Il
mare quella mattina era calmo, come raramente se ne vedevano da
quelle parti. La notte prima era stata di tempesta e l’aria
umida
pungeva fresca, eppure un Sole immemore brillava cheto sopra le sue
scaglie azzurre. Era come se un grave male avesse portato con
sé la
tempesta e poi si fosse inabissato: non diceva per dire, aveva
percepito qualcosa di soprannaturale e malefico quella notte; non le
era mai successo prima, era come se un terzo occhio che non sapeva di
avere si fosse aperto all’improvviso. Per questo era
lì.
Ora
sembrava tutto tranquillo, niente fuori posto. Forse era stato un
falso allarme, non conosceva ancora bene la magia di quella nazione;
ma da quello che aveva visto, ne era satura in ogni suo angolo. Un
tale potere profano di cui le Scritture non-
Cos’era
quello?
Mise
un piede sulla superficie diagonale della parete e si lasciò
scivolare, finché i suoi stivali non affondarono sul manto
sabbioso
della spiaggia. Sguainò la spada (meglio non rischiare). Si
avvicinò
prudentemente, riconoscendo a mano a mano quello che stava puntando.
Uno spettacolo a cui aveva già assistito molte volte: un
cadavere.
Poteva
essere stato semplicemente portato dalla corrente, ma la sua
posizione era troppo particolare: sembrava essere emerso dalle onde,
per poi cadere e cercare di strisciare con le braccia. Il suo torso
era nudo, probabilmente il vestito era stato stralciato dal mare,
però una strana massa nera gli attraversava… no, le
attraversava il bacino. Una cosa molto lunga, come una coperta; uno
scialle? Un mantello?
L’aveva
quasi raggiunta: una giovane donna dai lunghi capelli corvini, che
ora erano sparsi nella sabbia bagnata, e con le unghie… ben
curate.
Guardare le unghie era utile per rivelare chi aveva davanti, in
questo caso una donna che curava il proprio aspetto, forse
addirittura benestante; il genere di persona completamente fuori
posto lì, e che in un naufragio andava a fondo per prima. La
faccenda si faceva sempre più strana.
Ora
le stava davanti. Le onde le bagnavano ritmicamente le suole degli
stivali e riempivano il corpo di alghe e conchiglie. Il suo viso,
schiacciato per metà nella sabbia e per l’altra
coperto dai
capelli, era mortalmente pallido.
“Non
è una coperta, sono ali!” Ali scure da uccello,
probabilmente un
tempo maestose ma ormai con poche piume lungo lo scheletro; la furia
dell’acqua doveva averle spezzate. Che fosse una di quelle
creature
impure, una vastaya?
Un
piccolo movimento attirò la sua attenzione, impercettibile
se non
fosse stata in guardia. Le sue dita si erano mosse. Allora era ancora
viva. Posato di nuovo lo sguardo sul suo viso, vide sulla palpebra
aprirsi una fessura e le sue labbra screpolate schiudersi.
Rantolò
qualcosa, non era certa che l’avesse vista, forse stava
esalando
l’ultimo respiro. Attorno a lei vedeva una strana
ombreggiatura
sfuocata, e poi capì che si trattava la sua aura. Era
debole, ma
percepiva una traccia della notte prima: era qualcosa di eretico,
oscuro, nemico.
E
non era ancora morta.
…
La
donna chiuse occhi e bocca e perse i sensi. Lei rinfoderò la
spada,
sistemò lo scudo sulla schiena e si abbassò su di
lei. Scostò una
ciocca di capelli, rivelando un orecchio appuntito e una linea di
trucco sbavata attorno all’occhio e sulla guancia. Tutto di
lei
indicava a una creatura delle tenebre.
Le
toccò la pelle con un dito, e quella biascicò
ancora. Si stava
aggrappando alla vita in ogni modo.
Chiuse
gli occhi e sospirò.
“Stando
così le cose…”.
K…
K…
-Cosa
guardi, ragazzina?-.
-Uh?-
Morgana rialzò lo sguardo sul vecchio che le stava davanti,
che ora
la fissava con uno sguardo truce.
-A-Ah,
chiedo scusa, e-ecco io…-.
Il
vecchio grugnì stizzito e strinse rabbrividendo la coperta
lurida
che lo avvolgeva. Abbassò lo sguardo, segno che voleva
dimenticarsi
di lei.
-P-Per
caso tu sei un… mago?-.
Il
vecchio sgranò gli occhi e la guardò come se
avesse appena visto un
fantasma. L’afferrò poderosamente per un braccio
e: -Che cosa hai
detto???-.
-No,
ti prego, io voglio solo…-.
Il
vecchio si guardò intorno per capire se qualcuno li aveva
sentiti,
ma in quel vicolo c’erano solo altri fantasmi come lui.
-Chi
te l’ha detto?- Sussurrò trattenendo la paura.
Lei
si sentiva il cuore in gola, stava per scoppiare a piangere e la
presa iniziava a far male.
-Io-io
posso sentirlo. Voglio solo capire perché dovete vivere
così! Cosa
vi è successo per…-.
-Cosa
ci è successo? Niente, niente!- Esclamò il mago
con la bava alla
bocca: -Cosa può saperne una ragazzina???-.
-Ah,
eccoti qui.-.
-Kayle!-.
Il
vecchio si spaventò per la nuova arrivata e la strinse con
più
forza; ma come incrociò gli occhi della bambina bionda, si
acquattò
sulla parete nascondendo le mani.
-Morgana,
perché continui a giocare con questa gente?-.
Morgana
gonfiò le guance: -Non sto giocando, sorella! E non dovresti
rivolgerti a loro così!-.
L’altra
le rivolse uno sguardo atono, a cui era abituata da tempo: -Stai
perdendo tempo qui; e poi dovresti sapere che non gli è
permesso di
essere liberi.-.
Il
vecchio uggiolò e Morgana prese la sorella per le spalle:
-Kayle,
non chiamare i soldati! Non ha fatto niente di male!-.
-Uff…
non ti capisco, se venissi con me alle lezioni impareresti molto di
più che andandotene in giro. Coraggio, torniamo da nostro
padre.- Si
voltò e Morgana sapeva di doverle dar retta. Kayle camminava
velocemente ed era più alta di lei, perciò doveva
praticamente
correre per starle dietro.
-Io
voglio… solo… aiutarli!-.
Kayle
si fermò, e così Morgana. La strada intorno a
loro si fece sfuocata
e una luce abbagliante pervase l’aria. Seguendo un impulso
irrefrenabile Morgana allungò la mano verso la sorella, ma
questa
sembrava irraggiungibile. Non le vedeva il volto, ma sapeva che
qualcosa stava cambiando.
-Vedi,
è questa la differenza tra noi: tu vuoi aiutarli uno alla
volta…
mentre io li aiuterò tutti.-.
Poi
la luce fu troppa.
-Kayle!!!-.
“Kayle.”.
Morgana riprese conoscenza
senza quasi rendersene conto, furono le ferite ad avvertirla di
essersi svegliata. Sentiva il corpo dolere e bruciare al punto che
dubitava di potersi muovere. Moriva di sete. Soffriva troppo per
essere morta.
Ricordava… ricordava di
averla vista un secondo prima di svenire, la sua armatura
scintillante come il Sole, e poi basta. Era sua prigioniera?
Perché
non l’aveva uccisa? Doveva guardare, non aveva altra scelta.
Scorse un fuoco da campo
ardere alla sua altezza. Era per terra dunque. Doveva provare a
muovere la testa per vedere qualcos’altro, ma anche solo
spostare
le pupille sembrava uno sforzo enorme.
Un sospiro roco le sfuggì
dalla gola. Sentì un’armatura cigolare, e dopo
qualche secondo dei
passi avvicinarsi.
-Sei sveglia?-.
Non era Kayle: non aveva mai
sentito quella voce prima d’ora. Non sapeva se esserne
sollevata o
meno. La donna misteriosa si fermò davanti a lei, e dal poco
che
riusciva a vedere aveva un’armatura dorata addosso.
-C…chi…-.
-Non ti sforzare. Il tuo corpo
si sta riprendendo in fretta, ma hai ancora la febbre. Riposati per
ora.- La voce di una guerriera, dura e malcelatamente ostile. Ah,
certo, non aveva un aspetto rassicurante; ciononostante le stava
salvando la vita.
-G… zie…-.
La guerriera rimase muta, poi
alzò i tacchi. Morgana scivolò di nuovo nel sonno.
Non era umana, e non lo diceva
solo per le ali o le orecchie. Quando l’aveva trovata, non
pensava
che sarebbe sopravvissuta allo stato in cui versava; invece nel giro
di due giorni le sue ferite erano quasi tutte guarite. Aveva avuto
però il tempo di esaminarle: tagli, graffi, scorticature,
bruciamenti, tutte con una traccia magica oscura. No, meglio dire
putrida. Del genere che il corpo di una qualunque
persona
sarebbe andato subito in cancrena.
D’altra parte, se si
trattava di una creatura d’ombra, aveva un aspetto molto
atipico
anche ad un’ispezione più accurata. Poteva quasi
passare per
un’umana, quindi se era un mostro doveva essere
particolarmente
potente. Strano allora che venisse attaccata da altri seguaci delle
tenebre, e nientemeno ferita gravemente. Una creatura
eretica…
nemica di altre? Doveva capirci di più.
Si addormentò seduta e si
risvegliò così. Ormai le sue ossa erano abituate
a dormire in quel
modo, quindi non ebbe problemi a rialzarsi. Notò che la sua
ospite
stava mangiando alcune delle sue bacche con
l’avidità di chi si
trova davanti un banchetto. Per un secondo pensò di
sguainare la
spada, ma ci ripensò: ridotta all’osso, si reggeva
con una mano e
le sue gambe erano rimaste sdraiate, la fame era l’unica cosa
che
l’aveva fatta muovere.
-Parli la mia lingua?-.
La dama alata si bloccò,
accorgendosi di lei solo in quel momento. Mandò
giù e sussurrò:
-Sì.-.
Beh, questo era strano. Quanti
a Ionia conoscevano la lingua Yazic del Monte Targon? Al punto da
usarla spontaneamente, come lei la sera prima?
“Che
sia un’arpia? O un
demone magari? Non ho mai sentito di demoni e arpie
erbivori…”.
-Hai un nome?-.
-Morgana.-.
-Morgana.- Ripeté lei: -Ti
serve qualcosa? Hai sete?-.
Morgana la guardò con i bulbi
scavati nelle orbite, e annuì flebilmente.
-Prima voglio essere sicura
che non mi attaccherai una volta che ti avrò dato le
spalle.-.
-Lo… prometto…-.
-Mh.- D’altronde non le si
era nemmeno avvicinata mentre dormiva. Le diede da bere, poco, o
avrebbe vomitato tutto. Morgana chiuse gli occhi assaporando il
sorso, incurante di stare scoprendo il collo a quella che poteva
essere una nemica.
-Gra… zie…-.
Si rimise seduta, fissandola
attentamente per studiare i suoi movimenti. Le ali, che sembravano
atrofizzate, non si muovevano proprio, ma ogni tanto vedeva i piedi
muoversi.
-Quando avrai finito, devo
farti alcune domande.-.
Morgana annuì. Mangiata
l’ultima bacca, fu lei a parlare con un filo di voce: -Ti
devo la
vita, e non conosco nemmeno il tuo nome.-.
-Io sono Leona e vengo dal
Monte Targon.-.
-Targon… non sentivo quel
nome da molto tempo. Leona, non ti sarò mai grata
abbastanza…- Le
parole diventarono sospiri, Morgana era già senza fiato. Ma
Leona
voleva le sue risposte, e le voleva ora.
-Come sei arrivata qui? Avevi
una barca?-.
-All’inizio…-.
-Quindi hai volato?-.
-S…sì.- Guardò
timidamente
le proprie ali: -Devo essere caduta.-.
-E da dove sei arrivata?-.
Morgana la guardò
intensamente, dietro la stanchezza un occhio esaminatore. La risposta
che stava per darle non le sarebbe piaciuta.
-Mi ero rifugiata nelle…
Isole Ombra…-.
No, non le piaceva per niente.
Per di più le Isole Ombra erano molto a sud, se aveva
percorso tutta
quella strada con quelle ferite chissà quanto sarebbe stata
pericolosa dopo. Sapeva di doversi occupare subito di lei.
Eppure qualcosa la tratteneva
dal farlo, se non altro la possibilità che potesse ricavare
qualche
informazione torchiandola.
-Questa è Ionia?- Domandò
flebilmente la corvina.
-Siamo nell’isola di
Sudaro.-.
-Capisco.-.
Silenzio.
-Chi è Kayle?-.
Morgana sgranò gli occhi.
-La chiamavi in continuazione
quando dormivi.-.
-Kayle era… è
mia
sorella. Ti avevo scambiato per lei… perdonami.-.
-Era con te nelle Isole
Ombra?-.
Morgana rise di un mesto
sorriso: -No, non la vedo più da… molto tempo. E
un luogo del
genere non le s’addice… la amavo molto, ma siamo
sempre state…
molto diverse.-.
-Parlamene ancora.-.
Morgana distolse lo sguardo:
-Non posso… mi dispiace…-.
-Peccato.- Leona si mise in
piedi, e quasi subito Morgana percepì la minaccia: -Le
Scritture
sono chiare, gli esseri come te devono essere uccisi. Tuttavia non
capivo come potessi scambiarmi per qualcuno che conoscevi,
addirittura tua sorella, ma visto che ti rifiuti di darmi delle
spiegazioni…- le si avvicinò, imbracciando le
armi. Agiva con
calma, poiché vedeva che Morgana era ancora troppo debole
per
reagire. La donna era stupita da quel rapido cambio di atteggiamento,
anzi, sembrava quasi tradita.
-Aspetta… aspetta, per
favore.- “Grazie”, “perdonami”,
“per favore”, quale
demone usava tali termini? Uno molto astuto probabilmente. Ma quale
demone poteva fingere… no, aveva già tergiversato
a sufficienza.
-Mi hai salvato… la vita,
non voglio essere… la causa della tua morte.-.
Ohh! Questa poi!
-Permettimi di aiutarti…-
Morgana esalò un profondo respiro e, senza forze, si
trovò con la
schiena a terra; Leona le era già davanti, spada e scudo
imbracciati.
-Dimmi solo perché sei in
viaggio… se posso esserti utile in qualche modo lo
sarò…
ripagherò il mio… debito…- Concluse
affannando, e Leona doveva
ammettere che i suoi sforzi le valevano la sua compassione. Ma come
poteva Morgana aiutarla a… anche se…
-Sono in viaggio alla ricerca
di una persona. La perdizione in cui è caduta la sua anima
potrebbe
averla spinta fino alle Isole Ombra. Dimmi, la conosci forse?-.
-Una persona… di Targon?
No…- Ammise. Curioso che non mentisse per avere salva la
vita.
-Ma se è come te posso…
aiutarti a trovarla…-.
-Come me?- Doveva
badare meglio alle proprie parole.
-Tu hai… raggiunto la vetta…
vero?-.
Leona socchiuse gli occhi:
-Come lo sai?-.
-Lo posso sentire… non sei
come nessun’altra persona che… che abbia mai
incontrato…-.
-Quindi mi stai proponendo di
aiutarmi a cercarla? E perché dovrei fidarmi?-.
-Prendi tutte le precauzioni
che vuoi… ammanettami, legami… quando
avrò saldato il mio debito
potrai fare ciò che vorrai…-.
La parola di un demone non
valeva molto, ma era pur vero che al momento Leona non aveva molte
piste da seguire. Squadrò attentamente la donna ai propri
piedi,
valutando se salvarle la vita una seconda volta.
-Molto bene.-.
Il primo giorno di cammino non
fu facile: Leona non dava cenno di preoccuparsi se poteva o no tenere
il suo passo, la strattonava per la corda obbligandola a seguirla.
Camminarono ai piedi delle montagne, in uno spazio dove cresceva una
macchia verde.
Che umiliazione, e che ironia:
per la prima volta dopo secoli si era ritrovata con le ali libere, e
poco dopo l’intero suo corpo era incatenato. Le energie che
stava
recuperando forse le avrebbero permesso di soggiogarla, ma Leona dava
tutta l’aria di non essere persona da farsi sottomettere
facilmente. Inoltre, nonostante tutto, non voleva combattere con lei,
non dopo che le aveva salvato la vita.
Chissà se Kayle… no, Kayle
al suo posto non ci avrebbe pensato due volte a ucciderla. Invece
quella Leona era capace di compassione, come la Kayle di un tempo.
Le ore passarono lente, per
tutta la giornata non si scambiarono parola; ogni tanto Leona si
girava per controllarla, ma tutto lì. La sera le diede
qualcosa da
mangiare, solo perché il giorno dopo potesse camminare. Si
mostrò
stizzita quando la ringraziò, e Morgana si ripromise di non
farlo
più.
La notte fu tormentata da
incubi; non come il sogno della volta prima, erano molto più
recenti, popolati da spettri, disperazione, stridore di ferri e
denti, nemmeno l’oscurità le diede pace. La
sveglia fu rude e si
rimisero subito in marcia; se voleva abbandonare l’isola,
Leona
doveva avere una barca ormeggiata da qualche parte.
Leona… cercare di scrutarla
era come guardare il Sole. Doveva essere per colpa
dell’armatura e
del qualunque-cosa-fosse che l’abitava. Le aveva mentito:
aveva
conosciuto un’altra persona con il suo stesso fardello, e
parte di
esso era sulle sue spalle. Ma per il resto era imperscrutabile.
Il secondo giorno passò come
il primo, con le ferite che però miglioravano, e il terzo
pareva
essere lo stesso; all’improvviso però Leona si
fermò e le fece
cenno di non fare rumore. Morgana aguzzò le orecchie:
assorta nei
suoi pensieri, non si era accorta dei suoni che provenivano poco
distante, in mezzo agli alberi. Erano voci di persone, ma di una
lingua dura, aspra, che non capiva; un’altra persona parlava
una
lingua diversa, più melliflua, e dal tono sembrava stare
implorando.
Dei banditi?
Leona la strattonò con forza,
obbligandola a mettere la faccia contro un albero; poi
lanciò in
aria la corda e la attorcigliò attorno a un ramo, quindi la
prese
per la nuca e le fece piegare la testa in avanti, insaccandola tra le
braccia alzate. Qualche secondo dopo sentì che le metteva
delle
foglie sulla base del collo.
-Se ti muoverai lo saprò.- Le
prime parole che le rivolgeva da due giorni, e ancora quel tono
orrendamente spietato: lo aveva già sentito parecchie volte
uscire
dalle labbra di sua sorella. Si morse il labbro, soffocando la
rabbia. Leona si incamminò nel bosco, lasciandola sola; poco
dopo,
sentì il rumore di lame che cozzavano in tintinnii
metallici, troppi
perché fossero solo due avversari a combattere.
Prese la sua decisione.
L’uomo la attaccava con la
spada imprecando nella sua lingua impura, che sembrava il latrato di
un cane a cui avevano tagliato coda. L’altro guerriero
cercava di
aggirarla, mentre la donna sferzava colpi di catena e il balestriere
colpiva ripetutamente il suo scudo. Un bel gruppetto ben organizzato.
KLENG KLENG
Rimase per qualche secondo a
scambiare colpi di spada, e proprio quando il secondo pensava di
poterla attaccare al fianco, scartò entrambi con una
piroetta e
puntò la spada contro il balestriere; quello che videro da
fuori fu
una lama di luce che lo colpiva in petto e lei che in un battito di
ciglia si era spostata davanti a lui. L’uomo la
guardò spaventato
e Leona lo stese con una testata.
Un colpo di catena più forte
degli altri si abbatté sulla sua schiena, facendola gemere.
Voltatasi, dovette difendersi dalla carica dei due spadaccini, che
tenne alla larga con lo scudo. La creatura dentro di lei, la
proprietaria della sua armatura, le diceva di ucciderli, ma se avesse
liberato i suoi poteri avrebbe potuto ferire l’ostaggio: lo
stolto
era ancora a terra, troppo attonito per muoversi.
KLENG KLENG KLENG
Una lama la colpì alla gamba,
e Leona si piegò di conseguenza. Alzò lo scudo
sopra la testa
parando il fendente di quello grosso, e lo spadone rimbalzò
tanto
era stato forte. Prima che l’altro potesse rialzare la spada,
gli
aveva già ricambiato il favore, ed ora era
anch’egli
inginocchiato. Incrociò i suoi occhi rabbiosi, a cui rispose
con un
ghigno compiaciuto. Dopodiché rotolò di lato e si
mise alle loro
spalle; mentre si voltavano e lei si rialzava, con un ridoppio dritto
mozzò la testa del bestione, il cui corpo cadde in avanti
inondando
il terreno di sangue.
Sentì un urlo femminile
disumano e vide la donna piombarle addosso, senza più la
catena ma
con una lama corta in mano e le lacrime sulle guance. Chi aveva
ucciso? Suo fratello? Suo marito?
Parata, parata, parata, le
loro lame si incrociarono più volte; Leona provò
a colpirla con uno
scudo, ma l’avversaria era abbastanza agile da schivarlo ogni
volta. Si allontanarono, guardandosi in cagnesco. Quello ferito al
ginocchio disse qualcosa, e la donna rispose strillando come
un’aquila. Il senso era chiaro: “lei è
mia!”.
-Non ci saranno altre albe per
nessuno di voi.- Le disse, senza curarsi se l’avesse capita.
Lo
scontro riprese, ma stavolta Leona lo avrebbe chiuso in fretta.
L’energia antica che dimorava dentro di lei
illuminò la sua
armatura fin quasi ad accecare la nemica, e poi esplose in un onda
luminosa che la mandò gambe all’aria. Con un gesto
sicuro Leona
alzò la spada per darle il colpo di grazia, ma qualcosa di
piccolo e
veloce la colpì tra lo spallaccio e il collo, dove
l’armatura era
meno coperta. Un dardo, che aveva bucato l’armatura e
l’aveva
ferita di striscio, ma quel tanto che bastava da interromperla.
Lo spadaccino le si gettò
addosso urlando, certo che non avrebbe reagito in tempo. Che
assurdità. Parò con lo scudo e un lampo luminoso
uscì dalla sua
sommità, stordendolo quel secondo che bastava per affondare
la lama
sul suo petto. Il tempo si fermò per un istante, mentre lo
guardava
rendersi conto di essere ormai un cadavere ancora in piedi. Emise un
gemito e si piegò verso di lei, senza però che la
vita lo
abbandonasse ancora. Leona vide il balestriere preparasi a colpire di
nuovo e la donna riaversi dalla botta, così spinse in avanti
il
nemico che investì quest’ultima, facendola
ricadere, e ancora con
lo scudo respinse la freccia successiva. Superò i due nemici
a terra
e si diresse verso il terzo, che terrorizzato cercava di ricaricare;
diede una spazzata secca e balestra, dita e sangue caddero a terra.
L’uomo urlò di dolore, inciampò e
scivolò a sua volta. Prima che
potesse infierire, però, la donna urlò di nuovo e
sentì un tonfo
alle proprie spalle come di qualcuno che cadeva.
-Leona, fermati!-.
Leona si voltò furiosa: la
brigante era a terra, avvolta da delle specie di catene tinte di
tenebra, e Morgana con la mano alzata la guardava implorante.
-Ti avevo detto…- Iniziò
lei rabbiosa.
-Non c’è bisogno di
ucciderlo! Risparmiagli la vita!-.
Quelle parole la fecero
infuriare. Ecco la malvagità scoperta: chiedere
pietà per un
assassino! Morgana era tale e quale a loro! Ma prima di lei si
sarebbe occupata di chi era già a terra.
Il bandito cercava di
allontanarsi da lei scalciando e muovendo le spalle, come uno
scarafaggio capovolto, senza riuscire a ricordarsi come si faceva a
camminare. Ripeteva qualcosa con il cuore in gola, suppliche di
certo, suppliche che anche se avesse capito non gli sarebbero valse a
nulla.
La voce di Morgana la
infastidì di nuovo: -Te ne prego, sii magnanima come lo sei
stata
con me! Leona, ti prego!-.
Voleva la sua attenzione?
Bene! Con un calcio in fronte, dove già sanguinava,
stordì il
criminale e si voltò di nuovo verso la sua prigioniera.
-O cosa? Userai anche su di me
la tua magia delle ombre? Finalmente mostri la tua vera faccia!-.
Ma la sua vera faccia non era
quella che si aspettava: non una maschera di male e odio, ma
un’espressione di supplica. Le mani erano aperte verso di
lei,
cercavano anche loro di calmarla. Se voleva attaccarla, certo doveva
essere un attacco bislacco.
-Guarda il loro prigioniero,
guardalo!- Leona spostò lo sguardo sull’uomo
ancora a terra,
facendo caso solo allora del sangue che gli usciva dietro la nuca.
Vestito leggero con della pelliccia, doveva essere un cacciatore del
luogo; e la fissava come se avesse davanti a sé un mostro.
Era un
ragazzo molto giovane, sui vent’anni. Probabilmente si era
pisciato
addosso.
-Non è abituato a tutto
questo, è solo un ragazzo spaventato! Non mostrargli il lato
di te
che non sei!-.
Leona aggrottò le
sopracciglia e serrò i denti, la creatura dentro di lei
scalpitava
per incenerire la dama alata; ma non riusciva ad ignorare le sue
parole e ancor di più lo sguardo terrorizzato del ragazzo.
La donna
incatenata ancora si agitava, ma il suo pianto copioso non era mosso
dalla rabbia; e intanto guardava disperata la testa mozzata al suo
fianco. Non sembrava più la bestia che aveva affrontato poco
prima.
Distruggerli tutti,
distruggerli ora; avrebbe potuto farlo. Ma poi si ricordò di
quando
era scesa dal Targon, di quando aveva visto l’operato di
Diana.
Riluttante, avvelenata, abbassò la spada.
Morgana sospirò di sollievo.
-E ora sentiamo, cosa proponi?
Lasciarli liberi magari? Liberi di commettere altro male?-.
-No.- Morgana mosse un passo,
al che Leona mosse la spada, e quindi rallentò, mostrandole
ogni
movimento che faceva. Dai suoi polsi uscirono due catene nere, una
entrò nel petto della donna e l’altra la
oltrepassò e fece lo
stesso con dita-mozze. I due urlarono come se andassero a fuoco,
mentre Morgana restava immobile con gli occhi chiusi.
-Che stai facendo? Che magia
stai usando?- Si cibava della loro anima? Assorbiva la loro forza?
Stava oltrepassando il limite, ma come si mosse per raggiungerla
sentì il ragazzo dire in Velariano: -La Dama Velata!-.
Chi?
Morgana riaprì le palpebre e
i due smisero di urlare. Il volto diffidente e livido di Leona
incrociò quello triste ma deciso di Morgana.
-Hanno patito tutto il dolore
che hanno inflitto ad altri. Non saranno mai più gli stessi
di
prima.-.
-Chi sei tu?-.
-Il ragazzo vivrà in un
insediamento qui vicino. Portiamoli da loro, e ti prometto che ti
dirò tutto quello che vuoi sapere.-.
Ancora una volta sfidava la
sua tolleranza, nascondendo la propria arroganza dietro a una falsa
umiltà. Ma sembrava davvero intenta a rispondere alle sue
domanda;
inoltre il giovane aveva sicuramente bisogno di cure.
-Tu.- Gli disse: -Puoi
muoverti?- il cacciatore si alzò lentamente e
annuì. Leona mise via
le armi e lo aiutò a sorreggersi; eppure non le sembrava
riconoscente, ma solo ancora molto spaventato, e per di più
da lei.
-Non ti farò del male.-.
-E… e loro?- Chiese
titubante.
-Loro?- Si rivolse a Morgana:
-Dato che la mia catena non ti trattiene più, usala tu. Ti
sei fatta
peso delle loro vite, perciò sarai tu a trascinarli.-.
Morgana non rispose, ma chinò
solamente la testa. Rimorso, sollievo o condiscendenza che fosse,
sapeva che era il suo compito.
Un altro giorno e mezzo di
strada. La contusione del cacciatore fortunatamente era meno grave di
quanto sembrasse, e i due incatenati camminavano mesti dietro di lei;
da prigioniera Morgana era passata a carceriere, ma cercava di non
sforzarli più del necessario. Non le parlarono mai, anzi,
come
sospettava erano intimoriti da lei; ma sapeva anche che in cuor loro
li ringraziava, e non solo per aver convinto Leona a risparmiarli.
No, era per il dolore che aveva inflitto loro. Il dolore non era solo
una punizione: era catartico, l’inizio della redenzione. Il
dolore
era la lingua universale degli esseri umani: tutti lo provavano e
tutti lo temevano, e lo temevano per il cambiamento che portava.
Subire e affrontare il dolore voleva dire morire e rinascere, che era
quello che stava succedendo a loro in quel momento. Ma il lutto per i
compagni caduti era ancora soverchiante, e non poteva escludere
tentativi di vendetta; fortunatamente non ce ne furono.
Infine arrivarono a
destinazione: un villaggio costiero mediamente abitato. Dopo lo
sbigottimento generale, la matriarca del luogo le ringraziò
per aver
salvato il loro cittadino e avere catturato i due Noxiani. Morgana
vedeva rancore animare gli occhi degli abitanti: ignorava la storia
di quel luogo, e di Noxus ricordava solo una città lontana
da
Demacia, non certo lo Stato militare che doveva essere diventato.
Offrirono loro una ricompensa, ma entrambe rifiutarono. Dopo qualche
insistenza, accettarono di riposarsi lì e ripartire il
giorno
seguente; Morgana poté indossare qualcosa di migliore dei
panni che
le aveva dato Leona, anche se era abituata a ben altri abiti.
Pazienza. Una volta lasciate sole, la tensione divenne palpabile.
Morgana non sapeva se doveva offrirle i polsi per venire legata di
nuovo, o aspettarsi un’aggressione.
Leona le fece cenno di
seguirla fuori dal villaggio, e si fermarono in un luogo isolato. Il
Sole era quasi sparito dall’orizzonte e la Luna le osservava
dall’altro.
-Dimmi ciò che voglio
sapere.- La lingua della Targoniana era carica di fiele.
-Leona…-.
-Non pronunciare il mio nome.
Perché ti ha chiamata “Dama Velata”?-.
-Un tempo ero nota così a
Demacia. Non sapevo che anche Ionia conoscesse la mia storia. Io e
mia sorella Kayle abbiamo guidato il popolo Demaciano quando ancora
non si chiamava così: lei era il giudice e il condottiero,
la sua
spada calava implacabile sui nemici di Demacia; io ho sempre cercato
di salvare quante più persone possibili.-.
-E come? Non mi sembra che tu
abbia fatto molto se non farli gridare di dolore.-.
-Io… li libero dal dolore
attraverso il dolore. Negare il proprio dolore vuol dire essere
schiavi di esso, spinge una persona a compiere il male per cercare di
allontanarlo da sé; ma se si realizza davvero il dolore che
si è
inflitto agli altri, se lo si prova con ogni angolo del cuore, anche
l’animo più corrotto può guarire.- Ma
questo aveva il sospetto
che Leona lo avesse già capito. Che lo accettasse
però era
tutt’altro discorso.
-Ed è quello che cercavi di
fare anche nelle Isole Ombra?- Chiese sarcastica Leona; ma Morgana
rispose seriamente: -Con loro è diverso, erano semplicemente
anime
torturate. So che ti sembra incredibile ma credimi, hanno bisogno di
aiuto! Qualcosa le ha intrappolate in un ciclo di morte e sofferenza,
qualcosa di straordinariamente potente, ma loro non sono malvagie!-.
Leona si incupì a
quell’affermazione.
-Non sono malvagie? Ah, forse
rinchiusa nel tuo antro non sapevi che vagano periodicamente per le
terre e le città mietendo centinaia di vittime innocenti! La
chiamano… Mietitura mi pare. L’unica morte e
sofferenza che vedo
è quella che infliggono agli altri! Che si fermino
altrimenti, che
si fermino e si lascino uccidere se davvero vogliono essere liberate!
No: sono creature crudeli e maligne! E tu mi stai dicendo non che
vuoi difendere loro, invece che gli altri da loro?-.
Morgana scosse concitatamente
la testa: -Non è così!-.
-E quei due Noxiani? Pensi di
averli curati? Pensi di averli salvati? Sei cieca forse, non vedi che
li vogliano morti più di me? Oh, forse non sai nemmeno
dell’invasione che hanno portato su queste terre! Credevi che
fossero caduti dagli alberi o spuntati come funghi?-.
-Combattere una guerra non ti
rende malvagio! Dove tu vedi dei soldati invasori, io vedo delle
persone mandate a morire che vogliono solo tornare a casa! E se non
ci riescono cosa diventano, che speranze hanno?-.
-Non so sei vuoi ingannarmi o
sei tanto stupida da crederlo davvero! Hai visto tu stessa che hanno
quasi ucciso quel ragazzo!-.
-Non giustifico le loro
azioni, ma capisco la loro paura! Non sono dei demoni, sono delle
persone come chiunque altro, sole e spaventate! E poi sei davvero
sicura che volessero ucciderlo? Perché non sul colpo allora,
perché
limitarsi a stordirlo? Forse volevano solo scappare da lui, forse se
lo sono trovati davanti e sono andati nel panico!-.
Leona diventava sempre più
furiosa a ogni sua parola, ma Morgana non poteva e non voleva
rimangiarsi niente: -Come, come puoi decidere che meritassero la
morte senza neanche sapere chi fossero, cosa avessero fatto,
perché
lo avessero fatto?-.
Leona strinse i denti, poi
entrambe sentirono il sibilo di un serpente per terra. Con un gesto
netto la rossa lo afferrò con una mano e glielo porse: -Una
serpe
resta una serpe anche se provi a convincerla del contrario: non
importa se la accudisci o le vuoi bene o le metti un fiocchetto
addosso, è capace solo di uccidere. Tu, se vedessi una serpe
mordere
qualcuno, ti metteresti nei suoi panni, proveresti pena per lei;
invece io non cerco di capire il male…- il serpente si
divincolava
e mordeva il braccio della sua armatura; Leona allora strinse la
presa con forza e sangue verde schizzò dappertutto.
Lasciò cadere
l’animale continuando ad fulminare Morgana con lo sguardo,
che
dalla sua non mostrava timore. Non era così impressionabile.
-…Io lo stermino. E quando
vedo il Sole tramontare so di avere reso il mondo un posto migliore
così facendo. Se gli abitanti del villaggio fossero mossi da
buon
cuore e li lasciassero andare, qualcuno di innocente morirebbe per
mano loro: ma tu sei troppo stolta da ammetterlo!-.
-Ti sbagli. Tu non hai visto
il loro dolore, non hai sentito la rabbia che li affliggeva, io
sì!
Non ti biasimo per averli uccisi mentre combattevi, ma prima o poi
sarà la tua sete di giustizia a uccidere qualcuno che non lo
merita!
Non vedrai altro che un malvagio da sterminare, e quando ti sarai
resa conto del tuo errore sarà troppo tardi!-.
-Per allora cento innocenti
saranno morti per aver risparmiato chi non se lo merita!-.
-Una seconda possibilità, si
tratta solo di quello!-.
-Non la meritano!-.
-Tutti ne meritano una!-.
-NON DIANA!!!- Leona aveva
pronunciato queste parole perdendo ogni traccia di controllo,
pestando a terra e spiaccicando il corpo del rettile sotto lo
stivale. Quell’urlo le aveva tolto il fiato e aveva lasciato
Morgana senza parole.
Era stata una stupida: così
affascinata dall’armatura attorno al suo corpo da non vedere
quella
che celava il suo cuore.
-Io…-.
-Basta! Non…- Leona riprese
fiato, ma era ancora agitata, e le sue dita fremevano per prendere la
spada: -non un’altra parola, o ti taglierò la
lingua. Fammi
supporre che vuoi usare di nuovo la tua magia e ti taglierò
le mani.
Mi aiuterai a trovare Diana e farò ciò che devo,
ciò che è giusto
fare; ma non mi tedierai più con i tuoi sofismi.- si
voltò e si
incamminò verso il villaggio.
Ora Morgana capiva.
-Mi dispiace per il tuo
dolore.-.
Leona si fermò per un momento
senza voltarsi, e poi riprese a camminare.
La barca scivolava tra le onde
spinta dal vento, lasciandosi dietro una scia lucida che contrastava
con le increspature del mare. Il Sole era alto in cielo, sembrava che
le stesse parlando, che la abbracciasse con i suoi raggi. Si sentiva
forte, invincibile quasi. Soprattutto, si sentiva nel giusto.
Un pesce guizzò fuori
dall’acqua e vi si rituffò subito, un pesce che
non aveva mai
visto, l’ennesima strana creatura di quelle isole; e
così gli
uccelli dal piumaggio bianco e il becco gonfio che solcavano
ripetutamente il cielo, per poi tuffarsi all’improvviso e
volare
via con il cibo in bocca.
“No,
non strane. Impure.”
Ionia sembrava coesistere con una magia malefica, qualcosa di cui le
Scritture non l’avevano messa in guardia. Una magia
all’apparenza
innocua, ma che nascondeva il marcio; e le persone di lì
erano tanto
cieche e insensate da ritenerla una benedizione. Per questo sapeva
che Diana era lì, era sempre stata attratta da
ciò che non capiva
essere sbagliato.
“Però
il Sole illumina
questa terra… da esso trae la sua forza… tsch!
Che stupidaggine!
Essa ne è un parassita, è l’unica
verità possibile!”.
Altri pesci saltarono fin
quasi alla sua altezza. Li vide bene, anche se solo per un attimo:
splendide pinne color arcobaleno, occhi dorati, squame lucide, a cui
il Sole dava un aspetto quasi divino grazie ai mille luccichii delle
gocce d’acqua che li circondavano. A Targon i pesci dei fiumi
erano
molto più brutti.
Con la coda dell’occhio vide
Morgana sporgersi in sua direzione, e capì di essersi
imbambolata.
Si voltò con un gesto secco: quel posto era un lento veleno
che
voleva corroderla, e la Dama Velata il serpente che la mordeva.
Mi
dispiace per il tuo dolore.
Che ne sapeva… No, basta!
Scacciò via quei pensieri, le davano noia. Tornò
a concentrarsi
sulla navigazione, ripromettendosi di non badare più ad
altre
creature marine; ed ecco in rapido avvicinamento il porto di Tuula,
da cui era salpata più di una settimana prima.
-Preparati a scendere.- Disse
senza attendere una risposta. Quando arrivarono ormeggiò la
barca e
le venne incontro il noleggiatore che gliel’aveva data, che
le
porse parte della somma che aveva pagato, come da accordi.
-Allora, vi è piaciuta
l’Isola di Sudaro? Chi è la vostra compagna?-.
-Nessuno che ti interessa.
Addio.- Si allontanarono, ma a Leona non sfuggì lo sguardo
torvo che
pensava di averle rivolto di sottecchi. Inoltre, un’altra
cosa non
tornava: aveva dovuto insistere molto per farsela prestare, visto che
era “l’unica barca che aveva”, eppure il
borsello da cui aveva
tirato fuori i soldi sembrava un po’ troppo carico. Le due
cose
separate erano un conto, messe insieme facevano venire un sospetto.
Difatti, come uscirono dal
villaggio, Leona si rese conto di aver avuto ragione. Guardò
Morgana, che scosse leggermente la testa: non c’entrava, le
diceva.
Avendola sempre tenuta d’occhio, probabilmente non mentiva.
Nonostante tutto continuarono a camminare, finché i loro
inseguitori
non si palesarono.
Leona socchiuse gli occhi: non
era tanto il numero a sorprenderla (una decina) ma i loro abiti neri
e rossi con maschere che lasciavano scoperti solo gli occhi, a parte
un ragazzo a petto nudo dai capelli blu e neri e con una macchia
scura attorno all’occhio sinistro; fu lui a pararsi davanti
al loro
cammino e a puntarle con la sua enorme ed intarsiata falce viola, con
un ghigno beffardo sulle labbra.
-Ehilà, straniere, cosa vi
porta in questi luoghi?- Chiese in Velariano con torno superbo.
-Siamo solo di passaggio.-
Quindi lasciaci passare.
-Uno dei nostri era con te
all’isola di Sudaro qualche giorno fa, però non si
fa sentire da
un po’: non è che l’hai visto?-.
Leona si prese qualche secondo
per rispondere: -Se il vostro amico era vestito da contadino e mi
stava seguendo, allora l’ho ucciso.- a quelle parole
sentì Morgana
sobbalzare (non ne sapeva niente visto che era successo tutto il
giorno prima che la trovasse).
Il ragazzo con la falce invece
fece una smorfia di disappunto; continuava a tenere la falce distesa
reggendola con un solo braccio, eppure non sembrava minimamente
stanco.
-E come mai l’avresti
fatto?-.
-È semplice: mi sono accorta
che mi inseguiva e l’ho invitato a farsi avanti. Lui ha
reagito
attaccandomi, non mi ha lasciato molta scelta.- Quest’ultima
parte
dando un’occhiata a Morgana, così che capisse
che… aspetta, che
le importava cosa pensava lei?
-Mmm. Effettivamente era un
po’ troppo precoce. Era a caccia di alcuni Noxiani che si
nascondono lì, di loro sai qualcosa?-.
-Stai facendo un sacco di
domande senza nemmeno presentarti, ragazzino.- Rispose arida lei:
-Ostacoli il mio percorso e cerchi di intimidirmi mostrando la tua
arma. Non conoscete l’onore qui a Ionia?-.
Il ragazzo diventò serio come
una lapide e abbassò la falce: -Hai ragione, noi siamo
l’Ordine
dell’Ombra. Il mio nome è Kayn.-.
-Kayn!- Esclamò incredulo uno
dei guerrieri; Kayn lo fulminò con lo sguardo: -Non ha senso
nascondere le nostre identità, una come lei le scoprirebbe
in pochi
giorni.-.
Gli riconosceva un certo
intuito.
-E poi, dov’è finita la
nostra cortesia? Non siamo loro nemici, no? Allora, i Noxiani?-.
-Sta a me presentarmi ora.-
Rispose invece lei, con una certa scocciatura di Kayn: -Sono Leona e
la mia accompagnatrice è Morgana. Per quanto riguarda i tuoi
Noxiani…- Sentì lo sguardo fisso della corvina
addosso: -…non
penso siano affari che vi riguardano. Se il vostro compagno non
è
stato in grado di trovarli mandate qualcun altro.-.
“Visto?
Puoi respirare di
nuovo, Morgana.”.
-Ora, non c’è motivo di
mostrare tanto disprezzo, cara Leona.-
Replicò irritato Kayn:
-Anche se non sei di questi luoghi, dovresti sapere che i Noxiani non
meritano la tua pietà.-.
Le veniva da sorridere a
pensare a ciò che stava pensando Morgana in quel momento.
Invece
rimase atona: -Forse, ma nemmeno voi mi sembrate dalla parte del
bene. Non mi dispiace vedere il male distruggersi da solo, ma non ho
intenzione di averci a che fare, ragazzino.-.
Kayn arricciò le labbra: -Va
bene.- sospirò dopo qualche secondo.
-Cercate di non uccidere
quell’altra.-.
I guerrieri si mossero
insieme, ma non per venirle incontro: le lanciarono dei pezzi di
metallo appuntito che rimbalzarono sulla sua armatura e sullo scudo.
A giudicare dal rumore che fecero, però,
un’armatura normale
sarebbe stata quantomeno intaccata. Alle sue spalle sentì
Morgana
muoversi e una sfera di magia nera colpì Kayn, che si
ritrovò
legato alle catene d’ombra che Leona aveva visto addosso alla
Noxiana.
I guerrieri allora si decisero
a farsi avanti, giungendo da tutti i lati; Leona non aveva intenzione
di aspettarli, e colpì uno con la proiezione lucente della
sua
spada. Seguendo la scia dei raggi solari, gli si piazzò
davanti, e
il suo slancio fece il resto. La donna si spostò di lato,
lasciando
cadere il corpo, mentre gli altri la raggiungevano: quattro in tutto,
gli altri circondavano Morgana.
Leona convogliò l’energia
del Sole nella sua armatura, che brillò intensamente; con
sua
sorpresa però, il dover chiudere gli occhi non sembrava un
peso per
i suoi avversari, che si mossero senza esitazione.
KLENG KLENG KLENG
I loro colpi erano decisamente
più veloci di quelli dei Noxiani, anche se mancavano della
loro
forza. Leona arretrò, sentendo l’inequivocabile
dolore di un
taglio sulla guancia destra. La cosa peggiore era che non si era
accorta di quale nemico l’avesse colpita. I quattro si fecero
avanti di nuovo e Leona liberò la magia
dell’armatura in un’onda
d’urto, ma invece che cadere piroettarono in aria e
l’accerchiarono.
“Pare
che li abbia un po’
sottovalutati. Dovrò usare il potere del Sole senza
remore.”.
-Argh!- All’improvviso i
nemici furono colti da uno spasmo, che Leona riconobbe subito: delle
catene nere infatti uscivano dalle loro schiene, catene che uscivano
dal corpo di un’ansimante Morgana. La sua prigioniera era
anch’essa
ferita al viso e a un braccio, e quest’ultima sembrava
piuttosto
profonda.
-Li tengo io… tu pensa a…-
Il rumore di catene che andavano in frantumi la interruppe, e Leona
si rivolse a Kayn.
-Visto Rhaast? Te l’avevo
detto che mi sarei liberato!-.
Leona gli si avvicinò
cautamente, puntandolo con la spada; Kayn fece roteare la falce
dietro la schiena e le si scagliò addosso urlando; quando fu
alla
sua portata, invece che colpirla dall’alto in basso, fece una
giravolta su sé stesso mirando al seno destro, dove non
aveva lo
scudo a difenderla. Sentì la punta graffiare
l’armatura e poi
scivolare via, e le bastò una rapida occhiata per vedere il
danno
che aveva lasciato.
Kayn alzò di nuovo la falce,
ma stavolta fu pronta a rispondere: fece brillare lo scudo
stordendolo per un secondo così da potersi avvicinare di
più e
poterlo colpire con la spada.
KLENG
Kayn allargò la presa
sull’arma e usò il manico per parare il suo
fendente, anche lui
incurante dell’accecamento. Se si considerava poi che Leona
non
aveva mai combattuto contro una falce, non era il suo avversario
ideale.
-Kh!- Non si perse d’animo e
fu lei a piroettare per colpirlo al fianco, ma lo trovò di
nuovo
pronto e vanificò i suoi sforzi allo stesso modo di prima;
ora però
che la sua falce era in verticale diede una spinta verso il basso per
colpirla alla testa, ma lei si scansò quello che bastava per
reindirizzare la falciata con lo scudo. Sentì il ferro
stridere sul
ferro e poi graffiare l’aria. Kayn indietreggiò
perdendola di
portata, segno che probabilmente stava per scattare di nuovo.
Si sbagliava.
Con l’ennesima acrobazia
diede un montante all’aria davanti a sé, e una
specie di scia
rossa la investì in pieno petto, mozzandole il fiato.
Sgranò gli
occhi per l’inattesa mancanza di ossigeno, e Kayn
approfittò del
suo momento di debolezza per ripetere l’azione di poco prima,
scatto e giravolta. Leona lasciò cedere le proprie ginocchia
e sentì
i capelli alzarsi per la ventata d’aria poco al di sopra, poi
spaccò il ginocchio del ragazzo con lo scudo.
-Urgh!!!- Kayn letteralmente
saltò via usando l’altra gamba, e Leona si
sbrigò a rimettersi
dritta; con enorme stupore, vide che invece di atterrare il ragazzo
fluttuava a due metri d’altezza, circondato da un alone scuro.
-Bene, sembra proprio che
dovrò fare sul serio.- Un cerchio azzurro si accese sul lato
della
lama e le ombre avvolsero Kayn, dissipandosi dopo un secondo. Il suo
aspetto era lievemente cambiato, ora i capelli gli arrivavano fino al
bacino e la pelle, già pallida, aveva perso di ogni colore.
“È
un demone! Non devo
lasciare che sopravviva!”.
-Non ci saranno altre albe per
te!-.
Kayn le volò incontro e Leona
alzò lo scudo per difendersi; ma il nemico la
ignorò completamente
e la superò. Leona si voltò di scatto e gli
lanciò contro
l’immagine solare della spada.
Morgana urlò. Le catene si
dissolsero come fumo nell’aria e i guerrieri caddero svenuti
a
terra. Leona vide la donna cadere indietro e Kayn sopra di lei
massaggiarsi il mento ustionato, per poi alzare l’arma.
-Maledetto!!!- Si spostò su
di lui e la falce vibrò in sua direzione, impattando sullo
scudo;
Leona la scansò e diede un affondo, ma seppur di poco Kayn
era fuori
dalla sua portata. Quello che successe dopo fu un’accozzaglia
di
attacchi e giravolte, lame davanti agli occhi, tagli che si aprivano
sulla pelle, occasioni mancate e opportunità colte.
Sembrò durare
un’eternità, ma forse fu solo una manciata di
secondi. Alla fine,
Leona riuscì a conficcare la spada tra gli addominali di
Kayn, ma la
falce calò sulla sua spalla e scavò nella scapola
sinistra. I due
contendenti si ritirarono, l’uno volando e l’altra
camminando,
valutando le proprie ferite.
-Piantala di parlare!- Sbraitò
Kayn, anche se Leona non stava parlando: -Non mi serve il tuo aiuto
Rhaast!-.
Con chi stava parlando?
Possibile… un occhio? Quello che prima aveva scambiato per
un
cerchio era un occhio aperto!
“Questa
sensazione! Non ho
mai provato una cosa simile! Che diavolo è
quell’attrezzo
infernale?”.
Qualcuno si mosse alle sue
spalle, qualcuno di leggero e furtivo. Si girò e lo
colpì in faccia
con lo scudo, forse uccidendolo o forse solo facendolo svenire. Gli
altri sette guerrieri, più quello morto, erano ancora a
terra ma si
stavano riprendendo, e Morgana? Non aveva tempo di cercarla,
perché
sapeva di aver dato le spalle al più pericoloso, e si
voltò con
l’idea di trovarselo davanti. Invece Kayn era piegato su
sé stesso
e qualcosa si stava formando attorno al suo corpo,
come dei
corni o spine, mentre la falce vibrava come se stesse per esplodere.
Non doveva vacillare. Si
lanciò all’attacco, scudo in avanti a proteggerla
e spada distesa
sul fianco; ma Kayn, o forse solo la sua falce, si mosse in anticipo
e un lampo rosso come il precedente, ma più intenso, le
saettò
addosso. Non poteva schivarlo, poteva solo incassarlo, ma ignorava se
l’avrebbe fermata o meno; ed ecco apparire davanti a
sé una
barriera viola contro cui il bagliore si infranse lasciandola illesa.
Leona proiettò la spada, lo raggiunse, attaccò.
Kayn cadde con un
gemito.
La guerriera Solare respirò,
deglutì, respirò ancora, soffocò un
lamento di dolore e fece per
muoversi. L’istante dopo sentì una schiena premere
sulla sua e due
metalli che si legavano.
-Patisci il mio dolore!!!-
Morgana spinse via il guerriero di cui non si era minimamente
accorta, che si ricongiunse con il resto del gruppo. Uno era senza
spada, che infatti aveva raccolto la sua salvatrice.
“La
mia… salvatrice…”.
-Ahahah!- Sia le due che gli
otto si sorpresero nel sentire le risate sguaiate di Kayn; il
ragazzo, tornato nel suo aspetto iniziale, si mise seduto, tenendosi
la gamba rotta. Forse aveva preso una botta troppo forte.
-Siete proprio una bella
coppia, voi due! Beh, visto che non ho intenzione di morirci qui,
direi di chiamarla patta.-.
-Come? Ma Kayn!- Protestò uno
dei suoi. Anche Leona aveva da ridire: -Non vi permetterò di
andarvene! Voi emissari del Male!-.
-Ohh, allora sei un’invasata!-
Kayn si risollevò usando la falce come bastone: -Beh, ti
scegli i
compagni in maniera strana! Allora, senti questa, ti darò
una buona
ragione per non sprecare la tua vita qui…-.
Leona aggrottò la fronte,
tenendo alta la guardia, ma gli uomini di Kayn si limitarono a
raccogliere i due caduti e a raggiungerlo.
-Sta per abbattersi su di noi
qualcosa di grosso, uno sconvolgimento epocale. Mali antichi si
stanno risvegliando e poteri nuovi stanno sorgendo, e presto tutto il
mondo ne sarà coinvolto. Potrebbe arrivare dovunque, e
lascerà
dietro solo ceneri.-.
…
Kayn fece spallucce: -Almeno
così ha detto il Maestro Zed.-.
-Non ti credo.-.
-Sul serio? Non la senti
questa elettricità nell’aria, come se da un
momento all’altro si
dovesse scatenare una tempesta? Non le vedi le nubi
all’orizzonte
farsi sempre più grosse? Ah, te lo leggo in faccia che
è così! Mi
chiedo solo dove cadrà il primo fulmine! Non sto
più nella pelle…
alla prossima, Leona.-.
Una nube di fumo circondò i
guerrieri e, quando si diradò, erano spariti tutti.
Leona abbassò le armi,
avrebbe dovuto reagire, ma la verità era che le sue parole
l’avevano
presa alla sprovvista. Una tempesta… una tempesta come mai
se ne
erano mai viste prima. Persino la creatura dentro di sé
sembrava
agitata per una tale prospettiva.
-Ah!- L’esclamazione di
Morgana la riportò alla realtà: la donna si
tamponava una ferita
sanguinante allo stomaco.
Leona si impietrì, il mondo
attorno a Morgana perse di ogni forma, nella sua mente esisteva solo
lei; per un momento pensò perfino di essere sotto qualche
incantesimo.
-Ce la siamo vista brutta, eh?
Cos’hai? Leona, stai be-
Sentire pronunciare il proprio
nome fece scattare qualcosa. E perse ogni controllo.
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