erano così grandi gli
risultava impossibile
poterle tenere per più di un paio di secondi prima che
sparissero. Utilizzò i
tre cadaveri delle Guardie per provare se anche un corpo, per quanto
umano
potesse essere, potesse subire gli effetti di quelle palle di fuoco.
Notò che
se si concentrava su una parte del suo corpo poteva emanava calore da
lì, anche
fino a bruciare un albero. Finì con l’intendere
che lui poteva controllare il
fuoco.
Se ne andò da quel posto perché rischiava di
essere visto sa
un soldato e riconosciuto come nemico. Si incamminò verso le
montagne. In cerca
di un posto dove poter passare qualche giorno cacciando e pescando.
Trovò una piccola grotta, abbastanza alta per farci entrare
un uomo adulto in piedi, e abbastanza profonda per essere nascosto da
sguardi
indiscreti. La prima preda che fece fu un cervo. Grazie agli anni
passati in
esercito, aveva imparato a pulirlo e cucinarlo.
Gettò i resti nella foresta, sapendo che qualche animale li
avrebbe mangiati.
Dosò bene il calore del proprio corpo in modo tale da non
sentire il freddo eccessivo dell’altitudine a cui si trovava.
Dopo tre giorni che si trovava lì e si allenava a
controllare il fuoco, una mattina, vide qualcuno che dava da mangiare a
un lupo
poco più in alto della sua grotta. Quando lo vide in volto
capì subito che era
come lui, ma la sua pelle era di un bianco candido quasi abbagliante.
Portava
un’armatura d’argento, con un drago rosso sul petto.
Leis fece il giro dietro di lui. Fino a quando non gli fu
alle spalle, con gli artigli puntati sul suo collo. – Chi
sei? –
- Sono te. –
- No. Io sono me, e tu sei te. Dimmi il tuo nome. –
- Leis. –
- Se non fai il serio giuro che ti infilzo la gola. –
- Quando hai incontrato gli dei, loro ti hanno concesso un
nuovo corpo, dove la tua vecchia anima non poteva più
risiedere. –
- Saresti la mia anima? –
- Sì, trasformata dagli dei e fatta diventare come te da
loro. Ma mi hanno trasformato nel tuo opposto. Ghiaccio. –
- Stai dalla mia parte, giusto? –
- Sto dalla parte di chi vince. –
- E chi vince? –
- Nessuno, la vita non comporta un vincitore. Alla fine
perdono tutti. –
- Intendi dire che moriamo tutti, vero? –
- Sì. –
- E allora vieni con me. Perché altrimenti non sapresti dove
andare. –
- Hai ragione. Ti aiuterò nella tua vendetta. –
I due rientrarono nella grotta.
- Quando intendi attaccarli? –
- Domani cominceremo a cercarli. Appena li avremo trovati li
attaccheremo. Senza aspettare oltre. –
- In passato facevi piani meglio congegnati. Questo sembra
quasi un suicidio. Sei sicuro che vuoi vendicare i tuoi vecchi
compagni? –
- Prima di diventare così ho deciso che li avrei vendicati,
o sarei morto come loro. –
- Lo so, ma questo piano mi sembra fatto per la seconda
ipotesi, non per la prima. –
- E se anche fosse? Se io mi volessi uccidere? Cercheresti
di fermarmi? –
- No. Perché così avrei la libertà di
raggiungere gli dei.
Per me sarebbe anche meglio. –
- Allora faremo come ho detto. Niente discussioni. –
Quella notte Leis dormì poco. Di sonno ne aveva ben poco.
Pensava alle parole della sua anima. E se era vero? Se lui in
realtà non stava
cercando di fare altro se non uccidersi per raggiungere i suoi
compagni? Nel
suo esercito vigeva la regola che chi avesse tentato il suicidio
sarebbe stato
marchiato come traditore ed esiliato dalla sua città natale.
Solo ora si
rendeva conto della stupidità di quella regola. Se uno
lì in mezzo cercava di
suicidarsi era proprio perché era troppo tempo che non
rivedeva la famiglia.
Esiliarlo non sarebbe servito a nulla se non a dargli un motivo in
più per
morire.
Il mattino dopo andarono a cercare gli altri mostri in
alcuni punti dove erano stati avvistati. Li trovarono in una pianura.
Erano
tutti quanti seduti intorno a un fuoco a cuocere della carne che molto
probabilmente avevano cacciato.
Senza dare alcun preavviso, i due cominciarono ad
avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, l’anima di Leis
lanciò un dardo
di ghiaccio verso uno di loro. Questo gli si conficcò nella
nuca e gli uscì
dalla fronte. La Guardia si accasciò al suolo.
Gli altri ventitré si alzarono in piedi cercando il punto da
cui era venuto il dardo. Crearono delle barriere intorno a loro in modo
tale
che i dardi si sciogliessero prima di toccarli.
Leis fece alzare il fuoco che stavano utilizzando, e lo
scagliò contro uno di essi, che cominciò a
correre urlando per il dolore mentre
veniva bruciato. Leis cominciò a sentire il sigillo che si
attivava e il cuore
cominciò a bruciargli.
Quando i restanti ventidue si accorsero degli intrusi,
l’anima di Leis lanciò una colonna di ghiaccio
verso di loro che prese nel suo
getto tre di loro, congelandoli.
Leis fece esplodere quell’involucro di ghiaccio lanciandogli
una palla di fuoco. Uno dei suoi nemici lo ferì al braccio
con una lancia di
legno che aveva creato dal suolo. Leis gli conficcò gli
artigli in testa. Senza
sprigionare alcuna fiamma. L’altro cadde a terra morto.
Andarono avanti così fino a che non rimase solo la Guardia
che Leis aveva conosciuto qualche giorno prima.
- Anima, fermati adesso. A lui ci voglio pensare io. –
- Come vuoi. –
Il mostro esplose in una sonora risata. – Tu? Vorresti
uccidere me? Ma fammi il piacere, sarai come noi, ma io valgo mille
volte tutti
questi tizi che avete miseramente ucciso. E poi chi saresti tu?
–
- Sono cambiato, ma non so perché pensavo che mi avresti
riconosciuto. Sono Leis. –
- Oh… il capo dell’esercito. L’eroe
senza macchia e senza
paura è venuto ad uccidermi? Il sangue ti ha imbrattato il
volto, giustiziere.
–
- Il sangue dei miei nemici su di me non sta a dimostrare
altro se non la mia vittoria. –
- E questa da dove l’hai presa, da un manuale per il soldato
perfetto? –
- Cos’eri tu prima di diventare così? –
- Non t’interessa. –
- D’accordo, c’è un sigillo che preme
sulla mia vita, e io
non intendo morire prima di te. –
- Allora sembra che questo combattimento durerà un bel
po’,
perché guarda un po’, neanche io ho tutta questa
voglia di morire. –
Leis alzò il braccio in modo solenne, la palla di fuoco gli
si formò a poca distanza dal pugno chiuso. L’altro
non si mosse nemmeno quando
l’attacco lo investì in pieno.
- È tutto quello che sai fare? –
Appena ebbe finito di parlare, Leis gli si fiondò addosso,
dandogli un pugno nello stomaco.
Gli artigli rilasciarono una sostanza all’interno del
mostro.
Leis si staccò dal mostro che ora era confuso.
Il capo dell’esercito notò che sulla punta degli
artigli
c’era un po’ di ghiaccio. Si volse verso la sua
anima. Lei annuì.
- Ti avevo detto di starne fuori. –
Poi non fece nemmeno in tempo a rigirarsi verso il nemico
che lui gli aveva poggiato una mano sul petto, poi qualcosa si
conficcò nel
cuore di Leis, per poi uscirne con altrettanta facilità.
Entrambi caddero a terra. La Guardia visse ancora un po’,
giusto il tempo per vedere l’anima di Leis scomparire nel
nulla. Poi perì.
Una scossa di terremoto fece tremare il terreno, che si
spaccò e buttò al suo interno tutte le cacasse
delle Guardie morte, insieme a
quella di Leis.
Una voce fece trasalire Leis. – Ehi amore, ben arrivato a
casa. –
Lui si guardò intorno, tutti i suoi compagni
dell’esercito
erano intorno al suo corpo sdraiato nel nulla. – Ma voi siete
tutti morti,
anch’io sono morto. –
- Sì, e ora siamo di nuovo tutti insieme. Insieme a te
è
arrivata un’altra ventina di uomini, sai chi sono? –
Lui guardò dietro di sé, un altro uomo lo
guardò e lo
fulminò con lo sguardo.
- No. Non conosco nessuno di loro. –
- Bene. Allora vieni, tua figlia ti sta aspettando. –
La moglie lo tirò su, lo abbracciò e lo
portò verso la
figlia, che abbracciarono insieme. In lontananza Leis vide la dea degli
uomini,
lei gli sorrise e sparì.
Poco prima che sparisse, Leis le disse: - grazie. –
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