Nella tana del lupo
• Salve!
Come ho scritto nella intro, questa storia è ispirata
a Beastars,
Manga di Paru Itagaki. Ci tengo a specificare, però, che io Beastars
l'ho cominciato da poco e sono ancora una novellina, motivo per il
quale questa storia non segue pedissequamente quelli che sono i tratti
fondamentali dell'opera originale, ne prende solo diversi spunti che
sono poi stati riadattati.
• Una tra
le differenze più lampanti risiede nei personaggi stessi, in
quanto in Beastars
i protagonisti sono animali
antropomorfi e civilizzati,
mentre qui Ryoken e Yusaku sono esseri umani che presentano dei tratti
tipici degli animali che rappresentano – coda e orecchie
soprattutto, quindi il loro aspetto non muta drasticamente, diciamo.
• In questa
storia sarà presente il tema principale dell'opera
originale, ovvero il
rapporto tra erbivori e carnivori.
Ci sono poi dei riferimenti al canon un po' modificati, come ad esempio
il fatto che sia Yusaku (un coniglio nano) a frequentare il club di
teatro (nel Manga invece è il protagonista Legoshi, un lupo
grigio che lavora come tecnico delle luci, mentre Haru, la coniglia
nana, si occupa del club di giardinaggio) e poi il riferimento
all'aggressione di un carnivoro ai danni di un erbivoro (che in questa
storia non
sfocia nell'assassinio).
Inoltre, Ryoken
è rappresentato come un lupo bianco anziché un
lupo grigio.
•
Più in generale, invece, la storia prende una piega
completamente diversa rispetto al Manga, quindi penso di avervi detto
tutto – tranquilli, non dovrete sorbirvi altre N.d.A.
prolisse a
fine storia, lol
Vi auguro buona lettura!
Nella tana del lupo
1
La
prima volta che lo vide, rimase particolarmente impressionato dalle sue
movenze alquanto goffe e dai piccoli saltelli che tentava di compiere
ogni due o tre passi, uno più impacciato dell'altro. Era adorabile e, se avesse avuto
tutto il tempo del mondo, probabilmente Ryoken lo avrebbe guardato
(ammirato)
una vita intera.
Il coniglietto
era solito,
per tre giorni la settimana, caricarsi sulle esili braccia e sulle
spalle un sacco di materiale facente parte del club di teatro: tra
fogli colorati, pennarelli e matite di ogni tipo, colla, stoffe e chi
più ne ha più ne metta, percorreva sempre il
solito
tragitto per portare tutto quanto a destinazione, ovvero la sala prove
dall'altra parte del campus.
(Vedi,
coniglietto, questo è quello che succede quando arrivi
all'ultimo e scegli alla cieca un club solo per dovere e non
perché ti piace: quelli dell'ultimo anno dicono che
“devi
fare la gavetta” e quindi scaricano su di te qualsiasi
fatica.
Come faccio a sapere che sei una matricola? Perché in due
anni
non ti ho mai visto qui. E fidati, se invece fosse successo il
contrario, credo che sarei impazzito molto tempo addietro).
Ryoken aveva
iniziato a non
capire più nulla nel giro di poco: il coniglietto nero non
faceva chissà che cosa e anzi, più che avanzare
pareva arrancare
per quei tre giorni della settimana diretto alla sala prove. Quello che
più lo aveva colpito era il fatto che non chiedeva mai aiuto
e
anzi, se qualcuno gli si avvicinava per offrirgliene, lui rifiutava
sempre, liquidando ogni approccio con un “Ce la
faccio da solo, grazie”, nonostante fosse
palese che necessitasse di un supporto.
Oltre a
questo, non poteva
certo negare che la sua coda nera fosse estremamente graziosa
– e
probabilmente anche morbida al tatto –, così come
le sue
orecchie, anch'esse nere, che oscillavano da una parte all'altra a ogni
suo movimento
(alcune
volte si drizzavano per captare suoni o segnali e cielo, quanto era
carino quando si concentrava, con quegli occhioni verdi simili a un
prato in miniatura e le gote un poco arrossate a causa dello sforzo
fisico).
Ryoken aveva
letteralmente
perso la testa per quel coniglietto nero. Era uno spettacolo di
beatitudine a cui i suoi occhi si erano ormai fin troppo abituati, cosa
che forse aveva fatto anche il suo cuore. Il lunedì, il
mercoledì e il venerdì terminava le lezioni e sapeva
che nel giro di una decina di minuti lo avrebbe visto –
sempre
tutto indaffarato – solo se si fosse appostato davanti
l'uscita
dell'ala del campus dove era stato rinchiuso per l'intera mattinata.
E quante volte
aveva
provato l'impulso a tratti irrefrenabile di avvicinarsi a lui e
aiutarlo con tutti quei fastidi da trasportare. Quante volte aveva
pensato di presentarsi a lui, camminare al suo fianco, scambiare
qualche parola e poi salutarlo. Quante volte era stato sul punto di
farlo, senza però mai muovere un muscolo nella sua direzione
(lo seguiva sempre e solo con lo sguardo).
Quante volte aveva pensato che poteva farlo, perché
dopotutto chiunque
lì dentro si stava impegnando per mantenere integro
l'equilibrio
tra le due fazioni e quindi aiutare il coniglietto sarebbe stato
sicuramente un importante passo in avanti per la buona causa.
E quante volte
gli si era
palesata nella mente la foto di un compagno del coniglietto ricoperto
di sangue e con qualche osso rotto, spiattellata sulla prima pagina del
giornale del campus, facendolo desistere. Quello che non sarebbe mai
dovuto accadere, un'eresia che violava il codice del quieto vivere tra
due mondi diametralmente opposti: un carnivoro che
attaccava un erbivoro con l'intento di sbranarlo.
(Un leone
aveva attaccato una gazzella, il mese addietro. Il colpevole era stato
arrestato e la gazzella, un ragazzo del secondo anno, ricoverato
d'urgenza in ospedale. Si era salvato per puro miracolo, ma
fortunatamente si stava riprendendo).
Ryoken era un
lupo bianco.
E insomma, in quale altro modo poteva concludersi la storia di un lupo
che approcciava un coniglietto se non in prima pagina nella nuova
edizione del giornale del campus al posto del leone e della gazzella?
2
Era lento, lo
avrebbe
raggiunto in fretta. Il coniglietto impiegava sempre un tempo
considerevole nel percorrere il proprio tragitto verso la sala prove,
quindi in men che non si dica il lupo avrebbe potuto palesarsi dietro
di lui, di fianco a lui, addirittura davanti a lui, bloccandogli la
strada.
Ryoken non lo
aveva mai
fatto. Era arrivato a pensare che forse l'infatuazione nei confronti di
quella creaturina fosse solo una maschera di cartapesta pronta a
sgretolarsi da un momento all'altro. Forse quell'infatuazione era solo
un modo carino di celare il suo vero desiderio, ciò che
più agognava: farlo suo.
E il non
capire
in che modo lo volesse lo destabilizzava: era sempre stato sicuro delle
sue scelte e dello stile di vita che aveva deciso di condurre. Vivere
come un lupo civilizzato in mezzo a tutta quella carne fresca non era
una passeggiata, anzi, era una sfida quotidiana che metteva a dura
prova i suoi nervi, la sua salivazione e i suoi atavici istinti.
Eppure, più il tempo si riduceva in cenere e più
imparava
a reprimere la belva che albergava nel suo stomaco e nella sua
coscienza, seguiva la rigida dieta del campus senza mai battere ciglio
ed era arrivato al terzo anno accademico completamente pulito, la sua
scheda era priva di macchie o sbavature di sangue e anzi, era
considerato uno studente modello.
Ma non era facile. Non lo era mai, ogni giorno
rischiava di tramutarsi in una tortura da un momento all'altro e
(diamine, era dura da ammettere)
da quando
aveva visto per
la prima volta quel coniglietto era come se fosse tornato ai primi
giorni trascorsi in quel campus, quando era lui la matricola e ancora
doveva ambientarsi e imparare a controllarsi.
Quel
coniglietto lo stava
sconvolgendo interiormente come mai nessuno era riuscito a fare. E la
cosa più assurda era che non aveva fatto proprio nulla di tanto eclatante,
non gli aveva mai rivolto la parola e forse non lo aveva neanche mai
guardato in faccia, semplicemente arrancava e faceva quei piccoli
saltelli tanto graziosi e le orecchie si muovevano come timide onde del
mare. Tutto qui.
E forse quel coniglietto era fantastico proprio per questo:
perché sapeva rendersi speciale con poco.
3
La prima volta
che Ryoken comprese di essersi veramente
interessato a quel coniglietto nero avvenne un giorno come tanti,
l'ennesimo in cui lo vide impegnarsi oltre ogni modo nel trasportare
tutto il materiale nella sala prove. I senpai del terzo anno avevano
una richiesta diversa ogni volta e la matricola si ritrovava sempre con
qualcosa di diverso tra le braccia e sulle spalle.
Ma
sostanzialmente la scena
non cambiava mai, non esisteva alcun nuovo atto che mandasse avanti lo
spettacolo: tutto iniziava nel momento in cui lo vedeva e tutto finiva
nel momento in cui raggiungeva la sua destinazione... fino a quel
giorno in cui Ryoken si rese conto che, nel momento in cui
incatenò lo sguardo alla sua figura, si era sentito talmente
felice che il cuore aveva iniziato a battere celere nella cassa
toracica, le pupille gli si erano dilatate, le orecchie gli si erano
drizzate e non riusciva a smettere di sorridere.
Poi, solo in
un secondo
momento, si rese anche conto che stava scodinzolando in maniera a dir
poco imbarazzante, motivo per il quale portò le mani dietro
la
schiena nel tentativo di frenare quella coda bianca impazzita che, ne
era certo, se fosse stata poggiata a terra avrebbe spazzato in men che
non si dica il pavimento dell'intera palestra del campus, rendendolo
lindo e brillante.
(Avrebbe dovuto comprare dei pantaloni che contenessero la coda, ormai
lo aveva capito...)
4
Il giorno in
cui tutto cominciò per davvero,
avvenne circa due settimane dopo l'inizio dello scodinzolare impazzito
che ormai si palesava, facendosi beffe di lui, ogniqualvolta lo vedeva.
Il coniglietto quel giorno era intento a trasportare una mole di
materiale fin troppo esagerata; arrancava più del solito e
almeno tre volte aveva rischiato di mollare la presa, lasciando
malamente ruzzolare tutto a terra.
(Una
miriade di colori si sarebbe riversata sul terreno del campus, ma
Ryoken ne era certo, quel coniglietto nero aveva i colori
più
belli fra tutti).
All'ennesimo
passo incerto,
ecco che accadde: la parte superiore di quell'immensa piramide di
cartoncini, stoffe e matite colorate crollò rovinosamente,
sparpagliandosi ovunque, seguita da un sospiro rassegnato da parte
della creaturina.
Per Ryoken era arrivato il momento di agire. Ora o mai più:
il suo coniglietto, quella
volta, aveva veramente bisogno di aiuto. Del
suo
aiuto.
Per questo,
con uno scatto,
si impose di arrivare per primo, sorpassando tutti coloro che come lui
erano intenzionati ad aiutarlo. Fortunatamente non c'erano molti
studenti, quel giorno, alcuni ancora impegnati con le lezioni o altri
che già presenziavano alle sedi dei propri club. Era davvero il suo momento. Il loro.
(E al
diavolo qualsiasi tipo di freno che si era autoimposto fin dal primo
giorno. Ormai aveva raggiunto il limite, non poteva più
stargli
lontano. Il campus incoraggiava costantemente il dialogo tra erbivori e
carnivori – quale modo migliore per avvicinarsi se non col
dialogo? – e quindi lui, studente modello quale era, stava
solo
adempiendo a quella che era la guida massima per incentivare il quieto
vivere tra le due fazioni).
«Coniglietto, posso aiutarti?» domandò,
ormai a
pochi passi da quell'esile figura, la fonte primaria di ogni suo
più intimo e romantico pensiero.
Accadde
però
qualcosa che forse non aveva preventivato. E forse avrebbe dovuto
farlo, perché andava bene impegnarsi per instaurare un
rapporto
civile tra erbivori e carnivori, ma restava comunque il fatto che il lupo tendeva a
cibarsi del coniglio allo stesso modo in cui il leone si cibava della
gazzella.
E quando vide
il
coniglietto nero abbassare completamente le orecchie, si rese conto
della precaria posizione nella quale si trovavano entrambi
(oltre al cuore che scricchiolò appena).
Voleva
scappare. Glielo si
leggeva perfettamente nello sguardo, in quegli occhioni verdi
completamente sgranati e nelle gambe che tremavano appena.
«N-no, ti ringrazio... faccio da solo»
borbottò poi,
ripresosi dallo shock iniziale. Si chinò a recuperare tutto
il
materiale sparpagliato intorno a lui – intorno a loro
– e
se lo issò nuovamente sulle braccia. Neanche il tempo di
compiere il primo passo
(o il primo, grazioso saltello)
che l'instabile piramide colorata crollò nuovamente,
sparpagliandosi ancora.
Il coniglietto
reiterò quell'azione altre tre volte prima di arrendersi
–
Ryoken lo aveva osservato per tutto il tempo senza battere ciglio,
completamente impressionato da tutta quella testardaggine.
«Forse... forse ho bisogno di aiuto» disse infine,
fissando il terreno imbarazzato.
5
Era... oh
cielo, era tenerissimo.
Ora che era libero da almeno tre quarti del peso, Ryoken aveva la
possibilità di osservarlo al meglio e il modo in cui il
coniglietto saltellava ogni due o tre passi con molta più
scioltezza era un bombardamento di graziosità che fece
vacillare
il suo cuore ben più di una volta. Impiegò tutta
la sua
forza di volontà nell'impedire alla coda di scodinzolare da
una
parte all'altra senza ritegno alcuno.
«Come mai hai scelto il club di teatro?» gli
domandò. Sapeva già la risposta, ma il
coniglietto non
sapeva che lui
sapeva.
E una domanda simile era l'ideale per rompere il ghiaccio durante
quella passeggiata.
«Solo perché
avevano ancora bisogno di
alcuni membri per essere al completo» rispose infatti,
dicendo
l'ovvio. «Fosse stato per me, non lo avrei mai
scelto».
«Se posso darti un consiglio, l'anno prossimo, appena
riapriranno
le iscrizioni, punta a quello di informatica. Credo che ti troverai
molto meglio
(tralasciando il fatto che sono il presidente del club, si intende)
e non dovrai neanche trasportare quintali di cose da una parte
all'altra del campus».
«Oh... grazie per la dritta».
«Figurati».
Giunsero davanti l'entrata della sala prove in men che non si dica.
Dopotutto erano entrambi veloci
quando si trattava di avanzare senza alcun impedimento. Solo che Ryoken
fu preso in contropiede perché non se lo aspettava: era
talmente
abituato a vedere il coniglietto impiegare così tanto tempo
per
completare il tragitto che non aveva preso in considerazione il fatto
che grazie al suo aiuto la passeggiata sarebbe durata molto meno.
Aveva ancora così tante cose da dirgli e da chiedergli...
«Ah, siamo già arrivati...» disse, le
orecchie un
poco abbassate per il dispiacere. «Allora... ci vediamo,
coniglietto» si congedò dopo aver poggiato a terra
tutto
il materiale.
«Sì, ci vediamo... grazie per l'aiuto»
sussurrò un po' incerto.
Ryoken abbozzò un sorriso prima di voltargli le spalle e
allontanarsi.
«Comunque...»
Si fermò di scatto non appena il più piccolo
riprese a parlare, voltandosi nuovamente verso di lui.
«Non mi chiamo “coniglietto”. Mi chiamo
Yusaku»
borbottò prima di chinarsi per recuperare i cartoncini e le
matite colorate.
(Tieni a freno la coda...)
«Io sono Ryoken. Allora ci vediamo, Yusaku».
6
Nelle
settimane successive,
le cose tra di loro mutarono significativamente. Yusaku non era
più intimorito all'idea di camminare al fianco di un
carnivoro
e, al contempo, Ryoken era orgoglioso di se stesso perché
riusciva a mantenere un controllo impeccabile sui suoi impulsi
–
anche quelli più lascivi.
L'idea di voler far suo
Yusaku non era certo scemata, anzi, più si avvicinava a lui
e
più quel desiderio si faceva impellente, ma quantomeno era
arrivato alla conclusione che non anelava la sua carne per mero
fabbisogno nutritivo, bensì nella maniera più
intima e
romantica del mondo. Ma avrebbe tenuto per sé quel pensiero,
perché non poteva in alcun modo permettersi di rovinare
tutto
quanto per una cosa del genere: per guadagnarsi la fiducia di Yusaku
aveva sudato sette camicie e se doveva essere onesto, aveva ancora
l'immagine di lui con le orecchie completamente abbassate, le gambe
tremebonde e gli occhioni verdi spalancati del loro primo, vero
incontro.
(Una preda
che aveva perso completamente ogni speranza di salvezza alla vista del
proprio predatore così vicino alla sua giugulare).
E gli faceva
ancora tanto
male. Inoltre, la paura legata all'increscioso incidente di qualche
mese addietro aleggiava ancora nell'aria come un veleno mortifero.
Non voleva
tornare al punto
di partenza ora che le cose tra di loro erano progredite
così
tanto: erano arrivati addirittura a pranzare insieme e Ryoken aveva
preso l'abitudine di acquistare dalle macchinette degli snack alla mela
essiccata e alla carota, i preferiti di Yusaku, perché
quando
aveva scoperto che a causa delle “mansioni”
assegnategli
dai senpai del club di teatro non riusciva nemmeno a ritagliarsi cinque
minuti per pranzare, era quasi andato nel panico pensando al
coniglietto con lo stomaco che brontolava mentre svolgeva tutti i suoi
lavori.
Da quando
aveva iniziato ad
accompagnarlo con tre quarti di materiale sulle braccia, arrivavano
sempre in largo anticipo davanti la porta della sala prove. Allora
poggiavano tutto quanto a terra e Ryoken dallo zaino estraeva il
sacchetto con gli snack che piacevano tanto a Yusaku, regalandoglielo
ogni volta – Yusaku si era opposto un'infinità di
volte
perché sapeva che quegli snack non erano alla portata di
tutti,
ma Ryoken avrebbe volentieri speso l'intero patrimonio se
ciò
significava non fargli saltare mai il pranzo.
«Credo che oggi pioverà»
annunciò Yusaku
mentre rosicchiava uno snack alla carota. «Anche se spero di
sbagliarmi, dato che non ho l'ombrello con me».
«Già» confermò Ryoken,
intento a osservare un
cielo apparentemente placido e tranquillo, privo di qualsiasi
increspatura. «Nemmeno io».
7
Alla fine,
Yusaku ci aveva
preso in pieno: stava piovendo. E non era nemmeno un semplice
acquazzone, bensì una vera e propria tempesta di ghiaccio.
Dopo
aver terminato un progetto coi membri del club di informatica, Ryoken
corse a perdifiato verso la sala prove del club di teatro. Aveva un
brutto presentimento, un pesante e opprimente macigno che gli
ingombrava la bocca dello stomaco. Un vero e proprio tarlo che gli
divorava qualsiasi pensiero positivo.
E quando lo
vide lì,
davanti l'entrata dell'edificio, tremebondo, infreddolito e con le
orecchie completamente abbassate, il cuore gli si serrò in
una
morsa spietata. Digrignò i denti, ma quando lo raggiunse li
aveva nuovamente nascosti perché l'ultima cosa che voleva
era
spaventarlo ancora di più.
«Yusaku...» lo
chiamò.
Il coniglietto
si
voltò, un sorriso tirato gli incurvava le labbra e gli occhi
erano pregni di lacrime che rischiavano di solcargli le guance da un
momento all'altro.
«Sto bene. Sto aspettando che torni il bel tempo per recarmi
al
mio dormitorio, cosa che dovresti fare anche tu. Il tuo è
qui
vicino, se non erro» disse, la voce incrinata dal principio
di un
pianto incontrollato.
«Cosa ti hanno
fatto?» domandò Ryoken con voce improvvisamente
più roca.
«Il solito: mi hanno ignorato. E siccome dovevo ancora finire
di
sistemare alcune cose, se ne sono andati senza di me». Ora la
voce di Yusaku tremava molto di più
(no, si era ormai spezzata).
«Quei bastardi! Senti, non è sicuro rimanere qui,
lo sai».
«Ma non ho un posto dove
andare, il mio dormitorio è dall'altra parte del
campus...»
«Puoi sempre venire con
me».
Yusaku
sgranò gli
occhi e, ancora una volta, Ryoken fu colpito dalla limpidezza di quel
verde che tanto gli ricordava un profumato prato primaverile.
«Venire... con te...?»
(Complimenti, ora sì che lo hai spaventato a dovere. Cosa ti
è saltato in testa? Invitarlo nel tuo dormitorio che
è
solo ed esclusivamente per carnivori, sei serio? Starà pur
piovendo a dirotto, ma ti sei appena bruciato qualsiasi
possibilità con lui, anche la più piccola e
incerta).
«Io...»
Tentò
di rimediare
al danno commesso, senza però riuscirci: Yusaku tremava
ancora
quando lo abbracciò forte, nascondendo il volto rigato di
lacrime e pioggia contro il suo petto.
«Portami con te, Ryoken... voglio stare con te... ho paura e
tanto freddo...»
Probabilmente
il suo cuore
cessò di battere per un istante. Poi deglutì
sonoramente
prima di staccarsi da lui e guardarlo negli occhi.
«Perdonami, Yusaku: so che a voi coniglietti non garba molto
essere presi in braccio, ma...
(Gli bastò un istante per avere quel corpicino a stretto
contatto col suo petto)
... così faremo prima».
E corse.
Lontani da tutto e
da tutti, lontani dalla cattiveria del mondo e da quel cielo che
scaricava tutta la sua frustrazione sulla Terra.
In quel tardo
pomeriggio
vessato dalle intemperie più iraconde, per la prima volta
Yusaku
entrò nella tana del lupo.
(La prima di tante).
8
Era una
fortuna che il
dormitorio fosse quasi completamente vuoto, quel giorno. Molti studenti
erano rimasti rinchiusi nelle aule o negli spazi adibiti ai club in
attesa che le condizioni atmosferiche migliorassero, motivo per il
quale l'imponente edificio a tre piani pareva quasi abbandonato.
Un'infinita
cascata di
goccioline scendeva dai loro corpi ansanti, adagiandosi poi sul
pavimento della stanza di Ryoken. Non ci badò più
di quel
tanto: avrebbe pulito in un secondo momento. La sua
priorità,
ora, era che Yusaku non si prendesse un malanno: gli offrì
un
asciugamano e poi, mentre Yusaku si strofinava energicamente i capelli,
rovistò nell'armadio alla ricerca di una felpa e di un paio
di
pantaloni comodi. Probabilmente gli sarebbero stati un – bel
– po' larghi, ma almeno lo avrebbero riscaldato a dovere.
Un tuono
riecheggiò
nel cielo come l'urlo di una divinità furibonda, facendo
tremare
i vetri delle finestre. Ryoken sussultò nel momento in cui
avvertì Yusaku abbracciarlo da dietro. In un primo momento
credette che lo avesse fatto in un abbrivo dettato dalla paura per il
tuono; quando poi Yusaku respirò a fondo e
cominciò a
strusciare la punta del naso contro il tessuto della giacca umida di
pioggia, però, Ryoken lasciò cadere a terra i
vestiti di
ricambio e a fatica riuscì a voltarsi nella sua direzione.
Yusaku alzò lo sguardo, incontrando i suoi occhi azzurri, in
netto contrasto col cielo nero di quel tardo pomeriggio.
«Quando ho detto che volevo stare con te, ero serio. Voglio
stare con te... ora».
Ryoken colse
perfettamente
il messaggio celato dietro quelle parole. Era esattamente quello che
lui desiderava da chissà quante settimane, ormai.
I rapporti tra specie diverse erano all'ordine del giorno,
lì al campus: era normale
sperimentare il sesso con qualcuno che fosse completamente diverso da
te. L'unica “regola” non scritta che
però tutti
quanti si premuravano comunque di rispettare, era quella secondo cui
gli erbivori dovevano fare sesso solo con gli erbivori e i carnivori
solo coi carnivori. Chissà cosa sarebbe capitato se un
carnivoro, durante l'amplesso con un erbivoro, avesse perso il
controllo. I morsi e i graffi passionali si sarebbero tramutati in vere
e proprie lacerazioni e l'odore del sangue avrebbe sicuramente
incrementato la sua fame e la sua sete al punto tale dal renderlo una
belva indomabile.
E cielo, loro erano un lupo e un coniglio. La catena
alimentare, in quel caso, non parteggiava certo per loro.
«Yusaku, io...»
«So
che lo vuoi anche tu. L'avevo capito
già da un po'... e in ogni caso la tua coda non
mente».
(Dannazione, stava scodinzolando come un lupacchiotto alla sua prima
volta!)
Tentò
di frenarla e
di frenare con lei qualsiasi altro impulso o emozione, ma Yusaku si
strinse ancora più forte a lui e si alzò sulle
punte dei
piedi, sfiorandogli le labbra. Quel semplice contatto bastò
a
mandare Ryoken fuori controllo, un controllo che riuscì
miracolosamente a riconquistare solo dopo aver fatto cadere Yusaku sul
letto, rendendosi conto di sovrastarlo con la sua stazza.
Erano
avvinghiati e Yusaku
ne aveva approfittato per cingere anche le gambe attorno a lui. Ryoken
avrebbe potuto liberarsi con estrema facilità da quella
presa,
ma non riusciva a farlo. O meglio, non voleva farlo. E le loro labbra
erano di nuovo così vicine...
«Hai visto cosa ti ho appena fatto? Dopo quello che
è
successo, tu... tu vuoi ancora rimanere qui, con me?»
«Sì».
«Yusaku... se non avessi ripreso subito il controllo di me,
io–»
«Ma l'hai fatto. E sei pentito del tuo gesto –
anche se non dovresti».
Le mani di Yusaku scivolarono lungo la sua schiena, poi risalirono
sulle spalle, poggiandosi poi sulle sue guance. «Io mi fido di te.
E so che non mi farai del male. Teniamo troppo l'uno all'altro per
ferirci... e se non fosse stato per te, probabilmente a quest'ora sarei
morto di paura sotto la tempesta».
Ogni
più piccolo
sospiro aveva carezzato le sue labbra. Ryoken ne aveva seguito ogni
minimo movimento, avvertendo un forte calore invadergli il petto,
diramandosi poi in ogni parte del corpo, basso ventre compreso.
Voleva quelle labbra. Voleva quel corpo. Voleva...
(«Ti voglio. E te lo prometto, non ti farò del
male».)
... Yusaku.
Voleva Yusaku.
Catturò
quelle
labbra morbide come una brioche appena sfornata e si ustionò
l'epidermide. Mentre si baciavano, cercarono di sistemarsi meglio sul
letto, in una posizione un po' più comoda. E fu quando
realizzò di poter finalmente muovere un braccio che
portò
la mano a vagare sulla schiena di Yusaku, scendendo giù,
sempre
più giù, arrivando a toccare quel batuffolo
rotondo che
era ormai diventato il suo chiodo fisso.
La coda di Yusaku era soffice come una nuvola, come la prima neve
dell'anno, come...
«Mh, Ryoken...» borbottò Yusaku,
staccandosi un po'
da lui. «Mi stai strizzando la coda».
«Ah, scusa!» esclamò, liberando
l'adorabile
batuffolo da una presa forse un po' troppo eccessiva.
«Tranquillo, non mi hai fatto male»
ridacchiò
Yusaku, avvicinando di nuovo le labbra alle sue.
«E non te ne farò mai» promise
Ryoken, prima di sprofondare nuovamente nel candore di quel contatto.
Glielo promise un'infinità di volte quella sera e
un'infinità di volte
(più una)
mantenne quella promessa.
Fino all'ultimo giorno trascorso insieme. Per sempre.
|