Tra
le righe
Ci siamo amati ai margini
di una pagina bianca e tra righe troppo ingombre. Sono stato la macchia
d’inchiostro e lo spazio vuoto tra le parole.
Ti sei insinuata in una
storia raccontata da un disegno macabro sull’avambraccio; l’hai deformato,
l’hai guarito. Di fronte a te faceva male in modi nuovi che sapevano di
vergogna, poi ha smesso di dolere quando vi hai cosparso in punta di dita
l’anestetico dell’accettazione. Solo una cicatrice, ormai, a ricordarmi che
sono violato, imperfetto, impuro.
Hai scritto del mio caso
nel freddo fascicolo di un ufficio, hai scritto di me. Hai detto che le
attività illecite registrate non sono esaustive della mia persona, che la foto
del Ministero non mi rende giustizia, che nel modulo manca un campo vuoto per
annotare come ti ho fatto ridere tra le battute ombrose di un interrogatorio.
Io, che non ci ho neanche
provato. Io, che ci sono riuscito. Io, che mi sono illuso di poter vincere.
Solo tu leggevi oltre le
righe, troppo scomodo lo sforzo richiesto alla vista degli altri e tu eri
dannatamente stanca di combattere – quelli come me – per farlo per me.
Troppa guerra per una vita intera.
Ci siamo amati ai margini
di una pagina bianca e tra righe troppo ingombre. Ho fatto a brandelli
l’articolo del Profeta che annuncia il fidanzamento della signorina
Granger con l’Auror Weasley, senza bacchetta, e poi non ho fatto Evanescere ciò
che è rimasto. Mi piace immaginare che il fascicolo, nell’ufficio in cui hai
posato la piuma per scrivere me, abbia subito la stessa sorte per mano
tua.
“Congratulazioni
per il matrimonio.”
“Draco,
io…”
“Congratulazioni.”
“Ti
ringrazio.”
♦♦♦
“Le uniche parole che non
ti ho detto sono quelle che penso.”
Ci siamo lasciati con
parole sibilline come una profezia, e io non ho mai apprezzato la Divinazione.
Non c’è niente da leggere tra le righe, tutto è verità d’inchiostro su
pergamena – e la tua è vuota.
Sei ancora mistero per
me, anche quando ti ho avuto aperto su lenzuola bianche, con le mie dita come segnalibri
docili. Vorrei poter dire che ancora odorano della tua pelle; ma il letto è il
mio, le coperte e i cuscini non sono fatti per appartenerti, se non li afferri
per scriverci la tua presenza.
Ho un anello al dito e
una pietra nello stomaco e non so cosa sia più prezioso. Forse, ciò che non ho.
Ho tolto il gioiello per
non guardarlo, mentre con le unghie graffiavo pagine che ti riguardano e non
parlano di te. Ho archiviato il tuo fascicolo al Ministero, depositato in un
cassetto destinato a non riaprirsi. La tua firma in fondo al foglio è tutto ciò
che rimane, ma non ha significato.
Io leggo, ripeto,
memorizzo, ma non si può leggere, ripetere, memorizzare un vuoto.
Non ha ragione
d’esistere, un rogo di vecchie pergamene, se tra la cenere non resta più nulla
da leggere. È confortevole, piuttosto, l’abbraccio noto di una rilettura.
Ci siamo amati nel mezzo
di una pagina bianca e tra righe troppo sgombre.
O almeno l’ho fatto io.
“Mi ami?”
Non hai mai risposto.
Grazie per aver letto questo breve racconto, spero vi sia
piaciuto!
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