"Have
all beautiful things sad destinies?"
-
Jean
Rhys
-
This
is why I was born
La
casa in cui trovano dimora ha quattro stanze, un piccolo lembo di
terreno coltivabile alle spalle e il fiume a pochi minuti di cammino.
Stuart
si stringe la bambina al petto, studia la camera principale - pietra
nuda e un grande focolare al centro.
È
diversa da tutto quello a cui era stato abituato; a Sushestvovanie le
abitazioni erano povere, legno e stoppia.
Il
palazzo reale era stato invece un mostro di roccia nera e vetro, un
monumento ai suoi abitanti - pellicce alle pareti, tappeti
intrecciati lungo i corridoi, fuochi che illuminavano le sale giorno
e notte.
La
bambina si porta i pugni chiusi al volto, emette un debole lamento.
È
più di quanto si aspettasse - sempre meno
della
grandezza a cui era destinata.
Stuart
sospira, appoggia la sacca a terra.
La
bambina apre gli occhi, si guarda intorno - ricomincia a piangere.
"Lo
so, Eve, lo so." mormora Stuart, cullandola leggermente "Manca
anche a me."
Tra
le sue dita le spire del serpente giacciono senza vita.
I
primi mesi erano stati i più difficili.
Da
Raccoon le voci si susseguivano senza sosta; un'emorragia
d'informazioni che gli stringeva il cuore a ogni battito.
Eve
è ridicolmente
piccola:
ostinata.
Lo
studia mentre legge le ultime missive dalla capitale, cronache di una
rivoluzione che sta costando a Redfield più uomini di quanti
si aspettasse.
Stuart
sospira, si massaggia la fronte - appoggia i gomiti sul tavolo e
incassa la testa tra le spalle.
Il
Nord è stato smembrato, ridotto a nulla
-
un grumo di ghiaccio e roccia in cui il Cane a tre teste avanza a
fatica.
Senza
il Muro e Sergei non c'è più nulla che lo divida dal
regno dell'Umbrella, e ciò che è rimasto delle casate
viene rincorso dalla furia della Volpe e del Leone.
I
Gionne sono caduti - morti,
entrambi.
Non
c'è stata sepoltura per la loro unica figlia (occhi grandi,
paralizzati in una sempiterna espressione di stupore) neppure un
sacello sul quale ricordarla (il fiume l'ha inghiottita in silenzio -
fili neri tra le dita, attorno al suo polso bagnato.)
Burton
ha ora il sud, e con lui la sua codardia.
"Guh."
Stuart
si volta, osserva Eve aggrapparsi al bordo del letto e rovesciarsi in
avanti.
E
qualcosa
di
rompe ogni volta - in ogni istante.
Si
rialza, Eve, e aggrotta le sopracciglia.
Una
smorfia conosciuta; che aveva visto decine di volte sul volto di Lady
Alex.
Stuart
scivola con l'indice sull'inchiostro ancora umido, lascia che diventi
una sbavatura nerastra lungo la carta, sotto le unghie.
Sherry.
Si
ferma - rilegge il suo nome due, tre
volte.
Un'altra
orfana di guerra; un'altra vittima di una tragedia annunciata.
Claire
Redfield ha preso sotto la sua ala protettrice l'erede di Birkin,
assorbendone anche le terre e i possedimenti.
Ha
smesso di volare, il Falco, ora nulla più di un pulcino
spaventato e tremante.
"Le
racconterai di sua madre?"
Stuart
storna lo sguardo, lo posa su Eve.
Ricorda.
La
memoria è un dolore che non conosce pace.
Eve
ha sette mesi e due giorni; Stuart le allunga una pappetta di
zucchero e cacao, la osserva rimescolarla in bocca e deglutirla -
sorride, e tende poi le mani verso il cucchiaio.
È
una vita difficile quella a cui è chiamato rispondere; una
vita per la quale, tuttavia, vale la pena combattere.
Se
si guarda allo specchio vede un uomo invecchiato di colpo, sfibrato
- ha solo quarantasette anni, Stuart, ma la guerra gliene ha cuciti
addosso molti di più.
Eve
ha gli occhi di suo padre, le labbra di sua madre - è Stuart
si chiede se.
Se
Lady Alex fosse stata ancora viva - se avesse scelto di restare,
e non di consegnarsi alla morte in punta di spada.
Se
il re fosse stato ancora sul trono - se avesse schiacciato
Simmons come l'insetto che era invece che esserne travolto.
E
può vederli, Stuart; può immaginarli.
Un
re vecchio, Lady Alex al suo fianco - i capelli ormai bianchi, il
viso segnato dalle rughe d'espressione.
Un
re che scivola nel sonno una notte per non svegliarsi mai più,
un dolore che viene blandito dalla consapevolezza di una vita
compiuta, appagata.
Un
re che non ha rimpianti, rimorsi; una regina libera, senza il
fardello delle menzogne sul cuore, negli occhi.
Può
sentirli,
Stuart:
la risata di Lady Alex, il mormorio sommesso con cui le rispondeva
Wesker - sempre.
Una
vita piena,
che ha adempiuto al suo compito. Un bel sogno, in fondo.
Eve
lo cerca - batte la piccola mano sulla sua un paio di volte.
Stuart
solleva lo sguardo dalla ciotola, incontra i suoi occhi.
Loro.
I
fantasmi sono tutto ciò che resta.
Ogni
tanto qualcuno si avvicina alla casa.
Stuart
può sentirlo muoversi nella boscaglia, scivolare tra le foglie
cadute e il terriccio umido.
Claire.
"Sei
più brava di così." l'apostrofa una mattina di
primavera, mentre è intento a strappare un gruppo di carote
dal terreno.
Stuart
si solleva, premendosi una mano sulla schiena, le riserva un'occhiata
in tralice.
"Come
procedono le cose a palazzo?"
Claire
salta giù dal ramo sul quale si era nascosta, si scrolla la
polvere dalle ginocchia.
"Potrebbe
andare meglio."
"Le
casate vi danno problemi?"
Ha
occhi diversi, Claire; più adulti, più consapevoli.
"Il
Nord." replica, e piega le labbra in una smorfia "Ma tu
dovresti saperlo, vecchio."
lo canzona, intrecciando le dita dietro di sé.
Stuart
emette un suono di gola - una risata trattenuta.
"Io?
E perché mai dovrei?"
Claire
gli rivolge uno sguardo scettico, solleva il viso verso il sole -
rossa tra i capelli, sulle guance.
"Uhm."
mormora, chiudendo gli occhi "Le Ombre della Wong non sono le
uniche cose che strisciano per il palazzo: Chris ci sta perdendo il
sonno."
Stuart
strappa un paio di foglie di basilico, le soppesa, sfregandole sotto
i polpastrelli e annusandole.
"Vostro
fratello dovrebbe distogliere la mente da cose che sono al di là
delle sue capacità."
"Gli
stai dando dello stupido?"
"No."
e la oltrepassa, incamminandosi verso l'abitazione "Dico solo
che a ogni cervello il proprio ostacolo."
Claire
spalanca gli occhi, apre la bocca - la richiude, quasi
offesa.
"Capisco
perché tu piacessi tanto alla sorella del re; stesso senso
dell'umorismo di merda."
Stuart
si permette un solo, sfacciato,
sorriso soddisfatto.
Eve
fissa la nuova arrivata con un cipiglio severo, fuori posto sul volto
di una bambina di appena otto mesi.
Claire
si china verso di lei, sorride.
"Ehi."
esordisce, cercando di accarezzarle i capelli "Io sono Claire."
Eve
arriccia il naso, si reclina all'indietro - la evita.
"Eri
più piccola l'ultima volta che ti ho visto, sai?"
Eve
la fissa con sospetto, le mani strette a pugno, l'espressione
concentrata.
"Appena
qualche giorno di vita."
Stuart
mette l'acqua a bollire, comincia a pelare le carote.
"Conoscevo
tua madre. E tuo padre."
Eve
non capisce cosa stia dicendo la sconosciuta, ma segue il tono della
sua voce - la mimica del suo viso.
Claire
sospira, si solleva.
"È
un carattere difficile."
"Non
può immaginare quanto."
Eve
non smette di studiarla per un solo momento, emette un verso acuto -
contrariato.
"Avrei
dovuto aspettarmelo."
Stuart
taglia le carote in piccole rondelle, le getta nell'acqua calda - vi
unisce poi del sedano e un po' di prezzemolo.
Claire
si guarda intorno, osserva l'ambiente che la circonda - ne memorizza
ogni dettaglio.
"È
molto diverso dal palazzo." dice, e non c'è malizia nella
sua voce.
"Mi
piace." prosegue, sporgendosi fuori dalla piccola finestra e
inspirando il profumo del glicine.
Stuart
rimescola il brodo un paio di volte, vi aggiunge una generosa
porzione di farro.
"È...
abbastanza."
replica, scegliendo con cura la parola.
"Non
credi sia il suo posto?" lo anticipa Claire, inclinando il mento
verso Eve.
"No."
ribatte Stuart senza esitazione "No, e lo sappiamo entrambi."
"Non
è una brutta vita."
"Ma
non è la sua."
Claire
si appoggia alla parete vicina, lo studia.
"Non
può tornare a Raccoon; non ora, almeno."
Stuart
piega appena un angolo della bocca, fissa l'acqua bollire.
"Sappiamo
bene come non potrà mai
tornare
a Raccoon, Claire."
Eve
si è persa a osservare un farfalla bianca e rossa, la insegue
con gli occhi - silenziosa, troppo.
"Se
Chris riuscisse a stabilizzare il Concilio nascente forse..."
Stuart
sbatte il cucchiaio sul bordo della pentola, si volta.
"Non
ci riuscirà." e la sua voce è strozzata, quasi
stesse trattenendo altro.
"Il
Concilio funzionerà per un paio d'anni, al massimo quindici;
fino a quando i figli della guerra la ricorderanno in tutto il suo
orrore. Dopo diventerà l'ennesima ferita di questo regno
infermo, una cicatrice sbiadita - qualcosa di lontano, che non ci
riguarda. E nasceranno i problemi. Le rivalità. Le lotte per
il potere."
Claire
inspira, incrocia le braccia al petto - si protegge da una verità
scomoda e dolorosa.
"Siamo
destinati a ripetere i nostri errori, quindi. Non c'è
salvezza, via di scampo: una strada già tracciata, percorsa da
altri prima di noi."
Stuart
annuisce bruscamente, la fissa.
Claire
scuote la testa - nega.
"Possiamo
cambiare."
"No."
"Possiamo
provarci."
"C'è
chi l'ha pensato prima di voi."
Claire
si morde un labbro, coglie l'allusione di Stuart.
"Era
diverso."
"No:
era solo molto
peggio,
Claire. Eve ne è la tragica
prova."
La
farfalla si posa tra i capelli di Eve, suscitando un verso di sdegno
e sorpresa.
Claire
si chiede se questo non sia solo il primo capitolo di un'altra epopea
di sangue e miserie.
Le
terre dell'est sono strette in un'eterna primavera.
Stuart
osserva Eve imparare a camminare tra fili d'erba che non hanno mai
conosciuto la neve, tra le sue dita fiori di pesco e terra.
È
bella, Eve; ha occhi artici, curiosi.
È
una bambina attenta, perspicace.
Si
aggrappa a un ciuffo d'erba, ricade all'indietro - ride, ed è
suono libero, senza ombre.
Dovrebbe
esserci Lady Alex a vedere tutto questo, non lui.
Dovrebbe
esserci il re a insegnarle a combattere quando sarà il
momento, non lui.
È
un vecchio nostalgico, Stuart; un uomo che aveva votato la sua vita a
una donna che aveva sfidato la Morte a ogni battito - in ogni
respiro.
Luciani
e Valentine ignorano la sua presenza - solo Claire sa,
insieme a suo fratello.
Un
male necessario,
si ritrova a pensare, sospirando.
Ha
ricevuto notizie da corte, e a quanto pare il Concilio è
riuscito a trovare un suo equilibrio.
Si
strofina una foglia di basilico tra il pollice e l'indice, controlla
Eve con la coda dell'occhio.
Il
Nord tace, finalmente; diviso tra le casate vincitrici, la Wong e
Kennedy hanno assorbito i territori di Simmons, quelli della Radames.
Alla
Hunnigan Rockfort, alla signora del Leone ciò che resta di
Terragrigia.
È
passato quasi un anno, e Raccoon sta lentamente
guarendo.
Gli
hanno detto che il simbolo del Serpente è stato rimosso,
nascosto.
Gli
hanno detto che Redfield l'ha fatto perché tutti sapessero che
quello era un nuovo
inizio, scevro da ogni
dubbio, da ogni
menzogna.
Non
distrutto o bruciato: semplicemente celato.
Una
verità a metà.
Eve
gli corre incontro, cade solo una volta - rifiuta d'arrendersi.
Stuart
ricorda gli occhi di Chris prima di partire per l'Edonia, la sua
espressione quando aveva compreso
- quando non c'era più stato spazio per alcuna illusione.
Redfield
motteggia una verità che è avvelenata dal più
pericoloso dei segreti.
Succede
una notte in cui la tempesta brucia - ruggisce.
Succede
quando un tuono spezza
la
terra, infrange il vento come un lamento.
Eve
compie oggi un anno e Stuart si sveglia di soprassalto, la casa che
vibra
-
percossa come in quelle
notti.
Cerca
di calmare il proprio respiro, si alza - s'incammina poi verso la
camera della bambina.
Non
piange, Eve, non urla.
Stuart
si stropiccia le palpebre pesanti di sonno, apre la porta della
stanza - sussulta quando un fulmine illumina il profilo del letto,
quello della donna china sulla bambina.
Donna?
Il
primo istinto è quello di attaccare; di estrarre il pugnale
che porta sempre con sé legato alla coscia e affondare
-
chiunque sia non
può
avere buone intenzioni.
Il
secondo è di scappare,
perchè quando la donna si volta Stuart la riconosce
- non è possibile.
"Stuart."
Fuori,
la pioggia ingoia ogni altro suono.
Un
cardellino cinguetta in lontananza; porta con sé l'odore della
terra bagnata, un cielo incredibilmente terso e pulito.
Stuart
apre gli occhi, sbatte le palpebre un paio di volte - nelle ossa un
torpore fastidioso, che gli pizzica i muscoli, la carne.
Si
alza di scatto, studia l'ambiente che lo circonda - il cassettone
alla sua sinistra, il baule ai piedi del letto, il mantello
drappeggiato sulla sedia in angolo.
"Eve!"
chiama, e gli risponde un gorgoglio sveglio - felice.
Spalanca
la porta della sua camera, sospira sollevato quando la vede seduta
nel suo lettino - gli occhi che brillano, si frantumano
in scaglie azzurre sotto la luce del sole.
"Eve."
ripete, e si avvicina - sotto la pelle un déjà vu che
lo stritola senza requie.
Schinieri
squamati, un mantello che gronda
- sangue e pioggia.
Sotto
al braccio l'elmo rostrato, sulle labbra lo stesso sorriso arrogante
di sempre.
Ha
gli stivali sporchi di fango e la spada pende inerte dal fianco -
spezzata.
Al
petto il Serpente spalanca le sue ingorde fauci, si protende in
avanti - non riesce a celare il buco slabbrato che le apre il
costato.
"Stuart."
ripete quella figura - perché no,
non può essere lei.
Eve
si protende verso la donna - un viso pallido, esangue; bellissimo nel
biancore innaturale della morte.
La
donna si volta, le sorride.
La
tempesta percuote le pareti della casa, sembra quasi volerla staccare
dal suolo e portarla via con sé.
"No."
mormora Stuart, e arretra - le dita a sfiorare l'impugnatura della
lama.
La
donna sposta lo sguardo sulla sua coscia, amplia il sorriso.
"Non
puoi uccidere ciò che è già morto, Stuart. E io
sono
morta."
"Non...
non sei reale." esala, ma vorrebbe quasi protendersi in avanti e
toccarla - anche solo per un momento.
La
donna inclina il mento nella sua direzione, e solo adesso Stuart nota
le dita prive di guanti che s'intrecciano a quelle di Eve.
Alexandra
Wesker è un silenzio che infrange ogni altro rumore.
Eve
solleva il viso di lui, gli rivolge un'occhiata interrogativa.
Stuart
vorrebbe dirle qualcosa, ma ogni parola muore
quando
vede cosa
la
bambina stringe tra le dita - con che oggetto
stia
giocando.
Una
serpe d'oro e diamanti; tra le sue spire un rubino che gocciola
sangue e memorie.
Posa
lo sguardo sulla parete nella quale aveva nascosto sia l'anello che
il ciondolo di Lady Alex, la scopre ancora intatta.
Si
avvicina con mani tremanti, sposta le mattonelle una a una - trova
solo un pugno di monete e il corpo arrotolato della collana.
Come...?
Eve
lo guarda e ride.
Ci
sono momenti in cui la solitudine è l'unica risposta alla sua
confusione.
Chris
si siede, incrocia le gambe sotto di sé.
"Un
anno." inizia, e fissa un punto imprecisato alla sua destra.
"È
passato un anno."
Le
cantine tacciono, avvolte nel loro sudario di memorie e ricordi.
"Sono
riuscito a forma il Concilio; hanno risposto tutti, nessuno escluso."
Pesanti
broccati, teli grigi e sporchi di polvere, illuminati solo dal debole
riverbero del crepuscolo.
"Il
Nord è stato sconfitto: diviso."
Un
refolo d'aria gelida lungo le caviglie, sulle guance.
"Claire
dice che devo stare attento. Che il Nord è come la neve: cela,
nasconde. Che sotto il suo candore si nasconde la stessa merda di
sempre."
Il
fruscio della stoffa che sfrega sull'impiantito, uno squarcio d'oro e
rosso che cattura la sua attenzione.
Chris
china il capo, si preme i pugni chiusi sulle tempie.
"È
maledettamente
difficile."
Un
sospiro; un rantolo esausto.
"Sono
così
stanco."
Silenzio.
Chris
si alza, si avvicina a un telo che appare più pulito degli
altri - più recente.
Lo
sfiora con la punta delle dita, si ferma a pochi centimetri dal
bordo.
"Mi
fidavo di te."
Stringe
la stoffa ruvida tra i polpastrelli, digrigna i denti.
"Mi
fidavo
di te, e ci hai condotto in una guerra da cui nessuno è uscito
vivo."
Chris
inspira con forza, libera un grido a metà.
"Claire
non è più stata la stessa da allora;
tormentata, inquieta. Occhi stanchi, più vecchi."
Redfield
rialza lo sguardo, incontra solo il vuoto di un lenzuolo anonimo e
insignificante.
"Sa
troppo,
Claire; ha visto
troppo.
E nulla potrà adesso cancellare quelle immagini, sire.
Nulla potrà restituirmi mia sorella, le mie illusioni. Nulla."
Chris
lascia ricadere la mano lungo il fianco, sconfitto.
Il
potere è una bestia che chiede e basta.
Una
storia spezzata è una storia lasciata a metà:
incompleta.
Ci
sono molte domande che affollano la mente di Claire (troppe)
e nessuno in grado di risponderle.
La
riserva di caccia di Raccoon è l'unica cosa che la guerra non
è riuscita a toccare - inviolata, bellissima.
Claire
appoggia l'arco sulle ginocchia, si siede - accoglie l'alba in
silenzio.
Non
è venuta per cacciare - non questa volta.
Crick.
Un
sorriso a metà; una piega esile, tiepida.
"Mi
dispiace averti svegliato."
Chris
si lascia andare al suo fianco, i capelli spettinati, un accenno di
barba sul volto stanco.
"Uhm."
dice solo, e si stropiccia le palpebre "Tanto avrei dovuto
alzarmi comunque."
Claire
annuisce; fruga nella sua sacca e gli porge un pugno di noci.
Chris
le accetta, grato: comincia a masticare lentamente, fissando
l'orizzonte lattiginoso.
"Come
vanno le cose?"
"A
palazzo, intendi?"
Redfield
scuote la testa, deglutisce.
"A
casa."
Claire
sospira, si tocca il nodo che le raccoglie i capelli sulla nuca.
"Ha
compiuto due anni da poco."
Un
cenno del capo; un gesto distratto con la mano.
"È
precoce;
sa ascoltare, e parlare piuttosto bene per una bambina della sua
età."
Un
cervo gli attraversa la visuale, scivola nella boscaglia sottostante.
"Ha
detto la sua prima parola a otto mesi."
Chris
le riserva un'occhiata in tralice, ancora offuscata dal sonno.
"Stuart
non me l'ha voluta dire."
Claire
strappa due fili d'erba, comincia a intrecciarli tra loro.
"Non
dovresti affezionarti." la interrompe, sospirando "Non a
quella bambina."
Aggrotta
le sopracciglia, si concentra sul movimento delle sue dita.
"Lo
so."
"Eppure
lo fai comunque."
Claire
tira - strappa,
e lascia cadere i fili d'erba a terra.
"Non..."
inspira, chiude gli occhi "Non è colpa sua, Chris."
"Non
cambia ciò che è; che rappresenta."
"Nessun
figlio dovrebbe espiare per i peccati dei propri genitori."
Chris
indurisce lo sguardo, serra la mandibola.
"Il
Concilio è fragile,
Claire: tutto si basa sulla caduta della monarchia e sull'assenza di
un erede legittimo."
"Eve
non
è legittima,
in tal senso. È figlia di Alex." sottolinea, e coglie il
tic nervoso che scuote lo zigomo di suo fratello.
"Non
è dimostrabile; che sia uguale al re, oppure a sua sorella,
non
cambia: il sangue è quello,
e Stuart si porterà il segreto nella tomba. Chiunque la vedrà
non potrà fare a meno di cogliere la somiglianza con l'uno o
con l'altro."
"Scoprirà
la verità, Chris. Un giorno non sarà più una
bambina, ma una giovane adulta consapevole del suo retaggio."
Claire
si volta, offre al sole il suo profilo migliore - un ricordo e una
promessa.
"E
allora cosa farai, fratello?"
Il
silenzio di Chris è un macigno nel cuore d'entrambi.
A
volte è bella come il primo giorno in cui l'ha incontrata;
altre, indossa la lorica del guerriero e da quel buco slabbrato
gocciola sangue a ogni respiro.
"Sta
crescendo bene."
Stuart
strizza gli occhi sotto la debole luce della candela, si sistema gli
occhiali sul naso.
"Stai
facendo un buon lavoro."
Le
Ombre della Wong osservano l'operato di Redfield, lo giudicano equo -
abbastanza
soddisfacente.
Un
rumore metallico, asciutto; cinghie in cuoio, schinieri placcati di
nero e rosso.
"Ha
già chiesto di noi?"
Parla
sempre al plurale, Alex; non dimentica mai per chi
è
morta - come.
Stuart
finisce di leggere il resoconto delle sue spie, getta poi la lettera
nel fuoco.
È
seduta davanti a lui, Alex; il cosciale sinistro scheggiato, la
placca che protegge il pettorale sfondata.
"Sì."
mormora, e si perde a studiare il complicato intreccio di serpenti
che le decora gli spallacci.
"Cosa
le hai risposto?"
Stuart
solleva lo sguardo, ormai abituato a quello che l'aspetta.
Il
volto di Alex è pallido, troppo;
terreo.
Labbra
bianche, occhi trasparenti - Alexandra Wesker è una curva
esangue intrappolata in un'armatura nerastra e combusta.
Gli
sorride, e il labbro inferiore si fessura leggermente.
"Sono
morta, Stuart; mi hanno spaccato il cuore con una mezza spada, e poi
il Fuoco Eterno ha consumato il resto."
"Perché?"
Alex
alza un sopracciglio, incuriosita.
"Perché
tornate sempre, mia signora?"
Alex
si reclina all'indietro, incrocia le braccia al petto.
"Eve."
ribatte, e la fiamma della candela vibra
"Per Eve."
Stuart
annuisce, percorre con la punta dell'indice una crepa nel legno.
"E
anche per vedere come te la stai cavando."
Una
risata abbozzata; triste.
"Non
avrei dovuto esserci io con la bambina, mia signora, ma lei."
rialza lo sguardo, cerca i suoi occhi morti, spenti.
"Lei
e il re."
Alex
inspira, e l'aria pare farsi improvvisamente gelida.
"Non
è un bello spettacolo, mio fratello." sussurra, e c'è
qualcosa
di caldo nella sua voce; una nota che aveva sempre bagnato le sue
parole quando parlava del re.
Stuart
picchietta sul bordo del tavolo, scaccia una formica che cercava di
arrampicarsi lungo le dita.
"La
guerra l'aveva già provato prima che il veleno di Alfred ne
contaminasse il corpo."
Uno
scricchiolio; il mantello che le blandisce la schiena come una
coperta di sangue rappreso.
"La
mazza chiodata ha fatto il resto."
Stuart
sospira, si sfrega le mani sul viso.
"Sto
diventando pazzo, mia signora?" le chiede, e Alex gli sorride -
ancora.
"No,
Stuart; no." si alza, raggiungendolo e piegandosi alla sua
altezza.
"Allora
perché riesco a vedervi?"
Alex
gli afferra il polso in una presa delicata, rassicurante.
"Perché
la nostra storia non è ancora finita, Stuart; ed è tuo
compito vergarne l'ultima parola."
Stuart
trattiene il respiro quando una seconda mano guantata gli si appoggia
sulla spalla e stringe.
Ha
cinquant'anni, Stuart, e da alcune donne potrebbe essere considerato
piacente.
Ride
a quella parola, perché i suoi capelli sono diventati grigi
prima del tempo e di sicuro il suo fisico non è mai stato
quello di un guerriero, ma dà l'impressione di un uomo
affidabile - innocuo.
Simula
per dissimulare.
Prende
in mano una cipolla, la soppesa con occhio critico - l'annusa,
rimettendola poi al suo posto.
"Ehm
ehm."
Si
volta, incontrando lo sguardo incuriosito di una signora.
"Quelle
non sono buone." esordisce, e gli indica la bancarella a fianco
"Molto meglio la verdura di Adrio; fresca, e priva di
parassiti."
Stuart
rivolge un'occhiata in tralice ad Adrio, annuisce.
"È
una bella bambina." continua la signora, chinandosi all'altezza
di Eve "Come si chiama?"
"Delia."
risponde prontamente, e stringe più forte la mano di Eve.
"Un
nome importante." replica la donna, sorridendole "Che
faccia seria che hai, Delia; la vuoi una mela?"
Eve
scuote la testa, la fissa senza paura - piega le labbra in una
smorfia.
"Non
parla molto." l'anticipa Stuart, studiando la sconosciuta.
La
signora si rialza, annuendo; gli porge poi la mano, presentandosi.
"Io
sono Igritte, e vivo a pochi passi dalla piazza del villaggio."
Ha
occhi vivaci, Igritte, scuri; un viso tondo, leggermente arrossato
sulle guance.
Stuart
ricambia il gesto, la scompone
in
silenzio.
"Alan."
ribatte, e percepisce Eve irrigidirsi al suo fianco.
Igritte
scuote la testa un paio di volte, si morde un labbro.
"Non
abiti nel villaggio, vero?"
"No."
"Uhm.
Ti vedo spesso al mercato, ma mai per le strade; l'avevo immaginato."
Un
carretto ricolmo di lattuga li sfiora, Stuart arretra leggermente.
"Tua
figlia?" chiede, e sposta il mento verso Eve.
"No."
è la replica immediata "Ha perso entrambi i genitori."
Igritte
sposta il peso da un piede all'altro, percepisce la sua diffidenza.
"È
molto bella." ripete, e Stuart la coglie scivolare con lo
sguardo lungo il profilo aristocratico di Eve; gli occhi artici, gli
zigomi già pronunciati, i capelli così biondi da essere
quasi bianchi.
"Sua
madre era una delle donne più belle del regno."
È
c'è orgoglio nelle parole di Stuart, affetto.
Igritte
si rilassa un poco (famiglia
e prole
sono
il suo territorio) gli sorride.
"Mi
dispiace per la tua perdita."
Stuart
inspira con forza, preme
un
sorriso sulle labbra asciutte.
"La
Febbre." le spiega - una storia che si è ripetuto mille
volte davanti allo specchio "È morta subito dopo il
parto."
Igritte
si porta una mano al petto, esibisce un'espressione addolorata.
Stuart
sa
che
quell'emozione è reale, ma non gli importa: non più.
Riconosce
la comprensione nei suoi occhi, la pietà.
Riesce
e leggervi un moto di vera pena, un sentimento a cui seguirà
il suo inevitabile
corollario.
Igritte
raddrizza la schiena, storna lo sguardo.
"Abito
in quella casa laggiù." e punta il dito verso una serie
di abitazioni poco lontane dalla piazza "Se mai tu e la bambina
doveste aver bisogno d'aiuto sai dove trovarmi."
Stuart
la ringrazia, intreccia le dita a quelle di Eve.
La
bambina gli rivolge un'occhiata sfuggente, torna a fissare la
sconosciuta.
"Lo
terrò presente." e si allontana, dandole le spalle.
Eve
gli prende una fragola dal sacchetto, se la mette in bocca.
"Pensavo
ti sarebbe cascata la faccia dal tanto sorridere."
Stuart
alza un sopracciglio, la osserva frugare ancora tra le verdure e
tirarne fuori un pugno di more - contarle e annuire soddisfatta.
"Erano
le preferite di tua madre, sai?" le confida, incapace di
trattenersi.
Eve
solleva lo sguardo verso il suo, pupille ristrette dal sole, l'iride
artica dei lupi - di
suo padre.
"Lo
so." risponde, e comincia a mangiarle.
Stuart
le accarezza i capelli e si chiede solo quando.
"Cosa
mi stai nascondendo?"
Chris
affonda,
sfrutta il peso della lama e si spinge in avanti - rabbioso,
distante.
"Niente."
bercia, e scatta
-
brucia.
Jill
lo fissa immobile, e pare quasi nuda senza la protesi artificiale del
braccio mancante.
"Non
ho tempo per le tue stronzate da eroe caduto, Chris."
e morde,
Jill, perché la guerra le ha portato via più di un
occhio e un arto.
Redfield
para, colpisce; si esibisce contro un nemico immaginario.
La
Valentine piega le labbra in una smorfia irritata, la pelle attorno
all'orbita vuota che si raggrinzisce e cade.
"Merito
di saperlo."
"No."
ribatte Chris, ed è come essere pugnalati in pieno petto.
"C'ero
anche io
quel
giorno." sibila, furiosa "Da te mi sarei aspettata un
comportamento diverso."
Chris
espira con forza, assesta un fendente al manichino che lo apre in
due.
"Lo
so." dice, e non la guarda neppure.
Jill
raddrizza le spalle, ingoia un insulto e un grumo di delusione.
"Il
potere cambia,
eh Chris?"
Tutto
in questo presente ha già il sapore della sconfitta.
Ha
cinque anni, Eve.
Ha
cinque anni, e come sua madre prima di lei è stata colpita
dalla Febbre.
Ho
un po' caldo, gli
aveva detto prima di addormentarsi e perdere conoscenza.
Stuart
si era sentito morire
-
un peso liquido e rovente come piombo fuso che gli aveva divorato la
gola, le viscere.
Aveva
ricordato le parole di Birkin, l'estratto di Starway of the Sun.
Aveva
ripercorso quelle notti con la memoria e il cuore, la prontezza del
signore del Falco, il delirio furioso nel quale era caduto il re.
Stuart
si porta una mano al petto, la chiude a pugno.
"Non
ce la farà." gli mormora lui
-
e Stuart chiude gli occhi, china il capo.
"Devi
chiedere aiuto."
"Non
posso."
"Devi."
ringhia quella voce - esplode
con
la stessa potenza di un tuono.
"Io..."
"Fallo."
ripete, ed è umida la sua voce - graffiata.
È
una voce morta, che è venuta a vomitargli addosso tutte le sue
colpe.
Stuart
esala un sospiro tremulo, si arrischia a riservargli una sola
occhiata - confusa, spaventata.
È
tremendo
il
re nella sua armatura da combattimento.
È
un mostro liberatosi dall'oltretomba che vuole la sua carne, la sua
anima.
Plic,
plic, plic; qualcosa gocciola sul pavimento freddo - e Stuart non sa
se sia l'acqua della bacinella per Eve oppure il sangue che vede
colare lungo lo zigomo del re.
"È
troppo piccola."
"Lo
so."
Un
cozzo metallico: la punta della spada che si trascina
sull'impiantito.
"Hai
sempre saputo troppo,
Stuart." ed è alle sue spalle, il re; Stuart può
sentirne il respiro gelido, l'odore dolciastro della putrefazione e
della fatica.
"È
ora di fare qualcosa, vecchio."
E
non è equo, Wesker; non è giusto,
o comprensivo.
È
un'anima inquieta, senza pace: un uomo stritolato
dalle
scelte compiute, dalle parole mai dette.
Dal
futuro che lui stesso si era negato.
"Alexandra
credeva in te." gli dice, e quando Stuart si volta è
ancora lì
quella presenza scomoda e ingombrante - minacciosa.
Sotto
l'elmo rostrato bruciano
i suoi occhi, paiono tizzoni ardenti.
Stuart
riesce a scorgerne il profilo asimmetrico, leggermente incassato
dove la mazza chiodata l'aveva colpito - una concavità che gli
ricorda quella della frutta schiacciata.
Ha
numerose ferite aperte sul corpo, feretoie di carne e sangue.
Gli
manca uno spallaccio e il mantello è incrostato di fango e
sporcizia - solo il Serpente brilla,
e mostra ancora le sue fauci.
"È
troppo piccola." ripete, ed è più morbida la sua
voce - più umana.
Stuart
si umetta le labbra, afferra un foglio, la penna - il sigillo
dell'Uroboro.
Il
re sfiora la fronte di sua figlia e aspetta.
Un
giorno e una notte; tanto impiega Claire a reperire la Starway of the
Sun dalle terre di Burton e a spronare Osha ai confini di Ukras, dove
risiede Stuart.
"Ho
quello che mi hai chiesto." esordisce, alzando un sacchetto
verso il suo viso.
"Non
è stato facile", aggiunge poi, togliendosi il cappuccio
appesantito dalla pioggia.
Stuart
le dà le spalle, ignorandola.
Claire
si passa una mano tra i capelli bagnati, osserva Stuart pestare i
petali del fiore, mescolarli con dell'acqua bollente e filtrare il
composto una, due volte, fino a quando non ottiene un liquido quasi
trasparente.
"Basta
così poco?" gli chiede, e si guadagna un'occhiata
irritata.
"No."
mormora, e Claire può percepire l'urgenza nella sua voce "Il
composto deve essere opportunamente filtrato. Inoltre questa non è
normale acqua: vi sono stati aggiunti altri elementi."
"Che
tu non mi dirai."
Stuart
picchietta il dito sul bicchiere, corre
nella
stanza accanto - Claire lo segue, dietro di lei impronte di fango e
terra.
Eve
è pallida, esangue.
Per
un attimo Claire ha un orribile
déjà vu, e inspira allora con forza - si preme le
unghie nel palmo della mano.
Stuart
solleva la testa alla bambina, le massaggia la nuca - la incita a
bere, prestando attenzione che neppure una goccia vada sprecata.
Claire
si stropiccia il mantello tra le dita, reprime un brivido: al suo
fianco il respiro dei morti è ghiaccio e
dolore.
Una
sempiterna veglia; questo sono stati chiamati a fare.
Eve
non può saperlo, ma non è sola nella stanza in cui si
sta consumando la sua fragile
vita.
"Non
è possibile." mormora Alex, ed è adesso una
puerpera angosciata - bianca sui fianchi, lungo le braccia; tra le
cosce una rosa liquida di sangue e altro.
Wesker
storna lo sguardo, lo posa sulla porta chiusa - ascolta la voce di
Claire, il silenzio di Stuart.
"Non
lei." e stringe,
Alex; il lenzuolo, la mano di Eve.
Stuart
irrompe nella camera, il pulcino dei Redfield poco dietro di lui - i
capelli appiccicati alla fronte, lo sguardo ansioso.
Eve
emette un debole lamento, lascia che Stuart le dia da bere l'estratto
di Starway of the Sun - si raggomitola nuovamente sotto le pesanti
coperte.
"Albert."
lo chiama, e lui risponde - sempre.
È
di nuovo integro, suo fratello; perfetto
come
nei ricordi dell'ultima notte che avevano trascorso insieme.
"Sopravviverà."
le dice, e Alex gli cerca gli occhi - annuisce bruscamente.
Claire
li attraversa e vibra
di
un sentimento che nemmeno la morte è riuscita a sconfiggere.
L'ha
vista partire in piena notte, Osha al galoppo e qualcosa stretto al
petto.
Non
ha fatto domande, Chris - non
ha
voluto sapere.
Incrocia
le braccia al petto, aspetta.
Alle
sue spalle la sala del trono è ora diventata quella del
Concilio, e scivolano lungo le pareti gli emblemi della casate che ne
fanno parte - la Volpe, il Cinghiale, l'Orso, il Cavallo a sei zampe,
il Corvo e molti altri.
Si
volta, osserva ciò che resta del seggio reale - tre gradini in
pietra nera, un tappeto consunto.
Storna
lo sguardo, lo posa su quell'unico spazio vuoto che grida
- un nulla pieno di tutto.
Uroboro.
Chris
si chiede quando
ha perso sua sorella tra le spire della Serpe bianca.
"Era
successo anche a Lady Alex."
Claire
socchiude gli occhi, resiste al sonno.
"Le
avevo portato la colazione, come ogni mattina."
Stuart
controlla Eve, le sfiora le guance con la punta delle dita - fresche,
finalmente.
"Credevo
l'avrei trovata già intenta a vestirsi, o di ritorno dalle
camere di suo fratello."
Claire
ascolta la verità, la menzogna una maschera ormai inutile.
Stuart
abbozza un sorriso malinconico, si siede al fianco della bambina.
"Era
per terra, piegata in due dalla febbre e dai dolori."
Eve
respira piano, pallida - trasparente.
"Nessuno
sapeva cosa fare; nemmeno il re."
"La
Febbre coglie sempre impreparati." replica Claire, e il ricordo
dei suoi genitori è vivo
nella sua memoria, reale.
Stuart
trattiene una risata a labbra strette, accarezza i capelli di Eve.
"Fu
Birkin a salvarla."
"Il
Falco."
"Un
genio." la corregge Stuart "Un ragazzino la cui mente
avrebbe potuto piegare regni interi se la paranoia e l'ossessione non
l'avessero consumato."
Claire
sospira, si stroppicia le palpebre pesanti.
"Sherry
gli assomiglia."
"Lo
so."
"Le
manca suo padre." aggiunge Claire, alzandosi "E sua madre."
Stuart
tace, ascolta Eve - il suo respiro.
"Orfani."
continua Claire, e incrocia le braccia al petto "La guerra non
lascia altro che orfani e macerie."
Stuart
annuisce, strofina il pollice sul dorso della mano di Eve.
"Devo
rientrare." esordisce poi Claire, raccogliendo il mantello da
terra "Starà bene?"
Stuart
storna lo sguardo, lo posa sulla giovane Redfield - il viso stanco,
sgualcito da una veglia che è iniziata molto tempo addietro,
tra le colonne in marmo del palazzo reale e la neve rossa
dell'Edonia.
"Sì."
replica, e poi sorride - genuino "Grazie, Claire."
Claire
apre la bocca - sta
per dire qualcosa -
la richiude.
La
lunga ronda del Cane a tre teste non è ancora finita.
Eve
ha cinque anni, ed è sopravvissuta alla Febbre.
Ha
sei anni, e Stuart le sta insegnando a combattere - giusto i
rudimenti; parata, difesa, posta frontale e porta di ferro mezzana.
Ha
sette anni, e sgrana gli occhi meravigliata la prima volta che vede
il palazzo della casata del Cane a tre teste - è
enorme,
gli dirà, e Stuart vorrebbe replicare che no,
quello dei suoi genitori era grande, non questa povera imitazione.
Ha
otto anni, e sa adesso difendersi da sola - è tempo di passare
agli attacchi; imbroccata, punta dritta e roversa, ridoppio.
Ha
nove anni, e ogni giorno assomiglia di più a Lady Alex - dalla
postura elegante delle spalle alle labbra piene e sempre piegate in
una smorfia beffarda.
Ha
dieci anni, e Stuart le racconta dei filosofi del passato; le insegna
di come la conoscenza sia l'arma più potente, oltre la spada e
lo scudo.
Ha
undici anni, e poi dodici - attraversa l'adolescenza tra gli
allenamenti e lo studio, una ragazzina quieta, distante.
Un
serpente che attende la preda nell'erba alta: l'intelligenza crudele
di sua madre, la ferocia velata di suo padre.
Ha
quindici anni, e sta crescendo in fretta, Eve; una bambina che non si
è mai accontentata delle favole e della loro insipida
morale.
"Chi
erano i miei genitori, Stuart?" gli chiede, e lui tentenna -
sempre.
"Forse
sarebbe meglio se..."
"No."
lo interrompe Eve, brandendo il cucchiaio come uno scettro
improvvisato "Non rispondermi un
altro giorno." e
rimescola la zuppa, arricciando il naso.
Stuart
si siede di fronte a lei, sospira.
Eve
lo studia da sotto le ciglia pallide, mette in bocca una porzione di
spinaci e mastica - lentamente.
"Dunque?"
incalza, e tamburella con le dita sul tavolo.
Stuart
incrocia le braccia al petto, si ritrova a pensare a quanto
assomigli al re in quei momenti - Eve esige,
non chiede. Pretende,
non mendica. Ordina,
raramente contratta.
Si
schiarisce la voce, le indica il pezzo di pesce rimasto.
"Prima
finisci il tuo pranzo."
Eve
alza un sopracciglio, interdetta.
Stuart
la fissa, inamovibile.
"Prima.
Il. Pranzo."
Eve
si allunga verso il piatto, spalanca la bocca e riesce a ingoiare
quasi
tutto
il filetto di luccio rimasto.
Ha
le guance gonfie, e si batte una mano sul costato - spinge,
e poi deglutisce, afferrando il bicchiere d'acqua e bevendolo in un
colpo solo.
Stuart
sorride,
perché quella scena gli ricorda Lady Alex - una volta in cui
ben poco signorilmente
era
stata sfidata da suo fratello a mangiare un filetto di cervo grande
quanto la sua faccia.
E
aveva vinto, peraltro.
Ha
gli occhi lucidi, Eve, e si schiarisce la voce - raddrizza le spalle.
Stuart
si alza, le fa un cenno con la mano.
"Vieni,
Eve; se vuoi sapere chi sono i tuoi genitori prima devo farti vedere
una cosa."
Gli
errori del passato divoreranno ogni innocenza.
Le
racconta di uomo e una donna innamorati.
Le
racconta di un re e della sua regina - glieli mostra,
e tornano alla vita Albert e Alexandra Wesker da una tela sbiadita.
Si
schiude la testa del serpente, e davanti ad Eve compaiono due visi
uguali al suo - zigomi affilati, occhi artici.
Sfiora
quello di sua madre, ne cattura ogni particolare, ogni dettaglio.
"Mio
padre era il re." mormora, e qualcosa si flette
nella sua voce - una nota che si fa più profonda, che anni
dopo ruggirà e
rivendicherà.
"Sì,
Eve; il re di Raccoon e dell'Umbrella."
"Ma
tu hai detto che non esiste più una monarchia: che il re è
caduto tanti anni fa, in combattimento."
"Esatto."
Ed
è persa, Eve, confusa;
non riesce a sovrapporre la figura del re con quella che vede
rappresentata nel ciondolo che pende tra le sue dita.
"E
mia madre la regina."
"Non
proprio." la corregge Stuart, sedendosi al suo fianco.
"Non
capisco." replica Eve, sbattendo le palpebre.
"Il
re aveva sposato una donna - Excella Gionne. L'aveva fatto per
proteggere la corona, il trono. Per difendere tua madre dalle voci di
corte."
Eve
lo guarda, occhi grandi - sperduti.
"Il
re non l'amava, ma la politica non segue mai i moti del cuore, Eve."
"Ma
mia madre era nobile, no? Avrebbe potuto sposarla."
Stuart
si morde il labbro, le appoggia una mano sulla spalla -
improvvisamente piccola, fragile.
"Tua
madre..." e indica il medaglione "...era in una posizione
difficile;
complicata."
"Quale?"
insiste Eve, testarda.
"Il
re aveva una sorella, bambina mia. La Serpe bianca. Ti ricordi di
lei? Del mito dell'Uroboro e di ciò che significava?"
"Uno
il Tutto." ribatte, e si porta l'anello con il serpente al petto
- stringe.
"È
la frase che c'è scritta qui dentro."
Stuart
annuisce, le accarezza i capelli - la sente rigida sotto la sua mano,
tesa.
"Bene.
Il re era invece la Serpe nera. Fratello e sorella. Uno il Tutto."
Eve
socchiude la bocca, torna a fissare l'immagine racchiusa nel ciondolo
- riporta poi lo sguardo su Stuart.
"Questa...
è sua
sorella?"
"Esatto."
Eve
impallidisce, preme le labbra in una linea sottile - tutto in lei
sembra crollare;
una
maschera che si scioglie, rovina
tra le macerie di una pelle esangue.
"Ma
hai appena detto che è mia madre."
"Sono
la stessa cosa, Eve."
Eve
arretra di colpo, ma Stuart è più veloce e la trattiene
vicino a sé - le impedisce di fuggire dal proprio retaggio.
Eve
apre la bocca, la richiude; emette un solo, lungo,
lamento.
"Io...
io...oh."
"Già."
le concede Stuart, sforzandosi di sorridere "Oh."
"E
sono morti nella battaglia d'Edonia."
"Sì,
Eve."
Eve
inspira, trattiene un singhiozzo.
"Non
volevano abbandonarti."
Eve
si piega in avanti, comincia a piangere - lacrime silenziose, che
cadono nella quiete della stanza.
"Non
hanno avuto altra scelta."
Stringe
l'anello di sua madre fino a quando non fa male
- sangue tra le dita, sotto le unghie.
La
collana scivola a terra, dove rimane - una ferita sempre aperta.
"Eve."
la chiama Stuart, e la scuote appena "Eve, guardami."
Il
Serpente ha appena inoculato il suo veleno più potente: la
verità.
"Glielo
hai detto."
"Sì."
"L'hai
consegnata a un fardello piuttosto pesante."
"Lo
so."
"Le
hai raccontato tutto?"
"Sì."
Claire
annuisce, storna lo sguardo.
"Deve
essere stata una notte piuttosto lunga."
Stuart
continua a zappare il terreno, controlla che i solchi siano
abbastanza profondi.
"Dov'è
adesso?"
"Non
lo so."
Claire
solleva entrambe le sopracciglia, sgrana gli occhi.
"Come
sarebbe a dire non
lo so?"
Stuart
si solleva da terra, appoggia entrambe le mani sulle ginocchia.
"I
rapporti si sono fatti un po' tesi,
ultimamente, Claire."
Claire
alza le braccia al cielo, gli dà le spalle.
"Non
dovevi farlo." grida, furiosa
"Non
era necessario che sapesse tutto,
per la miseria."
"Era
un suo diritto."
"No!"
esclama Claire, e gli punta l'indice contro "No, Stuart, non lo
era. È ancora giovane, e lontana da corte e dal suo schifo."
Stuart
arriccia le labbra sui denti, raddrizza le spalle.
"Lady
Alex e il re non
erano
uno schifo, Redfield."
Claire
sbatte le palpebre, interdetta.
"Non
era quello che intendevo."
"Allora
ti consiglio d'imparare a misurare le parole da adesso in poi: hanno
un peso, anche se dubito che te l'abbiano mai insegnato."
Claire
assottiglia gli occhi, gli rivolge un'occhiata offesa.
"Non
fare lo stronzo con me, vecchio:
non ti conviene. Non c'è più la tua signora a
difenderti."
"Non
ne ho mai avuto bisogno."
Claire
non arretra, Stuart avanza.
"Era
un suo diritto." ripete, e la fissa senza alcuna paura.
"È
figlia di un incesto,
vecchio: come credi che l'avrebbe presa?"
Stuart
scuote la testa, la sorpassa urtandole un fianco.
"Non
è per quello che abbiamo discusso."
"Allora
per cosa?"
replica Claire, irritata, e lo segue fin dentro l'abitazione.
Stuart
si lava le mani nella tinozza vicina, indurisce la linea della
mandibola.
"Cosa,
Stuart?" insiste Claire, e Stuart sbatte sul pavimento lo
strofinaccio, fissandolo.
"La
Locusta."
Claire
lo guarda interdetta - confusa.
"Vuole
la Locusta."
"Ma
è morta."
Stuart
inclina il viso nella sua direzione, le rivolge un sorriso
sgradevole.
"Forse
dovresti chiedere a tuo
fratello,
Claire: in fondo, ha lui
adesso
il potere, no?"
Osha
nitrisce in lontananza, il cielo si spegne
-
nembi improvvisi e grigiastri.
Claire
ingoia un grumo di saliva che ha lo stesso sapore della menzogna.
Eve
aveva sempre capito di essere diversa:
fuori posto.
I
bambini del villaggio giocavano con la corda, lei imparava l'uso
delle armi.
I
bambini del villaggio studiavano le sementi, come sellare un cavallo;
Stuart vi aggiungeva anche la storia dell'Umbrella, i suoi re e le
sue guerre.
I
bambini del villaggio volevano solo una vita semplice
-
un tetto di paglia sulla testa, un marito o una moglie; una progenie
a cui affidare i loro campi, quel poco che avevano.
Eve
non si era mai
sentita
a casa tra i loro poveri
sogni.
Si
era chiesta come mai non provasse le stesse cose; perché
non si sentisse in colpa, se c'era qualcosa di così sbagliato
in lei da farle desiderare di più
- da spingerla oltre i confini di Ukras.
Sei
figlia del re, Eve: del re e di sua sorella.
L'anello
di sua madre le fascia l'anulare destro, gocciola sangue e memorie.
È
pesante il serpente al collo, ossidiana e argento - una bocca
spalancata nell'atto di attaccare, le spire contratte nell'ultimo
affondo.
Eve
ne apre la testa, li osserva.
Sono
uguale a loro.
Un
riflesso morto, una crudele simmetria; Eve li fissa, ed è come
guardarsi in uno specchio.
Ho
gli occhi di mio padre.
Il
fiume scorre placido ai suoi piedi, una trota le lambisce appena la
caviglia.
Sua
madre è bella,
e Eve si sorprende sorride a quel pensiero.
Non
ha lo sguardo piegato delle donne del villaggio, quello illuso delle
ragazze della sua età.
Sono
pieni d'orgoglio gli occhi di sua madre, accesi - vivi.
Ha
un sorriso a metà sulle labbra - arrogante
-
e il mento sollevato in un atteggiamento di sfida.
Eve
si specchia nell'acqua limpida del fiume, cerca d'imitarla - piega la
bocca in una smorfia.
Le
assomiglia, ma è ancora giovane Eve, e il dolore è una
sfumatura che le trasforma in lineamenti - li sgualcisce.
Studia
suo padre, la mimica inflessibile del suo viso - zigomi alti, occhi
spietati.
Incute
timore, suo padre; ricorda uno di quegli idoli del Nord di cui Stuart
le ha raccontato - Nysskel e la sua faccia di pietra e ossa.
Eve
chiude il medaglione di scatto, stringe le dita - il cuore.
"Chi?"
Stuart
la guarda confuso, aggrotta le sopracciglia.
"Chi
li ha uccisi?"
"La
guerra, Eve."
"Stronzate."
ringhia, e batte la mano aperta sul tavolo "La guerra la fanno
gli uomini, Stuart, non il ferro."
Stuart
indurisce lo sguardo, si alza.
"Non
seguirai quella strada, Eve."
"Non
puoi impedirmelo."
"Sono
tutti morti."
"Allora
cosa custodisce la Torre Rossa?"
Silenzio.
"Perché
gli uomini del Corvo la pattugliano giorno e notte, uhm?"
"Come
fai a saperlo?"
"Me
l'hai raccontato tu."
replica, alzando l'indice nella sua direzione "La leggenda della
Locusta che finì seppellita dalla sue stesse ambizioni. Lo
sciame che attendeva, paziente. Lo Scorpione e la sua caduta."
Stuart
deglutisce, si porta una mano alla gola.
"Puoi
anche aver parlato per metafore, ma il significato non cambia."
"L'hanno
vista bruciare."
"E
io la vedrò morire." ribatte Eve, fissandolo.
"Non
è questo che avrebbero voluto i tuoi genitori."
Eve
gli rivolge un sorriso sgradevole, così simile a lui.
"Mia
madre mi ha lasciato appena nata per morire con mio padre; non credo
possano farmi lezioni di vita postume, Stuart."
"Ti
voleva bene."
"L'amore
non ha mai salvato nessuno, e loro ne sono la prova."
"Hai
un'altra scelta, Eve."
"Il
mio sangue dice di no."
Stuart
osserva il Serpente destarsi dal suo lungo sonno e attaccare.
Sotto
il sole di quella primavera precoce gli occhi di Eve sono ghiaccio e
rabbia.
"Mi
hai mentito."
Chris
solleva appena lo sguardo dai documenti del Concilio, la fissa.
"Non
so di cosa tu stia parlando."
Claire
avanza, la lunga treccia rossa che le scivola tra i seni.
"Non
dirmi cazzate." ribatte, e gli strappa di mano i fogli "La
Locusta."
Cade
quella parola - quel nome.
Cade,
e schiaccia
-
distrugge, sempre.
Chris
cerca i suoi occhi, indurisce la linea della mandibola.
"È
morta."
"Bugiardo."
"Il
Fuoco Eterno l'ha bruciata viva."
Claire
emette un verso frustrato, sbatte un piede al suolo - si protende
verso di lui.
"La
Torre Rossa."
Silenzio.
"Ci
sono stata, Chris."
Un
moto di sorpresa in quegli occhi uguali ai suoi; di vergogna.
"Ho
quasi rischiato di farmi ammazzare dalle Ombre della Wong, ma ci sono
stata e ho
visto."
Redfield
si alza, appoggia le mani sul tavolo - si avvicina.
"La
Locusta è morta." ripete, e Claire chiude le dita in
pugni chiusi - ne alza uno verso il suo viso.
"Un'altra
stronzata e ti spacco il naso."
Redfield
ride
- un guaito asciutto, aspro.
"Perché
la Wong pattuglia la Torre Rossa?"
Chris
non cede terreno, non arretra - mantiene la posizione da bravo
soldatino quale è.
"Carla
è viva." mormora Claire, e non è più una
domanda "È viva,
e tu me l'hai tenuto nascosto."
Chris
inspira con forza, chiude gli occhi.
"Sì."
Claire
china il capo, afferra le carte del Concilio e le scaraventa sul
pavimento.
"Come?"
"Ada
l'ha trovata ai margini del campo di combattimento, irriconoscibile.
Il Fuoco Eterno le aveva divorato la faccia, il corpo, ma respirava
ancora."
"E
invece che infilarle un coltello nel cuore l'avete imprigionata.
Trascinata via e curata."
"Ada
pensava potesse tornare utile, prima o poi."
"Il
Corvo non siede a capo di questo Concilio, Chris! Il Corvo ha sempre
un
secondo fine, un altro scopo oltre quello che racconta."
Chris
sospira, digrigna i denti.
"Non
sapevo ancora se questa cosa del Concilio avrebbe funzionato, Claire.
Il Nord mi si è subito ribellato, scivolandomi via dalle mani
come sabbia. Avevo bisogno del sostegno della Wong, e di un'eventuale
merce di scambio."
"No,
Chris." lo contraddice Claire, scuotendo la testa "La
verità è che hai avuto paura."
Si
allontana, Claire, e gli rivolge uno sguardo deluso - ferito.
"La
verità è che il potere ti ha logorato, consumato;
non hai saputo gestirlo, non hai voluto chiedere aiuto."
Claire
si preme una mano sugli occhi, libera un respiro tremulo
"Non
ti sei fidato di Barry, o di Jill."
Chris
le sfiora una spalla, Claire scarta di lato - lo evita.
"Nemmeno
di me."
Redfield
si allunga verso di lei, viene ignorato - allontanato.
"Nemmeno
di tua
sorella."
Chris
storna lo sguardo e lo posa su di uno spazio vuoto come le sue
parole.
"Mi
dispiace."
Lo
mormora al silenzio; a voci ormai morte e
abbandonate.
"Avrei
dovuto fare di meglio."
"Non
potevi." lo assolve Alex, bellissima nella sua armatura rossa e
nera.
Stuart
piega la schiena, sembra quasi spaccarsi
sotto il peso di quella confessione.
"Non
posso lasciare che la vendetta la consumi; devo impedirle di..."
e si ferma, Stuart.
Si
blocca a metà della frase, consapevole - ferito.
Alex
sorride appena, sfiora il pomolo della spada con la punta delle dita.
"Di
compiere i nostri errori. Di essere come noi."
si volta, e il suo viso ha ripreso colore lungo gli zigomi, negli
occhi "Come me e
Albert."
"Non
volevo... io non
intendevo..."
Alex
lo zittisce con un gesto pacato della mano, posa lo sguardo sul
tramonto che insanguina le pareti dell'abitazione.
"Siamo
morti, Stuart; credo che sia una risposta più che sufficiente
ai tuoi dubbi."
"L'avete
fatto per un motivo nobile."
Alex
inclina il mento nella sua direzione, catturano i riflessi del sole i
suoi capelli - oro e
sangue.
"Non
c'è nobiltà nella morte, Stuart. Sono morta in
ginocchio, stringendo la carcassa dell'uomo che amavo. Sono morta con
ancora il sangue di mia figlia tra le cosce, quello di Albert sul
viso."
Sospira,
tra le ciglia pallide lacrime e rimpianti.
"Sono
morta, e basta. Siamo
morti."
Gli
tocca il dorso della mano con dita invisibili e fredde - nude.
"Il
serpente cambia sempre la pelle, ma non muore mai, Stuart.
Ricordalo."
La
notte brucia
il
cielo, ne corrode gli angoli, accartocciandoli su se stessi.
Stuart
le rivolge uno sguardo pieno
- risoluto.
Annuisce,
rispetta un voto a cui solo la sua
morte
porrà fine.
Alex
gli stringe il polso e sorride.
La
storia è scritta dai vivi, compiuta dai morti - abitata solo
dai fantasmi.
Chris
osserva sua sorella allenarsi con l'arco, soffoca
nelle sue stesse parole.
Da
una tasca laterale dei pantaloni estra una spilla - il simbolo della
Guardia Reale.
Quando
tutto era più semplice.
Quando
il destino gli raccontava di una vita al fianco del re, a difendere
una corona in cui aveva creduto fino alla fine - sciocco ragazzino
illuso.
Claire
si ferma, guardandosi intorno - lo
sente.
Lo
trova - lo fissa
-
la corda tesa tra le dita, la freccia ancora incoccata.
Nei
suoi occhi non c'è alcuna comprensione.
Eve
a volte lo
vede.
È
nei suoi movimenti, nel modo in cui affonda la spada - nella curva
delle spalle, nella velocità con cui muove le gambe, ruota il
bacino.
È
in quegli occhi da lupo, artici - spietati.
È
nella rabbia che le consuma la pelle, l'anima.
È
nella ferocia con cui si abbatte sul nemico, nella crudeltà
con la quale li riduce in ginocchio - corpi maciullati,
piagnucolanti.
È
nella forza con la quale perservera,
nell'arroganza
con la quale crede
-
un orgoglio che non lascia spazio a nient'altro.
Eve
lo
vede.
Suo
padre.
Nulla
più di un cuore che gronda veleno e disperazione.
"Non
mi farai cambiare idea."
Stuart
non dice niente, si limita a porgerle una coscia di pollo, qualche
carota passata nell'olio.
"Non
puoi impedirmelo."
Si
siede, stendendosi il tovagliolo sulle ginocchia ed esortandola a
fare altrettanto.
Eve
aggrotta le sopracciglia al silenzio di Stuart, fissa il piatto con
sospetto.
"Non
c'è del sonnifero, vero?"
Stuart
scuote la testa, comincia a mangiare - composto.
"Sei
arrabbiato con me?" gli chiede, ed è timida la sua voce -
improvvisamente piccola.
"No,
Eve." ribatte Stuart, e appoggia il cucchiaio sul bordo della
ciotola.
"Sai
che non posso fare altrimenti."
"È
la stessa cosa che ha detto anche tua madre prima di andarsene."
Eve
trattiene un respiro, si concentra sulle mani di Stuart; abbronzate,
inspessite dal lavoro nel campo, l'indice e il medio leggermente
arcuati dall'uso continuo della penna.
"Io..."
"Stai
seguendo una strada già percorsa, Eve." le dice, e c'è
una nuova inflessione nella sua voce - più dura, più
vecchia.
Qualcosa che deve appartenere a prima,
quando era il servo e spia più fidata di sua madre.
Eve
si morde un labbro, sembra soppesare le sue parole.
"Posso
scriverne un'altra."
Stuart
annuisce, fissa una cincia che si è appena posato sul
davanzale.
"Non
posso farlo senza di te, Stuart."
Un
sospiro; una resa a metà.
"Non
ti manderò a morire, Eve."
"Non
è quello il mio intento."
Stuart
le cerca gli occhi, vi coglie una fragilità - una forza
- che non apparteneva né a Lady Alex né al re.
Solo
a lei.
"Allora
hai ancora molto da imparare, bambina mia; sei disposta a farlo? A
sapere tutto,
Eve?"
Eve
raddrizza le spalle, solleva il mento.
"Sì."
Il
Serpente è di nuovo in caccia.
Sotto
la pelle la Locusta muore.
È
passato molto tempo dall'ultima volta che ha visto il cielo, e di lei
non è rimasto molto: ossa bruciate, carne rattrappita, muscoli
sfibrati.
Ci
sono voci intorno a lei, mormorii continui che le ricordano quanto è
patetica,
misera.
Carla
è morta quel giorno nella piana d'Edonia, arsa
viva dalla furia del Falco.
Quel
che rimane di lei è un insetto contratto nella sua stessa
corazza, uno scricchiolio disgustoso e
molliccio - il suono di una morte lenta e agonica.
Ricorda
il Serpente nero, Carla.
Ricorda
avergli sfondato la testa, la soddisfazione di aver sentito il suo
sangue sotto le dita, sulla lingua.
Ricorda
la Serpe bianca interromperla,
scivolare tra i morti come se già ne facesse parte.
Ricorda
tutto ciò che aveva amato venir spezzato,
il Cane a tre teste un mastino fedele, inarrestabile.
Le
voci parlano, sempre.
Ogni
tanto cambiano - la toccano, ma lei non sente più nulla.
I
nervi sono rovinati,
hanno detto un giorno, non
prova più dolore,
avevano aggiunto.
Ma
non era così; Carla urlava,
ma nessuno poteva sentirla.
Si
contorceva dentro la sua pelle, ma per il mondo era solo uno
scheletro fasciato di bianco troppo raccapricciante per essere anche
solo considerato.
Era
strisciata sotto la sabbia, Carla, e aveva aspettato.
Si
era lasciata cullare dalla loro indifferenza, dal loro fastidio.
Aveva
capito d'essere viva quando lei
aveva
apostrofato una delle voci.
Il
Corvo.
La
monarchia era caduta,
era riuscita a sentire.
Il
Concilio è stabile, aveva
capito.
Non
deve saperlo,
erano state le parole che avevano davvero
catturato la sua attenzione.
E
si era ritratta ancora più a fondo nel suo buco, la Locusta,
pensando e
pensando, gravida d'astio e delusione.
E
quando ormai pensava che fosse tutto finito - che le parole del Corvo
non fossero nulla
- ecco che una delle voci si era tradita.
"Dicono
che non l'hanno mai trovato."
"Chi?"
"Il
servo della sorella del re."
"Sarà
morto durante i tumulti nella capitale e buttato in mezzo agli altri
cadaveri; solo i Cinque Dèi sanno il casino che Redfield
dovette affrontare in quei giorni."
"Forse.
O forse no. Era di una fedeltà incrollabile. Si dice che abbia
persino ucciso per la sua signora. Qualcuno è sicuro di averlo
visto alle porte di Raccoon pochi giorni dopo la morte del re, un
mantello a coprirne i lineamenti e una bambina tra le braccia."
"Una
bambina?"
"Un
infante, comunque. Probabilmente un orfano di guerra. Un vecchio e il
suo nipotino danno meno nell'occhio di uomo che viaggia da solo.
Un'altra delle sue mille maschere, probabilmente."
Oh,
ed è impresso nella sua memoria Stuart,
quel piccolo viscido schifoso
che era sempre stato in grado di anticipare i suoi colpi, le sue
spie.
E
comincia a insinuarsi il sospetto, nella Locusta.
Comincia
a ricordare Alex (quella
troia)
il re - la loro grottesca
relazione.
Comincia
a ricordare Patrick, la sua confessione.
Sfiora
con la mente Excella, la sua gravidanza, i sospetti di Simmons su
Alex, la sparizione di Stuart - nessun
corpo, nessun
testimone
della sua caduta.
Comprende
all'improvviso.
La
Locusta grida
- muore, punta dallo Scorpione.
Squarcia
ciò che è rimasto, la divora - se ne nutre, e torna a
nuova vita la sua cuspide, il suo veleno.
Carla
tace, sempre;
ascolta, avida.
Nel
deserto della sua anima l'odio si accende di nuova forza e brucia.
"The
ending is nearer than you think,
and
it is already written.
All
that we have left to choose
is
the correct moment to begin." (1)
"Puoi
toccarla." gli dice, e Wesker esita.
"Non
si romperà." lo rassicura, e gliela indica, sorridendo.
Si
flette sulle ginocchia, il re, e sfiora la pelle di sua figlia.
Si
muove nel sonno, Eve, portandosi un pugno chiuso alla bocca - si
sfrega le gengive ancora prive di denti ed emette un pigolio quieto.
Alex
lo affianca, sedendosi sui talloni.
"Sarebbe
stato bello." mormora, e piega le labbra in una smorfia
malinconica.
"Mi
sarebbe piaciuto." aggiunge, ed esala un sospiro spezzato -
umido di lacrime e
rimpianti.
Albert
le cerca gli occhi, scivola con la punta delle dita lungo il suo
polso.
È
fredda quella notte senza stelle, ma loro non possono più
sentirla.
Sono
gelide le loro mani, i loro respiri.
Pendono
inerti gli spallacci dalle cinghie in cuoio, si aprono ferite che non
smettono di sanguinare sul petto, lungo l'addome - si sgretolano i
cosciali, gli schinieri squamati.
Piegati,
deformati;
Alex intreccia le dita a quelle di suo fratello - stringe,
fino a quando tutto
si scioglie ai loro piedi, diventa una pozza nera e rossa.
Alex
cerca la bocca di Albert - pelle nuda e tiepida; nelle vene un sangue
libero dal veleno, un viso che riconosce, integro.
Lo
tocca - lo invoca
- e torna da lei Wesker (sempre.)
Ed
è bella, Alex; tra le sue braccia sorride come quando erano
giovani e illusi -
"Cosa
farai quando salirai sul trono?"
"Ti
farò regina."
-
e non c'è più fatica nei suoi occhi, nel suo cuore.
Stuart
si avvicina alla bambina, la osserva dormire - la veglia, la
protegge.
Eve
apre gli occhi, fissa un punto imprecisato oltre la sua spalla -
ride,
ed è come sentir cadere la pioggia in primavera.
Stuart
si volta, cerca qualcosa che non può ancora vedere - li
attraversa.
I
vessilli del Serpente cadono
- la storia riavvolge la sua triste pergamena, ruota una clessidra
ormai rotta.
Che
vomita grani a ogni sussulto.
Eve
alza il piccolo dito nell'aria, ride più forte - felice.
In
quella notte di morte la sua voce è tutto ciò che
conta.
"
Love your rage, not your cage."
-
Alan
Moore
-
Note
dell'autrice; (1) citazione di Alan Moore da "V for Vendetta"
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