cavaliere
Eragon
e Saphira uscirono dall’ombra della
torre per tuffarsi nella fiammeggiante luce del sole morente che
investiva le
mura della fortezza di Dorù Areaba, sede centrale
dell’ordine dei Cavalieri dei
Draghi sull’isola di Vroengard.
Entrambi avanzavano affiancati tra le mura
merlate, il passo
calmo e misurato di due vecchi saggi.
Essendo un drago ultramillenario, Saphira avrebbe
dovuto
avere le dimensioni dell’intera roccaforte, eppure sfoggiava una
mole tipica di
un drago di appena otto mesi.
La Grande Maestra preferiva così: raramente
assumeva le sue
vere sembianze e solo in caso di estremo pericolo, poiché
prediligeva un corpo
assai meno ingombrante per una semplice questione di comodità.
Alla sua destra, il cavaliere Eragon le sorrise
dandole una
pacca amichevole sulla spalla ricoperta di spesse squame, luccicanti di
amaranto alle ultime luci del giorno.
Nessuna ruga lasciava intuire l’antica
età dell’uomo.
I tratti somatici del volto dell’essere
umano avevano
assunto, ormai da secoli, i caratteri tipicamente elfici.
Lo si sarebbe potuto scambiare come un membro
della razza
leggendaria se non fosse stato per la corta ed ordinata barbetta che
gli
cresceva sulla mascella possente, bianca e diafana come la folta massa
di
capelli lunghi fino alla cintola, raccolti in una coda da un laccio di
cuoio.
Drago e cavaliere si fermarono, appoggiando
entrambi i loro
corpi sani ed agili al parapetto del camminamento di guardia.
Le loro menti si toccarono, rincorrendo i lunghi
secoli
trascorsi, con la medesima romantica nostalgia di due vegliardi.
I ricordi saltellavano nelle loro memorie,
baloccandosi con
gli innumerevoli episodi della vita passata, giocando con suoni e
colori,
stancandosi con essi come un bambino viziato, per poi passare oltre.
In tacito accordo, rievocarono gli anni fatali
della lotta
contro Galbatorix, l’infanzia di Eragon nel villaggio di
Carvahall, i Varden,
gli elfi e le furiose battaglie contro i cavalieri rinnegati; la
sconfitta che
li aveva accarezzati con il proprio guanto di rovi e la vittoria
finale, dolce
come ambrosia e terribile nella sua gloria.
Ebbene
sì, piccolo mio, infine ce l’abbiamo fatta… abbiamo
salvato
dall’estinzione la mia stirpe…
Disse Saphira con un dolce mormorio
proveniente dalla gola cavernosa
E
ripristinato l’ordine dei Cavalieri, riportandolo
all’antico splendore.
Concluse Eragon, la mente fremente nelle
rossastre sfumature dell’orgoglio, ugualmente condiviso dalla
dragonessa che
arruffò le squame azzurre in risposta.
Entrambi abbassarono lo sguardo
sull’immenso cortile lastricato di Dorù Areaba, dove la
nuova generazione di
draghi e cavalieri si allenavano in una simulazione di battaglia.
I novizi superavano un centinaio di unità,
i corpi avvolti
in una moltitudine di fasce magnetiche e gli occhi coperti da uno
schermo a
fotoni.
Ovunque artigli e spade guizzavano, colpendo la
sola aria ma
rimanendo bloccati da essa, come se avessero incontrato un solido
ostacolo.
Qualcuno barcollava all’indietro, colpito al
petto od alla
testa da qualche entità invisibile.
Tutti si stavano impegnando al massimo delle loro
capacità
per combattere i nemici virtuali che si riversavano su di loro ad
ondate
massicce ed implacabili.
Bardato di tutto
punto, Sigfrido abbassò la visiera dello schermo sugli occhi,
escludendo la
propria persona dal cortile della fortezza.
I raggi del sole lasciarono il posto ad una
tenebra piatta
ed uniforme.
Un “bip” acuto lacerò la
cortina nera con una valanga di
cifre verdastre e luminose che scorrevano velocissime avanti il suo
campo
visivo; poi tutto fu luce, e Sigfrido si ritrovò sulla
sommità di una collina
rocciosa, una vasta pianura lo divideva da un numeroso esercito di
demoni che
si stagliava all’orizzonte.
Accanto a lui si materializzarono i suoi compagni
di
addestramento; eppure Tramontana non si vedeva da nessuna parte…
Un lampo lo fece sobbalzare dalla sorpresa quando
la
dragonessa bianca si materializzò al suo fianco.
Era ora..
Fu il saluto cinico che Sigfrido rivolse al
proprio drago.
Sgrunt! Non riesco mai ad allacciarmi queste dannate fascette agli
artigli!
Il cavaliere ridacchiò, divertito
dall’espressione irritata
di Tramontana, cingendo il collo della dragonessa in un abbraccio
fraterno.
Le muscolose braccia di lui, nere come
l’ebano, costituivano
uno strano contrasto sulle candide squame della dragonessa, bianche
come la
neve appena caduta.
Ehilà! Latte e Caffè! Io ed Edmund vi stavamo
cercando… allora, pronti per
l’allenamento serale?
Era stato un giovane drago rosso a parlare, i suoi
pensieri
assunsero un tono insolitamente squillante nelle menti di Tramontana e
Sigfrido.
Ieri ci avete battuto per 2045 a 2037nemici…
Aveva aggiunto Edmund in groppa al suo drago
Amlet, la mano
destra dell’elfo saldamente serrata attorno l’elsa di una
lancia fissata alla
sella.
… ora tocca a noi combattere via aerea,
credo che questa
volta non avrete la stessa fortuna di ieri sera, io e Amlet ci
prenderemo la
rivincita!
Sì, aspetta e spera!
Aveva ribattuto Sigfrido, sistemandosi a sua volta
tra le
spine dorsali della dragonessa e sguainando la spada con un sapiente ed
esperto
movimento fluido del braccio, la lama sembrava stata forgiata
nell’avorio.
Il corno dei Cavalieri dei Draghi lanciò
nell’aria immobile
la sua nota arcana e profonda.
Fondendo in un tutt’uno le proprie essenze,
drago rosso e cavaliere
si lanciarono nell’aria, ruggendo entrambi in tono di sfida.
Forza, mio carissimo cioccolatino fondente,
è ora di far
assaggiare ai nostri nuovi amici il cappuccino della casa, il migliore
di tutta
Alagaesia!
Sigfrido e Tramontana unirono anch’essi le
coscienze: non
seppero distinguere di chi fossero le zampe che pestavano il terreno
brullo ad
ogni possente falcata od il braccio che roteava in aria la spada.
Un melodioso motivetto si era levato dalle loro
gole,
intonando una vecchia ninnananna in una macabra presa in giro.
Il cielo si riempì di nuvole temporalesche
ed un acquazzone
scrosciante si riversò sulla carica dei Cavalieri con
l’avanzare dell’esercito
virtuale di demoni.
L’aria si fece gelida e dolorosa nelle vie
respiratorie, il
terreno riarso dalla calura estiva si era trasformato in un lago di
fango che
in breve aveva ricoperto di lordura sia i demoni che i draghi con i
loro
cavalieri.
Oggi i Maestri hanno deciso di complicare la
questione.
Pensarono all’unisono Sigfrido e Tramontana
in un attimo
fugace d’irritazione, subitamente accantonato dalla gioia
selvaggia che
ribolliva loro nel sangue, durante la carica.
Gli schieramenti di terra e d’aria cozzarono
tra di loro
come delle slavine su di un villaggio montano.
La formazione triangolare dei draghi in volo si
sdoppiò
all’ultimo istante in una fila superiore ed una inferiore,
intrappolando i neri
demoni alati all’interno dello schieramento, tagliando loro ogni
via di fuga,
dando inizio al massacro.
Sangue umano,elfico, di drago e di demone, pioveva
dal cielo
assieme l’acqua sul campo di battaglia sottostante.
Le forze terrestri dei Cavalieri avevano adottato
una
tattica analoga ai loro compagni sospesi in volo.
I demoni erano stati subitamente messi in
difficoltà
dall’esperte manovre dell’esercito avversario; eppure non
si scoraggiarono,
continuando a combattere con inaudita ferocia.
Sigfrido e Tramontana falciavano le file nemiche
come una
falce calata sul grano da mietere: le fiamme bruciavano la carne,
riempiendo
l’aria di un puzzo acre, una coda guizzava fulminea seguita da un
balenare di
zanne, artigli, ali ed una spada, spesso accompagnati da qualche globo
magico
di energia biancastra.
La battaglia si prolungò per qualche ora.
Sigfrido e Tramontana e la quasi totalità
dei Cavalieri avevano
collezionato una serie di lesioni più o meno gravi e doloranti,
nonostante
avessero quasi distrutto l’esercito nemico; quando la
realtà virtuale nella
quale stavano combattendo svanì con la stessa rapidità
con la quale era
apparsa.
Cavalieri e draghi sostavano nuovamente nel
cortile della
roccaforte, le ferite erano scomparse come se non fossero mai state
inflitte.
La simulazione si era conclusa e con essa
l’addestramento
del giorno.
Eragon e Saphira
avevano assistito alla battaglia delle reclute, espandendo le proprie
menti
fino a toccare simultaneamente le coscienze di tutti gli allievi,
riuscendo a
percepire i pensieri di ognuno di loro senza mai concentrarsi su
qualche d’uno
in particolare.
Drago e cavaliere si lanciarono una fugace
occhiata perplessa,
non ancora pienamente soddisfatti.
Certamente non si sarebbe potuta mettere in
discussione la
bravura e le capacità tecniche dei loro allievi, ma la loro
mancanza di
autocontrollo e di prudenza era spaventosa.
Essi si lasciavano troppo assorbire
dall’ebbrezza della
battaglia, scordando completamente la disciplina e la concentrazione,
lasciandosi in tal modo troppo esposti agli attacchi del nemico,
collezionando
ogni volta una moltitudine di tagli e lesioni di ogni genere.
In una simulazione di battaglia si sarebbe potuto
chiudere
un occhio a riguardo; ma questo non sarebbe stato permesso nella
realtà, dove
gli scontri armati spesso si prolungavano per giorni interi!
Dove le ferite erano reali e non una simulazione
di dolore
suscitata da una macchina elettronica capace di creare illusioni.
Eragon sospirò.
Dovremo ripetere loro l’ennesima lezione per la millesima
volta, quando mai
impareranno!Vieni Saphira,
scendiamo in
cortile…
No Eragon, aspetta… non vedi la loro
stanchezza? Per oggi
hanno fatto abbastanza, correggeremo i loro errori domani mattina,
quando si
saranno riposati, così almeno otterremo risultati migliori.
Eragon acconsentì dopo un attimo di
riflessione.
La dragonessa gli scompigliò scherzosamente
l’ordinata
chioma bianca con uno sbuffo di fumo, sorridendo mestamente alla vista
delle
sfumature azzurrognole che contornavano gli occhi arrossati del suo
cavaliere.
Basta preoccuparsi Eragon, è da qualche
tempo che non ti
vedo mai rilassarti completamente, cosa ti turba così tanto?
Eragon appoggiò la schiena contro il fianco
di lei, grato
del calore emanato dal fuoco che ardeva dentro il ventre della
dragonessa.
Non saprei spiegartelo nemmeno io, dolcezza, ma
ho un
brutto presentimento che mi attanaglia le viscere… sta per
succedere qualche
cosa di terribile, lo sento nell’aria, ovunque!
“Sta per succedere la fine del
mondo!” Lo canzonò
Saphira, nel fallito tentativo di sottrarre un sorriso dal volto livido
dell’anziano cavaliere.
La parte del profeta non ti si addice,
Eragon… credo che
i tuoi timori non siano altro che un brutto scherzo dato
dall’età, non trovi?
Hai ragione, non sono altro che
sciocchezze…
Drago e cavaliere abbandonarono il camminamento di
guardia
per entrare nella torre; le stelle affollavano vivide il cielo,
rivolgendo il
loro pallido bagliore verso il cortile ormai vuoto della fortezza.
Dopo cena, Sigfrido e
Tramontana si trovavano nella stanza di Edmund ed Amlet , per
trascorrere una
serata in compagnia.
Il drago rosso ed i due cavalieri giacevano sul
pavimento
imbottito di coperte e cuscini, gli occhi fissi su di un lenzuolo teso
sulla
parete, dove si susseguivano immagini in movimento, narranti una buffa
storia
ambientata tra le banchine della città portuale di Teirm.
Tramontana sedeva accanto agli amici, ma la sua
attenzione
era completamente assorbita dalla lettura dei codici miniati che aveva
preso in
prestito dalla biblioteca.
Fu all’ennesimo pastrocchio combinato dal
ricco mercante
travestito da pirata che Sigfrido cercò di distogliere
l’attenzione della
dragonessa dai libri, per convincerla a guardare con lui lo spettacolo.
Nel bel mezzo dello studio di un’arcana
mappa della fortezza
di Dorù Areaba, la mente di Tramontana venne invasa dal clamore
della risata
del proprio cavaliere, mentre l’immagine del mercante penzolante
dal sartiame
della nave le si era incuneata a forza nella coscienza.
La dragonessa sollevò di scatto la testa
soffiando stizzita
verso il suo cavaliere, mostrando l’intero arsenale di zanne
perfette e bianche
come perle; eppure affilate come pugnali.
Vuoi
lasciarmi stare?
Dai Tramontana, smettila di fare
l’intellettuale ed
unisciti a noi! La storia è piuttosto divertente e quel mercante
è un vero e
proprio pagliaccio!
Sai che non apprezzo il cinematografo…
mi fa venire la
nausea.
Come vuoi.
La dragonessa si concentrò nuovamente sulla
mappa.
Un gridolino gutturale le sfuggì dalle
labbra quando si rese
conto che la mappa si era estesa, facendo comparire alla sua destra
un’appendice rettangolare, rappresentante un’ala
sconosciuta della fortezza.
Accorgendosi dell’eccitazione del proprio
drago, Sigfrido
abbandonò lo schermo per sbirciare la mappa, scorgendo
anch’esso la novità.
Subitamente anche l’elfo ed il drago rosso
si unirono a loro
nella contemplazione, le menti che trasmettevano lo stesso messaggio di
meraviglia
mentre una bizzarra idea si stava formando:
Simultaneamente alzarono il capo per guardarsi
dritto negli
occhi, un sorriso scaltro increspava le loro labbra mentre decidevano
di
intraprendere la cerca della sezione segreta di Dorù Areaba.
Il mercante che veniva gettato fuori bordo, legato
ad
un’ancora come un salame, venne prontamente ignorato.
Centinai di anni addietro, Galbatorix distolse lo
sguardo
dal plastico di Alageasia, sul quale stava disponendo delle statuette
rappresentanti il suo esercito, l’attenzione rapita da qualche
eco lontano,
disperso tra le intricate pieghe del tempo.
D’improvviso seppe di avere la vittoria in
pugno sia sui
Varden che sul nuovo Cavaliere dei Draghi, Eragon.
L’imperatore gettò la testa
all’indietro lanciando una diabolica
risata che rimbombò tra le tetre pareti della stanza del trono;
il ruggito di
un drago nero rispose alla sua euforia.
Ogni sera, quando gli impegni della giornata si
erano
conclusi, i due cavalieri con i loro rispettivi draghi si lasciavano
scivolare,
per quasi tutta la notte, tra le ombre dei sotterranei di Dorù
Areaba, alla
ricerca delle stanze segrete indicate dalla mappa.
Grazie alla capacità dei draghi di vedere
al buio, il
gruppetto aveva potuto fare a meno delle torce.
Credo sia questo
la zona indicata dalla mappa
Annunciò solennemente Amlet dopo
un’ulteriore occhiata al
libro tenuto in mano dal suo cavaliere, il quale annuì a propria
volta.
Hai pienamente
ragione Amlet, questa sarà la volta buona!
La volta buona?
Aveva quasi ringhiato Sigfrido, completamente
fuori si sé
dai nervi
Dieci volte ci siamo soffermati a scandagliare
ogni
singola pietra di queste stramaledette gallerie, solo per scoprire di
avere
interpretato male la mappa per l’ennesima volta! Io propongo di
gettare la
spugna tornarcene ai nostri giacigli… sono giorni che non ci
facciamo una buona
dormita e che, di conseguenza, non riusciamo più a seguire
lucidamente
l’addestramento!
Oh… povero il mio piccolo cioccolatino
fondente!
Lo canzonò Tramontana, avvolgendogli la
coda attorno al
corpo e cullandolo come un neonato, mentre avvertiva la collera di lui
ammontare alle stelle, con grande spasso della dragonessa, la quale non
si curò
minimamente di celare il proprio divertimento all’altro.
Se vuoi posso portarti io in groppa,
così potrai
riposarti e dormire come un neonato dopo la pappa ed il ruttino, hi-hi!
Grrrr! E va bene! Continuiamo pure questa
buffonata, se
vi rende così felici!
E bravo il mio cavaliere brontolone.
Certo che hai un potere invidiabile sul tuo
cavaliere,
Tramontana!
Aveva comunicato a circuito chiuso Amlet, quando i
due
cavalieri avevano continuato ad avanzare lungo gli umidi corridoi.
Sai dovresti svelarmi il tuo trucco… mi
farebbe comodo
poter rigirare la volontà di Edmund come pare a me.
Non c’è alcun trucco, è
Sigfrido che fa tutto da solo,
basta solamente ferirne leggermente l’orgoglio a cui tiene in
maniera così
morbosa.
Non fecero che pochi passi che l’ala di
Amlet urtò
involontariamente una pietra della parete.
Grattando contro il pavimento scabroso, un
pannello di muro
si era spostato di lato rivelando una scalinata conducente nei meandri
della
terra.
Il passaggio era ampio a sufficienza per
permettere ai
draghi di transitarvi senza alcun disagio.
La mappa indica
una scala a chiocciola! Wow! Ce l’abbiamo fatta finalmente!
Il quartetto si avviò lungo la scalinata,
la quale cedette
all’enorme peso dal quale era stata sollecitata.
Draghi e cavalieri precipitarono, ululando per la
sorpresa,
ed atterrarono, con le pietre ed i calcinacci, su di un pagliericcio
enorme,
reso putrido dai millenni.
Il fetore della paglia marcia fece venire a tutti
la nausea,
per non parlare del forte odore stantio che aleggiava in tutta la
stanza, o
meglio laboratorio.
Una pestilenziale aurea di malvagità
impregnava ogni cosa di
quel luogo, eppure né draghi, né tanto meno i loro
cavalieri erano stati capaci
di accorgersene; poiché il loro addestramento non aveva ancora
raggiunto la
fase nella quale le loro menti sarebbero state educate alla percezione
generale
ed alla difesa.
La stanza era ghermita di scaffali stracolmi di
libri,
ampolle contenenti ogni abominio affollavano l’unico tavolo
presente, che si
ergeva sopra un soffice tappeto di polvere, depositatasi nei millenni.
L’elfo si mosse a disagio, sottraendo
qualche cosa di
estremamente fastidioso da sotto la schiena.
In mano stava tenendo la squama di un drago nero;
questa era
talmente antica che si sbriciolò facilmente sotto le sue dita.
Sopraffatti dalla curiosità, che aveva
vinto il loro
iniziale timore reverenziale, draghi e cavalieri avanzarono sul tappeto
di
polvere, lasciando le loro orme su di un pavimento che non aveva
più accolto
piedi di creature viventi da millenni.
Una luce verdastra trafisse la tenebra con i suoi
tentacoli
saettanti, mentre una sfera di cristallo faceva capolino da sotto il
tavolo per
poi fluttuare baldanzosa di fronte i nuovi arrivati.
Come ipnotizzato, Sigfrido allungò la mano
per toccare quel
globo meraviglioso.
Noooooooo!
Ormai era troppo tardi, le dita del cavaliere
entrarono in
contatto con il freddo cristallo e l’intero gruppo venne
inghiottito dalla
medesima luce verdastra.
Subito ebbero la sensazione di precipitare, poi di
cabrare
bruscamente prima a destra poi a sinistra; vi fu una vertiginosa
ascensione poi
nuovamente una caduta.
La stanza di un castello si dipinse ai loro occhi.
Le pareti di pietra erano altissime, scure ed
opprimenti,
sanguinose vetrate facevano penetrare all’interno una luce
cremisi, la quale si
smarriva tra il fumo dei candelabri.
Draghi e cavalieri si schiantarono su di un
lunghissimo
tavolo di noce, imbandito sontuosamente per la cena.
Piatti di verdure, cacciagione, torte e caraffe di
vino
volarono in ogni direzione, mentre il mobile cedeva con un sonoro
schiocco.
Stordita come mai si era sentita prima di
all’ora,
Tramontana alzò debolmente il capo da un cappone in crosta che
le faceva da
cuscino.
Con la vista che le si annebbiava, intravide un
uomo anziano
dal volto severo che lentamente si alzava da una sedia dall’alto
schienale
posta a capotavola.
Poi tutto divenne nero e lei seguì i propri
compagni nei
meandri dell’incoscienza.
Con fare stoico, Galbatorix, il cavaliere
traditore, si
ripulì il viso dal sugo che gli era schizzato in pieno volto,
ghignando come un
famelico lupo, contemplò ancora per qualche momento i suoi nuovi
allievi prima
di scoccare le dita.
Una schiera di mostruosi urgali entrarono nella
sala da
pranzo con fare servizievole.
-Sistemate i pargoli
nei loro
alloggi e ripulite questo bordello-
Detto questo, si avviò verso la sala del
trono per studiare
il plastico del proprio impero, la mente smaniante, stracolma di
congiure.
Le ore più buie della notte stavano in quel
momento gravando
sulla fortezza di Dorù Areaba, coprendo il sonno di cavalieri e
draghi come una
piacevole e calda coperta di lana pesante.
Saphira dormiva profondamente su di un gigantesco
cuscino,
talmente voluminoso che la dragonessa sembrava venire fagocitata dalla
stoffa e
dalle piume d’oca.
Eragon fluttuava beato in non so quale sogno, le
toniche
braccia che stringevano una zampa anteriore della dragonessa come se si
fosse
trattato di un peluche.
Un lampo folgorò le menti assopite di
entrambi, perpetuando
ovunque le proprie dolorose scosse elettriche di allarme.
Scattando all’unisono come molle compresse e
rilasciate,
drago e cavaliere si alzarono dal comodo giaciglio con un balzo, non
appena
ebbero coscienza del terribile accaduto avvenuto nei sotterranei della
fortezza
proprio in quei medesimi istanti.
I timori di Eragon si dimostrarono così
tragicamente
veritieri: l’intero mondo nel quale ora vivevano era in procinto
di scomparire
irrimediabilmente nell’oblio più totale.
Il meschino e defunto Galbatorix aveva rapito
quattro
apprendisti, imprigionandoli nell’epoca nella quale il dispotico
sovrano non
era ancora stato sconfitto.
I piani del cavaliere rinnegato apparivano chiari
alla mente
di Saphira ed Eragon: Galbatorix avrebbe usato quei giovinetti ignari
per
ottenere un vantaggio schiacciante sui Varden di allora e vincere
così la
guerra.
Senza scambiarsi frasi che avrebbero suonato vane
e vuote,
cavaliere e drago si precipitarono nel gigantesco cortile della
fortezza.
L’aria era gelida e pungente, pervasa dal
consueto sentore
di salsedine trasportato dalla spuma delle onde che si infrangevano
sull’isola;
ma tutto questo non richiamò minimamente la mente dei due,
già troppo impegnata
nel resistere al bruciante panico che minacciava di schiacciarli.
Eragon posò la propria mano sul fianco di
Saphira, serrò con
forza gli occhi e si costrinse a concentrarsi, avvertendo che la
propria
compagna stava facendo la medesima cosa.
Quando ormai le loro menti avevano raggiunto il
livello di
disciplina richiesto, le melodie arcane e abissali dell’antica
lingua si
levarono dalle loro gole per riecheggiare contro le mura della fortezza
con il
sordo boato del tuono.
Non vi furono lampi o luci di sorta ad annunciare
l’avvento
della magia.
Il cortile di Dorù Areaba tornò ad
essere deserto da un
momento all’altro, mentre drago e cavaliere si libravano lungo i
corridoi del
tempo e dello spazio.
Il loro fugace viaggio li condusse in un bosco di
alte
betulle.
La neve soffice dell’inverno emanava un
proprio odore
muschiato che Eragon riconobbe, lasciando che la vista degli alberi che
circondavano la fattoria nella quale era cresciuto lo consolassero.
Una voce attirò l’attenzione dei due
lungo il sentiero che
si estendeva sotto i loro piedi.
L’incerto timbro di un ragazzo, ormai
prossimo all’età
adulta, che snocciolava il proprio sapere di botanica e zoologia, fu
prontamente riconosciuta sia da Eragon che da Saphira.
Un biondo quindicenne stava avanzando verso di
loro.
Un piccolo drago dalle squame simili a zaffiri era
posato
sulla spalla del ragazzo, assimilando ogni parola come una spugna
assorbe il
vino da una botte.
I passi dell’adolescente si erano poi
bloccati di colpo
quando sia lui che la bestiola che lo accompagnavano si erano accorti
della
maestosa presenza di un leggendario cavaliere e di un magnifico drago
azzurro
che li stavano attendendo lungo il sentiero.
Eragon e Saphira avevano ritrovato loro stessi,
com’erano
centinaia di anni or sono.
Non c’era alcun dubbio: dormire era una cosa
stupenda ma
talvolta si correva il rischio di inciampare in qualche sogno folle che
rendeva
il tutto estremamente sgradevole fino a quando non si approdava
nuovamente nel
quieto porto del dormiveglia.
Questo pensò soddisfatta Tramontana,
rigirandosi sul fianco
sopra un morbido ed enorme cuscino, così felicemente identico a
quelli presenti
nella fortezza di Dorù Areaba, rendendosi conto soddisfatta che
l’avventura
bizzarra vissuta quella stessa notte non era stata altro che un
maledetto
incubo.
Ecco cosa si otteneva con le lezioni di storia del
cavalierato.
Tramontana aprì leggermente un occhio
velato dalle lacrime
del sonno, distinguendo a malapena una macchia rossiccia vicino al suo
muso
sottile.
Sbadigliando rumorosamente, aveva calato
pesantemente la
propria zampa anteriore su quella del drago rosso che le giaceva di
fronte.
…’Ngiorno Amlet, non puoi
immaginare che razza di
sogno ho fatto questa notte!
Eravamo coinvolti tutti e quattro. Bè,
intendo io,
Sigfrido, tu ed Edmund. Ebbene, stavamo vagando nei sotterranei della
fortezza
e poi ci siamo ritrovati al cospetto di Galbatorix! Dopo aver distrutto
la sua
cena! Assurdo non trovi? Io pen.. n … ma…. Ma…
c-che?
La dragonessa si ritrovò a balbettare come
una babbea quando
il drago rosso aveva levato il capo per scrutarla altezzoso e divertito
allo
stesso tempo.
Quel drago non era di certo Amlet, eppure non
ricordava di
averlo visto tra gli abitanti di Dorù Areaba.
Allarmata, Tramontana aveva scrutato le mura che
la
racchiudevano, riconoscendo nel cupo susseguirsi di pesanti blocchi
d’ossidiana
la stessa trama delle pareti della sala da pranzo di Galbatorix.
Una cosa era certa: lei non si trovava nella
fortezza dei
cavalieri dei draghi e gli strani fatti della notte precedente non
erano che
pura e tangibile realtà.
La consapevolezza dell’assenza di Sigfrido
al suo fianco,
investì il drago bianco come una secchiata di acqua gelida sul
muso,
terrorizzandolo ancora di più.
Il drago rosso non ebbe alcuna difficoltà
nel leggere nella
mente della propria ospite, la quale non beneficiava
dell’addestramento
avanzato che le avrebbe permesso di nascondere la propria anima alla
vista
dell’altro.
Così il drago color fuoco aveva subito
fornito una risposta
a tutte le domande inespresse, evitando che le acque di quel fiume
gorgogliante
si riversassero troppo a valle.
Ben svegliata Tramontana. Amlet sta ancora
ronfando alle
tue spalle mentre Sigfrido ed Edmund stanno ora avendo un amichevole
colloquio
con il re. Non fare quella faccia inorridita poiché non
c’è niente di cui
preoccuparsi: Galbatorix non vuole farvi del male perché siete
troppo preziosi
per lui.
Queste parole non fecero che aggrovigliare ancor
di più le
viscere già contratte della dragonessa.
Avrebbe voluto agire in qualche maniera, cavare
lei stessa,
il proprio cavaliere ed i suoi amici fuori dal dannato pasticcio nel
quale
stavano affogando.
Dopo i primi attimi di tormentata urgenza, la
logica aveva
infine dominato l’istinto dicendole che nulla avrebbe potuto fare
in quel
momento tranne interrogare lo sconosciuto per avere un quadro migliore
della
spiacevole situazione, in modo da uscirne nel modo più indenne
possibile.
Bene, vedo che finalmente non sei più
nel pallone.
Chi sei?
Mi chiamo Castigo, sono il drago di Murtagh.
Castigo… Murtagh…mmm sai questi
nomi non mi suonano
nuovi, anzi…
La comprensione la travolse infine come una
mandria di
bufali impazziti, martellandole sulle scaglie con un furioso abbattersi
di
miliardi di zoccoli duri e dolorosi.
Pentendosi di aver posto domande, Tramontana
inghiottì a
fatica il nodo che le si era creato in gola, mentre il drago del
fratello di
Eragon, alleato con le forze del male, le leggeva la mente con
l’interesse
ozioso con il quale si assiste ad un’opera teatrale.
Nonostante i suoi guai, Tramontana non poté
fare a meno di
notare che Castigo aveva un sorriso estremamente affascinante.
I due cavalieri somigliavano a due cenci
trasandati e
pallidi, retti al cospetto del malvagio Galbatorix, conosciuto
solamente tra le
pagine dei libi fino a quel momento
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