Memoriale
Seduta
sul pavimento, i calzini di lana fino al ginocchio e le gambe
incrociate, guarda con diffidenza lo scatolone ai piedi del letto
quasi che da un momento all’altro potesse mettersi a correre e
scapparle tra le gambe come un gatto.
A
voler essere realisti, è più probabile che sia lei a
voltare le spalle e ad uscire il prima possibile da quella stanza,
magari chiudendola a chiave per buona misura; non che ci sia nulla da
temere in quei quattro fogli di cartone consunti, ma quel senso di
disagio in fondo al petto non accenna ad andarsene, anzi sembra
aumentare ogni minuto in più che passa a fissare il suo ospite
silenzioso.
Probabilmente
il problema è che ad essere l’ospite in questo momento è
proprio lei, nonostante la casa sia sua; ma gli oggetti contenuti in
quello scrigno sgualcito non le appartengono, e questo rende tutto
più complicato.
Il
dilemma ha ben poco di amletico, ma non per questo è più
facile da sciogliere: aprire o non aprire? E una volta aperto, cosa
farne del contenuto?
Sposta
il peso sulla gamba sinistra, poi di nuovo sulla destra, mordicchia
una pellicina del labbro, e infine fa un passo in avanti, titubante;
dopo il primo passo viene naturale farne un altro, e poi un terzo,
prima di sedersi sui talloni ad osservare con più attenzione
l’innocuo pacco.
La
presenza di una spessa striscia di nastro adesivo le dà una
buona scusa per ritirarsi in cucina, finalmente lontana dalla trincea
che è diventata la camera da letto, una zona sicura dietro le
linee amiche; fa di tutto per prolungare quei due minuti scarsi che
le servono per trovare un taglierino nell’armadietto e
ripercorrere la strada fino alla camera.
Sulla
soglia della porta esita di nuovo. Il senso di colpa le solletica il
cuore, mentre la curiosità le striscia ai piedi; hanno
sbagliato, il peccato originale non è la superbia, ma la
curiosità, che ti sibila nell’orecchio come la più
soave delle tentazioni.
Cauta
si avvicina di nuovo allo scatolone, ancora immobile, nel punto
esatto in cui l’aveva lasciato, e tende l’orecchio, anche
se non c’è nessuno che possa coglierla con le mani nel
sacco.
Con
un movimento deciso ferisce plastica e carta insieme, squarcia il
corpo e ne separa i lembi rigidi con la freddezza di un chirurgo,
guarda dentro cercando delle risposte, o perlomeno una
giustificazione per quella violazione
Sul
fondo la attende il profilo rugoso di un album di fotografie.
Quando
lo solleva, la presa delicata che si riserva ad una reliquia appena
ritrovata, un’immagine in bianco e nero sfugge dalle pagine
ingiallite, scivolando pigramente verso terra, foglia avvizzita di un
albero morente. Incontra lo sguardo pieno di speranza di due ragazze,
non più di vent’anni, con i capelli corti e gli abiti in
stile Belle Epoque. Quella a destra, tiene sottobraccio l’altra,
mentre la bocca velata da un sorriso criptico si deforma appena, le
parole un segreto tra lei e il fotografo.
La
raccoglie con calma, posandola al proprio fianco; l’album
aperto sulle ginocchia è Minosse sul suo trono, giudice e
custode, ogni foto nel girone che le è stato assegnato.
Non
sapeva cosa si aspettasse di trovare, probabilmente dei vestiti
dismessi, qualche pezzo di bigiotteria dimenticata dai precedenti
proprietari; l’avrebbe preferito sicuramente: è più
facile avere a che fare con un vestito dimenticato che con i ricordi,
specialmente quelli che non ci appartengono.
Con
quale diritto si guarda nell’intimità di uno
sconosciuto?
Osserva
la gioia dipinta sui volti di ragazzi e ragazze in abiti d’epoca,
le occhiate complici catturate dall’obiettivo, le conversazioni
lasciate a metà, ancora in corso su quella pellicola dai
colori spenti; assiste alla vita di quelle persone, catturate
nell’istante della memoria, volti amati e lasciati indietro da
qualcun altro, relegati all’oblio di un sarcofago di carta e
cuoio. Pagina dopo pagina quei visi le diventano familiari,
sconosciuti incontrati per caso con cui si condivide un pezzo di
strada, il tempo che inizia ad incidersi sulla pelle, la moda che
cambia e i colori che si fanno più accessi. Qualche volta ecco
spuntare un nuovo sorriso, a volte riconosce la somiglianza con uno
di quelli che ha già incontrato, più spesso le racconta
un nuovo capitolo di quella lunga saga familiare, che ha attraversato
quasi un secolo di storia
Quando
gira l’ultima pagina gli occhi le restituiscono il fermo
immagine di una festa di compleanno, al centro una signora dai
capelli corti, bianchi per l’età, e dagli occhi scuri, a
farle da contorno una schiera di uomini e donne, ragazzi e ragazze e
bambini di tutte le età; in primo piano una torta casalinga
con su un bel 90 in rosa.
Il
sorriso ironico lo stesso di tanto tempo prima.
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