- Si erano sempre
guardati le spalle, loro due
Si erano sempre
guardati le spalle, loro due.
Fin da quando erano
piccoli e bazzicavano per le strade della loro città natale, avevano avuto lo
spasmodico bisogno di proteggersi.
Non se l’erano mai detto,
non ne avevano mai parlato esplicitamente, ma era sempre stato così e Trevor
sentiva che con il tempo le cose non erano cambiate affatto.
Era da tutta la vita
che lui e Mike erano amici – anche se a volte il termine amici pareva
sminuire quella sincronia mentale che li univa indissolubilmente.
Da sempre
condividevano qualunque cosa, anche ciò che per molti era impensabile,
specialmente per chi conosceva Mike e lo vedeva dall’esterno.
In tanti lo
consideravano un uomo schivo e poco incline ai rapporti sociali, devoto alla
musica e a poche altre cose. Lo conoscevano per le sue bizzarre passioni o per
i suoi modi di fare estrosi e disturbanti sul palcoscenico, per le sue risposte
bellicose ai giornalisti o per l’estrema riservatezza che lo caratterizzava
quando gli si ponevano domande troppo personali.
Ma Trevor lo
conosceva da quando erano piccoli – erano nati a soli tre giorni di distanza e,
se non fossero stati certi di essere stati partoriti da madri diverse,
avrebbero senz’altro pensato di essere gemelli.
Sapeva che Mike era
riservato perché era troppo umile per ritenere che i fatti suoi fossero
importanti per qualcun altro; sapeva che non gli piaceva darsi in pasto a chi
voleva fare gossip perché la vita era sua e sua soltanto; e sapeva anche che
Mike adorava scegliere accuratamente le persone a cui affidarsi completamente,
quelle a cui donarsi interamente e non risparmiare una sola sfaccettatura di
sé.
Erano poche, ma
esistevano e conoscevano davvero Mike.
Trevor non era mai
stato particolarmente orgoglioso o incline a vantarsi del suo legame con lui, però
sentiva che era speciale e aveva spesso l’impressione di poter comunicare
mentalmente con lui, anche senza incrociarne lo sguardo.
E Trevor non aveva
con nessun altro un rapporto simile.
Non era certo che per
Mike fosse lo stesso, ma aveva sempre sospettato che non potesse essere
altrimenti.
Si erano sempre
guardati le spalle, loro due.
Trevor era un ragazzo
semplice, non voleva far altro che dedicarsi a ciò che gli piaceva e mettere
tutto se stesso in ciò che faceva; in questo lui e Mike non erano tanto
diversi, anche se doveva ammettere che il suo amico aveva sempre avuto un
approccio viscerale e diretto con qualsiasi progetto portato avanti.
E Trevor l’aveva
sempre sostenuto, era stato entusiasta di stargli accanto e collaborare con
lui. Lo faceva perché lo stimava in quanto artista, ma anche perché riuscivano
a capirsi in un attimo e spesso viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda.
Litigavano, si
confrontavano, ma riuscivano a trovare sempre un punto d’incontro. E, una volta
usciti dallo studio di registrazione o dalla sala prove, erano nuovamente quei
ragazzini di Eureka che si conoscevano fin troppo bene e che si divertivano a
stare insieme come avevano sempre fatto.
Molte persone
pensavano che Mike avesse soltanto il lavoro in testa, che non si prendesse mai
una pausa; in parte era vero: il cantante non era solito andare in vacanza o
sprecare intere settimane a girarsi i pollici, ma amava intrattenersi con le
persone che reputava interessanti e trascorrere del tempo a chiacchierare e
fare casino con gli amici.
Trevor amava quei
momenti di condivisione, gli sembrava sempre di essere ancora giovane e
spensierato e che il tempo non fosse passato.
Però non dimenticava
mai di proteggere Mike, così come Mike non dimenticava mai di proteggere lui.
Era il loro modo di
essere premurosi, di dimostrarsi affetto e di mettere semplicemente a nudo il
bisogno che l’uno aveva dell’altro.
♪ ♪ ♪
Si erano sempre
guardati le spalle, loro due.
Quella volta non fu un’eccezione.
Il backstage brulicava di persone.
Trevor non aveva idea di chi fossero la maggior parte di
loro né da dove fossero entrate, ma sospettava che molte si fossero imbucate
durante o dopo lo show dei Mr. Bungle.
Se ne stava in un angolo, una birra fresca in mano e gli
occhi che scandagliavano i dintorni.
Incrociò lo sguardo di Trey e il chitarrista, dopo aver
salutato un paio di amici, lo raggiunse facendosi largo tra i corpi ammassati
dei presenti.
Si affiancò a Trevor e appoggiò la schiena alla parete,
sollevando a sua volta una lattina di birra.
I due brindarono e bevvero in silenzio qualche sorso di
liquido ambrato.
«Il fonico era una merda» gracchiò Trey. «Queste cose mi
fanno incazzare, capisci? La chitarra in spia non si sentiva, stavo per
lanciarmi giù dal palco e saltare addosso a quell’incompetente» proseguì.
«In effetti i volumi erano pessimi» concordò Trevor.
«E tutta questa cazzo di gente da dove arriva? Va bene che
siamo soltanto i fottutissimi Bungle, ma non è una cosa normale!»
Trevor rivolse un’occhiata in tralice all’amico e fece
spallucce. «Non lamentarti: nessuno ci sta importunando, per loro esiste solo
Mike. Stanno aspettando soltanto lui» replicò con ovvietà.
Trey sbuffò. «Ah, certo, e secondo te quel coglione viene fuori?
No, se ne sarà già andato in albergo, per quanto ne so!»
Trevor avvertì una punta di irritazione, ma cercò di non dar
peso a quella sensazione: sapeva che Trey era un tipo diretto, era il suo modo
di fare e spesso lo aveva visto insultare Mike in modi ben peggiori, salvo
ricevere lo stesso trattamento da parte del cantante.
Eppure si volevano un bene infinito.
Trey era una delle poche persone speciali per Mike.
Anche lui era cresciuto con loro a Eureka, avevano fatto
quasi tutto insieme e si conoscevano perfettamente, ma Trevor sapeva perché
Mike si fosse defilato.
Forse era l’unico a saperlo davvero. Non perché il cantante
gliene avesse parlato esplicitamente, ma forse erano le sue capacità empatiche
a fargli comprendere ogni stato d’animo di colui che considerava l’altra metà
di sé.
«E alla fine, per colpa sua, noi non possiamo neanche
rilassarci nel backstage! Cazzo!» sputò ancora Trey, finendo di bere la sua
birra con un ultimo lungo sorso.
«Non siamo obbligati a stare qui. Possiamo anche andarcene»
ribatté secco Trevor, indirizzandogli un’occhiataccia.
«Che fai, ti metti a difenderlo adesso?»
«No.»
«Allora dammi ragione, che cazzo!» Poi Trey scoppiò
improvvisamente a ridere e gli mollò una gomitata, adocchiando una persona che
conosceva e allontanandosi per salutarla.
Trevor sospirò e si disse che forse sarebbe stato meglio
andarsene.
Decise di finire prima la propria birra.
Poi lo vide.
Mike entrò nel backstage con un enorme sorriso, che subito
mutò in un’espressione contrariata quando notò la presenza di tutte quelle
persone.
Trevor fu l’unico a cogliere quel cambiamento, perché subito
dopo Mike torno a sorridere come se niente fosse.
E, in un attimo, una marea di gente gli si scaraventò
addosso: lo circondarono, lo assalirono, gli gridarono contro con ammirazione e
lo inondarono di lacrime, domande, abbracci e pacche amichevoli.
Lo guardò e lo vide smarrito, completamente annientato.
Non sapeva neanche spiegarsi da dove provenisse quell’impressione,
eppure lo colpì con chiarezza: forse erano i movimenti nervosi della mano
sinistra di Mike mentre gesticolava a suggerirglielo, oppure le sue
sopracciglia impercettibilmente aggrottate; perfino i suoi lineamenti
risultavano appena induriti e i suoi occhi sembravano sfuggenti.
E il sorriso, beh, quello era forzato e tirato, nonostante
risultasse ampio e amichevole agli occhi di tutti quei fan adoranti.
Trevor lo vedeva e il disagio che il cantante stava provando
cominciava a crescere anche in lui.
Poteva avvertire la necessità di Mike di scaraventare
lontano chi allungava mani sconosciute su di lui, chi gli piangeva su una
spalla o chi continuava a strillare con voce acuta e stridente.
Poteva quasi percepire il sudore freddo che gli colava
dietro il collo, il senso di claustrofobia che gli mozzava quasi il respiro, le
gambe che tremavano per la smania di allontanarsi il prima possibile.
Eppure Mike sembrava un uomo tutto d’un pezzo, fermo e
imponente in mezzo alla mischia, che si mostrava disponibile e incline a farsi
massacrare da chi era entrato nel backstage senza preavviso.
Trevor si rese conto che Mike non sapeva niente di quel
casino, motivo per cui era entrato nella stanza con un bellissimo sorriso,
pronto a condividere un po’ di tempo a scherzare e chiacchierare con i compagni
di band e qualche altro membro dello staff.
Poi si era ritrovato sommerso e non aveva potuto che
soccombere.
Trevor finì di bere dalla lattina e si staccò dalla parete,
cominciando a camminare verso il suo amico.
Nessuno fece caso a lui – nessuno tranne Mike.
Il cantante intercettò il suo sguardo e le sue iridi scure
si dilatarono appena; Trevor interpreto quel piccolo mutamento come una
richiesta di aiuto, anche se nessun altro parve accorgersene.
Trevor sapeva che era giunto il momento di guardargli le
spalle.
Si fece largo tra le persone che circondavano Mike e gli si
affiancò; gli sfiorò il braccio e fece un cenno con il capo.
Un paio di ragazzi erano in posa accanto a Mike e scattavano
un selfie con lui, mentre una giovane bionda gli poggiava le mani sul petto e
cercava intensamente il suo sguardo.
Sguardo che era sempre più smarrito, anche se solo Trevor
pareva notarlo.
Il bassista si schiarì la gola e circondò le spalle
dell’altro con un gesto apparentemente amichevole e noncurante, ma con le dita
della mano sinistra gli strinse appena il braccio. «Ciao, amici. Io e Mike
dobbiamo proprio andare, abbiamo avuto un contrattempo. Ci dispiace davvero
tantissimo» esordì in tono fermo, tentando di risultare educato e di sorridere
a tutti coloro che aveva di fronte.
E improvvisamente molte paia di occhi si focalizzarono su di
lui: erano sguardi delusi, accusatori, infuriati. Sguardi che Trevor aveva
ormai imparato a reggere e a farsi scivolare addosso.
Avvertì Mike fare un passo indietro e quasi lasciarsi andare
contro di lui, esausto dall’ennesima situazione di disagio.
«Siamo davvero di fretta, ci hanno chiamato per un’emergenza»
proseguì, ignorando deliberatamente il coro di voci che disapprovava
quell’improvvisa notizia.
Nessuno di quei ragazzi riusciva a sopportare che qualcuno
gli stesse sottraendo il loro idolo.
E Trevor non sopportava che quelle persone pensassero di
avere il diritto di importunare Mike, di impossessarsi di pezzi dl lui, di
assalirlo senza il suo permesso. Non ce l’aveva con i fan in generale, ma solo
con quelli inopportuni come loro.
Nessuno aveva avuto l’autorizzazione di entrare nel
backstage, eppure eccoli lì, a lamentarsi e a protestare per qualcosa che
ritenevano gli spettasse di diritto.
A Trevor ribollì il sangue nelle vene e la mascella gli si
serrò d’improvviso; tentando di mantenere la calma, spinse gentilmente indietro
il corpo dell’amico e si frappose tra lui e i fan con la scusa di dar loro le
spalle e uscire dalla stanza.
Si sentì afferrare per la felpa, si sentì graffiare
attraverso i vestiti e le sue orecchie vennero invase da gridolini frustrati e
imprecazioni sputate tra i denti.
Non vi badò – non ne valeva la pena – e si concentrò sugli
occhi sgranati di Mike.
Improvvisamente riconobbe quel ragazzino con cui era
cresciuto, quello che faceva sempre il duro ma poi moriva di paura quando veniva
colto con le mani nel sacco; Mike non si era mai tirato indietro quando c’era
da combinare qualche scherzo, ma aveva sempre finito per cedere e ammettere il
misfatto commesso.
Trevor lo aveva sempre considerato coraggioso, in fondo non
era da tutti addossarsi le proprie colpe, specialmente da ragazzini.
Eppure Mike era sempre stato così, e in quel momento era
come se di fronte a sé Trevor vedesse quel bambino impaurito e smarrito.
Allora lo fece voltare e lo spinse fuori dalla stanza con
forza, richiudendosi la porta alle spalle.
Tenendolo per un polso lo trascinò lungo il corridoio,
finché non raggiunsero una porta socchiusa; Trevor, per evitare che qualche fan
li notasse, la spinse ed entrò nella stanza insieme all’amico, per poi
richiudere l’uscio e appoggiarvi la schiena contro.
Si guardò attorno e notò che si trovavano in una sorta di
camerino privato, piuttosto piccolo e polveroso: il vecchio divano addossato
alla parete non doveva essere stato occupato da tempo, così come il pavimento
non doveva essere stato pulito di recente.
Mike era immobile al centro della stanza e gli dava le
spalle. Entrambi erano immersi nel silenzio, ma Trevor ritenne opportuno non
spezzarlo.
Non ancora.
Infine il cantante si voltò e i suoi occhi scuri e intensi
incrociarono quelli di Trevor.
Il cuore del bassista si riempì della stessa angoscia che vi
lesse, e fu una sensazione destabilizzante.
Mike si rilassò leggermente e rimase a osservarlo, poi si
lasciò sfuggire un lungo sospiro e gli regalò un sorriso. «Grazie» mormorò.
Trevor si strinse nelle spalle e scrollò il capo, incrociando
le braccia sul petto. Non replicò, non sapeva proprio cosa dire: non c’era
alcun bisogno che Mike lo ringraziasse, in fondo si erano sempre guardati le
spalle, loro due.
Quella non era stata un’eccezione.
Mike ampliò ulteriormente il sorriso e fece qualche passo
verso di lui.
Si guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi il
cantante afferrò Trevor per i polsi e lo costrinse a sciogliere le braccia.
Trevor non capì cosa stesse succedendo finché non si ritrovò
abbracciato a lui, serrato contro il suo corpo massiccio e con il viso
affondato nella sua spalla.
Mike prese a ridacchiare e a picchiettargli affettuosamente
sulla schiena. «L’hai capito» affermò.
Trevor si ritrovò a sorridere a sua volta. «Cosa?»
«Che avevo bisogno di qualcuno che mi salvasse da quei
poveri ragazzi» replicò, scostandosi da lui per incrociare ancora una volta i
suoi occhi.
«Beh, l’avrebbe notato chiunque…» si sminuì Trevor, le mani
posate sulle spalle dell’altro.
Mike inclinò il capo di lato e ghignò, stringendogli
affettuosamente un braccio. «No, Trev» si limitò a dire, per poi indietreggiare
e scuotere il capo.
Trevor non aggiunse altro.
Si scambiarono un’altra occhiata colma di significato,
mentre nuovi sorrisi si allargavano sul volto di entrambi.
Poi il bassista si passò una mano tra le ciocche castane e
mosse e indicò la porta. «Che dici, se ne saranno andati?»
«Spero di sì» commentò Mike con ritrovato buonumore.
«Vado a controllare se vuoi» propose Trevor.
Il cantante fece nuovamente un passo avanti e afferrò la
maniglia, rivolgendogli un’occhiata complice. «Andiamo insieme.»
L’altro annuì, anche se non era tanto convinto.
«Guardami le spalle, amico» aggiunse Mike.
Trevor rise piano e gli batté sulla schiena. «Sempre.»
E non lo disse tanto per dire, non fu una promessa di
circostanza: l’aveva sempre fatto e avrebbe continuato finché ne avrebbe avuto
la possibilità.
Si erano sempre guardati
le spalle, loro due.
Questo non sarebbe
mai cambiato.
* * *
Lettori, so che questa è una storiella da niente, forse non
sarà un capolavoro, ma avevo davvero troppo bisogno di scriverla.
È da quando ho letto Lo Spettatore
di SamHetfield (storia che vi consiglio caldamente di leggere) che volevo
dedicare quest’ulteriore spazio all’amicizia tra Mike e Trevor.
Ho sempre avuto quest’idea su loro due: anime gemelle – in
senso esclusivamente amichevole – che riescono a capirsi, leggersi dentro e sentirsi
l’un l’altra senza neanche guardarsi.
Ecco perché ho pensato di donare a Trevor la capacità di
aiutare Mike a liberarsi di fan indesiderati, visto che mi è venuto semplice
immaginarlo come l’unico che potesse capire il reale stato d’animo dell’amico.
Adoro tantissimo anche la foto che trovate in cima, poi
Trevor ha un faccino proprio tenero e dolce :3
Spero che questo racconto vi sia piaciuto ^^
Ringrazio tantissimo Sam per avermi concesso di ispirarmi al
suo stupendo racconto che, ripeto, vale la pena di essere letto, assolutamente!
*___*
Grazie a tutti per aver letto e alla prossima ♥
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