Scrivere il seguito di
Da Austin a Tokyo non è esattamente una cosa che
avevo pensato di fare; ero davvero certa che l'incontro tra Patrick
Jane, star di The Mentalist, e Ryo e Kaori fosse finito lì,
con la caduta, letterale e metaforica, della setta di Visualize,
presenza occulta per anni dello show porcedural americano.
Mi sbagliavo.
Ryo e Jane hanno preso il sopravvento, esigendo un nuovo incontro, di
collaborare con un nuovo caso- che, dal titolo della storia, ispirato
al crime Le Strade di San Farncisco, che ebbe il merito di lancviare la
carriera attoriale di Michael Duglas, è facile capire dove
sarà ambientato.
Ritroveremo tante facce, e ne incontrermo di nuove... e adesso, vi
lascio alla storia.
Grazie e alla prossima!
La
testa
gli pulsava, ed avvertiva come un peso sul petto, un dolore lancinante
che
aumentava con ogni singolo respiro che prendeva, e gli sembrava che i
polmoni
stessi stessero andando a fuoco, che dovesse soffocare da un momento
all’altro,
annegare… annaspava, come se fosse stato sotto ad una
valanga o cadendo negli
abissi più profondi del mare, eppure sapeva,
avvertiva di essere all’aria aperta.
I
suoi
organi andavano a fuoco, eppure, aveva freddo- tanto. Era come se il
suo corpo
fosse percorso da piccole scosse, come se milioni di minuscoli aghi lo
pungessero nel medesimo istante, senza dargli tregua.
Tentò
di
sollevarsi.
Il
primo
tentativo andò a vuoto: i muscoli erano troppo doloranti, e
parevano non voler
rispondere ai suoi stessi comandi: il suo stesso corpo lo stava
tradendo.
Strinse
gli
occhi. Prese un profondo respiro. Poi un altro ed un altro ancora. Dopo
un
tempo che gli parve lunghissimo, finalmente, si decise a riprovare, e
stavolta
riuscì a sedersi.
Lentamente,
aprì gli occhi, mentre si stringeva nelle sue stesse
braccia: era nudo, in un
parco, ed era notte, anche se tra le fronde degli alberi poteva
intravedere il
sole sorgere.
Si
guardò
intorno, confuso, non ricordando come fosse arrivato lì,
cosa fosse successo la
notte precedente. Possibile che mentre girava con i suoi amici per
locali
avesse bevuto così tanto da finire per addormentarsi in
giro, senza nemmeno
rendersi conto di cosa stava facendo?
La
sensazione di freddo – ed umido- non diminuì;
anzi, più riprendeva conoscenza,
più questa aumentava, ed ad essa si era unito anche una
forte acidità di
stomaco. Avvertì la bile salirgli in gola quando il suo
olfatto percepì un
forte odore ferroso, ed istintivamente si voltò, rigettando
nell’erba gli acidi
dello stomaco, vuoto se non per il liquore consumato in compagnia in
quantità
eccessiva.
Boccheggiando
per aria, si pulì la bocca con il braccio, ma
così facendo desiderò nuovamente
rimettere, quando avvertì quello stesso odore sulle labbra.
Occhi
sgranati, si guardò le mani: erano coperte di sangue.
“Fermo
dove
sei, non ti muovere!” Appena sentì la voce,
alzò gli occhi; la luce di una torcia
lo colpì nelle iridi scure, e il leggero senso di speranza
che aveva osato
provare per un solo attimo svanì nel nulla, rimpiazzato da
un panico accecante
come quella stessa luce bianca che gli veniva puntata in viso:
qualunque cosa
fosse accaduto nelle ore precedenti, sapeva di essersi messo nei guai,
anche se
non sapeva nemmeno lui quanto grandi - ma era facile intuirlo, dal tono
e dal
modo di fare della bella poliziotta che lo teneva sotto tiro.
“Sei armato?”
“Cosa…
io…..” rispose, confuso, guardandosi intorno,
quasi stesse cercando un’arma o
si aspettasse di trovarne una a portata di mano, proprio al suo fianco.
Per un
attimo, una frazione di secondo, in quella nebbia che avvolgeva il suo
raziocinio si chiese se effettivamente lo fosse, ma non seppe darsi una
risposta.
“In
ginocchio e mani dietro la testa, adesso!” La voce femminile
gli intimò,
avvicinandosi. “Sei in arresto con l’accusa di
omicidio. Hai il diritto di
rimanere in silenzio, tutto ciò che dirai potrà
essere usato contro di te in
tribunale. Hai diritto ad un avvocato,
e
se non puoi permettertene uno te ne
sarà
assegnato uno d’ufficio…”
“Ma
cosa…
omicidio? Ma di che diavolo stai parlando?!” Lui
sibilò a denti stretti, mentre
prendeva ad agitarsi, ribellarsi; sentì che l’aria
gli veniva a mancare, che il
buio catturava i suoi occhi mentre il cuore gli batteva con una tale
forza che
temette gli sarebbe scoppiato nel petto. “Non ho ucciso
nessuno!”
O
almeno,
ne era quasi del tutto certo: non pensava di poter avere alcuna
certezza.
Il
dolore
al petto era ormai quasi lancinante, la visione si stava nuovamente
offuscando,
e temeva di non avere via di scampo, che ci fosse solo la morte ad
attenerlo. Sapeva
che non sarebbe accaduto, però.
Conviveva
con saltuari attacchi di panico, di cui pochi o nessuno erano a
conoscenza, da
quando era tornato da quella terribile guerra tanti anni prima. Aveva
visto
l’orrore, la morte, il sangue, aveva sentito quel sapore,
quell’odore troppe
volte per poterlo dimenticare… e poi c’era stata
quella volta, quella maledetta volta
che lui non avrebbe mai
dimenticato, per nessun motivo al mondo. I suoi amici, I suoi compagni,
morti,
come pure i loro nemici, e lui, che camminava,
barcollava più morto che vivo in mezzo ai loro
resti, avvolto da
una nebbia, a malapena consapevole di essere un umano,
di essere vivo, la sua fidata compagna in
mano, pronta… ma lui era rimasto solo, e lei aveva perso la
sua utilità,
divenendo una mera appendice del suo essere, che negli anni mai lo
aveva
abbandonato.
“Ascolta,
la scientifica deve esaminarti, quindi non posso darti nulla da
metterti
addosso, ti chiedo solo di avere ancora un po’ pazienza. Ci
vorrà solo un
attimo.” Sentì il freddo metallico delle manette
mentre gli venivano messe ai
polsi, e la bella investigatrice lo aiutò ad alzarsi. Il suo
tono era
determinato, tuttavia, giusto, quasi compassionevole; era evidente che
lei
stava solo facendo il suo dovere. Non era una passacarte, né
tantomeno rincorreva
premi, denaro o promozioni: faceva quel lavoro perché ci
credeva, perché
desiderosa di aiutare la gente- la gente normale, le persone comuni
– ad
ottenere giustizia quando tutti gli altri si ostinavano a negarla loro.
“Posso
leggerti di nuovo i tuoi diritti, se non hai capito o non hai
sentito…”
Mentre
si
alzava, lui scosse il capo, e vide, per terra, in una posizione
innaturale,
quasi fosse stata una bambola rotta, un corpo di donna inerte,
straziato fino a
renderlo irriconoscibile anche a chi l’avesse amata, gli
occhi spalancati – o
ciò che ne rimaneva - a guardare il cielo, eppure vitrei, i
capelli corti che
sembravano quasi essere un’areola intorno al capo.
Non
sapeva
chi fosse, o forse, semplicemente, non lo ricordava: la mente in una
nebbia,
era confusa su cosa fosse esattamente successo nei giorni prima.
“Posso…
posso fare una telefonata?” Domandò, con voce
tremante. Gli sembrava quasi di
essere un cucciolo, o forse un bambino. Non ricordava di essersi mai
sentito
così: forse non aveva mai provato una tale emozione, un tale
bisogno.
“Appena
saremmo arrivati al Javits Building potrai fare una chiamata al tuo
avvocato.
Non prima.” La poliziotta gli rispose, con calma. Le rotelle
del cervello dell’uomo
iniziarono a girare:
il Javits Building
era la sede dell’FBI di New York- almeno adesso aveva una
vaga idea di dove si
stesse trovando. La nebbia non si era ancora dipanata, ma almeno aveva
quel
singolo punto fermo, e forse, forse sarebbe potuto partire da
lì per fare luce
su cosa gli fosse accaduto, e perché pensavano che fosse un
omicida, anche se
c’era una domanda che lo incuriosiva e a cui non riusciva a
dare risposta: da
quando un omicidio era un reato federale? Non se ne sarebbe dovuto
occupare il
dipartimento di Polizia? Cosa rendeva diversa, particolare, la morte di
quella
donna?
Mentre
era
perso nelle sue elucubrazioni mentali, tecnici di laboratorio e
investigatori
forensi gli si avvicinarono, prelevando residui da sotto le unghie,
campioni di
DNA dal cuoio capelluto, dalla bocca, fotografando ogni centimetro del
suo
corpo mentre, alle sue spalle, un’altra squadra stava facendo
lo stesso con il
corpo della donna.
Non
ricuciva a smettere di farsi quelle domande: dove diavolo era, chi era
quella
donna, e perché l’FBI stava indagando su un
omicidio?
Strinse
gli
occhi, cercando di portare tutto in sottofondo, di vivere solo
nell’attimo,
conscio solo del suo cuore che pulsava e dei suoi polmoni che si
riempivano e
svuotavano di aria.
Dentro.
Fuori. Dentro. Fuori.
Ancora,
e
ancora, e ancora.
Lentamente,
riprese finalmente il pieno controllo del suo intero essere.
Una
donna
gli porse un pantalone della tuta ed una felpa, e dei calzini per non
farlo
camminare scalzo, poi gli rimise le manette e lo accompagnò
verso lo
scintillante SUV nero, facendolo poi accomodare sul retro.
Mentre
guardava il paesaggio scorrergli davanti, la mente dell’uomo
andò alla sua
famiglia, e si chiese se ancora la sua fidanzata, quella bellissima
donna dai
capelli ramati che lo aspettava a casa col sorriso ed il cuore in mano,
avrebbe
voluto sposarlo da lì a pochi giorni dopo aver saputo di
cosa era stato
accusato- e se, conoscendo il suo passato, avrebbe mai potuto credere
alla sua
innocenza.
Non
era
nemmeno certo di credere lui stesso di non aver fatto nulla…
non ricordava
nulla, e soprattutto, conosceva il suo passato, il tipo
d’uomo che era stato, e
che sarebbe potuto facilmente tornare ad essere, se lei avesse deciso
di
voltargli le spalle, abbandonandolo al suo triste destino di uomo
solitario che
non aveva nessun’altro al mondo.
Non
era al
suo avvocato che avrebbe telefonato, anche perché ormai era
da tempo che non ne
aveva più uno di fiducia, sempre che mai ne avesse avuto
uno- semplicemente,
alla gente piaceva dire di essere suo amico. Usa o sarai usato: non
c’era forse
un detto simile? Non lo aveva forse imparato lui stesso, con
quell’esistenza
zingara al limite della legalità, nelle tante zone grigie
che abitavano il
mondo?
No, la sua telefonata, lui
l’avrebbe fatta a
casa. Lei avrebbe saputo indicargli
a
chi rivolgersi, e soprattutto, avrebbe chiamato qualcuno che si sarebbe
messo a
districare il bandolo di quella matassa che, seppure ancora confuso,
egli era
certo essere fin troppo complicata per gli standard a cui
l’FBI era abituata –
e che mai e poi lui da sola sarebbe riuscito a risolvere da solo.
Per
quanto
gli dolesse ammetterlo, aveva bisogno di aiuto. Qualcosa bolliva in
pentola, ne
era certo. Qualcuno doveva averlo incastrato, anche se ancora non
sapeva bene
il perché – di certo, le persone a cui negli anni
aveva pestatoi i piedi erano
parecchie, ed era almeno da quando aveva venticinque anni che aveva
smesso di
tenere a mente nomi, volti e numeri di chi aveva giurato vendetta, di
fargliela
pagare ad ogni costo.
Qualcosa
che
aveva visto, o di cui qualcuno dei suoi informatori gli aveva parlato?
O forse
qualcosa su cui stava indagando o su cui aveva indagato in passato?
Solo perché
da quando si era fidanzato si era dato una
“tranquillizzata” ciò non voleva
dire che la sua vita fosse divenuta più semplice: aveva
continuato a fare
quello che faceva prima, a pestare piedi a destra e manca senza fare
troppa attenzione
a chi ne avrebbe subito le conseguenze, anche perché, lui,
non era mai stato
tipo da tollerare le ingiustizie, o accettare compromessi facili.
Eppure…
eppure, non gli veniva in mente nulla – non di recente,
almeno - che potesse
richiedere una tale soluzione così drastica, non solo per
screditarlo ma
addirittura toglierlo dalla piazza. Sembrava troppo…
esagerato, definitivo. Che
dovesse guardare al passato? Magari addirittura alla sua
gioventù?
Gettò
il
capo all’indietro, posandolo sul poggiatesta. Forse,
l’unica persona che
avrebbe davvero potuto aiutarlo era l’uomo che sarebbe dovuto
divenire suo
cognato da lì a un paio di giorni, se le cose non fossero
andate a rotoli in un
battito di ciglia: Ryo Saeba, il famoso City Hunter.
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