War is raging in my
head
So are you scared of
your introspection?
Why could that be?
Oh, maybe you object
to what you find there
And as you stare
into your own reflection
What do you see?
Your black hole for
a soul
[Can You Afford To Be
An Individual?]
Joe si guardò allo specchio e trovò ridicola la sua mise: la
canottiera bianca e i pantaloni della tuta che aveva indossato per fare gli
esercizi in palestra lo facevano sentire inadeguato, non si trovava affatto a
suo agio abbigliato in quel modo.
Ma aveva bisogno di liberare la mente, di non pensare a
niente.
Da quando la band non era più in tour, gli risultava più
difficile trascorrere del tempo con i suoi compagni e l’unico che vedeva spesso
era Dom, dato che l’altro chitarrista abitava a pochi isolati da lui.
Eppure in quel momento Joe non voleva pensare a Dom e a come
si sentiva quando stava con lui.
E soprattutto non voleva affrontare i sensi di colpa che lo
avvolgevano quando quelle sensazioni lo invadevano e la sua mente correva a Price.
Scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli dorati:
li avrebbe dovuti legare, eppure non l’aveva fatto nemmeno quella volta; si
impegnava maniacalmente affinché le sue ciocche rimanessero sane e curate,
mentre quando tentava di intrappolarle in un elastico spesso le ritrovava
annodate o spezzate. Era frustrante.
Si guardò per l’ennesima volta allo specchio e incrociò i
suoi stessi occhi, trovandoli stanchi più del solito.
Non vedeva l’ora che Phil arrivasse, almeno si sarebbero
allenati e lui avrebbe potuto estraniarsi dal mondo intero. Il bassista era
sempre in grado di comprenderlo con una sola occhiata, senza porre troppe
domande né fargli pressioni.
Era per questo che a Joe piaceva andare in palestra con lui:
poteva essere incazzato, frustrato, triste o euforico, ma Phil non lo obbligava
mai a parlare se non era lui a prendere l’iniziativa.
In fondo loro due un po’ si somigliavano, anche se il biondo
era decisamente più introverso e l’unico modo che conosceva per esporsi era riversare
tutto nei testi delle canzoni che componeva per i Nothing But Thieves.
Quando Phil lo raggiunse, Joe si voltò a guardarlo e lo
salutò dandogli il cinque. Si scambiarono battute di circostanza e presero
subito ad allenarsi, mentre in sottofondo scorrevano improponibili tormentoni dell’estate
appena passata.
Joe si vergognava un po’ del suo corpo magro e mingherlino
rispetto a quello tonico di Phil, ma non gli importava: quegli esercizi – i
pesi che sollevava a fatica, la spalliera a cui si aggrappava per rafforzare i
muscoli delle braccia, la corda che saltava per riscaldarsi – lo aiutavano a
sgombrare completamente la mente e a non pensarci.
C’erano troppe cose che non gli piacevano, cose che
albergavano nel suo cuore e che lo facevano sentire inadeguato.
Andò avanti ad allenarsi allo sfinimento, fino a quando le
gambe non gli cedettero e le braccia non presero a tremare per lo sforzo
fisico.
Phil, decisamente più abituato di lui, lo sostenne e gli
rivolse un’occhiata preoccupata.
Joe, i capelli sudati appiccicati al volto provato e il
respiro corto, gli sorrise rassicurante – anche se non era certo di stare bene,
non avrebbe potuto giurarlo.
«Ci prendiamo qualcosa da mangiare?» propose il bassista,
passandogli un braccio dietro la schiena per aiutarlo a camminare verso gli
spogliatoi.
«Sì» replicò Joe, sentendo che prima o poi avrebbe ceduto.
E se doveva cedere, era meglio che accadesse con Phil: si
fidava di lui, era un amico a cui poteva confidare qualsiasi cosa senza timore
di essere giudicato.
Si fecero la doccia in silenzio e Joe si morse il labbro
inferiore per trattenere un sospiro: i pensieri stavano tornando ad affollargli
la mente e la cosa non gli piaceva per niente.
Se ne stavano seduti al tavolo di un fast food e mangiavano
con voracità i rispettivi panini; un’enorme porzione di patatine fritte intrise
di salse li divideva e un paio di bicchieri di Coca-Cola chiudevano il quadro,
dipingendo una dei loro soliti pasti post allenamento.
Phil lo guardava di sottecchi e Joe sentiva di non poter
resistere ancora a lungo.
«Ci penso, Phil» disse in un mormorio, quasi sperasse che
l’amico non lo udisse e lasciasse perdere.
Eppure l’aveva sottovalutato, perché Phil affilò subito lo
sguardo e gli prestò tutta la sua attenzione. «Pensi a qualcosa che ti fa star
male?» chiese cautamente.
«Mi sento in colpa. E penso a qualcuno più che a
qualcosa.»
Il bassista mandò giù l’ultimo boccone del suo cheeseburger
e sorseggiò dal bicchiere in plastica che riportava il logo del locale stampato
tutto attorno. «Dom o Price?» buttò lì.
Joe non si sorprese più di tanto, non era la prima volta che
lui e Phil ne parlavano; non avevano mai affrontato la questione in maniera
approfondita, però era capitato di scambiarsi qualche battuta in merito e il
biondo si era sentito parecchio in imbarazzo.
Proprio come in quel momento, in cui avrebbe volentieri
preferito sottrarsi agli occhi caldi e attenti del suo amico, anche se era
troppo tardi e sentiva di aver bisogno di aiuto.
«Dom e Price» esalò, pescando una patatina dalla vaschetta e
rigirandosela tra le dita.
«Capisco.» Phil intrecciò le dita sul tavolo e annuì. «Sei
confuso.»
«Sì. Non te lo so spiegare.» Il chitarrista sospirò e lasciò
cadere la patatina sul tavolo, portandosi una mano sotto il mento. «Tu con
Conor come hai fatto a…»
«A capire che era quello giusto? Beh… con lui è stato
naturale. È qualcosa che ho sempre sentito dentro me, fin dal primo istante in
cui ci siamo visti.»
Joe aggrottò la fronte. «Sembra una di quelle storie da
commedia romantica…»
L’altro si strinse nelle spalle. «Sì, cazzo. Però è la
verità.»
«Beato. Io non sono sicuro di niente.»
Phil sorrise dolcemente e allungò una mano per posargliela
sul braccio, lasciandogli qualche piccola pacca. «Coraggio. Se ti va, puoi
dirmi come ti senti.»
Joe ricambiò il sorriso e chinò il capo. «Posso provarci, ma
il problema è che non lo so.»
There's a rumbling
in my head
It's getting louder
and louder
There's a shaking in
my bones
It's getting
stronger and stronger
There's a hunger in
my heart
It's full of
promise, promise
There's an itch
under my skin
It's under my skin,
under my skin
[Itch]
Avevano provato per ore, il tour europeo si avvicinava e
la tensione era palpabile.
Litigavano, si accusavano di errori dovuti soltanto alla
stanchezza ed era veramente difficile convivere in saletta da un paio di
settimane a quella parte.
Joe era salito in macchina con Dom e non aveva aperto
bocca per tutto il tragitto verso la propria abitazione; lui e il chitarrista
moro se ne erano dette di tutti i colori quel pomeriggio e non avevano ancora
chiarito.
Una volta giunti sotto casa di Joe, Dom si voltò a
guardarlo e i suoi occhi scuri lo fecero tremare sul sedile.
«Sei incazzato?» domandò.
Joe si morse il labbro inferiore e sospirò. «Non lo so
più. Sono solo stanco.»
Dom si allungò verso di lui e gli posò una mano sul
braccio. «Ti porto da me e ci rilassiamo un po’. Ti va? Beviamo una tisana e
guardiamo qualche film stupido in tv.»
«Possiamo farlo anche a casa mia» replicò senza nemmeno
rendersene conto.
E, mentre scendevano dall’auto e raggiungevano il suo
appartamento, il biondo si chiese cosa sarebbe successo.
I brividi che provava sotto gli occhi famelici di Dom non
erano normali, non potevano esserlo.
Perché, per contro, la sua mente pensava a Price e questo
lo faceva sentire colpevole.
Dom si buttò sul divano e lo guardò. Si scambiarono
occhiate intense – Joe non le sapeva interpretare, sapeva solo che c’era una
tempesta nel suo corpo: scuoteva le sue ossa, gli increspava la pelle, lo
travolgeva con maggiore potenza ogni secondo di più.
Come poteva starsene lì, a farsi spogliare dagli occhi di
Dom senza sottrarsi a quelle attenzioni?
Fu il moro a prenderlo gentilmente per il polso e a
trascinarlo vicino a sé; Joe rimase in piedi, il cuore in tumulto e le palpebre
socchiuse.
Dom tenne tra le mani il suo polso e vi lasciò scorrere
le dita. «Lo fai apposta?»
«Cosa?» farfugliò il padrone di casa, un brivido a
corrergli lungo la schiena.
«A lasciare scoperti i polsi.» Dom si chinò e lambì
appena la sua pelle con le labbra, facendolo sobbalzare.
«Dom…»
Ma l’altro lo prese per i fianchi e lo fece sedere sulle
proprie ginocchia, stringendolo da dietro e facendo aderire il petto alla sua
schiena. Appoggiò il mento sulla sua spalla e rimase immobile, cullandolo
appena in quell’abbraccio inaspettato.
«Stai tremando.» Dom lo mormorò contro il suo collo e vi
depositò un lieve bacio. «Va tutto bene.»
«No…»
«Sì.» Il moro lo baciò ancora. «Rilassati. Non voglio più
litigare come oggi, cazzo.»
Joe deglutì; infine non poté che abbandonarsi contro di
lui, lasciandosi sfuggire un sospiro. «Nemmeno io, però…»
«Non ti piace fare la pace in questo modo?» ghignò il
moro, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio.
«Io, Dom, io…»
«Rimaniamo così, va bene? Non facciamo nient’altro. Te lo
giuro.»
Joe si convinse, perché in fondo si sentiva bene – troppo
bene – tra quelle braccia forti e confortanti.
Anche se la sua mente andava a Price e ai momenti
speciali che aveva vissuto con lui.
Anche se il batterista non l’aveva mai abbracciato così,
anche se non lo aveva mai baciato così, anche se non si erano mai spinti oltre.
War
is raging in my head
Don't know which
side wants me dead
[Get Better]
«Ho un casino in testa, Phil. Un fottuto casino.»
Il bassista annuì. «E Dom non ti aiuta.»
«Lui… beh, è colpa mia.» Il biondo ripensò al modo in cui le
mani del chitarrista scorrevano sul suo corpo e un brivido lo colse. «Però c’è
qualcosa che non va. Quando sto con lui non sono mai del tutto convinto, non…»
«Non ti senti a tuo agio?» suggerì Phil, lanciando
un’occhiata dispiaciuta alla vaschetta di patatine piena per metà. «Alla fine
non le abbiamo mangiate e sono diventate fredde» commentò.
Joe scrollò le spalle e ne afferrò una, la portò alle labbra
e la masticò. «Non sono male, le mangio io.»
«Sai che c’è?» L’altro lo imitò, il viso dai lineamenti non
troppo marcati illuminato da un sorriso. «Hai ragione. Non sprechiamole.»
Mangiucchiarono per un po’, poi Joe sospirò. «Poi c’è
Price…»
«Già, Price. A volte è talmente timido che è difficile
capire cosa prova.» Il bassista finì di bere dal suo bicchiere e incrociò le
braccia sul petto ampio. «È il migliore quando si tratta di fare baldoria, però
è molto chiuso in se stesso.»
Joe sorrise. «Ci somigliamo in questo.»
«Vero. Beh, Price è un bravo ragazzo.»
Joe si ritrovò ad annuire: il batterista non parlava a ruota
libera come Dom, non era estroverso come lui, tuttavia aveva un modo tutto suo
di porsi e di farlo sentire amato.
Perché Joe era così che si sentiva quando era in compagnia
di Price, anche se poi la sua mente correva a Dom e alle sensazioni potenti e
destabilizzanti che lo investivano quando stavano insieme.
Love, it stings and
then it laughs
At every beat of my
battered heart
The sudden jolt, a
tender kiss
I know I'm gonna die
of this
[Impossible]
Joe era seduto sul bracciolo del divano e teneva la gamba
sinistra appoggiata su quella destra di Price.
Non lo aveva mai considerato un gesto importante o
strano, a volte capitava che stessero vicini; in effetti, succedeva con tutti i
membri della band ed era bello poter essere se stessi, potersi confortare o
stare accanto gli uni agli altri senza porsi problemi.
Erano rimasti da soli, in attesa che i ragazzi tornassero
con qualcosa da mangiare.
Price, dall’alto della sua proverbiale pigrizia, si era ancorato
in pianta stabile sul divano della sala prove e aveva deciso di non muoversi,
delegando qualcun altro affinché procurasse il pranzo per tutti.
Joe non aveva fatto in tempo a proporsi che subito Conor
e Dom avevano cominciato a litigare per decidere in quale fast food recarsi,
dirigendosi all’esterno tra battibecchi e strilli isterici del cantante.
Phil allora si era stretto nelle spalle e, dopo aver
sollevato gli occhi al cielo, aveva ritenuto opportuno seguirli per assicurarsi
che non si ammazzassero per una ragione tanto stupida.
Così Joe e Price si erano ritrovati soli.
E Joe si sentiva particolarmente agitato, perché quando
nella stanza non c’erano che lui e il batterista, il cuore gli batteva più
forte.
Sentiva il calore del suo corpo, il suo profumo familiare
e inaspettatamente dolce – a guardarlo, Price dava tutt’altra impressione – e
la sua presenza rassicurante.
Era naturale per Joe stargli accanto, non si sentiva a
disagio.
E non si sentì a disagio neanche quando Price, mentre
parlava di qualcosa riguardante i nuovi brani che avevano da registrare, poggiò
il braccio sulla sua coscia e giocherellò con un lembo dei suoi jeans
strappati.
«Ti piacciono davvero?» chiese il biondo.
«Certo.» Price lo guardò attraverso le lenti degli
occhiali da vista. «Sai che ammiro come riesci a scrivere dei testi tanto
belli.»
«Potrebbe farlo chiunque, non esagerare» minimizzò il
biondo.
Si soffermò sul viso dell’altro, sulla sua espressione un
po’ buffa e su quei tratti che non avevano un fascino particolare, ma che lo
rassicuravano. Price era rassicurante, tutta la sua persona lo aiutava a stare
bene, a sentirsi tranquillo.
«No, amico. Io non ci riuscirei mai!» si schernì il
batterista, battendo appena qualche colpetto sulla sua coscia.
Joe udì le sue parole e registrò quell’amico come
se stonasse, come fosse un errore. C’erano volte che desiderava essere di più
per lui, non poteva negarlo: gli veniva voglia di ricercare i suoi abbracci, i
gesti casuali e delicati che gli dedicava, i silenzi che avrebbe voluto sondare
e scoprire cosa nascondessero.
«Potresti provarci» replicò Joe.
«Mi insegni tu, piccolo Kurt?» lo punzecchiò.
Il chitarrista ridacchiò. «Ancora con questa storia?»
«Gli somigli davvero!» Price si stiracchiò appena e Joe
spostò la gamba, stringendosi meglio sul bracciolo. «Vado in bagno» disse
ancora il batterista, alzandosi a fatica dal divanetto.
«Interessante» bofonchiò il biondo.
Fu in quel momento che Price lo sorprese: si chinò
rapidamente su di lui e gli schiacciò le labbra sulla guancia, producendo uno
schiocco rumoroso. «Non fare quella faccia disgustata, piccolo Kurt» sghignazzò
e si diresse verso la porta.
Joe lo fissò mentre si allontanava e desiderò
ardentemente di avere il coraggio per alzarsi, corrergli dietro e intrappolarlo
in un abbraccio.
Appollaiato sul bracciolo, portò le dita a sfiorare il
punto in cui le labbra di Price si erano posate poco prima.
Il cuore gli martellava rumorosamente nel petto e temette
che presto avrebbe ceduto.
Avrebbe voluto sentirle altrove, avrebbe voluto
assaporarle e mordicchiarle.
Poi si ricordò che poteva farlo con quelle di Dom – fino
a farle sanguinare, fino a percepirle come fossero sue.
Scosse il capo e si lasciò scivolare sul divano,
prendendo il posto di Price; poteva sentirne l’odore, il calore – l’assenza.
Perché doveva succedergli quel disastro in testa e nel
cuore?
Do you see something
real or just some kind of mirror?
Staring back at you
[Neon Brother]
Phil lo guardò intenerito, Joe poteva leggere nelle sue
iridi un’infinita dolcezza. Riusciva a capire perché Conor si sentisse tanto
amato da quel ragazzo: aveva un modo attento e premuroso di osservare le
persone a cui teneva, anche se le occhiate che aveva sempre rivolto al cantante
contenevano qualcosa di speciale, qualcosa che non avrebbe mai potuto riservare
a qualcun altro.
«Con Price le cose non sono impetuose come con Dom, ma… non
so se prova qualcosa per me» ammise Joe.
Avevano appena ordinato un caffè e lo stavano sorseggiando dai
grandi bicchieri in plastica che il cameriere aveva depositato sul loro tavolo
poco prima.
Phil gli strinse la mano. «C’è una luce diversa nei tuoi
occhi quando parli di Price.»
«Tu dici? Io mi sento sempre più confuso… perché con Price è
come se ci fosse tantissimo affetto, capisci?»
«Joe, senti…» Phil si schiarì la gola e distolse appena lo
sguardo. «Anche tra me e Conor è così.»
«Ma voi… il vostro è un rapporto dove c’è, beh, un po’ di
tutto. No? Dovrebbe essere così, invece…» Il biondo deglutì e spostò di lato il
bicchiere pieno di caffè, decidendo di farlo raffreddare un po’ prima di
riprovare a berlo – si era quasi scottato la lingua.
«Non ti senti attratto da Price?»
Joe non seppe cosa replicare, non tanto perché non conoscesse
la risposta, quanto perché si vergognava a morte: parlare di sentimenti con
Phil era un conto, sfociare in campi più concreti era ben diverso. Si limitò a
mordersi il labbro inferiore, facendo di tutto per evitare le occhiate
dell’amico.
«Ma ti senti attratto anche da Dom» proseguì Phil, come se
gli avesse letto nella mente.
Joe annuì.
«Allora devi solo capire dove vuole stare il tuo cuore»
concluse il bassista, alzandosi e dirigendosi verso la cassa per pagare.
Joe era intontito e non riuscì neanche a protestare, ma
avrebbero fatto i conti più tardi, quello non era un problema; tuttavia, sapeva
che Phil aveva ragione: nessuno poteva dargli le risposte che cercava, doveva
essere lui a trovarle dentro sé.
Questo non aveva niente a che fare con il fatto che Dom e
Price lo ricambiassero o meno, era una questione che doveva risolvere con se
stesso.
Doveva guardarsi allo specchio e leggere nei suoi stessi occhi
per comprendere cosa volevano comunicargli quando pensava ai due ragazzi che
popolavano la sua mente.
I'm an exception
It's hard to accept
[…]
I don't wanna be
myself
It's making me so
unwell, yeah
I don't wanna be
myself
Just wanna be
someone else
[Soda]
Quando aveva bisogno di un abbraccio amichevole e
comprensivo, Joe sapeva esattamente chi cercare.
Conor era affettuoso, dolce e sensibile. Non c’era bisogno
di chiederglielo, perché il cantante comprendeva con una sola occhiata quando
qualcuno necessitava di un po’ di conforto.
Quando Joe si presentò a casa sua, dopo aver lasciato Phil
fuori dal fast food in cui avevano pranzato, il cantante gli sorrise con
estrema gentilezza e lo attirò a sé ancor prima che potessero richiudere la
porta.
«Non fare quella faccia, dai» gli sussurrò, accarezzandogli
la schiena.
«Scusa…» Joe lo mormorò con voce spezzata e strinse più
forte l’amico.
Conor si scostò un poco da lui e gli pizzicò una guancia.
«Non chiedermi scusa, cretino.» Poi richiuse la porta e lo prese per mano,
trascinandolo in salotto e buttandosi insieme a lui sul soffice e grande
tappeto stracolmo di cuscini.
Il chitarrista rimase seduto con le mani in grembo e lo
sguardo basso. «Mi sento una merda» borbottò. «Prima ho importunato Phil, ora
vengo a disturbare te.»
Conor incrociò le gambe, sistemandosi proprio di fronte a
lui. «Uhm, quindi il mio fidanzato mi stava tradendo e tu me lo dici così?»
scherzò, accarezzandogli un braccio. «Insomma, Joe, siamo i tuoi amici! Non ci
disturbi affatto, anche perché io non sono da meno: quando litigo con Phil…» Si
interruppe e storse il naso. «Okay, quando litigo da solo e Phil mi sopporta,
da chi vado a rompere le palle?»
«Beh, è diverso…» Joe gli sorrise e lo ringraziò mentalmente
per il suo blaterare entusiasta e allegro: se Phil era un amico tranquillo e
pacato, Conor era l’esatto opposto e a volte era proprio quello che gli
serviva.
«Niente affatto! Ma dimmi, come stava il mio uomo?»
«Si è allenato tanto per essere più bello per te» replicò
Joe in tono scherzoso.
Conor piegò la testa di lato, i capelli disordinati a
ricadergli sulla fronte. «Non vedo l’ora di complimentarmi con lui!»
Il chitarrista ridacchiò. «Ma, Conor…»
«Sì?»
«Tu come hai capito che Phil faceva per te?» domandò,
ripetendo le stesse parole che aveva rivolto al bassista durante il pranzo.
Il cantante si sporse in avanti e gli prese le mani tra le
sue, facendosi serio e lasciando che il viso delicato si illuminasse –
succedeva sempre quando parlava di Phil. «L’ho capito dai suoi sguardi: lui mi
guardava con rispetto e tenerezza, e io mi sentivo bene. Mi
bastava una sua occhiata per rendermi conto che andava tutto per il verso
giusto e che non c’era niente di sbagliato in me.»
Joe inarcò le sopracciglia e si morse appena il labbro
inferiore. «Come fai a sapere…»
Conor scosse il capo. «Inizialmente anche io pensavo di
sbagliare. Com’è che dice Soda? Sono un’eccezione, è dura da
accettare… però è l’unico modo che abbiamo per essere felici.»
Il chitarrista sospirò e strinse più forte le dita
dell’altro. «Soda dice anche che non voglio essere me stesso. È
come mi sento, Conor.»
«Lo so, lo capisco perfettamente. Però tu sei così e devi
accettarti. Senti…»
«Phil mi ha fatto riflettere su ciò che provo quando sto con
Dom e cosa provo quando invece sono con Price» raccontò Joe, sentendosi
avvampare per l’imbarazzo.
«Questo ti ha schiarito le idee?» chiese il cantante, gli
occhi scuri fissi nei suoi.
«Insomma… so solo che vorrei essere qualcun altro,
qualcuno di più deciso e capace di prendere in mano la situazione» ammise in un
sussurro, chinando il capo – si accorse appena che le lunghe ciocche dorate gli
erano piovute di fronte al viso.
Sentì le dita sottili e gentili dell’amico scostarle e
sistemargliele dietro l’orecchio. «Ehi, va tutto bene. Capirai cosa fare» tentò
di rassicurarlo.
Tutto ciò che Joe riuscì a fare fu annuire, poi si sporse in
avanti e reclamò un altro abbraccio dal ragazzo che sedeva di fronte a lui;
Conor lo trascinò contro di sé e, ridendo, finirono distesi sul tappeto con la
testa affondata in un grande cuscino.
Si abbracciarono e chiusero gli occhi, rimanendo in silenzio
per un po’.
«Non è che Phil è geloso se scopre che preferisci i miei
capelli ai suoi?»
Conor, intento a giocherellare con alcune ciocche bionde di
Joe, ridacchiò in quel modo cristallino che lo contraddistingueva. «Quando se
li farà crescere e li tingerà di biondo, potrà avanzare qualche pretesa.»
Joe rise. «Mi sono appena immaginato Phil biondo e ho
provato un moto di disgusto» ammise, tenendo la guancia sul petto magro
dell’amico.
«Anch’io.» Conor rabbrividì. «Merda, che immagine
raccapricciante!»
Il chitarrista si sollevò e si mise nuovamente a sedere,
osservando Conor dall’alto in basso. «Grazie, amico» mormorò.
Il cantante si stiracchiò e intrecciò le braccia dietro la
nuca, ridacchiando ancora. «E per cosa?»
«Mi hai abbracciato, io… ne avevo bisogno.»
«Che sarà mai? Io abbraccio sempre tutti!» minimizzò il
cantante, anche se i suoi occhi brillavano: era evidentemente felice di averlo
aiutato.
«Adesso so cosa devo fare.»
Conor lo fissò interrogativo. «Affrontare Price e dirgli che
lo ami?»
Joe alzò gli occhi al cielo. «Non esagerare, andiamo! Io
ancora non lo so…»
«E allora?»
«Vado da Dom.» Joe si mise in piedi e fece per dirigersi
verso l’uscita.
Conor lo imitò e lo strinse in un ultimo abbraccio,
battendogli piano sulla schiena. «Tranquillo, il tuo cuore capirà quello che la
tua testa non vuole accettare.»
«Lo spero» sussurrò Joe.
Il padrone di casa si scostò da lui e lo guardò negli occhi.
«Buona fortuna.»
Lover
I feel your sorrow
Pouring out
Of your skin
[…]
And I can see you
I can feel you
Slipping through my
hands
[Lover, Please Stay]
Nel tragitto verso casa di Dom, Joe tentò di pensare a
qualcosa di sensato da dirgli.
Voleva spiegargli come si sentiva quando stavano insieme –
attratto, stregato, inadeguato – ma non sapeva come fare. Non voleva
offenderlo, farlo soffrire, farlo sentire usato.
Non era semplice per lui accettare ciò che provava per quei
due ragazzi, ma la situazione con Dom era andata decisamente oltre e lui non
riusciva più a gestirla da mesi.
Non erano una coppia, non erano soltanto amici –
semplicemente, stavano nel limbo.
E questo per Joe era impossibile da affrontare, non ce la
faceva più; quando era tra le braccia di Dom pensava a Price, mentre quando gli
capitava di rimanere da solo con il batterista si sentiva invadere dal ricordo
della passione che condivideva con l’altro chitarrista.
Era frustrante, ma ancor di più era destabilizzante rendersi
conto che probabilmente il suo cuore sapeva da tempo a chi apparteneva.
Raggiunse casa di Dom – fu costretto a fare quattro rampe di
scale perché l’ascensore del palazzo era rotto da settimane – e bussò con un
po’ di timore.
Ormai però era lì e non aveva alcuna intenzione di tirarsi
indietro.
Il moro aprì la porta e si sorprese di trovarlo lì: era
quasi ora di cena e non si erano messi d’accordo per vedersi; inoltre, in quei
giorni la band era in pausa, avevano deciso di prendersi un po’ di tempo per
riposare e ricaricare le batterie dopo il recente tour.
E Joe, complice la confusione mentale che provava, aveva
evitato Dom in tutti i modi possibili, rifiutandosi perfino di lavorare con lui
su qualche idea rimasta in sospeso da prima della partenza.
«Ehi» lo salutò, invitandolo a entrare con un lieve cenno
del capo.
«Ehi.» Joe si morse il labbro inferiore e rifuggì lo sguardo
dell’altro, facendosi avanti e avviandosi verso la piccola cucina.
Dom richiuse l’uscio e lo seguì. «Come stai? Non hai
risposto al telefono in questi giorni…»
«Sto bene.» Joe si lasciò cadere su una sedia e sospirò.
«Non si direbbe.» Dom si mosse in fretta e si piazzò dietro
di lui, lasciando scivolare piano le mani sulle sue spalle.
Joe, stanco di tutta la tensione accumulata, si abbandonò
con la nuca contro il torace dell’altro e chiuse gli occhi, respirando piano
mentre avvertiva le dita di lui insinuarsi tra i suoi capelli.
Rimasero in silenzio per un po’, Dom ad accarezzarlo e
massaggiargli il collo, Joe a godersi quell’ennesimo istante di inadeguatezza.
La sua mente gridava, lo insultava, lo rimproverava
aspramente – erano altre le dita che avrebbe voluto avvertire su di sé, altri i
respiri che avrebbe voluto ascoltare dritti nel suo orecchio, altre le labbra
che avrebbe voluto baciare con calma.
Eppure era lì, rimaneva fermo, a farsi toccare da quelle
mani esperte e meravigliose, mani che ormai lo conoscevano fin troppo bene –
che sapevano farlo godere, urlare, rabbrividire.
Si ritrasse e si mise in piedi, spingendo la sedia di lato.
Si ritrovò occhi negli occhi con Dom, si godette le sue iridi scure e intense
che scintillavano di desiderio e si disse che no, non poteva esserci un posto
migliore per lui.
Si sedette sul tavolo alle sue spalle e attirò il
chitarrista moro a sé, allacciandogli le gambe alla vita e intrappolandolo in
un bacio ardente e intenso – insensato e sconclusionato.
Un contatto fisico che gli faceva bruciare il corpo, ma che
non era in grado di fargli provare le emozioni che stare accanto a Price gli
provocava – non era necessario che il batterista lo sfiorasse per farlo sentire
nel posto giusto al momento giusto.
Ricordò le parole di Conor – Mi bastava una sua occhiata
per rendermi conto che andava tutto per il verso giusto e che non c’era niente
di sbagliato in me – ed era già troppo tardi.
Perché Dom aveva già cominciato a spogliarlo, si era già
chinato tra le sue gambe e gli stava già strappando gemiti difficili da
controllare.
Joe si stava lasciando andare per l’ennesima volta, anche se
mai come in quel momento si sentì inadeguato e sbagliato.
Dom l’aveva portato in camera da letto e l’aveva spogliato
completamente.
Lo ammirava come faceva sempre, prendendosi un po’ di tempo
per contemplare il suo corpo pallido e per accarezzarlo con dita roventi.
Fu allora che Joe lo vide aggrottare le sopracciglia scure e
rivolgergli uno sguardo che non riuscì a interpretare.
«Che succede?» mormorò, mettendosi su un fianco.
Dom era a torso nudo e i capelli, complici i baci passionali
e il modo in cui Joe vi si era aggrappato, gli ricadevano disordinati sulla
fronte – ormai non era rimasto niente della perfezione raggiunta dal
chitarrista con abbondanti dosi di gel.
«Lo sento, Joe» sussurrò soltanto.
«Cosa?»
«Che stai male» disse, sdraiandosi accanto a lui.
Non si sfiorarono, rimasero su un fianco a guardarsi negli
occhi e Joe avrebbe voluto evitare quello sguardo indagatore.
Era logico che Dom prima o poi se ne sarebbe accorto.
«Sì» sussurrò il biondo, stanco di negare l’evidenza.
«Che succede?» Il moro appoggiò una mano sul suo fianco nudo
e continuò a scandagliare i suoi occhi.
Joe non lo intese come un gesto malizioso, anzi, si sentì
confortato dalla delicatezza con cui – lentamente – le dita callose dell’altro si
muovevano su di lui, come a volerlo rassicurare e mettere a suo agio.
Sorrise amaramente. «Sono confuso…»
«Oh, no che non lo sei.» Dom sorrise di rimando. «Il tuo
cuore sa cosa provi, amico mio.»
A Joe quelle due parole ferirono le orecchie, ma suonarono
mortalmente vere: loro due erano amici – anche se avevano fatto cose che
gli amici non fanno.
«Ho visto come cerchi Price, come lo guardi… non sono
stupido.» Il moro fece una pausa e risalì e scostargli una ciocca dorata dal
viso. «Ma so anche che avevi bisogno di questo. Di me e te, così. Lo so e mi è
sempre andato bene.»
«Dom, io…»
Ma si interruppe, comprendendo per la prima volta che
l’unico a non essersi accorto della verità era proprio lui. Forse anche Price
aveva scorto il modo in cui lo desiderava – non voleva neanche pensarci.
«Ti sento scivolare via dalle mie mani ogni volta che ti
tocco» proseguì l’altro, scostando le dita dal suo viso e abbandonandole sul
lenzuolo. «Perché non vuoi che sia io a farlo. Non è vero?»
Joe si morse il labbro e chiuse gli occhi.
«Non c’è niente di male, ehi.»
Sollevò nuovamente le palpebre e incrociò le iridi serene – tristi
– dell’altro, sentendosi mortalmente in colpa perché lo stava facendo soffrire.
«Dimmi la verità» lo incoraggiò Dom, sorridendogli appena.
«Ti farà bene.»
«Non ci riesco, io…»
«Se non lo dici a me, come pensi di affrontare Price?» gli
chiese, l’espressione seria e determinata di chi sa sempre come comportarsi.
Joe avrebbe tanto voluto essere come lui.
«Non lo affronterò. Non posso. Lui non prova lo stesso,
questo è certo.»
«Come fai a saperlo se non gli parli?» Dom si allungò per
prendere il lenzuolo e, con calma e delicatezza, lo avvolse attorno al suo
corpo; poi lo attirò a sé e lo abbracciò, baciandolo tra i capelli. «Ti voglio
bene, capito?»
Joe ebbe seriamente paura di commuoversi. «Non sei mai stato
così…»
«Tenero? Lo so, amico, io e Phil in questo siamo diversi,
anche se siamo cugini.» Rise e lo strinse più forte. «Non preoccuparti, Price
non sarà così stupido da lasciarti scappare.»
Joe sospirò e ricambiò la stretta. «Dom, però tu…»
«Io ti voglio bene. Ti aiuterò sempre: l’ho fatto finora e
lo farò quando ti servirà.» Si interruppe e sorrise. «E anche quando non ti
servirà. Insomma, sarò sempre in mezzo ai coglioni.»
«Che idiota!»
«Adesso però vestiti e vai da lui» lo incoraggiò Dom,
aiutandolo a rimettersi seduto.
Joe lo guardò negli occhi e scosse piano il capo,
accostandosi alle sue labbra.
Si scambiarono un bacio che presto divenne passionale e
impossibile da fermare, mentre le mani di entrambi correvano a esplorare quei
corpi che, se non fossero stati provvisti di un cuore, non si sarebbero mai
separati.
Ma Joe ora sapeva qual era il suo posto e non voleva più
perdere tempo.
«Sei sicuro che sia tutto a posto?» domandò leggermente in
apprensione.
Erano in piedi accanto alla porta d’ingresso, dopo essersi
scambiati qualche altro bacio ed essersi rivestiti.
Dom gli sistemò meglio i capelli e lo baciò sulla guancia.
«Vai da Price, io sto bene. Promettimi che non ti sentirai mai in colpa per i
sentimenti che provi.»
Joe annuì, anche se era poco convinto. «Ci proverò.»
«Coraggio» concluse il padrone di casa, spingendolo
gentilmente verso l’esterno.
E quando Joe lo guardò per l’ultima volta, le sue iridi
scure erano venate di un po’ di malinconia, eppure risplendevano di
consapevolezza e serenità.
I couldn't wait to
tell you why
I'm standin' here
with this awkward smile
[Impossible]
Guidò come un pazzo e, per la seconda volta in quella
giornata, non sapeva cosa avrebbe fatto né cosa avrebbe detto.
Stava andando da Price e finalmente aveva una certezza:
voleva che fossero le sue dita a toccarlo, le sue labbra a baciarlo, i suoi
sguardi a rassicurarlo e farlo sentire amato.
Erano quasi le dieci di sera e lui non aveva mangiato
niente. Dom gli aveva proposto di mettere qualcosa sotto i denti prima di
andare a casa del batterista, ma Joe non aveva saputo aspettare oltre.
Non vedeva l’ora di vederlo e di stare con lui.
Forse non sarebbe riuscito a confessargli quanto teneva a
lui, a dire tutto ciò che gli ronzava per la testa, a esprimere ogni sensazione
che lo sopraffaceva quando si sentiva sfiorare da quegli occhi genuini e
bellissimi.
Ripensò ai suoi amici – Dom compreso – e realizzò quanto
fossero fantastici: diversi, ognuno con un modo tutto suo di donarsi a lui,
eppure tutti e tre erano riusciti a farlo ragionare e a fargli capire cosa
albergava nel suo cuore.
Gli avevano fatto comprendere che ogni risposta poteva
risiedere solo dentro di lui, che qualunque cosa avessero detto o fatto non
sarebbero stati loro a spingerlo verso la comprensione di se stesso.
Mentre aspettava che Price aprisse la porta, si accorse di
avere sulle labbra un sorriso imbarazzante che non vedeva l’ora di mostrargli.
Non gli importava come sarebbe andata: ormai sapeva a chi
apparteneva il suo cuore e non voleva più nasconderlo – anche se per lui era difficile
esporsi così tanto, anche se temeva di non essere ricambiato.
Price comparve sulla soglia con un’espressione stravolta –
forse stava dormendo e lui l’aveva svegliato; lo mise a fuoco e subito il suo
viso si illuminò.
«Non vedevo l’ora di dirti perché sono qui con questo
sorriso imbarazzante» esordì il biondo, senza riuscire a smettere – gli
dolevano le guance a furia di tenere le labbra inarcate verso l’alto.
«Ehi, piccolo Kurt! Il tuo sorriso non è imbarazzante, è
semplicemente… beh, quello che hai sempre.»
Price lo disse in tono ironico, eppure suonò come un
complimento che fece sciogliere il cuore di Joe nel petto.
«Però non chiamarmi in quel modo» lo rimbeccò, facendo un
passo avanti.
Price allungò lentamente una mano verso la sua. «Posso?»
Joe annuì e si lasciò stringere le dita; il batterista lo
attirò delicatamente verso di sé e richiuse la porta.
«Hai mangiato?» gli domandò, facendogli strada verso il
salotto.
Joe, il cuore in subbuglio per quel piccolo contatto, tentò
di scherzarci su e di distendere un po’ i nervi tesi. «No, Dom mi ha buttato
fuori senza darmi niente e mi ha espressamente detto di venire a elemosinare
qualcosa qui da te!»
«Però io non ho cibi sani, già ti avviso.» Il batterista lo
fece sedere sul divano e si puntò le mani sui fianchi stretti. «Cosa ti va?»
Joe sollevò il viso – ancora sorrideva come un bambino – e
avrebbe voluto dirgli che desiderava mangiare le sue labbra a suon di baci, ma
si trattenne e fece spallucce. «Mi va bene qualsiasi cosa.»
Price si diresse in cucina. «Beh, mi dici perché hai quel
sorriso?» gridò.
Il biondo non riuscì più a stare seduto: si alzò, lo
raggiunse e appoggiò le mani sulla sua schiena, indeciso sul da farsi.
Lo sentì sussultare e poté percepire chiaramente le sue
scapole sotto le dita, attraverso il tessuto della maglietta che indossava.
Voleva abbracciarlo, lo desiderava dannatamente. Ma sapeva
anche che quello non sarebbe stato un abbraccio innocente, da amici.
Rimase in silenzio e Price fece lo stesso.
Erano così timidi e sciocchi, si ritrovò a pensare Joe.
Nessuno dei due riusciva ad aprir bocca, a dire o fare qualcosa; se ne stavano
in piedi in mezzo alla cucina, il batterista gli dava le spalle e teneva le
mani ancora artigliate alla maniglia del frigorifero, mentre Joe non aveva spostato
le sue dalla sua schiena.
Poi Price si mosse e indietreggiò appena, andando a schiantarsi
sul suo petto. Fece per scusarsi – stava soltanto tentando di voltarsi nella
sua direzione – ma Joe si ritrovò a trattenerlo contro di sé, il respiro corto
e il cuore che palpitava senza controllo nella cassa toracica.
Faceva un rumore assordante, quel suono che gli ricordava i
colpi ben assestati che Price dava alla batteria quando suonava, quel tumulto
che solo il ragazzo tra le sue braccia riusciva a fargli esplodere dentro.
«Joe…» farfugliò Price, anche lui affannato e ancora
immobile.
«Price, io…»
Il batterista si volse lentamente, prendendogli
delicatamente il viso tra le mani. «Piccolo Kurt» soffiò.
«Piantala» bofonchiò il biondo, tirando un po’ indietro la testa.
L’altro ridacchiò e lo fissò attraverso le lenti degli
occhiali – Joe si ritrovò stupidamente a chiedersi come sarebbe stato baciarlo
e se quegli affari sarebbero stati di disturbo.
Allora scoppiò a ridere e, in un movimento fulmineo, catturò
le labbra dell’altro in un breve contatto. La sensazione che quel lieve tocco
gli provocò lo destabilizzò, non era niente di paragonabile ai baci ardenti e
vuoti che si era sempre scambiato con Dom.
Price avvampò, ma non si ritrasse e continuò a guardarlo
negli occhi.
«Volevo…» Joe si morse l’interno della guancia, a disagio.
«Solo scoprire se gli occhiali ti disturbano quando baci qualcuno» ammise,
sentendosi infinitamente idiota e tremendamente felice.
Il batterista alzò gli occhi al cielo e scoppiò a ridere, lasciando
andare il suo viso e incrociando le braccia al petto. «Ah, era solo questo?
Approfittatore!»
«No, Price, ecco…»
L’altro scosse il capo e continuò a sghignazzare. «Non
accetterò le tue giustificazioni. Prima ti do da mangiare, così nel frattempo
deciderò se farti scoprire ciò che vuoi oppure no» scherzò, poi aprì il
frigorifero e cominciò a frugarci dentro.
Gli dava nuovamente le spalle e a quel punto Joe non ebbe più
paura: si avvicinò e lo abbracciò piano, appoggiando il mento sulla sua spalla.
«Scusa» mormorò.
«Sai che sei un ruffiano, piccolo Kurt?» bofonchiò il moro.
«Non vedevo l’ora di dirtelo.»
«Dirmi cosa?» chiese Price, afferrando qualcosa dal frigo e
richiudendo lo sportello – anche se faticò, dal momento che Joe non voleva
lasciarlo andare e continuava a tenerlo stretto da dietro.
«Che, beh…» Cercò le parole, frugò nella sua mente e sperò
di trovare il coraggio per dichiararsi in un modo decente; tutto ciò che
fuoriuscì dalle sue labbra tuttavia fu: «Se vuoi posso essere il tuo piccolo
Kurt».
Price esplose in un’altra risata e lo spinse via, avviandosi
nuovamente verso il salotto. «Che stupido, non ci posso credere! Vieni, ti ho
preso qualche sandwich.»
Joe lo raggiunse e si appollaiò sul bracciolo del divano.
«Con tutto lo spazio che c’è, perché ti siedi proprio lì?»
domandò perplesso il batterista, lasciandosi cadere a peso morto al suo fianco.
Joe si strinse nelle spalle e sollevò la gamba sinistra,
appoggiandola sulla coscia destra dell’altro.
Si scambiarono un’occhiata e si resero conto che adesso quel
gesto era naturale, che non c’era niente di male a stare così vicini e a darsi
il tempo e l’occasione di comprendere i sentimenti che provavano l’uno per
l’altro.
Poi Price gli porse la sua cena e, incrociando le braccia al
petto, lo osservò mangiare con estrema attenzione.
«Mi imbarazza quando mi fissi così» farfugliò il biondo,
sentendo il viso andargli a fuoco.
«Abituati: a me piace guardarti, piccolo Kurt» ammise
candidamente l’altro, un sorriso colmo di dolcezza dipinto in volto.
Joe sussultò appena e ricambiò il gesto. «Questo vuol dire
che…»
«Non avevo il coraggio di dirtelo apertamente, ma anche per
me è lo stesso.» Price si grattò la nuca. «Nel senso, se proviamo la stessa
cosa, beh…»
«So solo che quando mi guardi sto bene» sussurrò il biondo,
mangiucchiando il sandwich farcito con tonno e chissà quali altre diavolerie in
pieno stile James Price.
Il batterista prese ad accarezzargli piano la coscia,
avvicinandosi a lui e appoggiando la guancia contro la sua spalla.
Rimasero sospesi in un silenzio che non sapeva di imbarazzo,
ma di nuovi inizi e di genuina timidezza.
Anche se – Joe ne era cosciente – il suo corpo stava
cominciando a reagire in quel modo caldo e delizioso che conosceva fin troppo
bene, quel modo che aveva sempre cercato di reprimere in presenza del
batterista perché convinto che fosse giusto soltanto con Dom.
Heaven
There's room for us
in heaven
We could stay this
way forever
[Tempt You (Evocatio)]
Joe si sentiva invaso, pieno, completo.
E Price non aveva fatto altro che spogliarlo, ammirarlo,
accarezzarlo con estrema timidezza e delicatezza.
Sembravano due ragazzini alle prime armi: sorridevano e si scambiavano
baci colmi di dolcezza.
Anche Joe l’aveva spogliato e si era reso conto che amava da
impazzire quel suo corpo magro ma tonico, le braccia da batterista più forti di
quanto sembrassero, il modo in cui sobbalzava a ogni suo tocco e a ogni suo
bacio.
Price era steso su di lui, erano occhi negli occhi, si sfioravano
con gesti quieti e teneri.
«Ma quanto cazzo sei bello, piccolo Kurt?» sospirò il
batterista, sfiorandogli il collo con le labbra.
Joe gemette e si lasciò stuzzicare dalla barba dell’altro,
mentre una cascata di brividi lo scuoteva fin nel profondo.
Si esploravano con lentezza, riempiendosi di baci e tracciando
l’uno il profilo dell’altro con dita tremanti.
Anche Joe avrebbe voluto dirgli che era bello da morire, che
era l’essere più bello che conoscesse e che lo voleva dannatamente.
Ma tutto ciò che riuscì a pretendere – con un ghigno
divertito e malizioso – fu che tenesse addosso gli occhiali.
«Non mi disturbano quando ti bacio» soffiò.
«Mi trovi sexy, eh?»
Joe rise e lo prese meglio tra le braccia, ricominciando a
baciarlo e a sfiorare i suoi fianchi stretti con le mani.
E quando finalmente si unirono per la prima volta, tenendosi
stretti, i loro respiri si fusero e si mescolarono con una naturalezza che non
avrebbero mai creduto possibile.
Joe era felice che fossero le dita di Price a infuocare la
sua pelle, le sue labbra a baciarlo, i suoi occhi a immergersi nei propri –
delicati e caldi proprio come i suoi timidi affondi nel suo corpo.
E lo percepiva, lo sentiva, lo vedeva: Price era premuroso,
dolce, attento a non fargli del male e a non invaderlo con irruenza.
Era bello poter scandagliare l’anima l’uno dell’altro
attraverso sguardi colmi d’amore e carezze rispettose.
Perfino i loro gemiti furono lievi, anche se Joe li
percepiva intensi e vibranti in ogni fibra dei loro corpi.
Sentirsi Price addosso, avvertire il suo cuore battergli nel
petto come se gli appartenesse, poterlo finalmente amare come aveva sempre
desiderato… tutte quelle sensazioni stavano facendo comprendere a Joe che aveva
preso la decisione giusta.
Il corpo, il cuore e la mente erano in pace, adesso:
completamente in accordo e in armonia – proprio come il suo corpo era
sincronizzato con quello del ragazzo che amava.
E gli sarebbe piaciuto rimanere così, con lui, per sempre:
non si sentiva più inadeguato, sbagliato, a disagio.
Si sentiva nel posto giusto al momento giusto, stretto tra
le braccia di Price mentre si amavano quasi con disperazione.
So wake up
This ain't a dream
'Cause everything's
exactly how it seems
[Live Like Animals]
Si svegliò insolitamente tardi, rannicchiato nell’abbraccio
di Price.
Strabuzzò gli occhi e dovette trattenersi per non pizzicarsi
una guancia: aveva davvero dormito con quel ragazzo?
Con Dom non era mai successo: avevano sempre consumato la
loro passione in pochi minuti, per poi rivestirsi e tornare alle loro solite
vite; ma Dom, realizzò Joe, non era stato altro che uno sfogo per i suoi
bisogni fisici.
Era stato un amico prezioso, gli aveva dato ciò di cui aveva
avuto bisogno prima che comprendesse dove risiedesse realmente il suo cuore.
Un enorme sorriso gli tirò le labbra e, piano, si mosse
contro Price e sollevò il viso per depositargli un soffice bacio sul mento.
L’altro reagì appena e rafforzò la stretta sui suoi fianchi.
Joe fu ben felice di lasciarsi abbracciare con più intensità
e si sporse a sfiorarlo nuovamente con le labbra.
«Ehi, piccolo Kurt…» Price sbadigliò e sollevò appena le
palpebre.
Joe lo trovò estremamente tenero e buffo: i capelli corti e
scuri ammassati in maniera incomprensibile, il viso rilassato e stravolto dal
sonno, le labbra appena dischiuse.
«Allora non sto sognando» mormorò il biondo.
«Sognando? Che cazzo, io stavo sognando e tu mi hai svegliato!»
replicò Price fingendosi contrariato.
«Scusa…»
Il batterista lo spinse con la schiena contro il materasso e
si stese sopra di lui, sorridendogli con una punta di malizia. «Quello che c’è
nella realtà è più bello» sussurrò, chinandosi a riempirgli il viso di baci.
Joe si abbandonò con il capo contro il cuscino e si lasciò
coccolare in quel modo dolce che non si sarebbe mai aspettato di sperimentare –
non con quel ragazzo, almeno.
«Hai dormito bene?» mormorò il batterista contro il suo
orecchio, sistemandosi meglio tra le sue cosce e incastrando le dita tra i suoi
capelli.
«Sì.» Joe sospirò e lo strinse forte, rendendosi conto che
stava realmente vivendo ciò che desiderava da tempo.
Anche se non ne era stato consapevole e tutti – Dom compreso
– lo erano stati al posto suo.
Ripensò per un attimo a Phil e ai suoi consigli, a Conor e
ai suoi abbracci, a Dom e al favoloso sesso che avevano fatto nei mesi
precedenti. Ma pensò anche a Dom che lo spronava a seguire il suo cuore, che lo
abbracciava e gli diceva quanto gli volesse bene.
E sorrise, perché era anche grazie alle parole e ai gesti di
quei tre ragazzi fantastici se ora si trovava finalmente tra le braccia di
Price.
Proprio lì dove avrebbe sempre voluto essere.
♥ ♥
♥
Carissimi lettori, eccoci alla fine di questo racconto!
Non so cosa pensare, se è stato decente o meno, però mi
piaceva troppo l’idea di scrivere di questo “triangolo” tra Joe, Price e Dom.
Ammetto che tra le due coppie io prediligo la Joice – ma
dai?! Non si era mica capito! – ma ho anche molto rispetto per la Joeminic e
volevo che finisse bene anche tra loro, insomma… Dom in fondo è stato un
pandoro dolcissimo con Joe, awwww!
E pensa, cara Soul, non ho neanche fatto trionfare la
Joeminic giusto per guadagnare punti nel gradimento personale (???)
AHAHAHAHAHAHAHAHAH!
A parte tutto, ringrazio infinitamente Soul per il suo
contest, altrimenti questa storia probabilmente non sarebbe mai nata *____*
Quanto mi mancava scrivere un po’ di Joice, ahhhhh! Questi
due non sono impetuosi come la Joeminic, li vedo molto più timidini e calmi, ma
questo non significa che non si amino o che non ci sia passione tra loro, anzi!
È che non ho voluto sfociare nel rating rosso, altrimenti ce ne sarebbe stato
da dire, eheheheheheheheheheheheheh!
Ho adorato anche dare spazio alle brotp perché sono
veramente ammirata da quanto siano legati in amicizia i ragazzi dei NBT; mi
stuzzicava proprio l’idea di mettere in luce i vari rapporti che Joe ha con i
vari membri della band, il modo in cui ognuno di loro lo aiuta o si rapporta
con lui… insomma, spero di essere riuscita a dar spazio a tutto e di aver reso
giustizia a ogni personaggio – non come nella flashfic di Capodanno
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAH XD
A parte gli scherzi, le citazioni che trovate disseminate
per la storia sono tutte tratte da canzoni dei Nothing But Thieves e prese dalla
lista suggerita da Soul per il contest ^^
Guardate, erano talmente belle che avrei voluto inserirle
tutte, ahahahahahahah! Questi ragazzi sono magici, inutile negarlo!
Anche il titolo della storia è tratto dal testo di una loro
canzone, ovvero Get Better!
Piccole note per chi non cono0sce bene il fandom: è vero che
Joe scrive gran parte dei testi della band – quindi, se sono tanto belli,
ringraziate lui *____*
Phil e Conor ormai sono canon in questo fandom, anche se
purtroppo nella realtà non stanno insieme – mmh, ne siamo proprio sicuri?!
Anche il fatto che Phil e Dom sono cugini è vero, infatti se
notate si somigliano pure; nella foto in cima, potete vedere, da sinistra a
destra: Price, Joe, Dom, Conor e Phil!
Anche se, lasciatemelo dire, io propendo decisamente verso
Phil per quanto riguarda i cuginetti… ahhh, Conor, quanto sei fortunato XDD
Un’altra cosa vera è che a volte Joe e Phil si allenano
insieme – c’è pure una foto che lo dimostra XD –, così come il fatto che Joe e
Dom siano praticamente vicini di casa (infatti lo stesso Joe, in un suo recente
live streaming, ha dichiarato che si vedono molto spesso, nonostante la
pandemia, per via di questa vicinanza di abitazioni).
Il fatto che Price chiami Joe piccolo Kurt l’ho messa
su basandomi su una cosa reale (XD): Joe infatti in certe foto ha una spiccata
somiglianza con Kurt Cobain e questo è stato notato da moltissimi fan, quindi
ho ben pensato di far usare quel nomignolo al batterista nei suoi confronti un
po’ come una presa in giro :3 awwww, too much fluff will kill me XD
Penso di non aver altro da spiegare, ma per ogni dubbio o
perplessità sono sempre a vostra disposizione per dei chiarimenti!
Grazie a chiunque arriverà fin qui e in particolare a chi mi
lascerà un piccolo commento :)
Alla prossima ♥
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