Lo
sguardo di Genzo, attento, scrutava la strada e le sue mani, ferme,
stringevano il volante.
Il
sole tramontante colpiva coi suoi raggi gli alberi, i cartelli e gli
edifici e le colorava di un vivo colore arancione.
Le
automobili percorrevano la strada in entrambi i sensi di marcia,
mentre decine di persone camminavano nelle aree pedonali o entravano
e uscivano dagli edifici.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra del portiere. Aveva fatto la
scelta migliore per la sua prima giornata di vacanza.
Una
serata a teatro sarebbe stata piacevole per lui e gli avrebbe
permesso di rilassarsi, dopo le fatiche calcistiche.
E
a Monaco di Baviera, al National Theater, era in programma Parsifal,
con dei costumi sontuosi e degli attori validi.
Un
fremito di piacere attraversò il suo corpo. La sua permanenza
in Germania gli aveva permesso di apprezzarne la cultura.
Lo
studio era stato fruttuoso, seppur duro, e gli aveva dato la
possibilità di allargare la sua mente.
Il
gioco del calcio rimaneva il suo principale interesse e non vi
avrebbe mai rinunciato, ma aveva imparato a godere di altri raffinati
piaceri.
La
musica classica si era rivelata una insperata fonte di divertimento
per lui e il suo musicista preferito era Richard Wagner.
Le
sue melodie riuscivano a stuzzicare la sua fantasia e a evocare le
immagini di un mondo sublime, popolato di dame e cavalieri.
Ed
egli era desideroso di lasciarsi avviluppare dalla magia di quelle
note.
Ad
un tratto, da una strada laterale , apparve un motociclista, in sella
ad una Ducati rossa.
Genzo
sbarrò gli occhi, sorpreso. Impallidì.
Poi,
strinse le mani sul volante e premette il piede sul freno. No, doveva
impedire una tragedia!
L’auto,
tuttavia, non si fermò e investì la Ducati.
La
moto cadde e il corpo del motociclista venne sbalzato a diversi metri
di distanza.
L’energia
dell’impatto piegò il metallo del paraurti e il
parabrezza, con un forte scricchiolio, si infranse.
Il
braccio destro del giovane si piegò in un angolo innaturale e
l’osso squarciò la pelle.
Poco
dopo, l’atleta nipponico si accasciò sul volante, quasi
privo di conoscenza. Era dunque finita?
Sarebbero
morti insieme?
La
BMW, con un lungo, fastidioso stridio, si fermò, lasciando
solchi neri sull’asfalto.
Pochi
istanti dopo, Genzo aprì gli occhi, poi spalancò la
portiera e scese dall’automobile.
Il
suo braccio destro pendeva inerte e una lesione piuttosto ampia, si
apriva all’altezza del gomito, facendo emergere un pezzo di
osso.
Il
suo volto, bianco d’angoscia, era sfregiato da escoriazioni e
lividi e dai suoi occhi, rossi di spavento, sgorgavano lacrime.
Ansimando,
si avvicinò al corpo del motociclista, che giaceva sulla
strada, in una pozza di sangue.
Si
chinò e, cauto, posò la mano sinistra sul collo del
centauro, sinistramente reclinato sulla spalla.
Sbarrò
gli occhi e una debole speranza palpitò nel suo cuore. Sentiva
un flebile battito contro le sue dita.
Forse,
c’era una possibilità di salvargli la vita.
Ma
non doveva perdere tempo.
Ogni
istante era prezioso.
Girò
la testa e i suoi occhi fissarono i presenti, che assistevano,
pietrificati.
– Chiamate
un’ambulanza e la polizia! Presto! – gridò, angosciato.
No, non doveva lasciarlo morire.
Non
se lo sarebbe mai perdonato.
Allungò
la mano verso il torace del centauro. Forse, poteva fare qualcosa.
Doveva
tentare una prima manovra di soccorso, affinché le possibilità
di un esito positivo aumentassero.
Per
fortuna, grazie ad un corso, conosceva la rianimazione
cardiopolmonare.
Una
mano, ferma, si posò sulla sua spalla sinistra e il giovane,
d’istinto, si girò.
Vide
un uomo tarchiato, con corti capelli biondi e occhi verdi, nascosti
dietro occhiali quadrati, dalla montatura sottile.
– Che
vuoi? – gridò, la voce vibrante di angoscia rabbiosa.
Perché lo aveva fermato?
Non
comprendeva.
– Con
il braccio in quello stato, non puoi fare nulla. Lascia che sia io a
fargli il massaggio cardiaco. Sono un paramedico. – affermò
l’uomo in un tedesco perfetto, seppur macchiato da un lieve
accento rumeno.
Il
giovane nipponico ansimò e lo fissò, quasi stupito, poi
abbassò lo sguardo sul suo braccio destro.
– Sì…
Ha ragione. – ammise, il tono colpevole.
Vedendo
la ferita dell'asiatico, l'uomo imprecò, poi prese dalla
tasca destra della giacca un fazzoletto di seta e glielo consegnò.
– Che...
Che cosa ci devo fare? – domandò il giocatore.
– Premilo
sulla ferita. Purtroppo, non ho garze sterili. Per fortuna, è
pulito. – spiegò.
Genzo
annuì e premette la stoffa sulla lesione.
Il
rumeno annuì, si inginocchiò e abbassò la zip
della tuta del motociclista.
Poi,
posò le mani sul suo petto e cominciò il massaggio
cardiaco.
Il
lungo fischio di tre sirene, ad un tratto, lacerò l’aria.
Due
ambulanze, accompagnate da tre auto della polizia, si fermarono.
Qualche
istante dopo, le porte dei mezzi si aprirono e scesero due squadre di
barellieri.
Una
di queste si avvicinò a Genzo e il giovane venne disteso sulla
barella.
Un
poliziotto scese dall’automobile e, a passo rapido, si avvicinò
a loro.
– Avrei
bisogno di fare delle domande al guidatore. E’ possibile? –
chiese, monocorde.
Genzo
provò a parlare, ma solo flebili lamenti uscirono dalle sue
labbra livide, come se avesse dei sassi in gola. Gli sembrava di
soffocare…
Eppure,
doveva rivelare la verità alla polizia!
Non
doveva fuggire dalle sue responsabilità.
– Tragga
lei le sue conclusioni. E’ cosciente, ma ha bisogno di cure
immediate. – rispose uno dei soccorritori, severo.
Il
poliziotto lanciò uno sguardo perplesso a Genzo, poi fissò
i soccorritori.
– Va
bene. Ma, a tempo debito, faremo le nostre indagini. –
dichiarò.
I
barellanti non risposero e rientrarono nell’ambulanza.
Qualche
minuto dopo, partì.
Genzo,
perplesso, squadrò i soccorritori. Perché si erano
affaccendati attorno a lui?
L’incidente
era stato dannoso per quel motociclista, che era stato sbalzato a
diversi metri di distanza dall’impatto con la sua auto.
Quali
danni aveva riportato? Poteva essere salvato?
Certo,
quell’uomo era intervenuto e gli aveva effettuato un efficiente
massaggio cardiaco, ma sarebbe bastato?
Gli
era parso che il motociclista avesse il collo spezzato.
Ma
poteva essere una sua impressione errata, dettata dall’angoscia.
Doveva
essere un suo errore di valutazione!
A
lui sarebbe bastata una ingessatura, perché aveva una semplice
frattura ad un braccio e simili danni non avevano bisogno di cure
immediate.
Il
suo respiro accelerò e il suo sguardo si fissò in un
punto indefinito. Aveva quasi ucciso una persona per il suo desiderio
di andare a teatro…
Una
splendida serata, per lui e per quello sfortunato sconosciuto, si era
tramutata in un incubo.
Deboli
ronzii giungevano alle sue orecchie e l’ambiente, davanti ai
suoi occhi, cominciò a scolorirsi, come fosse coperto da
nebbia grigia . Non sapeva perché, ma non riusciva a vedere
nulla.
Che
cosa stava succedendo?
Il
suo fisico era prossimo al collasso?
Eppure,
si era solo fratturato un braccio e simili lesioni non erano
portatrici di complicanze gravi.
Qualche
istante dopo, l’oscurità velò i suoi occhi e
perse i sensi.
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