E’
una calda domenica estiva quella che Madrid vive in occasione di un
matrimonio
speciale.
“Sei
pronta, mammina? È tardi, dobbiamo andare!”
– la voce di un bambino all’incirca
di nove anni, accompagna il suo insistente bussare alla porta.
Nella
toilette è chiusa da almeno un’ora, la padrona di
casa, una donna di indubbia
bellezza, tanto estetica quanto interiore, dai lunghi capelli neri e la
carnagione olivastra.
“Mia
bella gitana, non vorrai farmi arrivare tardi al matrimonio del caro
vecchio
Sergio, vero?” – ad aggiungersi al minore,
è un uomo dalla magra corporatura, dotato
di fascino, che trasmette anche solo aprendo bocca.
Indossa,
in pendant, con il piccoletto, uno smoking chiaro, abbellito da un
buffo fiocco
nero che funge da papillon.
“Eccomi”
– e così, aprendo la porta, la mora si mostra in
tutto il suo splendore.
“Sei
stupenda” – si complimenta suo figlio, sorridendole
come solo lui sa fare,
confermando la lusinga con il pollice all’insù.
“Tu
non dici nulla?” – chiede la zingara
all’uomo, in attesa di un ok di approvazione.
Dal
momento in cui si invaghì di quello che era il suo capo,
divorziato dalla
quinta moglie, con una prole alle spalle, la gitana aveva messo da
parte se
stessa e i suoi sogni, stupendosi, nonostante il passato doloroso con
il padre di
suo figlio, di aver accettato condizioni tali e una palese
infelicità.
E
così, dopo ben tre anni di matrimonio con il direttore De
Fonollosa, Agata Jimenez
sente che accettare di piacergli, giorno dopo giorno, mantenendo accesa
la
passione, è la salvezza dall’ennesima delusione e
dal fallimento in amore.
Per
di più, quella creatura a cui ha dato la vita, Axel
è il suo nome, merita
stabilità che solo una famiglia completa può
dargli.
“Credo
tu debba coprirti di più, riserva per me questa
scollatura” – le sussurra all’orecchio
l’uomo, facendole l’occhiolino.
Dopo
averle esplorato il decolté con occhi famelici, il
capofamiglia si allontana,
prendendo il figliastro per mano.
La
gitana vorrebbe gridare, buttare fuori la sua frustrazione. E per
l’ennesima
volta, tace.
Afferra
un coprispalle di pizzo nero, nella cabina armadio, e copre quanto
più possibile,
del suo corpo, un corpo bello, sinuoso, sodo nei suoi
trentatré anni. Un corpo
proprietà di suo marito, la cui sola colpa è
essere oggetto di desiderio altrui.
Gli
occhi inumiditi rischiano di devastarle il trucco, quindi tenta di
trovare una
soluzione: respira profondamente, fissandosi un’ultima volta
allo specchio, e
rivolge a se stessa parole che tempo addietro rivolse ad una ragazzina,
vittima
di bullismo, a cui diede una mano nell’affrontare il branco.
“Sono
Agata Jimenez, e sono una figa da paura… non posso
continuare a vivere nella speranza
che Andrès mi ami. Non mi ama, mi ritiene di sua
proprietà…” – tenta di
convincersi di cambiare rotta, di doverlo a se stessa, alla sua tempra
forte e
decisa, quella che l’ha sempre connotata negli anni.
Però la sua mente le
ricorda chi c’è di mezzo e i discorsi che seguono
schiacciano quelli precedenti
–“… e Axel ha bisogno di un padre! Dove
cazzo credo di andare? È questo il mio
posto. Dovrò essere bella, perfetta, non sbagliare mai, non
oscurare mio marito
e dargli piacere ogni notte…e dovrò farlo solo
per il bene del mio piccolo!”
Afferra
la pochette luminosa, posta sul letto, e raggiunge la famiglia,
già a bordo
della loro automobile.
“Bene,
così già va meglio” – precisa
De Fonollosa, riferendosi alla scollatura ben
coperta.
“Credevo
ti piacesse questo abito, me l’hai regalato tu”
“Certo,
però è bene indossarlo nella giusta
maniera” – aggiunge lui, per poi isolarsi
nel suo mondo, fatto di lavoro e di lusso, alle prese con chiamate
importanti,
durante l’intero tragitto.
Ad
Agata e suo figlio resta solo il silenzio forzato, fatto di sguardi
complici
tra loro e di dolci coccole.
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La
cerimonia è breve e intensa. La sposa, bellissima e radiosa,
è Raquel Murillo,
ispettrice della polizia, di cui la Jimenez sa poco e niente,
nonostante sia
appena diventata sua cognata.
Lo
sposo, invece, lo conosce fin troppo bene. Sergio Marquina, uomo noto
per il suo
quoziente intellettivo sopra la media. Un genio in tutto e per tutto,
che
scherzosamente Andrès chiama Professore. È
proprio l’intellettuale, che la colpì,
dal principio, per il buffo tic agli occhiali, che ha aiutato Agata a
trovare
lavoro, approfittando del fatto che con lei condivideva un
appartamento. Il suo
adorato coinquilino, per cui la gitana, inizialmente, prese una
sbandata, la
indirizzò nell’azienda di famiglia.
“Sediamoci
qui, credo sia il nostro tavolo!” – afferma il Boss
alla consorte, preparandosi
alla consumazione delle portate durante la festa –
“Che banale mio fratello, siamo al tavolo
con la tua migliore amica arrapata e il suo toyboy”
– brontola leggendo i nomi
delle persone con cui condividere le successive ore di festa.
“Arra…cosa?”
– chiede Axel, confuso.
“Ehm..lascia
perdere, tesoro. Guarda, c’è Paula! Vai a
salutarla, è laggiù” – la
Jimenez
interviene, infastidita dalle parole di Andrès, e indica a
suo figlio la
presenza della piccola di Raquel, ormai adottata da Sergio come fosse
suo
stesso sangue.
Il
baby gitano corre subito dall’amica, con cui adora giocare, e
la coppia resta
da sola.
“Potresti
evitare offese a Silene e Anibal per favore?”
“Pensavo
mettessi il broncio perché avevo urtato la
sensibilità di Axel” – il tono
beffardo di De Fonollosa è l’ennesima frecciata
che fa male ma a cui la donna
non risponde.
Eppure
ha molto da dirgli, e tanto da sbattergli in faccia.
Manda
giù l’ennesimo boccone amaro e, per evitare di
esplodere, dice - “Vado a
congratularmi con gli sposi!” – e senza ascoltare
la replica del suo compagno,
si allontana.
Raquel
e Sergio sono alle prese con alcuni invitati, ed è proprio
il Marquina,
riconoscendo l’amica, qualche metro distante, a farle segno
di avvicinarsi.
“Congratulazioni,
vi auguro di essere felici e che con queste nozze abbiate realizzato il
sogno
di una vita” – nel pronunciarsi, gli occhi della
gitana si velano di tristezza;
lei che avrebbe voluto vivere un amore come quello, con
un’unione sentita e
intensa... le rimane poco se non notti di passione e regali su regali.
Mai dolcezze,
mai coccole, mai supporto reciproco.
Agata
non si accorge, nel mentre, di due uomini, di fianco a lei.
Ed
è uno di loro a prendere parola – “E il
tuo sogno di una vita, qual è?”
A
quel punto, la Jimenez si volta verso lo sconosciuto, notando un tipo
con un
sigaro in bocca, i capelli scuri e una folta barba, dalla corporatura
decisamente
grossa. Accanto a lui, invece, un esile uomo dai capelli abbastanza
lunghi e un
baffo a tratti simpatico.
Evita
di rispondere, tornando a dedicarsi ai novelli sposi.
Però
sente su di se gli occhi di una persona estranea, e avverte un fastidio
che decide
di ridurre.
E
lo fa, congedandosi.
“Ma
guarda tu che tipo strano” – parla tra se e se.
Prende
posto e nel farlo, si accorge che proprio quello straniero le si
è seduto
accanto.
“Cosa
vuole?” – replica lei – “Guardi
che sono sposata” – indica la fede al dito.
“Ehm..
lo so, tranquilla!”
“Allora
cosa sta cercando? Vada via…al suo tavolo”
“Eh…
questo è il mio!” – le sorride, godendo
dell’imbarazzo suscitato in quell’affascinante
donna.
“Non
ci credo!” – esclama, afflitta, lei. A quanto pare
quella giornata sarà più
pesante del previsto, teme.
“Vedo
che hai già conosciuto uno dei miei migliori
amici” – la voce di Andrés
interrompe il momento di silenzio creatosi tra i due dopo la gaffe di
Agata.
“Amici?
Non li ho mai visti”
“Ne
abbiamo vissute di avventure da giovani…e che nottate nei
pub, a rimorchiare” –
ricorda, nostalgico, De Fonollosa.
“E
quante scopate” – decisamente di poco gusto il
commento fatto in presenza di
sua moglie che, giunta all’apice della sopportazione, decide
di ignorarli,
raggiungendo gli amici storici, dislocati nelle varie aree
dell’immenso e ricco
salone del ristorante. I novelli sposi, infatti, non badarono a spese,
volendo
regalarsi una giornata indimenticabile anche dal punto di vista del
lusso,
scegliendo una location di alto livello.
“Va
tutto bene, tesoro?” – domanda Monica Gaztambide ad
Agata.
Monica
è una sua collega, nota per la dolcezza e la pacatezza,
madre di un bambino di
quasi tre anni, che ha vissuto un passato analogo a quello della
Jimenez:
infatti, il piccolo, Cincinnati, dal nome buffo su scelta di un
buffissimo patrigno,
fu concepito da una relazione extramatrimoniale. Ad oggi, Cinci
è cresciuto da
un genitore che l’ha letteralmente adottato, ma che non
l’ha concepito.
Come
se il copione della vita della zingara, si ripetesse nelle vite delle
sue
amicizie!
“Si,
certo. Come sempre” – risponde la gitana, mentendo.
Poi
la voce di Andrés la richiama all’ordine.
Il
pranzo è servito e da quel tavolo e da quella compagnia, non
può più
allontanarsi.
Almeno
per il momento.
Di
fronte ad un uomo che, finge attenzione per la chiacchierata con gli
amici, e
che, invece, continua a fissarla con la coda dell’occhio,
Agata fatica ad
alzare lo sguardo e a godere a pieno del ricevimento.
Inoltre,
Silene, la sua migliore amica, è alle prese con il suo
toyboy da dedicarle poche
attenzioni. E pensare che credeva di potersi appoggiare alla sua
presenza, in
qualunque momento. Invece le tocca accettare che dia
priorità al fidanzatino.
Il
suo silenzio però viene notato. E dalla persona meno attesa.
“Qual
è la città dove vorresti andare, almeno una volta
nella vita? O meglio, qual è
la città che sogni di visitare da tutta una vita?”
– le chiede lo straniero,
spiazzando Agata che si desta da pensieri vaghi che si addensavano
nella sua
mente fino ad un attimo prima.
“Ehm…come
mai questa domanda?” – le pare assurdo
quell’interrogativo.
“Semplice
curiosità” – risponde, mostrandosi, a
differenza di qualche ora prima, più cordiale
e meno interessato a guardarla come fosse un’opera
d’arte al museo.
“Io
andrei a Tokyo” – interviene Silene, prendendo
finalmente parte al discorso.
“In
Giappone? Sul serio?” – perfino il suo Anibal resta
sorpreso e commenta – “Io
direi Rio, tutta la vita!”
“E
tu?” – insiste il tizio con Agata.
La
Jimenez ci pensa su, non trovando un’immediata risposta. In
fondo ci sono tante
città che vorrebbe visitare.
“A
dire la verità, non ho una preferenza”
“Se
vuoi, ti dico la mia” – aggiunge il tipo di cui il
nome resta un’incognita – “Io
sono incuriosito dall’Africa”
“Africa?
Amico, sei un morto di fame. Io invece punterei su una bella
città europea
come..non saprei…Berlino! La Germania è una
potenza mondiale e di incredibile
potere” – anche Andres dice la sua.
La
questione “città” ha saputo rompere il
ghiaccio e coinvolgere tutti i presenti
alla tavolata.
“L’Africa
ha la sua bellezza, caro il mio De Fonollosa! E io penso che la
città di Nairobi
sia da scoprire” – nel pronunciare quel nome, il
tipo posa gli occhi sulla
gitana, ancora una volta, la quale, ora, non avverte fastidio, ma
imbarazzo.
“Tocca
solo a te adesso! Dimmi, se tu potessi scegliere…qual
è la città dei tuoi
sogni?”
In
quei momenti, la Jimenez ricorda di quando sua nonna gli raccontava di
storie mitiche
che avevano come sfondo la Colombia.
“Direi
Bogotà,
sì…Bogotà… penso proprio
che sia quella la città”
In
quel preciso istante, i ricordi di quando da bambina confessava alla
nonnina i
suoi sogni, con le aspettative lavorative e amorose, riaffiorano
prepotentemente
rammentandole dell’insofferenza presente.
Con
il cuore in gola e il pianto prossimo ad esplodere, la mora si scusa e
corre
via.
Il
tutto accade senza che il marito se ne accorgesse, preso, come al
solito, dal
suo ego.
Raggiunto
il giardino esterno, Agata scoppia in un lungo e devastante pianto.
Ed
è in quel preciso istante che una mano si adagia sulla sua
spalla.
Sobbalza,
e si volta verso la figura che l’ha raggiunta.
“Tu?”
– lo straniero l’ha raggiunta, cogliendo un
malessere velato dai suoi profondi
occhi scuri.
“Perché
sei così triste? Una donna come te dovrebbe solo
sorridere”
“Perché?
Perché ho i soldi e un marito che mi soddisfa?”
“Non
intendevo quello”
“Lascia
stare, in fondo neanche ti conosco. Non so neppure il tuo
nome” – si asciuga il
viso, scostando lo sguardo da quello, penetrante, dell’uomo
straniero - “e smettila
di guardarmi, sembra che tu non abbia mai visto una donna!”
– tuona contro di
lui, esasperata.
“Ti
guardo come fossi la città che sogno di
visitare da tutta una vita” – confessa,
arrossendo. Il tono dolce di quel omone grande e grosso, disorienta
totalmente
Agata.
Quell’affermazione,
per lo più, la fa sorridere. L’ha appena
paragonata ad una città…
“Mi
conosci appena”
“Già,
è bastato un istante perché tu diventassi la mia
Nairobi”
Quelle
parole colpiscono la Jimenez nel profondo del cuore.
Adagia
timidamente gli occhi su di lui e legge una mai conosciuta tenerezza.
“Voglio
solo essere amata!” – rivela, lasciando emergere la
realtà dei fatti. Vuole essere
amata, perché, in fondo, suo marito non lo fa!
A
quel punto, le parole servono a poco ed è lo straniero a
fare un passo avanti.
Con
estrema dolcezza, le sfiora il viso, e la gitana non si ritrae.
“Permettimi
di essere il tuo Bogotà, così come tu sarai la
mia Nairobi”
Avvolta
da braccia possenti, che per la prima volta le offrono protezione,
Agata si
lascia andare.
Bogotà,
sì è così che lo chiamerà,
è diventata la città della sua vita… e
probabilmente
è la soluzione alla sua infelicità.
“Posso baciarti adesso?”
“Stai
chiedendo il permesso per farlo?” – incredula,
Agata capisce di avere di fronte
a se la salvezza del suo cuore.
E
non attende la risposta dell’uomo.
Lo
afferra per la cravatta e lo tira a sé. Probabilmente si
pentirà, forse tra
qualche ora passerà tutto, o chissà…la
vita potrebbe aver deciso di darle una
nuova chance.
Un
incontro di labbra, un assaporarsi lungo e intenso, e la consapevolezza
di non
desiderare nient’altro per sentirsi davvero nella
città che si sogna da tutta
una vita.
TO BE CONTINUED……
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